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Autore: sacrogral    04/12/2022    12 recensioni
Altro capitolo in cui si parla, si complotta, e secoli di Storia vengono riadattati per giungere al punto da cui ancora non siamo partiti. Però, a forza di chiacchiere, serve per andare avanti. Stavolta mi è costato fatica, d’ora in poi si naviga a vista.
Lo dedico, se lo vogliono, a due belle Arpie che, con le armi dell’allegria e della cortesia, hanno spuntato le mie, di armi – ma funziona sempre così, ed è un bene.
E naturalmente è per te, che lo sai.
Genere: Dark, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Altro capitolo in cui si parla, si complotta, e secoli di Storia vengono riadattati per giungere al punto da cui ancora non siamo partiti. Però, a forza di chiacchiere, serve per andare avanti. Stavolta mi è costato fatica, d’ora in poi si naviga a vista.
 
“Luigi XV, fonte di tutti i mali di Francia, è morto ormai da anni” iniziò de Sade, didascalico “Se l’è preso il vaiolo, il 10 maggio 1774. Il Beneamato, lo dicevano, da giovane. Poi, com’era successo al suo predecessore, la popolarità crollò. E il suo funerale fu celebrato di notte, come quello di un ladro, per evitare che Parigi intera sputasse sul feretro del grand’uomo. Triste parabola. Dovuta perlopiù alle donne” e Sade si leccò le labbra, come se avesse sete “Massone, persecutore di ugonotti. Che la terra gli sia lieve quanto merita. Egli ebbe in dono Versailles dal re Sole, uno che di politica e strategia si intendeva più di lui,  dono tuttavia temporaneo, perché non può durare. Ma noi ce la ritroviamo, Versailles, abominio degli eventi, dove i veri nobili risiedono e nessuno bada a spese – gli aristocratici in una prigione dorata dove desiderano stare, parassiti ormai senza rimedio. Pensate alla differenza coi lord inglesi. E chiediamoci: perché non crolla tutto?”

“Chiediamocelo”, ribadì Gobemouche.

Si stavano domandando un po’ tutti dove il marchese volesse andare a parare, eccetto Latour – perché lo sapeva – e Foret – perché si era già perso. Il bimbo portava da bere a tutti, anche al signore che aveva sporcato e che lo intimoriva, e stava attentissimo coi bicchieri, e ci parlava: “Monsier Volard, state saldo. Non vi farò del male” li rassicurava, e se ne prendeva cura, mentre gli uomini si limitavano a prenderli e a bere senza complimenti, e Joss ascoltava con attenzione anche facendo altro.

“Non crolla tutto perché la Monarchia è protetta!” tuonò Sade “E Luigi XIV –  altro che controllo sui nobili! Quelli già li controllava nelle loro terre! – Luigi XIV ha voluto Versailles per custodire in maniera inespugnabile il suo vero tesoro! È protetta, signori, dal Sacro Graal!” e terminò, aspettandosi una reazione. Che non ci fu.

“Joss, cos’è il Sacro Graal?” chiese Foret, spezzando il silenzio, all’oste che lo ignorava completamente.

“Il Sacro Graal” si inserì fra Etienne, serio “è il calice dal quale Cristo bevve durante l’ultima cena, o forse il calice in cui venne raccolto il sangue del Redentore quando il romano lo ferì con la lancia, sulla croce. Fu Giuseppe d’Arimatrea, falegname, a prenderlo”.

“Una ciotola, quindi? Una ciotola vecchia?” domandò ancora il ragazzo.

“Non essere blasfemo, Foret!” lo rimproverò il prete “Il calice è entrato in contatto col sangue del Figlio, cosa sia diventato dopo questo tocco è impossibile dirlo, ma certo ha assunto poteri inesprimibili, il sacro Graal…” sognò, fra Etienne, in un attimo di estasi.

“Proprio così” riprese la parola il Marchese, soddisfatto della reazione del prete “E cosa ne fece, Giuseppe d’Arimatrea? Di sicuro, quello che qualunque devoto ne avrebbe fatto: lo custodì, poi lo passò in eredità a persone di fiducia perché lo nascondessero, lo adorassero e ne facessero buon uso. In mani sbagliate il Calice chissà cosa può fare, cosa può fare al mondo intero!”

