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Autore: Vallentyne    03/12/2022    7 recensioni
One shot scritta per la challenge 25 days of Ficsmas – Challenge di dicembre del gruppo Facebook Non solo Sherlock – gruppo eventi multifandom
Prompt: un crimine | X e Y sono amici d’infanzia | ambientato in un luogo freddo e buio
E' una one shot angosciante che stride violentemente con ciò che sono solita scrivere, ma è bello ogni tanto cimentarsi con qualcosa di nuovo. I prompt che mi sono stati dati mi hanno suggerito un'idea forte, per niente natalizia, ma che a mio avviso si adattava bene all'ambiguità di Roberto.
Personalmente, ho sempre sospettato che dietro la disperazione e l’alcolismo che gli avevano consumato la voglia di vivere potesse celarsi qualche segreto oscuro.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Roberto Hongo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ho pensato di voler morire, l’ho pensato davvero. Le mie mani sono insozzate di sangue. Quello di João. Che Dio mi perdoni.

L’ho ammazzato, ho ucciso il mio migliore amico, è stata colpa mia, solo colpa mia. Ero io alla guida quella notte. Nonostante avessimo bevuto troppo.

João mi aveva chiesto di prendere un taxi, io rifiutai.
«Guido io, scherzi?»
«Dai, Roberto, sei sbronzo anche tu. Un taxi. Chiamiamo un taxi, ci facciamo portare a casa. La macchina la recupero domani.»
Mi ero quasi offeso.
«Non sono sbronzo. Sto benissimo.»
Lui aveva scosso la testa e allargato le braccia.
«Ti conosco da una vita, Roberto. Lo so che sei sbronzo. Molla le chiavi, l’auto è mia. Prendiamo un dannato taxi.»
«Ho detto di no, guido io.»
E avevo messo in moto.

Non parlammo più, io chiuso nel mio mutismo risentito, João forse spaventato. Si era allacciato la cintura di sicurezza e teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino.
Stavamo uscendo dalla città per prendere la litoranea, guidavo cercando di concentrarmi sulla strada. Cercando di ignorare le luci delle auto che viaggiavano in direzione contraria e mi disturbavano. Cercando di ignorare la voce di João che mi ronzava nella testa.

Ci conoscevamo da una vita, davvero. Cresciuti insieme per le vie del quartiere, ogni pomeriggio cercavamo l’uno la compagnia dell’altro. Le nostre strade si separarono solo quando io feci il grande salto e diventai un calciatore professionista, ma ogniqualvolta diventava possibile ci trovavamo per una cena insieme, o anche solo una chiacchierata.
Come quella sera. Eravamo usciti per festeggiare, João aveva un nuovo lavoro. Un brindisi che diventarono due, poi tre, poi persi il conto. Ero nervoso, per qualche motivo futile che ora nemmeno ricordo, cancellato come tutte le cose futili. Avevo bevuto troppo ed ero sbronzo.

Persi il controllo dell’auto. Fu una questione di decimi di secondo. Cercai disperatamente di evitare quel motorino spuntato all’improvviso, sterzai ma stavamo viaggiando a velocità sostenuta. Forse quel motorino non è nemmeno mai esistito, forse me l’ero immaginato. Forse c’era della sabbia sull’asfalto, forse qualcosa contribuì alla tragedia, forse non è stata solo colpa mia. João urlò. Io chiusi gli occhi. Lo sapevo che ci saremmo schiantati. La macchina uscì di strada, colpì un palo della luce, si ribaltò. Il rumore fu assordante. Sentii un dolore acuto al braccio, poi il rumore del sangue che gocciolava e cadeva sul tettuccio. Noi appesi a testa in giù. Riuscii a liberarmi, mi faceva male tutta la parte destra del corpo, avevo un taglio sulla fronte, avevo sbattuto la testa, ma miracolosamente non sembrava niente di grave. Ero cosciente. Poi vidi lui. Capii subito, João aveva lo sguardo vitreo. Lo chiamavo e non rispondeva. Lo schiaffeggiai. Gridai.

L’orrore si impadronì dei miei pensieri e mi rese lucido. Un lucido bastardo. Non era ancora arrivato nessuno. Sganciai la sua cintura, mi morsicai una mano per non urlare, lo afferrai tra le mie braccia e dopo aver aperto la portiera lo misi al posto di guida. Piangevo. Pregavo Dio. Chiedevo perdono. L’ho ammazzato. Io l’ho ammazzato. Stanotte io ho ucciso il mio amico d’infanzia. Io ho ucciso la mia innocenza, ho insozzato la mia anima. Perdonami, perdonami João, è tutta colpa mia, colpa mia, sarei dovuto morire io al posto tuo…

Camminai per ore, forse minuti, sul ciglio della strada. I pensieri azzerati, le emozioni soffocate dall’adrenalina. Mi ero tamponato la ferita, l’avevo nascosta tra i capelli. Era buio. Soltanto dopo aver percorso più di un chilometro mi superarono le prime auto. Dopo alcuni minuti, anche un’ambulanza. Raggiunsi casa mia poco prima dell’alba.

Ho viaggiato per settimane nei luoghi più bui e freddi del mondo, dentro la mia mente. Con la sola compagnia di una bottiglia di whisky. Dove regnano la colpa e la condanna. Non esiste redenzione per me. Sono macchiato per l’eternità. Ho smesso di giocare, la mia carriera è finita. Distacco della retina. È l’unico segno tangibile che mi è rimasto di quella notte. L’incidente in campo c’era stato il giorno prima, era la scusa perfetta. Nessuno sa cosa sia successo davvero, nessuno si è ricordato che quella notte io salii alla guida dell’auto di João. Il campione leggendario Roberto Hongo si ritira in giovane età dal calcio giocato per un problema agli occhi. Già. E per un’infamia come un marchio sulla fronte.
   
 
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