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Autore: nachiko_nene    03/12/2022    0 recensioni
Nina è una cacciataglie piuttosto vivace e, ancor prima, un'umana. Annoiata dalle questioni politiche, riesce ad accendersi solo quando si parla di missioni avvincenti, feste scatenate e storie romantiche, di quelle che fanno battere il cuore.
Ormai rassegnata all'idea che nella galassia non ci sia più posto per gli umani, civiltà alla quale è stata inferta una grave ingiustizia, volge lo sguardo al futuro consapevole che nulla potrebbe più sorprenderla ormai.
E se, durante una missione, Il ricercato più pericoloso e irriverente che abbia mai conosciuto dovesse iniziare a mettere in discussione ogni sua certezza?
DAL CAPITOLO 1:
" Si avvicinava con calma. La visiera della maschera luccicava nell'oscurità donandogli un'aura ancora più sinistra; Indossava un lungo mantello nero dall'aspetto piuttosto pesante che celava armi di vario genere.
(...)
«Sei un completo disastro» La prese in giro, osservandola rantolare sul pavimento, esausta e dolorante. «Dovresti assicurarti di essere all'altezza del nemico prima di uno scontro.»
«Ma stai un po' zitto... » Boccheggiò tenendosi lo stomaco con entrambe le mani. "
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo nove: La Funambola e il Piromante




Dystòpia, Kronen
Palazzo dei Sogni


 

Nel cuore di Kronen sorgeva maestoso il Palazzo dei sogni, il luogo in cui gli antichi nativi terrestri vivevano circondati dai propri cari.
Era un edificio dall'aspetto colorato e fiabesco, caratteristiche che cozzavano con l'architettura moderna della città.
Le piccole tegole laccate in turchino ricordavano le squame di un drago, mentre la superficie della facciata era decorata con incantevoli mosaici dai mille colori.
Sulla porta di ingresso una scritta accoglieva i visitatori: "I sogni derivano dai ricordi„

Appena Nina aprì gli occhi riconobbe subito il soffitto del letto a baldacchino e capì di trovarsi nella propria camera, al piano intermedio del Palazzo. Balzò in piedi come una molla, quasi inciampando nel groviglio di coperte, e si guardò intorno.
Ci mise qualche secondo per ricollegare tutti i ricordi.

«Che cosa ho fatto?» mormorò in un fil di voce, portandosi una mano tremante al viso «Che cosa ho fatto?»

Sentiva ancora la sensazione del fuoco sulla pelle, l'energia vibrante sprigionata dal corpo e la terra che si sgretolava sotto i suoi piedi. Poi il buio assoluto.
Fu assalita da un turbinio di paure e dovette sostenersi alla colonnina del letto per non accasciarsi sul pavimento.
Nelle profondità del Tempio di Raimè era riuscita miracolosamente a sopravvivere, ma il suo corpo era stato contaminato da qualcosa di maledetto.
Senza volerlo, si era macchiata di una colpa che andava ben oltre il peccato religioso o la semplice superstizione. Nella galassia di Shunna Ra'a, chiunque si adoperasse di arti oscure veniva tracciato come traditore, una minaccia per la specie vivente.
Tale reato portava a un'irremovibile e univoca decisione: la pena di morte.

Nina scoppiò in un pianto disperato, riempendo la stanza di forti singhiozzi.

Poi si voltò verso la specchiera, incontrando il suo stesso sguardo. Sembrava un animale impaurito, aggrappata al letto, con gli occhi rossi sbarrati e una capigliatura selvaggia. Il viso pallido rigato dalle lacrime.
Provò un senso di disprezzo per sé stessa.
Lei non era questo. Né una bestia né una minaccia. Una sciocca, forse sì.

Si rialzò, asciugandosi gli occhi.

No, non era giusto. Si trattava di un enorme malinteso. Non era mai stata sua intenzione appropriarsi di quei poteri, e quindi, non poteva essere condannata a causa di un incidente, giusto?
Rimuginò qualche attimo, mordicchiandosi le unghie. Sebbene cercasse di autoconvincersi continuava a non esserne così sicura, ma decise che in un modo o nell'altro sarebbe uscita da quella situazione.

