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Autore: ConstanceKonstanz    04/12/2022    0 recensioni
Questa storia inizia nel passato.
In un mondo diverso dalla Terra, più freddo della Terra, più piccolo della Terra.
Dove abbiamo imparato a lavorare il ghiaccio, a usarlo come arma, come sostegno per le case. Dove la pioggia non è acqua, ma un tesoro da conservare. Dove la neve è più di un elemento: è una pietra preziosa. Dove il nostro nemico maggiore è ciò che ha permesso ai vostri antenati di sopravvivere: il fuoco.
Questa storia inizia nel Mondo del Natale.
Ed inizia con un nome.
Quello della mia nemica, o dell’unica persona che abbia mai conosciuto veramente: Dinah.
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5
VOLATILI-KAMIKAZE
Non riuscii a dormire neppure quella notte.
Bianca offrì a me e Dinah una stanza con un solo letto a una piazza e mezza. Non era molto grande, ma con un po’ di fatica riuscimmo a starci lo stesso ed in ogni caso era sicuramente più confortevole della roccia della sera passata.
A Nico toccò dormire sul divano del salotto. Non sembrava starci molto comodo. Era troppo alto; le gambe spuntavano fuori e rimanevano a penzoloni e aveva sistemato la testa in una posizione innaturale. Bianca lo liquidò con una scrollata di spalle. Disse che era un soldato e che doveva aver sicuramente visto giacigli peggiori. Se la sua era una battuta, nessuno rise.
Passai l’intera notte a tormentarmi. Ero stanca, ma avevo paura dei  miei pensieri. Se chiudevo gli occhi,  rimbombavano più forti. Lo strano orologio luminoso di Bianca segnava le 2:40 di mattina quando decisi di alzarmi. Cercai di muovermi il più silenziosamente possibile, ma appena misi un piede a terra, Dinah scattò a sedere e impugnò il suo guio.Lo teneva sempre vicina a sé.
“Siena?” domandò, la voce allarmata “Che stai facendo?”.
Sospirai “Non riuscivo a dormire”.
Alle mie spalle, la sentì armeggiare con il pugnale “E’ per quello che ti abbiamo detto?”
“E’ solo che pensavo di conoscere il mio popolo, io …” m’interruppi.
“Io, cosa?”  
Non le risposi. D’improvviso mi sentii stanca. Rivedevo il mio popolo, il mio popolo che ci attaccava, il mio popolo che gridava contro di me, contro i miei genitori ... ed i miei genitori, gli orrori a cui speravo fossero scappati. Mi nascosti il viso tra le mani. Nulla aveva più senso.
“Torna a dormire, Siena” sussurrò Dinah, coricandosi “Non puoi farci niente. Quello che è stato è stato”
E dal modo in cui pronunciò quella frase, mi chiesi quante volte l’avesse già ripetuta, quante volte, la sera, da sola, senza sapere dove fossero i suoi genitori e se fossero ancora vivi, l’avesse pensata per trovare il coraggio di chiudere gli occhi.
Appoggiai la testa sul cuscino e iniziai a piangere. Se Dinah mi sentì, fece finta di niente. Mi calmai solo  all’alba, quando il sole iniziò a sorgere. La luce che filtrava dalle finestra era di un bianco inconfondibile. Mi alzai per controllare. E sorrisi. Neve. Una unica, grande macchia bianca che rendeva le vostre strade uguali alle nostre, le vostre case uguali alle nostre. Casa. Fu buffo il modo in cui quella parola, dopo aver passato una notte a pensarci, mi colse di sorpresa la mattina. Casa. Osservai la neve scendere e d’improvviso fu tutto chiaro. Dovevo tornare a casa. Mio padre aveva detto che il nostro non era un addio ed io gli credevo. Ecco perché sarei tornata. Casa. Non mi importava di ciò che avrei trovato là. Non poteva fare più paura della Terra. Avrei ritrovato i miei genitori e quella era l’unica cosa importante.
 
“Siena, tu sei pazza!” ricordo che urlò Dinah poco dopo. Dopo che avevo detto a tutti dove volevo tornare. Ricordo che mi afferrò per le spalle ed iniziò a scrollarmi “Non possiamo tornare indietro!” urlava “Siamo scappati! Scappati! Sai cosa significa? Significa che là non ci possiamo tornare.”
“Non possiamo tornarci, infatti” sibilai “noi dobbiamo tornarci”.
Sbuffò “Non è il momento di fare i filosofi. Là non si torna. Discorso chiuso.”
“Principessa” s’intromise Nico “Dinah ha ragione. Tornare nel mondo del Natale sarebbe un suicidio”.
Incrociai le braccia “Questo non è il nostro mondo. Non è casa nostra. Rimanere qui è una pazzia”.
