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Autore: BlueBell9    30/11/2022    2 recensioni
«Il potere comporta la crudeltà» riflette Visenya ad alta voce, distratta, osservando il cielo terso sopra le loro teste. «Altrimenti si rischia non conservare per molto il trono» continua in un mormorio debole.
Aemond, al suo fianco, volta il viso nella sua direzione così da guardarla in faccia. 
[...]
«Non la vedo così» obietta ragionevole, il respiro regolare e controllato, attirandosi la sua occhiata e la sua attenzione. «Il potere comporta il dovere» decreta severo, forte di un’educazione che ha ricevuto appena ha imparato a parlare. 
Lei inarca le sopracciglia, scettica. 
«Che tipo di dovere?» indaga interessata. 
«Far in modo che la famiglia sopravviva» risponde lui, spiccio, come se fosse qualcosa di scontato.
Visenya aggrotta la fronte, meditabonda. 
«Per farlo, è necessario sterminare i nostri nemici» borbotta pratica, rimuginandoci sopra. 
«A volte sei spaventosamente sanguinaria» osserva suo cugino, ironico, accennando anche un sorriso divertito, interrompendo di colpo quelle riflessioni fosche. 
Lei ricambia, piegando a sua volta le labbra. 
«E questo ti spaventa?» chiede placida.
«No» assicura Aemond, schietto, scrollando appena le spalle. «Lo trovo rassicurante» concede, invece, le iridi chiare quasi rapite da quelle parole.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aemond Targaryen, Visenya Targaryen (figlia di Rhaenyra)
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dilaniati

Storia Partecipante alla Challenge To Be Writing 2022 indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
Prompt novembre: f
ix-it.





«Non ti aspettavamo, altezza».
«Mi pare evidente» commenta Rhaenyra, ironica, dopo essersi tolta i guanti e guardandosi intorno nella sala cupa e vuota di Pietra di Runa. «Dov’è?» chiede spiccia, ignorando la mancata accoglienza che le sarebbe aspettata per rango.
Il maestro la fissa smarrito, sbattendo le ciglia.
«Chi?» domanda rauco, le iridi velate dalla confusione.
«Mia cugina» risponde lei, rapida, storcendo il viso in una smorfia eloquente. «Esiste o il corvo inviato al re era una menzogna?» indaga con un pizzico di sarcasmo.
«Esiste» si affretta ad assicurare l’anziano, allarmato, prima di torturarsi con nervosismo le mani. «Se vuoi seguirmi, puoi rinfrescarti prima di vedere lord-»
«Non sono venuta qui a trovare i Royce» lo fredda Rhaenyra, insofferente verso quei modi che, complice l’impazienza della gioventù, proprio non riesce a capire. «Voglio vedere la bambina, ora» ordina perentoria.
L’uomo esita, prima di annuire e farle strada.
Lo segue per una serie di corridoi dove ci sono una serie di arazzi di un colore più simile all’oro che al bronzo, ricevendo gli inchini e gli omaggi dei servi e dei lord al suo passaggio, finché non giungono  in una stanza ovale, dove le ampie finestre si aprono sul mare.
Indifferente a un simile paesaggio, si avvicina curiosa a quel fagotto che una balia, dopo essersi inchinata, stringe a sé.
Scosta appena la coperta scura, così da poter vedere il viso paffuto e addormentato di una neonata.
Sorride di riflesso, un moto di calore che le scalda il petto, prima di far cenno all’altra di cedergliela. Nel stringerla tra le sue braccia, non può fare a meno di provare una strana sensazione di dolcezza e di calore.
Chissà se anche sua madre sentiva lo stesso quando la cullava.
«Purtroppo lady Rhea non è sopravvissuta al parto» riprende il maestro, alle sue spalle, schiarendosi la voce per renderla meno spezzata e al contempo attirare la sua attenzione. «Ma lady Rella sembra godere di buona salut-»
«Rella?» lo interrompe Rhaenyra, brusca, voltandosi all'indietro e inarcando le sopracciglia. «Chi ha scelto il nome?» domanda insolente, socchiudendo appena le palpebre.
Lo vede agitarsi, in panico, gettando alla balia un’occhiata di supplica e aiuto.
«I lord della Valle» dichiara spaurito.
Lei arriccia le labbra, in un sorriso che è una minaccia.
«Ma non suo padre» ribatte con veemenza, alzando il mento. E, per un folle momento, maledice Daemon e la sua ostinazione a non essere mai al posto giusto. Se almeno si fosse degnato di essere presente alla nascita della figlia, si sarebbe potuto risparmiare il malcontento che inevitabilmente affiorerà tra la corona e Casa Royce. «È il sangue del Conquistatore, non solo di qualche lord di Pietra di Runa» sottolinea impietosa. «E avrà un nome Targaryen» termina inflessibile, prima di incamminarsi verso la porta. Solo quando sta per passare accanto all’uomo, rallenta il passo così da prolungare il contatto visivo e scoccargli un’occhiata di ammonimento. «Il re vuole sua nipote ad Approdo del Re. Dite a lord Gerlod che siamo dolenti per la morte di sua cugina e che sarà sempre il benvenuto nella capitale» si congeda educata, riprendendo la sua marcia verso l’uscita del castello, dove Syrax l’aspetta per tornare a casa.