“La leggenda del Sacro Gral ebbi modo di orecchiarla dalla bocca di una paziente in odor di contatti massonici” affermò, pacatamente, il dottor Lassone “In verità, ella non pareva essere tanto in sé, già dando il mal sottile i primi preoccupanti segnali”.

Monsieur le marquis, se esiste una certezza in questa fogna di mondo, è che voi siete un ateo di ferro!” scattò Gobemouche “Con che criterio venite a raccontarci di una ciotola, vaso o bicchiere che sia, che ha toccato il sangue di Cristo?”

Il marchese de Sade fece un gesto vago con la mano, mentre Joss fissava cupo un punto vuoto nello stanzone, e le scarse candele si consumavano con lentezza, disegnando ombre lunghe e tremolanti.  Foret si distraeva guardandole, e dove fra Etienne vedeva anime del purgatorio sofferenti, il ragazzino osservava fantasmini giocosi, fole evanescenti che ridevano.

“Bravo giovine, magari Dio esistesse, potrei offenderlo in maniera più positiva. Ma è chiaro che sia solo l’alibi preferito di coloro che desiderano imbrigliare il piacere, e l’istinto naturale. È chiaro che io non credo che un ragazzo morto in croce fosse il figlio di una vergine e dello Spirito Santo. Ma il mondo lo crede da secoli, quindi è vero. E una ciotola vecchia, assorbita l’energia di tutti i fedeli, diventa un portento, diventa un talismano”.

Joss interruppe il suo lavoro di straccio. Alzò la testa.

“Voi, monsieur, voi ci credete davvero – e lo osservò, stupito e incredulo – voi ci credete davvero al Graal, e ne avete paura”.

E le parole restarono sospese nell’aria, volatili, quasi concrete.

Il marchese sembrò non aver sentito.

“Risparmio circa mille anni di storia, durante i quali il Graal farà cose da Graal, senza dubbio. Proteggere, ispirare, donare la vita eterna, robe del genere. Ma poi quell’abominio che è il fanatismo, più abominio che mai quand’è fanatismo religioso, porta alle Crociate. E con le Crociate, alla creazione degli ordini combattenti, e più in particolare dei Poveri compagni d’armi di Cristo e di Salomone, i Templari, per gli amici”.

Pauperes commilitones Christi templique Salomonici” borbottò fra Etienne, che seguiva il filo del discorso.

“Sì, prete” riprese il marchese “Dopo che tal Goffredo di Buglione, col suo cristianissimo esercito, toglie Gerusalemme agli infedeli, un certo Hugues de Payns (francese, tenete a mente) con altri otto disperati come lui fonda, a Gerusalemme, un ordine monastico ma con spada e armatura – combattenti per Cristo, all’insegna di povertà e penitenza. E, per quanto sia folle, funziona.
Gerusalemme attira i debosciati (ma battezzati) d’Europa, e serve qualcuno che l’ordine mantenga, cosa di meglio di questi cavalieri straccioni invasati, che vivono di elemosina e obbediscono al capitolo dei canonici del Tempio?  Bernardo di Chiaravalle (buono, quello!) farà acquistare loro più potere, poi si comincia a dire che pauper non è il contrario di dives, cioè ricco – aggiunge de Sade, rivolto un po’ a tutti – bensì di potens, cioè di colui che si fa forte per numero e armi. I Templari si contrappongono all’aristocrazia militare. E nel 1126 il conte di Champagne si reca a Gerusalemme ed entra nei Templari. Fatto non da poco, perché costui è un uomo potente, ha le mani in pasta nella politica di mezza Europa e appartiene alla massima nobiltà francese”.

Prese fiato, de Sade.

E Gobemouche, che aveva assunto di nuovo la sua espressione ironica e con un’ombra di pericolosità, intervenne: “Si può sapere, signore, perché ci raccontate dei Templari? Avete iniziato che si doveva far la Storia, e qui ci tenete una lezione sul tempo che fu! Cosa c’entriamo noi, con questi Templari?”