“Principessa” sopragiunse Bianca “Tornare a casa non è una scelta molto sicura. Non sappiamo cosa vi siete lasciati alle spalle. Non sappiamo come il popolo potrebbe reagire al vostro ritorno”
“Il mio popolo mi ama” protestai.
“Siena” mi corresse Dinah “ Il tuo popolo voleva farti fuori”.
Feci per ribattere, ma Nico reagì prima “Ed inoltre usare il passaggio infra-mondo per tornare è molto difficile.”
Fu quella parola ad attirare la mia attenzione. Difficile è meglio di impossibile.“Quindi, potremmo tornare  a casa?”
L’occhiata che Dinah lanciò a Nico era carica di odio. “Bella mossa, genio” sibilò. E confermò i miei sospetti.
“Quindi possiamo!” esultai, facendo una piccola giravolta. Con la coda dell’occhio vidi Dinah e Nico darsi una botta in testa e grugnire.
“Principessa” continuò Bianca, prendendomi dolcemente per le spalle e fermandomi “Usare il passaggio infra-mondo per tornare non è impossibile, ma rimane molto difficile”. Qualcosa, nella sua voce, mi convinse a fermarmi ed ascoltarla.
“Il passaggio infra-mondo è magia del Natale allo stato più puro. Le scritte scalfite sul pavimento sono lingue sconosciute nel nostro mondo, ma usate in questo e sono impregnate di magia. Venne ideato in questo modo perché potesse essere utilizzato in qualunque momento per andare in qualunque parte del mondo, ma tornare ha sempre presentato delle difficoltà.”
“Che genere di difficoltà?” domandai.
 “Il passaggio ha bisogno di molta energia per funzionare. E questa energia può essere ottenuta solo la  vigilia di Natale.”
“Quando?”
Bianca s’interruppe e fissò un punto alle mie spalle.
“Che succede?”  chiesi “Bianca?”.
“Mancano tre giorni, principessa” rispose lei, lo sguardo allarmato “Solo tre giorni alla vigilia”.
La guardai senza capire “Che problema c’è? Tra tre giorni torniamo a casa. Dobbiamo solo andare al passaggio e …”
La risata di Bianca mi interruppe “Principessa, non si va verso il passaggio, si trova il passaggio.”
Corrucciai la fronte “Trovare, in che senso?”.
“Trovare, Siena!” saltò su Dinah “Trovare! Bisogna girare per tutta questa città di pazzi e trovarlo.”
“Ma è impossibile, ci saranno state delle mappe!”
Bianca annuì “C’erano, principessa, ma andarono distrutte. Venne stabilito che i passaggi infra-mondo cambiassero luogo di apparizione ogni volta. Era una scelta pensata per evitare che gli umani, ma anche i nostri nemici, li utilizzassero. Solo noi guardiani avevamo delle mappe che ci avvisavano dove sarebbe comparso il prossimo passaggio, ma quando tuo padre stabilì la loro chiusura, ci costrinse a distruggerle e noi ubbidimmo”.
Annuii,ma mi sentivo svuotata. Avevo pensato che le cose si sarebbero davvero sistemate così facilmente. Mi vedevo già tra le braccia dei miei  genitori , di nuovo nel nostro palazzo, nel mio mondo, a casa. Ora scoprivo che bisognava girare una intera città, in soli tre giorni ed incrociare le dita.
“E’ tanto estesa New York?” domandai infine, speranzosa.
“E’una delle città più grandi di questo mondo” confermò Bianca ed io mi sentii male.
Per un po’ non parlai. Dinah e Nico continuarono a borbottare tra di loro. Ogni tanto, mi giungeva qualche pezzetto di conversazione. Per lo più erano frasi del tipo “Moriremo tutti” e “Questa è una follia”.
Andai alla finestra e ci appoggiai la testa. Il vetro era freddo e quando ci soffiai sopra,si appannò. Era bello stare lì, mi sembrava quasi di essere tornata nella mia stanza. E poi capii. Dovevo muovermi, il mondo mi stava aspettando ed io avevo bisogno di lui. Spalancai i vetri e lasciai che l’aria fredda e la neve pungessero il mio viso. Mi tornarono in mente le mie montagne, i miei giardini, tutte le volte che avevo giocato accarezzata dalla neve.
“Noi torneremo a casa” annunciai con una forza nelle voce che sorprese anche me “Ed inizieremo subito le ricerche”
“E da dove vuoi iniziare, Siena?” mi chiese Dinah, con tono provocatorio “Vuoi girare a caso?”.
“No” ribattei “Inizieremo dalla fine, dall’ultimo posto in cui il passaggio è comparso. Bianca, puoi portarci, vero?”