Dilaniati




«La terza moglie di Maegor I fu…».
«Tyanna» afferma lei, saputa, facendolo sobbalzare per averlo colto di sorpresa. Avanza per il balcone, fino a raggiungere il tavolo dove il cugino, sfruttando la bella giornata di sole, ha preso posto per studiare. «Non si sa molto delle sue origini ma solo della sua colpa. Confessò di aver ucciso le altre mogli del sovrano e fu condannata a morte» dichiara leggera, lasciandosi cadere sull’unica sedia libera. «Si dice che lui le abbia strappato il cuore dal petto» dichiara sovrappensiero, giocherellando distratta con un ricciolo argenteo.
Aemond le rivolge un sorriso lieve.
«Un po’ troppo melodrammatico» commenta distratto, arricciando il naso.
«Non è di famiglia?» ribatte lei, spensierata, scrollando il capo. Poi aggrotta la fronte, confusa. «Credevo fossi con Aegon» butta lì, perplessa, socchiudendo appena le palpebre.
Lo vede incupirsi, prima di tornare a prestare attenzione a quel tomo di storia.
«Ha detto che non mi voleva tra i piedi mentre volava con Sunfyre» svela contrariato, la voce bassa e gli occhi cocciutamente fissi su quella pagina. Poi sbatte le ciglia mentre un pensiero gli affiora alla mente. «Tu non dovresti essere con la septa?» indaga accorto, storcendo il volto in una smorfia meditabonda.
Visenya gli rivolge un sorriso birichino.
«Non credo che sentirà la mia mancanza» sostiene noncurante.
Aemond ridacchia piano.
«Hai davvero saltato la lezione?» si informa interessato, il viso a metà tra lo sbigottimento e il divertimento.
«Tanto mamma è occupata a parlare con le levatrici» fa notare scaltra, sicura che sfuggirà per qualche ora all’inevitabile rimprovero. Almeno finché ogni cosa non verrà predisposta per il parto reale che avverrà a breve. «E dubito che a qualcuno importi davvero se io sia presente o meno. Sono troppo in basso nella linea di successione perché si noti la mia assenza» considera in un sussurro, concreta e amareggiata.
«Io la noto» dichiara lui, sincero, allungando una mano per afferrare quella che ha appoggiato sul tavolo. 
Perché ci sentiamo entrambi soli, sono le parole che le si piantano nella mente e che le stringono la gola fin quasi a farla soffocare. Ed è facile volersi bene tra simili.
«Ad ogni modo» riprende lei, impacciata, cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione soffocante che durante la notte non le lascia tregua. Si sa che, con l’oscurità, le paure diventano quasi invincibili. Però non interrompe quel contatto, perché quel calore umano è confortante. «Vuoi passare tutta la giornata qui o andiamo in giardino?» propone allegra, facendo capire quanto smani all’idea di giocare.
Aemond torna a fissare il suo libro, indeciso.
«Dovrei ripassare Aegon il Conquistatore» osserva combattuto, tentato di chiudere tutto e abbandonare quel tavolo.
Visenya sbuffa, contrariata.
«Che cos’è che non sai?» domanda esasperata, alzando spazientita gli occhi al cielo. «Conquistò i Sette Regni, fondò questa città e amò Rhaenys» sintetizza spiccia. 
«Amò anche l’altra sorella» ribatte lui, di riflesso, corrugando la fronte in un cipiglio stranito. 
«Non come lei» sostiene testarda, alzandosi dalla sedia. «Il re trascorreva dieci notti con Rhaenys per ogni notte con Visenya» recita a memoria, senza nascondere l’acredine, rievocando quella frase che hanno letto in qualche libro. 
Aemond la fissa in silenzio, con quelle iridi chiare che appaiono appannate dallo sforzo per cercare di capirla. 
«Era comunque la regina di Aegon» tenta interdetto, inclinando il capo.
Lei scrolla le spalle, indifferente. 
«E immagino che molti lo riterrebbero un motivo sufficiente per accontentarsi» ironizza spietata, roteando gli occhi e lasciandosi sfuggire un sorriso per nulla divertito. Però quando torna a guardarlo, diventa più caldo e vero. «Allora, andiamo?» lo invita dolce.



«Visenya sa essere imprevedibile» constata Rhaenyra preoccupata, osservando la sua figlioccia e il suo fratellastro giocare a rincorrersi nel cortile della Fortezza Rossa. 
Lo sente ridere alle sue spalle ma non si volta.
«È il sangue di Daemon» sottolinea Harwin, ironico, avvicinandosi e circondandole il ventre gonfio con le braccia. Si permette di fare quel gesto solo perché sono da soli nelle sue stanze, lontani da occhi indiscreti, o non oserebbe mai. «Ti preoccupi troppo. Quel legame potrebbe essere un vantaggio» le fa notare accorto, scoccandole un bacio sulla nuca, sui capelli argentei.
Lei si gira, così da incrociare gli occhi scuri dell’altro.
«Forse dovrei impedirle di frequentarlo» riflette ad alta voce, indecisa su come agire.
«Pessima idea» ribatte lui, all’istante, piegando le labbra in un sorriso davanti alla sua palese confusione. «Sai come funziona con i Targaryen: negagli qualcosa e gliela farai bramare ancor di più» ironizza sagace, accarezzandole il grembo e quella vita che verrà presto al mondo. Poi sospira, incupendo il viso in un'espressione seria. «Lascia alla regina il compito di fare la cattiva della situazione. Le piace quel legame ancora meno di te» le fa notare saggio.
Rhaenyra inarca le sopracciglia scettica.
«E io cosa dovrei fare?» domanda contrariata, detestando l’idea di rimanere semplicemente in attesa. «Rimanere ferma?» indaga con una punta di asprezza, storcendo il naso.
Harwin sospira, scrollando il capo.
«Preoccuparti meno» suggerisce delicato, allungando il viso così da depositarle un bacio leggero sulle labbra, prima di sciogliere quell’abbraccio e allontanarsi, per evitare di essere colti in flagrante nel caso qualche servitore entrasse all’improvviso nelle sue stanze. «Ci penserà il tempo a bruciarlo» assicura convinto. 
Lei si lascia sfuggire uno sbuffo inquieto, tornando a guardare fuori dalla finestra, in basso, dove i bambini giocano all’oscuro di essere osservati.
«Lo ha fatto con molti» sostiene amareggiata, pensando di riflesso ad Alicent, a quello che erano un tempo e a quello che sono finite per diventare.