Latour non lo guardò nemmeno in faccia.

“Non interrompere il marchese de Sade, straccione!” sibilò, a mezza voce.

In quel sibilo, il dottor Lassone riconobbe la mancanza di scrupoli, il boia riconobbe la mancanza di pietà, fra Etienne riconobbe l’esaltazione. Foret sentì freddo, ma era paura.

“E invece ci entriamo tutti, jeune homme, perché, in due parole, par chiaro che i discendenti di Giuseppe d’Arimatrea, dopo aver custodito il Graal per secoli, l’abbiano passato ai Poveri compagni d’armi diventati sempre più una potenza, affinché lo custodissero meglio”.
“Anche ciò ammesso” concesse il dottor Lassone, senza fretta e senza esporsi “Ben si comprende che il Calice avrebbe trovato asilo nel Tempio, ormai stanziale e controllato dai Templari suddetti, in quel di Gerusalemme”.

“E naturalmente è come dice il buon dottore. Oste, s’il vous plait, un altro giro per me e per i miei nuovi amici. E versate anche per voi, non abbiate timore alcuno, riceverete moneta sonante.  Questo posto sarà la nostra base, dato che alla Bastiglia ciò mi è davvero impossibile fare” sorrise, senza segno di spontaneità, e continuò “Il Calice viene conservato, e immaginate voi con che cura, dall’Ordine del Tempio – e porta prosperità e ricchezza, tanto che negli anni a venire quello dei Pauperes somiglierà più a un ordine di banchieri che di milites – cioè, combattenti – e all’inizio del 1300 il papa di allora, quel Bonifacio VIII che un fiorentino geniale mise addirittura all’inferno – che per un papa è il posto ideale, se volete l’opinione mia – il papa di allora indi chiese 12000 fiorini d’oro, per ovviare alle difficoltà finanziarie proprie, al Tempio e agli Ospitalieri. I Templari pagarono subito e con abbondanza la loro parte. Nessun problema per le loro casse, come si vede”.

“Perché non ci rivolgiamo ai signori Templari anche per aiutare il popolo francese?” chiese Foret.

Joss gli allungò uno scappellotto, perché il ragazzino non aveva ancora imparato a stare al suo posto.

“Perché, ragazzino con la Luce, i Templari non ci sono più, o almeno non ci sono alla luce del sole. Quel che accade nelle tenebre è sempre un altro discorso e, modestamente, di mia competenza. Ad ogni modo, già nel 1291, dopo la caduta di San Giovanni d’Acri, i Templari si sparpagliarono per mezza Europa, crearono filiales, figliarono a modo loro, e il loro potere aumentò. Vivono in particolare nel Tempio di Parigi, sognando ancora di dare il proprio sangue a Gerusalemme, con le loro croci rosse sui mantelli bianchi, ma c’est impossible, e ormai son diventati gente di toga, clero obeso ma sognatore. Evidente che, in tutta segretezza, il Graal sia stato traslato a Parigi.

Dove c’è potere c’è invidia, dove c’è denaro c’è avidità: tutto congiura attorno ai Templari.  Il tesoro francese non era nelle mani del re, riposava nelle casse del Tempio di Parigi, e i Templari ne erano gli amministratori.  Vi risparmio i dettagli: nel 1307, Filippo il Bello re di Francia, il “re Gufo” come è noto, perché fissava gli interlocutori e non parlava, invia messaggi a balivi e siniscalchi e i Templari vengono arrestati in una sola notte. Compreso il Gran maestro Jacques de Molay. Il papa non li difende. Inizia il processo. Un processo farsa in cui l’Ordine è accusato di reati quali eresia e sodomia, ovvero quei reati di fantasia che si tramandano da secoli. Sono accusati di adorare il demone Bafometto, culto interessante. E il processo si dilunga, ma di fatto i Templari mal si difendono. E tutti sul rogo dopo torture e inquisizione. Nel 1314 lo stesso Jacques de Molay, che prima di farsi bruciare maledice i suoi persecutori.

A questo punto, dobbiamo dire, il Graal aveva cessato di proteggerli”.