 
Prima di partire, Bianca ci obbligò a cambiarci. In effetti, anche se non lo avevo notato, voi umani vi vestivate in maniera diversa dalla nostra. Con cappotti pesanti,cappelli, guanti, sciarpe e stivali. Noi tre, con i miei abiti lunghi e azzurri e i mantelli rossi di Dinah e Nico dovevamo aver dato parecchio nell’occhio. Logicamente,non soffrivamo il freddo tanto quanto voi. I nostri climi sono molto più rigidi dei vostri, il vostro inverno equivale alla nostra primavera, ma Bianca disse che era meglio non dare nell’occhio e ci comprò dei nuovi vestiti.
Mi fece indossare un paio di strani pantaloni blu e aderenti, che lei chiamò ‘jeans’ e una casacca ancora più strana, rosa accesso, con un cappuccio sul dietro e una serie di strane scritte sul davanti ,chiamata ‘felpa’. Nico e Dinah erano vestiti più o meno come me, ma i pantaloni di Nico erano più larghi dei nostri.
Bianca ci fece prendere la ‘metropolitana’ una enorme carrozza che viaggiava sotto terra piena zeppa di persone di ogni tipo. Il tragitto non durò molto, scendemmo alla quarta fermata. Quando sbucammo in superficie, una folla inferocita di persone ci investì. Un uomo piuttosto grosso e piuttosto nervoso mi venne addosso e mi colpì con la sua valigetta che si aprì. Mi guardò in cagnesco,ma qualunque insulto volesse lanciarmi, gli morì in gola alla vista della lama di Nico. Bianca ci guidò attraverso una serie di vie innevate e piene di ‘macchine’ come le aveva chiamate lei. La prima volta che avevo camminato per New York la magia di Times Square mi aveva totalmente stregato e non avevo fatto caso al chiasso delle auto che circolavano, dei pedoni, dei ‘trapani’ dei muratori e ai canti degli ‘artisti di strada’. All’inizio risultò anche piacevole, allegro, c’era sempre qualcosa di nuovo che attirava la mia attenzione,ma quando iniziammo ad allontanarci dalle zone più trafficate, mi resi conto che mi mancava il silenzio di casa mia.
Bianca si fermò di fronte ad un edifico bianco e più basso degli altri. I muri erano scrostati e i fiori sui davanzali congelati. Sopra l’entrata, in un alfabeto che non conoscevo, era scritta la parola library. Libreria. Ed io, senza sapere come, riuscii a leggerla.
“Una libreria?” domandai stupita.
Bianca mi guardò in modo strano per una frazione di secondo, poi tornò a sorridere amabilmente “Il modo in cui un passaggio appare , è del tutto causale, ma c’è sempre qualcosa che classifica un luogo più speciale di un altro.”
Mi guardai attorno. Quella strada era piccola, più silenziosa delle altre, ma anche più buia. In lontananza sentivo dei bambini urlare e giocare. Non c’era nulla di speciale, nulla di grandioso.
“Andiamo” mi spronò Nico, indicando la porta con la testa.
Dentro,la biblioteca era più grande di quello che mi era sembrata, con soffitti più alti e stanze più ampie. Le finestre erano tutte chiuse e davano sulla strada, le luci erano accese e molto forti,ma nessuno sembrava farci caso. I libri erano sistemati ordinatamente su scaffali di legno antichi e su scaffali  rossi più nuovi. Non c’era molta gente. Un paio di ragazze dall’aria piuttosto annoiata, un uomo anziano che alternava momenti di sonno a momenti di veglia e un ragazzo che teneva un libro tra le mani e guardava fuori dalla finestra. Quando entrammo ci guardò distrattamente, ma lo vidi soffermasi su Dinah qualche secondo di più. Non era brutto, immagino. Aveva tanti capelli neri e ricci che sembravano non avere mai visto un pettine in vita loro, la pelle era olivastra e gli occhi erano scuri come la notte,ma buoni ed ingenui, addirittura intelligenti e per un secondo lo invidiai. Avrei dato qualunque cosa per essere al suo posto, per avere ancora una luce così bella nel mio sguardo. 
“Per di qua” disse Bianca spalancando una porta e portandoci fuori.
“Insomma, prima dentro, poi fuori” sentii Dinah borbottare “Si decida la  vecchia carampana!”