Proprio in quel momento udì un leggero vociare da dietro la porta e pochi attimi dopo il pomello di ottone roteò.
Nina si fiondò tra i cassetti dell'armadio alla ricerca di qualche accessorio per coprire la mutazione degli occhi e, quando trovò un paio di occhiali dalle lenti scure, li indossò.
Girandosi vide suo nonno, a pochi passi di distanza, che le rivolgeva uno sguardo carico di sollievo e affetto.

«Bambina mia, ti sei svegliata.» esclamò abbracciandola impetuosamente. Le schioccò una serie di baci rumorosi tra i capelli facendole solletico con la barba ispida e le rivolse un sorriso gioioso. Aveva la faccia increspata da rughe e le palpebre cadenti riducevano gli occhi a due piccole fessure blu. Il peso degli anni aveva incurvato la sua schiena e costretto a spostarsi con l'ausilio di un bastone.

«Sono ore e ore che dormi, come ti senti? Aspetta, vado a chiamare qualcuno.»

«Baba, sto bene» disse trattenendolo per il gomito ossuto. «Dammi solo un attimo, possiamo parlare?»

L'anziano osservò il volto della nipote e, anche se non parve molto convinto, accantonò l'idea di avvertire l'intera residenza del suo risveglio. Andò a sedersi sul bordo del letto.
«Cos'hanno i tuoi occhi?»
«Oh, è per questi?» chiese lei, aggiustandosi la montatura sul naso. «Sono un po'irritati, li terrò al riparo dalla luce per un po'. Ma ora ti prego, parlami dei miei compagni, come stanno?»

L'espressione di suo nonno mutò e si fece improvvisamente seria. Esitò qualche attimo, tanto che nella mente di Nina si susseguirono gli scenari peggiori.

«È... morto qualcuno?»

L'anziano scosse la testa.

«No, non ci sono state vittime, ma a seguito di una forte esplosione molti di loro sono rimasti feriti. Attualmente il capitano della vostra squadra non si è ancora svegliato ed è tenuto sotto osservazione nella clinica di Kronen.»
Mentre ascoltava le parole del Nonno, Nina sentì lo stomaco rivoltarsi come un calzino.
«Il resto dell'equipaggio che si trovava sulla nave ha avvistato una luce molto forte sulle alture della montagna, poi si è propagata fino a valle travolgendo tutti.»

Fece una pausa, guardandola da sotto le folte sopracciglia.

«... È un miracolo che tu sia completamente illesa, sei stata recuperata nella zona d'origine dell'esplosione.»

«Si... io...credo di essermi riparata in qualche modo. Mi sento ancora confusa, non ricordo bene...» mentì, evitando il suo sguardo. «Hanno capito cosa l'abbia provocata?» indagò, pallida in viso.

«Be', tutti immaginano sia stato un tentativo mal riuscito di Haeist per liberarsi dei cacciatori.»
Nina batté le palpebre, interdetta.
«Mal... riuscito?»
Il vecchio Torbjörn annuì.
«Lo hanno trovato privo di sensi in mezzo ai cacciataglie.»

Nina spalancò la bocca e dopo qualche attimo la richiuse.

«Cosa... non ho capito... »
Suo Nonno allora le porse un quotidiano digitale che teneva nella tasca interna della tunica e con un gesto della mano la sollecitò a leggere.
Lei titubante pigiò un pulsante sullo schermo e appena lesse il titolo emise un gemito di sorpresa.

"CATTURATO HAEIST! È umano e si trova su Dystòpia!„

Fissò la scritta per diversi secondi, incredula.
Forse, se si fosse trovata in una situazione diversa, avrebbe iniziato a piroettare su sé stessa travolta dalla felicità e con un sorriso allargato fino alle orecchie.
Invece il suo corpo rimase immobile, le labbra strette e il capo chino. Non provò né eccitazione né appagamento.

«Ho capito» rispose semplicemente, facendo scorrere l'articolo digitale. «Cosa ne sarà di lui ora?»