“E perché la ciotola non li proteggeva più?” domandò Foret, ormai avvinto.

“Perché non ce l’avevano più, caro il mio ragazzo!” gridò il marchese “Vuole la leggenda che, un mese prima che l’arresto fosse eseguito, una carretta di fieno abbia lasciato furtivamente il Tempio, di notte. I Templari hanno preferito sacrificarsi ma proteggere il Calice. E a quel punto la carretta sarà stata intercettata e Filippo il Bello si sarà impossessato del Graal. Ed ecco il segreto della monarchia francese, che fluctuat nec mergitur! È protetta, e finché lo sarà, la Monarchia non crollerà, e resterà assoluta, e i re taumaturghi l’avranno vinta su tutto e tutti, e io resterò schiavo della lettre de cachet di quella vacca di mia suocera, e voi popolino morirete di fame uno a uno!” sentenziò Sade.

Regnò un silenzio da notte senza luna. Joss aveva acceso altre candele e le ombre si erano ingigantite.

“Io ci credo” disse fra Etienne con convinzione “Dio opera per vie misteriose e solo la protezione del sacro Calice può far sì che le ingiustizie di cui tutti siamo vittime non cessino. Il Graal è ostaggio della monarchia, e spetta a noi liberalo!”

“In verità” aggiunse il dottore Lassone “Non credo a una sola parola della vostra ricostruzione, la cui veridicità mi par basarsi su leggende e condizionali. E tuttavia, poiché mi par anche che sul vostro libretto nero siano eternate cose che molto meglio sarebbe fossero taciute, credo di preferire una rovina incerta a una certa – ergo, mi metto a disposizione” concluse, rassegnato, e accendendosi la pipa.

“Io devo pensare” affermò Sanson, cercando conforto in qualcosa che non c’era “E penso lentamente”.

Il divin marchese gli si avvicinò e fece per mettergli una mano sulla spalla. Il boia si ritirò quasi inorridito.

“Non toccatemi!” gridò, e tutti pensarono – tranne Foret – che gli facesse orrore il contatto con lo scrittore osceno, mentre invece aveva tanto orrore di se stesso da non volerlo infliggere a nessun altro.

Monsieur Sanson, voi siete l’ultimo discendente di quei gloriosi Templari che ancora osservavano i loro ideali in purezza, vedrete che spetterà a voi ancora una volta fare la storia. E quando taglierete la testa a sa majesté le roi, io sarò con voi, e griderò: ‘Jacques de Molay, sei stato vendicato!’, se non sarete prima voi a farlo”.

“Sciocchezze” si intromise Joss “Solo gli inglesi fanno fuori i loro sovrani. Per i francesi, il re è come un padre: un padre non abbandona i suoi figli, e i figli rispettano il padre”.

“E tu che ne sai? Mica hai figli!” si lasciò sfuggire Gobemouche.

Senza alcuna inflessione di troppo, Joss rispose: “Però ho te” disse, e sollevando il mento e accennando Foret “E ho lui” ; Foret, che si era fatto piccolo piccolo e adesso, sgusciando, tornava a rifugiarsi dietro Joss.

Michel diventò rosso.

“Puoi scommetterci che hai me, vecchio bastardo” gli confermò.

“Mi sa che siam tutti arruolati” chiuse il discorso Lassone, fatalista.

“E avete fatto la scelta giusta! Come novelli Templari, noi otto anziché nove – ma l’8 è il numero dell’infinito, se vogliamo dell’impresa dalla gloriosa riuscita  – e noi compiremo un’impresa facile facile: ruberemo il Graal da Versailles e faremo cadere la monarchia francese!”

Joss si coprì gli occhi con la mano pelosa. Michel si vide già alla Bastiglia, a fare compagnia al pazzo. Fra Etienne immaginò di tenere il Graal in mano, solo un momento. Il boia scosse la testa. Foret sorrise, e disse: “Rubare un bicchiere senza un nome non è poi tanto brutto”.

“Il ragazzo non serve!” quasi implorò Joss “È solo un bambino, pure sventato. E non sa stare al suo posto!”