«Hai saputo cos'è successo in cortile?» domanda Aemond, eccitato, entrando nelle sue stanze senza farsi annunciare.
Visenya non alza lo sguardo dal tomo che sta consultando, seduta sullo sgabello al tavolo di fronte al camino.
«C'è qualcuno che ne è all'oscuro, in questa Fortezza?» replica distratta, afferrando l’ampolla contenente la sostanza a cui sta lavorando da qualche giorno. 
Persino rintanarsi in quell’angolo non le ha impedito di sentire i bisbigli che si stanno già diffondendo tra i corridoi della Fortezza Rossa.
«Sarà impossibile ignorare la verità, ora» continua suo cugino, compiaciuto, avvicinandosi e prendendo posto sullo sgabello al suo fianco.
Lei gli scocca un’occhiata obliqua. 
«Invece continueranno a farlo» ribatte brusca, affatto toccata da quel buonumore. Corruga appena la fronte quando nota che l’altro non indossa l’armatura né la divisa che è solito sfoggiare quando si allena con le armi insieme al fratello e a ser Criston. «Conta solo quello che dice il re. E lo zio non si metterà mai contro mia madre» termina apatica, inarcando le sopracciglia in un cenno significativo. 
«Ma se lo facesse…» insinua lui, cocciuto, serrando appena gli occhi azzurri intrigato da quella prospettiva. «Aegon diventerebbe l'erede».
«E tu lo vorresti sul trono?» replica Visenya, scettica.
«Mia madre» precisa Aemond, onesto, scrollando le spalle con noncuranza. «E io sarei il secondo in linea di successione. E quello che è mio, diventerebbe anche tuo» aggiunge convinto, sorridendo davanti a una simile prospettiva. Poi aggrotta la fronte quando si rende conto che il suo viso non esprime il medesimo entusiasmo. «Sono arrivate notizie da tuo padre?» indaga a bruciapelo.
Lei allarga le palpebre e schiude le labbra con una punta di smarrimento.
«Perché lo pensi?» domanda perplessa.
«Perché hai sempre quella faccia quando si parla di Daemon» risponde lui, con semplicità, alludendo alla sua espressione cupa. 
Distoglie lo sguardo, tornando a puntarlo sulla pagina del tomo che parla di veleni e antidoti. 
«A quanto pare il suo terzo figlio nascerà a breve» rivela dopo un momento di silenzio, apatica, sentendo la gola serrarsi per il fastidio.
«Quarto» corregge suo cugino, automaticamente. «Tu sei la prima» fa notare logico.
«Ricordaglielo» ironizza Visenya, tagliente, tra i denti. Prende un respiro profondo, sperando così che l'ira e il tremore abbandonino le sue membra, prima di incrociare gli occhi dell'altro. «Jace avrà il trono, Luke Driftmark, Joffrey probabilmente Roccia del Drago. Le figlie di mio padre otterranno qualcosa grazie alla parentela con i Velaryon» continua amara, la voce che rischia di spezzarsi.
«Potrei dire lo stesso» sostiene Aemond, pratico, il viso serio. «Noi siamo uguali» aggiunge sicuro.
«Ti sbagli» replica lei, con veemenza, voltando il viso per guardarlo dritto in faccia. «Sei il figlio del re, conterai sempre qualcosa» ribadisce sicura, lasciando trapelare tutta la sua amarezza. «Mentre io sono solo la figlia di un principe e di una lady della Valle. Mia madre aveva Pietra di Runa, che ora è in mano a qualche Royce» sostiene implacabile, analizzando la situazione con una freddezza che rasenta la brutalità. «Non ho niente. Non avrò mai niente» termina abbattuta
«Hai me» ribatte lui, subito. «Non ti basta?» indaga preoccupato.
«Non basterà a te» replica certa, sentendo la paura stringere la gola. 
Suo cugino rimane in silenzio, corrucciando la fronte in una smorfia pensierosa. 
«Siamo Targaryen» sottolinea, infine, asciutto, come se quella semplice frase dicesse tutto. «Quando ad Aegon non bastò cavalcare Balerion, volò fino ai Sette Regni e li sottomise tutti» spiega spiccio, sostenendo senza alcuna difficoltà il suo sguardo indagatore. «Se vogliamo qualcosa, noi ce la prendiamo» termina risoluto, appoggiando una mano su quella che lei ha lasciato sopra il tavolo. 
Visenya si inumidisce le labbra, deglutendo inquietudine.
«Anche senza i draghi?» chiede bassa, incerta. 
«Non sei tu che mi ripeti sempre che non si uccide solo con le lame?» ribatte lui, ironico, alludendo al libro dei veleni. 
Lei sorride radiosa. 
«Dovresti sederti tu sul trono» afferma convinta, le iridi azzurre completamente libere dalle ombre. «E dovresti avere un drago. Vhagar, ad esempio» sostiene meditabonda.
Aemond corruga le sopracciglia, confuso. 
«Dovrebbe essere tuo» obietta ragionevole, forse perché un tempo è appartenuto a un’altra Visenya. 
«L’hai detto tu, no?» ribatte leggera, scrollando le spalle. «Quello che è mio sarebbe anche tuo».