«La legge prevede che ogni individuo sconti la pena sul proprio pianeta d'origine che, in questo caso, sarebbe Dystòpia. Esistono tuttavia alcune... eccezioni.»

Torbjörn raccontò che Haeist in quel preciso momento si trovava nella Prigione di Vetro, confinato in una sezione speciale, e stava dando parecchio filo da torcere alle guardie. Erano stati avviati una serie di interrogatori, ma gli agenti, ormai esasperati, non avevano ancora ottenuto una singola informazione da lui.
Questo fece sentire Nina un po' più tranquilla.
In quanto a Rey Elmòr Barros nessuna traccia. Era apparentemente scomparso nel nulla, assieme alla nave.

«Cara, c'è qualcosa di importante che vorresti farmi sapere?»

Nina ebbe l'impulso di buttarsi in ginocchio e confessare tra le lacrime ogni cosa. Sentiva il bisogno di sfogarsi, essere confortata e rassicurata. Poi avrebbero trovato una soluzione, insieme.
Stavolta, però, si trovava davanti a una differenza decisiva e suo nonno non poteva salvarla dal pugno duro della legge.
Mantenne la decisione di tacere, almeno per il momento.
Si schiarì la voce, assumendo il tono più allegro possibile.

«No, Baba» sorrise. «Non c'è altro.»

Dopo averle dato un'ultima occhiata pensierosa, suo nonno uscì dalla stanza e lei rimase sola.
Respirò profondamente accasciandosi sul letto.
Sapeva di trovarsi in una condizione precaria e che in qualsiasi momento Haeist avrebbe potuto rivelare quanto successo.

Se solo riuscissi a parlargli, pensò Nina, potremmo trovare un accordo che torni utile ad entrambi.
Voltò lo sguardo in direzione della finestra, fissando le sfumature aranciate del cielo.

Sì, andrò oggi stesso.

• • • ∆ • • •

 

Prigioni di Vetro, Kronen

L'agente fece un violento sbuffo e colto da esasperazione tirò una manata sul tavolo, gettando le scartoffie a terra.

«Non mi sono mai sentito tanto umiliato in vita mia, io là dentro non ci torno!»
Gli occhi sporgenti sembravano sul punto di schizzare fuori dalle orbite e il viso paffuto era diventato paonazzo.
Si sbottonò l' uniforme gialla e se la scrollò di dosso con rabbia.
«Sappiamo perfettamente di cosa è accusato, a che serve questo interrogatorio? Lasciamolo marcire in prigione fino alla fine dei suoi giorni.»

Il collega gli rivolse un'occhiata divertita. Facendo un sospiro profondo si chinò per raccogliere i fogli e glieli gettò in grembo.

«Te l'avevo detto John, dovevamo scegliere un altro mestiere» cercò di sdrammatizzare, dandogli una pacca sulla spalla.

Era un omone alto, con dei folti baffi neri e dei piccoli occhietti scuri. Sul petto imponente era appeso un cartellino identificativo: Alexander Marwich.

«Sai bene che si tratta di un caso particolare, lo hai visto con i tuoi occhi. Non si è mai visto un essere umano maneggiare delle fiamme, tutti pensiamo alla stessa cosa ma nessuno ha il coraggio di parlarne. Sembra troppo assurdo per essere reale.»

«Uccidiamolo e basta allora» commentò aspramente l'uomo tarchiato, asciugandosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto. «Risparmiamo alla Guardia Galattica il disturbo di venire qui.»

Alexander si fece una grassa risata, come se avesse udito la cosa più spassosa del mondo.
«Ma certo, accomodati allora, il leone ti sta aspettando nella gabbia!» replicò ironico indicando la porta, mentre il collega rimaneva a fissarlo immusonito.
«Senti, continuo io, tu va' a farti una pausa» aggiunse infine, sfilando dalla tasca una grossa pipa laccata di nero. «Ah, John, portami una tazza di Yothee, credo ne avrò bisogno. Senza dolcificante, grazie.»

Lasciò l'ufficio, dirigendosi ancora una volta verso la cella.
Benché lo prendesse in giro, comprendeva perfettamente la reazione del collega: lui, un agente plurimedagliato di una certa età, sentirsi svilire in quel modo da un giovanotto. Era lecito imbufalirsi, perfino davanti a un criminale come Haeist.