“Il ragazzo ha la Luce e serve” tagliò corto de Sade “E adesso, con licenza vostra, temo di dover rientrare presso la mia magione, prima che il buon Launy possa anche solo sospettare le mie scorribande notturne. Vi lascio senza indugio alle vostre riflessioni e mi farò vivo presto. E riverisco, servo vostro”.

Uscendo e ridacchiando, Latour lasciò cadere delle monete sul bancone e passò vicino a fra Etienne: “Attenzione, prete. Continuate a comportarvi bene. Quella cosa sul vostro passato da esorcista non l’ho detta” sibilò, e il prete si sentì un’altra volta gelare il sangue, mentre nell’aria si diffondeva odor di zolfo.
 

“Parola per parola, tutto è iniziato così” bisbigliò Joss, a distanza di anni, nella Disperazione vuota, che sembrava ospitare spettri, larve e lemuri, ma come sempre.

L’affresco, dove la Morte sorridente portava con sé  giovani e vecchi, uomini e donne, santi e peccatori, restituiva l’eco delle parole.

“Sì” rispose in un soffio Michel Gobemouche, turbato “E chissà se c’è stata davvero una conclusione” e poi, stringendo gli occhi, dove adesso minuscole rughe comparivano ai lati “Tu sei ancora mio padre, vecchio orso, come un tempo e come sempre”.

Joss grugnì, senza guardarlo e senza rispondere.

“Abbiamo tutti perso qualcosa, e tutti qualcosa d’importante”.

Il poeta dei cenci e delle cause perse, spostandosi i capelli dagli occhi, domandò: “Dov’è Foret?”


 
Quello che i Disperati non potevano sapere, e che poterono ricostruire solo in seguito, fu il ritorno del marchese de Sade alla Bastille Saint-Antoine; Latuor fece il segnale convenuto e il ponte levatoio iniziò ad abbassarsi.

“Martin, vecchio mio, va’, va’ e divertiti. E poi raccontami com’è la vita” si congedò de Sade, di nuovo i lineamenti nascosti da mantello e cappellaccio. Il solo pensiero di tornare entro poche ore alla sua maschera di ferro, forgiata appositamente per lui dal cognato del miserabile Launy – poco lo consolava che nella Bastiglia fosse stato rinchiuso e imprigionato con un orrore simile anche il presunto fratello di Luigi XIV; poco lo consolava che di lì fosse passato anche quel ciarlatano di Cagliostro – lo faceva sentire stanco e afflitto. Aveva privilegi che altri non avevano, in virtù di quel de piccolo e di una borsa sempre ben fornita, ma il clima era malsano, era quasi un miracolo che non si fosse ancora preso una malattia di quelle pestilenziali, le guardie durante il giorno non gli rivolgevano parola, e qualche parola per l’appunto la scambiava solo col suo vicino di cella, il maggiore Jacques-François-Xavier de Whyte, inglese, che credeva di essere San Giorgio o Giulio Cesare, nonché Dio, a tratti. E quel porco di Lanuy gli riservava un trattamento speciale.

La scrittura, pensava, la scrittura. Così sopravvivrò. E chi mi ha fatto questo mangerà i propri escrementi per il resto della sua vita immonda, quando verrà il tempo –  si consolava. L’inutile Lanuy sarebbe stato il primo.

Latour, congedandosi, disse ancora una volta, com’era sua abitudine: “Monsieur le marquis, voi siete un genio. Avete la mia incondizionata devozione, la mia perpetua ammirazione. Vivrò anche per voi, e voi scriverete anche per me”.

Naturellement, mio buon Latour, sine dubio” rispose de Sade, già pensando ad altro.

Ma chissà se monsieur le marquis era davvero rinfrancato dal pensiero che Latour vivesse anche per lui, e poi gli raccontasse.


 
Crediti: A Umberto Eco devo tutto, ciò basti. Se avete tre mesi di tempo libero consiglio la lettura de Il pendolo di Foucault, anche – ma non solo – per una trattazione completa sui Templari e le vicende annesse.
Utile anche Barbara Frale, I TEMPLARI, Il Mulino, Bologna, 2004. Con il passo della saggistica pura.
 
  
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