Visenya gli sfiora con delicatezza, quasi senza toccarla, quella ferita gonfia e pulsante. Appare calda sotto il suo polpastrello, oltre ad essere di un rosso violento laddove i punti stringono per suturare la carne dilaniata.
«Li voglio morti» sibila lui, il viso stravolto in una smorfia di rabbia mentre l’unico occhio che gli è rimasto fissa il vuoto. E lì, accentuati dal silenzio della camera dove si sono ritrovati dopo la sentenza del re, l’odio e il risentimento sgorgano feroci, affamati di agonia e dolore. «Tutti quanti» precisa inesorabile, puntandole contro l’iride azzurra.
Lei, in piedi davanti alla sedia dove l’altro è seduto, rimane impassibile.
«Avrai la tua vendetta» assicura monocorde. «Sangue chiama sangue» commenta macabra, con uno strana sfumatura inquietante nello sguardo.
Aemond serra appena la palpebre, fermo.
«E staresti dalla mia parte?» domanda cauto.
Visenya rimane per una manciata di secondi in silenzio, prima di sorridere. Gli accarezza la guancia destra – quella che è rimasta intatta, non toccata dalla lama di Luke –, prima di inclinare il capo.
«Non lo sono sempre?» replica morbida, in un sussurro accattivante. 



«Lo so che sei stata tu».
«A fare cosa?».
«Visenya, non prendermi in giro!».
Lei, notando il viso severo e accigliato dell’altra dal riflesso dello specchio appeso alla parete, sopra il tavolino rettangolare, appoggia sul legno scuro la spazzola con la quale si stava districando i nodi ai capelli. Si alza in piedi, voltandosi per fronteggiarla.
«Quando si formula un’accusa» inizia laconica, sistemandosi meglio la vestaglia che indossa sopra la camicia da notte. «Sarebbe buona cosa specificare l’accusa» puntualizza sarcastica.
Rhaenyra prende un profondo respiro, fissandola con biasimo.
«Quattro morti nelle prigioni» illustra spiccia, ferma dall’altra parte della stanza, a diversi passi di distanza. «Non hai nulla da dire?» la esorta, infastidita dalla sua calma.
«Che le condizioni delle segrete lasciano parecchie a desiderare?» replica quieta, alzando le spalle con indifferenza. «E come sarebbero morti?» domanda per educazione.
La vede fremere per la rabbia, prima di inumidirsi le labbra per controllarsi. 
«Il maestro non lo sa» è costretta ad ammettere, contrariata. Tuttavia, non abbassa gli occhi e glieli punta addosso con chiaro disappunto. «Sospetta sia veleno ma non riesce a individuare il tipo» continua scontenta.
«Forse sarebbe il caso di trovarne un altro» consiglia Visenya, spassionata, avvicinandosi al tavolino dove è stato depositato, cinque minuti prima, un vassoio con una teiera e tazzina. «Questo non sembra molto competente» riflette distratta, sorseggiando la camomilla mentre le rivolge un’occhiata pericolosamente divertita.
«Non puoi fare così».
«Così come?»
«Sono persone, non cavie» sbotta Rhaenyra, snervata, marciando verso di lei con un viso che sottolinea tutta la sua contrarietà. «Non puoi usarle per studiare gli effetti dei tuoi veleni» continua perentoria.
Lei scrolla le spalle, noncurante, appoggiando di nuovo la chicchera sul vassoio.
«Dubito che i maestri della Cittadella si comportino in maniera diversa» ribatte disimpegnata, inarcando le sopracciglia con eloquenza. «Quindi perché preoccuparsene?» indaga calma.
«Perché non siamo dei mostri» risponde sua madre, perentoria, fissandola dritta in faccia con decisione. «Non uccidiamo con leggerezza» sentenzia irremovibile.
Visenya socchiude le palpebre, prima di storcere il viso in un’espressione incredula.
«Non discendiamo forse dal Conquistatore?» replica pratica, sottolineando una realtà che le pare palese. «Aegon ha trasformato i Sette Regni in un bagno di sangue pur di riunirli sotto il suo comando, Maegor era soprannominato il Crudele e mio padre ha partecipato alla guerra che ha fatto diventare rosse le acque delle Stepstones» illustra con veemenza. «Perché io dovrei diversa?» domanda retorica.
«Perché noi sappiamo la differenza tra quello che è giusto e sbagliato» stabilisce l’altra, ferma, fronteggiando senza alcuna esitazione la sua furia. Le prende le mani tra le sue, stringendogliele in una morsa decisa. «E, quando sarò regina, non ho alcuna intenzione di essere un’altra Maegor. Non puoi prendere delle decisioni credendo che non ci siano conseguenze» sostiene risoluta, scrutandole il volto con attenzione, intenta a trovare qualsiasi indizio di ribellione. «Non avremo sempre i draghi a proteggerci, Visenya» le fa notare eloquente, facendole chiaramente capire che la protezione che le concede il suo rango non la mette al riparo dai pettegolezzi.
E i pettegolezzi, se distorti, possono essere molto pericoli. 
Rimane immobile mentre il significato implicito delle parole che ha appena udito, quasi fosse una minaccia per il futuro, continua ad aleggiare tra loro. Non abbassa le iridi, tenendole incatenate a quelle dell’altra. 
«Ma finché abbiamo i draghi, possiamo fare qualsiasi cosa» replica spassionata, liberandosi da quella presa. Sta per voltarsi, torcendo il busto verso il letto quando un pensiero le affiora nella mente. Poi sorride crudele, tornando a rivolgere il volto verso sua madre. «Ah, quasi dimenticavo» sospira vaga, storcendo le labbra in una smorfia noncurante. «Fossi il carceriere, riconterei i prigionieri. Quattro morti mi pare una previsione troppo ottimistica» constata amabile, compiaciuta di quel lampo di panico che vede scintillare per qualche istante negli occhi chiari di Rhaenyra.