Varcata la soglia delle celle l'agente studiò il prigioniero.
Si trattava di un giovane uomo che a occhio e croce non doveva avere più di trent'anni.

«Il tuo amico è scappato?»

«Non sei stato molto carino con lui.» ribatté Alexander, sforzandosi di rimanere serio.

«Nemmeno con te, mi pare, eppure eccoti qui.»

«Sono solo più abituato di lui all'impudenza. Ho dodici figli.»

Haeist fischiò.
Aveva un sorriso furbo sulle labbra e l'aria di chi non ha proprio nulla di che preoccuparsi.

«Come sta la ragazza?»

«Ragazza...» Alexander si arricciò i baffi scuri, riflettendo qualche attimo. «Forse tu intendi la nipote dell'Antico Padre Torbjörn.»

Gli occhi di Haeist si accesero d'improvviso interesse.

«Nipote?» fece eco, sollevando appena le sopracciglia.

«Oh sì» rispose Alexander, dando un'ampia boccata alla pipa. «Gentile da parte tua preoccuparti sulle sue condizioni. A quanto ne so sta magnificamente.»
Scrutò il prigioniero in viso e capì di avere trovato qualcosa su cui fare leva per ottenere la sua attenzione.
«Ho parlato con lei giusto poco fa. Ha chiesto il permesso di recarsi qui oggi stesso per risolvere alcune faccende burocratiche, sai, in quanto principale artefice della tua cattura

•••∆•••

Era stata una telefonata piuttosto lunga.

Dagli Uffici di Giustizia era stata rimbalzata alla Centrale di polizia, e infine era riuscita a parlare con un certo Alexander Marwich, l'agente a capo delle indagini.
Si era presentata per la terza volta e finalmente una voce gentile dall'altra parte del ricevitore l'aveva salutata con calore, congratulandosi con lei.

Le fu automaticamente simpatico.

Ebbe la pazienza di spiegarle la situazione e le diede un appuntamento in giornata per avviare la procedura di riscossione della taglia.
Nina a quel punto aveva domandato se fosse stato possibile parlare con il detenuto e lui, seppur con qualche reticenza, aveva acconsentito.

Durante la chiamata l'agente le aveva spiegato che, eccetto il volto, non si conosceva nulla di lui. L'estrazione del profilo genetico inserito nel database Dystopiàno non aveva portato ad alcun risultato, nemmeno per una ricostruzione genealogica. Insomma, zero assoluto.
Era chiaro che quell'uomo provenisse da un altro mondo e risalire alla sua identità si sarebbe rivelata un'impresa.

Una volta arrivata davanti al cancello della struttura individuò un omaccione in divisa che la stava aspettando. Aveva dei lunghi baffoni pettinati in modo impeccabile e una massa di capelli neri sistemati con la riga d'un lato. Quando lo sentì parlare capì che si trattava di Alexander. La scortò all'interno e, dopo averle fatto firmare alcune scartoffie, la condusse alle Prigioni di Vetro. Camminarono per diversi minuti, incrociando una serie di guardie armate dalla testa ai piedi.

Finalmente giunsero alla sezione speciale, isolata da tutte le altre, e lo vide.
«Credevo fosse immobilizzato.» Mormorò Nina.
«Ha bruciato tutto e le guardie non osano avvicinarsi, temono di essere incenerite.» le bisbigliò all'orecchio Alexander.

Come biasimarli, pensò Nina, che aveva visto con i propri occhi la distruttività dell'arte oscura. La parete trasparente che lo conteneva nella cella era abbastanza resistente, ma l'interno non era progettato per resistere ad un calore così alto.
In cima alla stanza fluttuava una leggera nube di fumo che rendeva l'aria irrespirabile.

Osservò l'agente in volto e capì che doveva essere allo stremo della sopportazione. Gli occhi avevano iniziato a lacrimare e gli attacchi di tosse divenivano sempre più frequenti.
Dopo averla messa in guardia su alcune misure di sicurezza fu costretto a lasciarla sola, correndo a prendere una boccata d'aria.