«Il potere comporta la crudeltà» riflette Visenya ad alta voce, distratta, osservando il cielo terso sopra le loro teste. «Altrimenti si rischia non conservare per molto il trono» continua in un mormorio debole.
Aemond, al suo fianco, volta il viso nella sua direzione così da guardarla in faccia. 
Sono entrambi sdraiati sopra l’erba verde, in uno dei tanti cortili della Fortezza, intenti a riprendersi dalla corsa a perdifiato con cui si sono dilettati per qualche tempo. 
«Non la vedo così» obietta ragionevole, il respiro regolare e controllato, attirandosi la sua occhiata e la sua attenzione. «Il potere comporta il dovere» decreta severo, forte di un’educazione che ha ricevuto appena ha imparato a parlare. 
Lei inarca le sopracciglia, scettica. 
«Che tipo di dovere?» indaga interessata. 
«Far in modo che la famiglia sopravviva» risponde lui, spiccio, come se fosse qualcosa di scontato.
Visenya aggrotta la fronte, meditabonda. 
«Per farlo, è necessario sterminare i nostri nemici» borbotta pratica, rimuginandoci sopra. 
«A volte sei spaventosamente sanguinaria» osserva suo cugino, ironico, accennando anche un sorriso divertito, interrompendo di colpo quelle riflessioni fosche. 
Lei ricambia, piegando a sua volta le labbra. 
«E questo ti spaventa?» chiede placida.
«No» assicura Aemond, schietto, scrollando appena le spalle. «Lo trovo rassicurante» concede, invece, le iridi chiare quasi rapite da quelle parole.



Ci sono pericoli dal quale il sangue non può proteggerci, commenta lei, laconica, nella sua testa. Anche se in questo caso, il problema è proprio il sangue.
È ferma, nella Sala del Trono, con il volto indecifrabile e le braccia distese lungo i fianchi, mentre Vaemond Velaryon pretende di occupare lo scranno del fratello e sua madre è ben decisa a combattere affinché il diritto di Lucerys non venga usurpato.
I pettegolezzi sanno essere molto pericolosi, specie quando dicono la verità.
Un po’ le viene da sorridere amareggiata nel constatare che una menzogna, per quanto accettata da gran parte dei lord per paura del re, non può rimanere in piedi per molto. 
E quando Daemon mette fine alla diatriba, recidendo qualsiasi disobbedienza e punendo gli insulti, quel sorriso affiora con naturalezza sulle labbra nel momento in cui gli occhi contemplano cosa succede a chi osa troppo.
Tuttavia, le muore nel momento in cui incrocia un volto, distante da lei, di un uomo che è in piedi accanto ai gradini che conducono al trono.
Il gelo se lo aspettava, così come il rancore. Quello che non voleva scoprire – che sperava non esistesse – è l’accusa di tradimento che divampa in quell’unica iride azzurra.  



«Sei soddisfatto?»
«Nel vederti precipitare nelle mie stanze?» replica Aemond, beffardo, inarcando per un momento le sopracciglia con eloquenza, seduto su una sedia accanto al fuoco, prima di portarsi la coppa di vino alle labbra. «Credo che tu le abbia scambiate per quelle di mio fratello. Le sue sono due porte più in là» afferma piano, indicandole con un cenno del mento. 
Visenya, in piedi di fronte a lui, freme per la collera. 
«Evita il sarcasmo, non sono dell’umore» lo fredda inferocita. 
«Ma a quanto pare lo sei per i rimproveri» osserva lui, piano, continuando a fissare le fiamme che ardono nel camino. «Risparmiateli: ho già una madre» l’avvisa fermo, scoccandole un’occhiata significativa. 
«E non mi pare che sia riuscita a contenerti» insinua caustica, ancora più irritata perché si sente scuotere da una furia incandescente che è alimentata dal modo in cui l'altro cerca di ignorarla. 
«Potrei dire lo stesso della tua» commenta Aemond, scocciato, corrucciando le labbra in una smorfia di disappunto. «Altrimenti non saresti qui» rilancia circospetto, solo apparentemente distratto da quelle lingue di fuoco. 
«Sono qui per dirti che sei un idiota» puntualizza lei, con veemenza, senza nemmeno cercare di domare la collera. Stringe i pugni lungo i fianchi, conficcandosi con forza le unghie nei palmi delle mani, così da resistere alla tentazione di schiaffeggiarlo. «Hai rovinato tutto!» stride adirata.
«Che cosa?» scatta Aemond, tagliente, voltando di colpo la testa nella sua direzione e inchiodandola con un’occhiata gelida. «La farsa della famiglia felice?» indaga truce, mantenendo però un tono basso. «Perdonami se non apprezzo le menzogne, e a quella tavola mi sembrava di assistere al trionfo dell’ipocrisia» confessa sprezzante, scuotendo appena il capo. «Anche per merito tuo» insinua spietato.
Visenya spalanca gli occhi, sconcertata. 
«Che avrei fatto io?» domanda in un soffio, interdetta, prima di recuperare la solita veemenza. 
«Recitato il ruolo della figlia devota e accomodante» risponde lui, secco, guardandola con quella superiorità che le fa venire voglia di picchiarlo. E non sarebbe un bene perché finirebbe per avere, inevitabilmente, la peggio. «Tu lo odi almeno quanto Viserys lo ama» afferma sagace. 
«Chi?» domanda confusa.
«Tuo padre» risponde Aemond, brutale, puntandole addosso quell'unica iride. E stranamente non c'è scherno in quel azzurro. «Ti ha lasciata qui per fuggire a Pentos e rifarsi una famiglia» le ricorda spietato. «Sai da sola che cos’è il risentimento, non c’è bisogno che te lo spieghi io. Quindi evita di pretendere di sembrare migliore, perché non lo sei» consiglia spassionato, prima di tornare ad assaporare il vino. 
Lei rimane immobile, congelata sul posto. Vorrebbe poter dire che quelle parole non l'hanno colpita con la forza di decine di pugnalate ma sarebbe un bugia.
È quasi umiliante ammettere che esistono persone che, per quanto non facciano più parte della sua vita, sono ancora in grado di ferirla.
Cercando di scacciare via il nodo che sente alla gola, inspira silenziosamente ossigeno così da calmarsi e scacciare il tremore che le sta tormentando le mani.
Quando sente di aver recuperato il controllo, eil suo viso esprime solo rancore – non dolore, quello mai –, si azzarda ad aprire di nuovo bocca.
«Se ti fossi soffermato un momento a pensare» riprende affilata, il risentimento che le sgorga dalla voce. «Avresti capito che, a volte, è necessario essere pazienti e dare al nemico l’illusione di poterti controllare» illustra altera.
«E devo crederci?» replica lui, impassibile, dopo un momento di spaesamento. «Quando è molto più probabile che qualcun altro ti abbia mandato qui» deduce acuto. 
«Immagino che dovrei sentirmi offesa» ribatte lei, serena, scostandogli con naturalezza il braccio dal bracciolo dello scranno, così da sedercisi sopra. Poi gli sfila la coppa dalla mano, bevendone un sorso. «Ammettilo: sono un’ottima bugiarda. Avresti dovuto vedere la tua faccia mentre ti rimproveravo» ironizza divertita, la bocca nascosta oltre il bordo di metallo. 
Aemond la fissa stranito, le sopracciglia inarcate come se avesse accanto qualcuno che è completamente uscito di testa.
«Era questo il tuo piano?» indaga perplesso, la schiena appoggiata allo schienale di legno. «Provocarmi mentre mi riempivo di alcol?» continua snervato, come se considerasse quel piano insensato e stupido. «Avventato» commenta sprezzante, scegliendo una parola molto più gentile di quella che si aspettava.
«L’apatia non mi piace» confessa lei, leggera, alzando le spalle per nulla turbata. Poi si fa seria, irrigidendo i lineamenti del volto. «Non ti fidi» realizza sicura, senza riuscire a trattenere una punta di delusione che le colora la voce.
Aemond storce le labbra in una smorfia spazientita.
«Tu ti fideresti di qualcuno che ha vissuto con anni con il tuo nemico?» ritorce asciutto, inarcando le sopracciglia con eloquenza. «Questi modi potranno affascinare lord Stark ma non me» giudica implacabile.
Visenya annuisce, perdendo di colpo il buon umore. Torna a bere, sperando che il vino le renda più facile smettere di pensare. 
«Già» smozzica a stento, prima di sospirare, scuotere il capo e alzarsi da lì. Compie un paio di passi verso il tavolo, così da appoggiare sopra la coppa vuota. «Penso che dovrei iniziare a preoccuparmi del mio futuro» ragiona contrariata, serrando le labbra con fastidio. Sente la collera montare, le mani che si stringono a pugno sopra la superficie del legno. Chiude un momento le palpebre, cercando di aspirare più ossigeno possibile per calmarsi. «Beh, suppongo che esista una soluzione per tutto» stabilisce enigmatica, con un tono che assume una sfumatura inquietante, una volta ripreso il controllo, volandosi con un viso che non esprime la benché minima preoccupazione. «Mi sono trattenuta fin troppo. È meglio che vada, domani ritornerò a Roccia del Drago» comunica piatta, informandolo della decisione che Rhaenyra ha preso in seguito al modo in cui si è conclusa quella cena. 
«Allora buon viaggio».
Stavolta la sua maschera di indifferenza non si incrina, anche se quelle parole premono contro la sua pelle per insinuarsi dentro, nel sangue, avvelenandolo di un dolore sordo e bruciante.
Finisce davvero così?
Ingoiando la mortificazione e tutto quello che comporta – vergogna, rabbia per essersi mostrata così debole e, sì, un pizzico di risentimento, perché avrebbe tollerato di essere respinta da tutti da ma non da lui –, si inumidisce la bocca, anche se il sapore della sconfitta è un boccone amaro da digerire, prima di voltarsi e incamminarsi verso la porta. 
È assurdo che questo faccia più male dell’idea di essere venduta per sancire un’alleanza.
«Fu Visenya a istituire la Guardia reale» riprende suo cugino, all’improvviso, distaccato, quando ha fatto pochi passi, costringendola a fermarsi e girarsi indietro. Lo vede fare forza sui braccioli per alzarsi in piedi. «Convinse suo fratello che erano necessari dei cavalieri che li proteggessero a costo della loro vita, spogliandosi di titoli e legami di parentela» spiega con lo stesso tono, avvicinandosi, il volto impassibile. «Forse Aegon ha amato più Rhaenys ma è stata Visenya che si è ritrovata a raccogliere i pezzi del re dopo la morte della sorella» sottolinea ponderato, fermandosi quando le è di fronte. «E sospetto che dieci notti rispetto a una, non siano da vedere come una sconfitta. Dipende da quanto vale quell’unica volta» evidenzia allusivo, guardandola in un modo che le fa attorcigliare le viscere.
Nel silenzio della stanza, dove l’unico suono proviene dallo scoppiettare dei ciocchi di legno che vengono divorati dalle fiamme, le pare quasi di sentire l’aria crepitare.
Visenya rimane immobile, sostenendo quell’occhiata, anche se avverte uno strano brivido sulla pelle. Brivido che si insinua poi nel sangue, fino a diventare una sensazione bollente e trepidante. 
«Una visione molto romantica» commenta ironica con un filo di voce, per smorzare quell’atmosfera tesa che è calata tra loro e per prendere le distanze da quello che prova. 
«Tu ne hai un'altra?» mormora Aemond, suadente, colmando la distanza che li separa e fermandosi a un soffio di distanza.
«Voleva solo sentirsi meno solo» risponde lei, turbata, sorridendo con malinconia. «Soprattutto dopo che Rhaenys se n’era andata. Perché tutti sono spaventati dalla solitudine, anche i re» azzarda concreta, abbassando lo sguardo verso il pavimento.
Nel silenzio che segue, sente che quell’insieme di sentimenti che ha sempre cercato di rinchiudere in un angolo nella sua mente, scacciandolo ai confini della coscienza, tornare con prepotenza a invaderla. 
E non è facile fare i conti con il risentimento, la paura dell’abbandono e il sentirsi abbastanza tutti insieme.
Solleva le iridi di riflesso, così da incrociare quella dell’altro. Non sa per quale motivo ma sperava di trovarci del conforto, come un tempo.
Ora non sa che cosa ci vede. 
Lui la guarda, ma il suo viso non esprime la benché minima traccia di calore. Anzi, i suoi lineamenti sono rilassati in maniera tale da non esprimere nulla.
Forse è proprio questo che la incatena lì, togliendole qualsiasi voglia di ritirarsi.
«La crudeltà ti dona» commenta in un sussurro lieve, facendo scivolare la mano sinistra sull’impugnatura della daga che l’altro porta allacciata al fianco destro. «Alla fine hai avuto davvero Vhagar» considera sovrappensiero. 
«Te l’ho già detto» ribadisce Aemond, perentorio, alludendo a parole pronunciate quasi una vita prima. «Se voglio qualcosa, me la prendo» rincara secco.
«Anch’io» assicura Visenya, fioca, prima di alzarsi sulla punta dei piedi per raggiungergli le labbra con le sue. 
Le lambisce anche con la punta della lingua, estasiata perché è da una vita che le desidera – e desiderosa di andare oltre, quando si accorge che lui è rigido e per nulla partecipe.
Si discosta quindi con le iridi azzurre velate dalla confusione, cercando una motivazione sul perché.
«No» è l'unica cosa che mormora suo cugino, fermo, con una voce che la fa rabbrividire.
«Perché?» indaga cocciuta e scontenta. «Ci prendiamo quello che vogliamo, ignorando le conseguenze. Lo abbiamo sempre fatto» ricorda implacabile, come se fosse qualcosa di scontato.
Aemond inarca le sopracciglia.
«E pensi che io ti voglia?» domanda con scherno.
«Dimmi che non è così» lo sfida Visenya, svagata, spostando quella mano che è sempre rimasta ferma su quella daga. Inclina il capo, scrutandolo con una strana sfumatura maliziosa nello sguardo. «E io me ne andrò» assicura piano, carezzevole.
Lui tentenna, distogliendo l’iridi e puntandola a sinistra. Sembra ragionare su quanto ha appena udito, congelato nella sua immobilità.
Sorride, anche se con un pizzico di delusione, prima di voltarsi. Si sente afferrare per il gomito, una presa salda che la costringe a bloccarsi di colpo.
Punta gli occhi nella direzione dell’altro, appannati da un velo di confusione e un briciolo di aspettativa. 
Aemond la guarda smanioso, prima di tirarsela contro fino ad impossessarsi delle sue labbra. La bacia come se volesse divorarla, prendendosi quello che desidera, saziando come meglio crede quella brama che gli brucia nel sangue.
Lei ricambia con la medesima foga e le mani corrono a slacciare quella cintura a cui è incastrato il fodero della daga, slacciandogliela e facendola cadere al pavimento. Il rumore del metallo che si scontra con la pietra, la fa rabbrividire ma non la ferma. Passa, poi, a sbottonargli il farsetto, rivelando la pelle pallida sottostante.
Visenya si discosta quanto basta per appoggiare la bocca su quel torace, lambendoglielo con la punta della lingua fino a sentirlo sospirare. Solo allora alza che le palpebre che aveva abbassato per puntare le iridi verso il viso dell’altro.
E vederlo così rilassato, con i lineamenti distesi, riporta indietro il tempo a diversi anni prima.
Lo contempla solo per qualche istante, con un sorriso intrigato, poi Aemond torna a impossessarsi delle sue labbra. Si libera del farsetto e la libera della vestaglia scura, abbandonandoli per terra, mentre la spinge verso il letto.
Si separano quando lei alza le braccia per permettergli di toglierle la camicia da notte candida. Non è imbarazzata nell’essere seminuda, né per lo sguardo affamato che le esplora la pelle che, alla debole luce delle fiaccole alle pareti, appare mezza celata dall’oscurità. Anzi, quasi se ne sente lusingata.
Si liberano delle calzature e di quasi tutti gli indumenti, lasciandoli dove capitano.  
«Lo hai già fatto» deduce Aemond, basso, nel momento in cui inizia a districare i lacci che gli chiudono i pantaloni scuri. 
«E questo ti disturba?» domanda sommessa, inclinando il viso senza celare il divertimento, lasciando che quel pezzo di stoffa raggiunga il pavimento.
Lui la fissa truce, prima di aventarsi di nuovo contro la sua bocca. La costringe a sdrairasi sul letto, senza troppa gentilezza, sovrastandola. Visenya lo asseconda dolcemente, permettendogli di baciarla con foga, sfiorandogli la lingua con la sua, solo per approfittare del momento in cui abbassa la guardia per capovolgere la posizione.
Raddrizza la schiena, allontanando il viso così da poterlo guardare. E vederlo sotto di sé, con i capelli argenti sparpagliati sul lenzuolo bianco, quelle labbra gonfie umide, le provoca una vampata di eccitazione che la fa fremere.
Allunga una mano verso quella benda scura e, quando stringe le dita contro quel laccio, sente quelle di lui stringersi intorno al suo polso, bloccandola. Si osservano per qualche istante, in silenzio, prima che quella stretta si allenti e le permetta di mostrare quello zaffiro incastonato nell’orbita sinistra.
Visenya rimane a contemplarlo così quella cicatrice che dalla fronte scende fino alla guancia. L’accarezza con il polpastrello, esattamente come aveva fatto una volta. 
Aemond dischiude la bocca, il corpo in tensione e una certa inquietudine nello sguardo. 
Sorride d'istinto, prima di abbassare il capo per riprendere a baciarlo. 