Quando si girò verso il prigioniero, si accorse che la stava osservando con insistenza.
Abbiamo gli stessi occhi, pensò, notando le iridi scarlatte di Haeist, fisse su di lei.
Sul suo viso però non colse né collera né disprezzo.

«Ecco la mia cacciatrice» disse in tono stranamente allegro. «Begli occhiali.»
Nina colse la frecciatina ma la ignorò. Guardò oltre le sue spalle e con sorpresa realizzò che gran parte della cella era stata ridotta ad una rovina carbonizzata.
«Sai» iniziò a parlare, aggiustandosi la montatura sul naso. «Forse non te l'hanno detto, ma passerai parecchio tempo qui. Non ti conviene dare fuoco proprio a tutto

Haeist ridacchiò cupo.

«Non mi aveva avvertito nessuno» ribatté ironico. Poi il suo sguardo indugiò sulle ferite superficiali della ragazza.
«Per essere due "empi profanatori" ce la siamo cavata piuttosto bene.»

Nina spalancò la bocca e la richiuse immediatamente.
«Chiudi il becco!» sibilò tra i denti, guardandosi alle spalle nervosa.

L'uomo batté le palpebre, sorpreso.
Si sporse verso Nina, abbassando anch'egli la voce.
«Sul serio? Non gli hai detto nulla?» chiese incredulo.

Lei rimase in silenzio mordicchiandosi le labbra imbarazzata, al ché lui capì e inclinò la testa di lato con aria canzonatoria.
I suoi occhi brillavano di puro divertimento.
Dopo un breve momento di riflessione Haeist annuì. «Bene.»
Avevano appena stipulato un accordo.
Condividere un segreto così delicato con lui la faceva sentire in scacco, ma se voleva uscirne viva era l'unica strada da seguire.

«Devi smetterla di usare quelle fiamme, hai già destato parecchi sospetti. Ora sono tutti curiosi di scoprirne la provenienza e puoi scommetterci che lo faranno, anche senza la mia testimonianza.»

«Si direbbe quasi che tu sia preoccupata per me.»

«Non dire sciocchezze» borbottò lei rossa in viso, «Tu invece sembri fin troppo calmo, hai idea di cosa significhi essere processati dal Consiglio?»

«Morte, suppongo.»

Lo disse in tono oscenamente tranquillo, come se fosse una cosa di poco conto.

«Be', supponi bene!» esclamò sconcertata.

Nina si sentì sciocca, ma quella spavalderia arrogante non faceva altro che alimentare l'ammirazione che provava nei suoi confronti.
Si raccomandò ancora una volta con l'uomo affinché non peggiorasse inutilmente la sua posizione, ma la porta si spalancò, troncando di netto il suo discorso.
Quando vide Alexander, seguito da un tipetto corpulento, capì che la loro conversazione era giunta al termine.

«Nina» la chiamò Haeist a bassa voce. «Hai fatto un ottimo lavoro.»

La ragazza lo guardò stranita.
Ora che non indossava più la maschera, aveva il vantaggio di vedere la sua espressione e Nina capì che non la stava prendendo in giro. Tutto a un tratto si era fatto serissimo.

«La prossima volta sarò io a venire da te.» sussurrò piano, lasciandola spiazzata.
 

• • • ∆ • • •
 

I due agenti osservarono con interesse i due giovani occupati a scambiarsi sguardi intensi di chi condivide un segreto intimo.
Poi Nina, come destata da un sogno, si voltò verso le guardie, e con sgomento riconobbe sul volto di Alexander un'espressione strana, come se si fosse appena accorto di qualcosa.

Portò una mano al viso, rendendosi conto di avere le guance bollenti. Si allontanò velocemente da Haeist.
«S-se abbiamo concluso la parte burocratica dovrei andare.»
Chinò il capo e senza aspettare una risposta si avviò verso l'uscita a passi spediti.

John e Alexander si scambiarono delle occhiate indecifrabili, poi si sussurrarono due parole all'orecchio.
A quel punto rivolsero l'attenzione ad Haeist, che li stava fissando torvo.

 

  
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