«L’ho visto» sostiene suo padre, sottile, la bocca piegata in un sorriso compiaciuto. «Il modo in cui ti ha guardata» precisa lieve. 
Visenya rimane impassibile, il volto di pietra. Si limita solo a inarcare le sopracciglia, così da sottolineare la sua confusione.
«E questo ti rende felice, perché?» replica piatta, per nulla imbarazzata dalla presenza dell’altro e per il fatto di essere impresentabile, con addosso la camicia da notte celata solo dalla vestaglia.
Daemon avanza nella stanza, le mani congiunte davanti al farsetto, con passi lenti e studiati apposta per innervosire l’interlocutore.
Peccato che lei, nonostante dentro stia tremando per l’agitazione, non abbia alcuna intenzione di dargli quella soddisfazione.
«Perché mi piace avere un vantaggio sul mio nemico» confida sommesso, fermandosi proprio a un passo di distanza. «In guerra sono sempre utili» stabilisce sovrappensiero, gli occhi persi per un momento a contemplare il vuoto. «Sono certo che conosci un modo per superare la sua diffidenza e ottenere la sua fiducia» riprende allusivo, sempre con quel sorriso accennato sulle labbra. «D’altra parte» osserva quasi distratto, allungando una mano per scostarle una ciocca di capelli mossi dalla spalla. «Sai cosa succede a chi mi delude» termina piano, scrutandole il viso in modo significativo.



«Vorrei poter dire che questo panorama mi è mancato, ma non è così» confida Visenya, leggera, le mani appoggiate sul parapetto in pietra del balcone mentre contempla l’alba illuminare Approdo del Re. L’aria fredda la fa rabbrividire, visto la semplice camicia da notte che indossa. «Quello a Roccia del Drago è migliore» sostiene inclemente.
Aemond le si affianca, in silenzio. Con la coda dell’occhio constata che indossa un paio di pantaloni scuri ma, solo quando volta il capo a sinistra, si rende conto che il viso è disteso. 
«Tornerai lì?» indaga pacato, posando le braccia sulla balustra, piegando leggermente il busto in avanti. 
«Ho scelta?» replica lei, risoluta. Sospira mentre lo vede adombrarsi, lo zaffiro che sembra quasi nero alla luce del mattino. «Non si aspetteranno di avere un nemico proprio dentro le loro mura» considera sovrappensiero. 
Lui storce le labbra in una smorfia scontenta, prima di rivolgere le iridi verso la città.
«Sapranno che sei stata qui, questa notte» riflette meditabondo. «Sempre che non lo sappiano già» commenta inclemente.
Visenya scrolla le spalle, per nulla preoccupata.
«Che lo sappiano» consiglia placida. piegando le labbra in un sorriso divertito.  «Gli farò credere che l’ho fatto per loro» butta lì, quasi con casualità. «Non sarà tanto difficile. Piuttosto» riprende seria, indurendo i lineamenti del viso. «Quando vuoi farlo?» domanda trepidante.
«Sembra quasi che tu non veda l’ora» commenta Aemond, beffardo, tornando a guardarla. 
«Siamo nati con le mani macchiate di sangue» dichiara lei, leggera, prima di storcere il naso in una smorfia scherzosa. «Perché interrompere la tradizione?» chiede sarcastica. 







Vi ringrazio per essere giunti fin qui. 
Mi spiace che sia questa la prima storia in cui mostro Visenya, perché non mi piace affatto. 
La storia, non lei. Lei è fuori come un balcone ma va bene così. Speravo di presentarvela con una os migliore ma, purtroppo, sono un po’ in crisi con la scrittura e, lei con Aemond, è un mix micidiale.
In realtà è tutto colpa di lui, perché quando si tratta di immaginarlo fare roba, mi va in panico e mi rovina tutti i piani. 
Vorrei ringraziare le persone che hanno avuto il buon cuore di leggere in anteprima questo scempio e anche per tutti i consigli che mi hanno dato. Non le nomino semplicemente perché non meritano di essere associate a ‘sta roba. 
Piccola precisazione: alle cena, nella 1x08, Aemond non ha le armi con sé, mentre io ho detto che le aveva subito dopo, quando è in camera. Non è una svista, semplicemente credo che, essendo un paranoico del cavolo, se ne separi solo se costretto. 
Un abbraccio e scusatemi,
Blue



   
 
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