Ma quello che vedemmo, ci zitti tutti quanti. La biblioteca era dotata di un piccolo giardino, circondato da un muretto non molto alto e di mattoni. Là dentro i suoni della città sembravano essere lontani anni luce. Chiusi gli occhi per un secondo e sentii fischiare solo il vento. Mi figurai quel posto di Estate e immaginai che dovesse essere anche più bello di così. Ovunque mi voltassi vedevo delle piante, sembrava essercene un numero innaturale per un luogo così piccolo. Alcune erano alte e verdi, altre basse spoglie, ma erano tutte parte di un quadro bellissimo. Al centro del giardino c’era un laghetto. Era ghiacciato e ricoperto di neve, ma intuii che proprio lì, anni fa , il passaggio infra-mondo era stato usato per l’ultima volta. Mi guardai attorno, quel posto era magico. Non c’erano altre parole per descriverlo. Dinah e Nico sembravano colpiti quanto me.
“E’ meraviglioso” disse Nico.
Bianca mi sorrise“Capisci principessa perché questo era un luogo speciale?”
“Inizio a capire, sì”.
Per un po’ nessuno parlò, eravamo troppo strabiliati, sembrava quasi casa. Poi Bianca batté le mani e ci disse di rientrare.
“Aspetta” mormorai “Ancora qualche minuto”.
 Lei annuì comprensiva, poi mi prese per mano “Vi aspetto dentro” disse con dolcezza.
 
Quello che successe dopo continua a fare paura anche adesso. D’un tratto il vento divenne più forte, quasi fastidioso e delle nubi grigi iniziarono a raggrupparsi sopra la nostra testa, togliendoci la luce. Quando il fulmine esplose e toccò terra, Dinah riuscì a spingermi via appena in tempo, ma la mia felpa si bruciacchiò comunque.
“Ma che cavolo …” chiesi stordita, il rombo del tuono ancora nelle mie orecchie,ma prima che potessi finire la frase un ringhio agghiacciante mi fece sobbalzare.
Scattai in piedi, mentre Dinah e Nico sguainavano le loro armi.
In fondo al giardino, un paio di cespugli si mossero e le fronde di alcuni alberi tremarono.
“Che succede?” domandai impaurita. Anche se non ero sicura di voler conoscere la risposta.
Dinah e Nico si strinsero attorno a me “Qualunque cosa esca da lì” ordinò Nico, lo sguardo puntato sui cespugli “Non perdiamo la testa”.
Dinah annuì, ma io mi ritrovai a rabbrividire.
Il tremore, tutto a un tratto, si placò. Vidi le spalle di Nico ammorbidirsi, ma la stretta sulla spada non diminuì. Intanto, le due ragazze che avevo notato all’inizio fecero capolino dalla porta,seguite, a breve distanza, dal ragazzo.
“Tutto bene?” chiese una di loro. Non era la nostra lingua, non avremmo dovuto capirla, ma i suoni erano gli stessi. L’alfabeto era diverso, le nostre lettere lo erano, ma non il modo di pronunciarle.
“Si” risposi confusa“Tutto …”
Ma prima che potessi finire la frase, un ringhio profondo si diffuse per tutto il cortile ed io sentii il sangue gelarmi nelle vene. Dai ogni cespuglio, da ogni albero, sbucarono cani, gatti e uccelli. Ma, non erano solo quello, erano più grossi, avevano il pelo era meno folto, il corpo marchiato di cicatrici e gli occhi rossi. Canni e gatti ringhiarono e mostrarono i denti, lunghi e aguzzi denti pronti a mordere.  Le ragazze urlarono e Dinah sobbalzò. “Tutti dentro!” urlò ,guardandole“Subito!”.
Non ci fu bisogno di ripeterlo due volte, ma quando stavo per seguirle e chiudere la porta, qualcosa mi fermò.
“Che aspetti?” gridò la ragazza allarmata “Entra!”.
Ma non lo feci. Lo sapevo, sapevo di non dovere nulla a Dinah o a Nico, sapevo che erano loro a dover rischiare la vita per me e non viceversa, sapevo che gli ero stata affidata da mio padre, ma non riuscii ad abbandonarli lo stesso e con un colpo secco chiusi la porta e mi misi davanti.
“Siena?” domandò Dinah vedendomi “Cosa vuoi fare? Vai dentro,dannazione!”
Ma prima che potesse sgridarmi ulteriormente, un gatto la attaccò.
“Attenta!” gridai, un secondo prima che venisse atterrata. Il gatto iniziò a graffiarla, i suoi artigli erano affilati e tagliavano la stoffa dei vestiti senza difficoltà, sentii Dinah bestemmiare,mentre afferrava il pugnale e cercava di mirare al collo di quello. Nico fece per aiutarla, ma appena mosse un passo, un cane latrò e gli corse incontro. Lui reagì subito e gli puntò la spada addosso, quando il quello gli fu addosso, la lama lo trafisse senza pietà e un acre odore di sangue si diffuse per tutto il giardino. La neve, ai suoi piedi, si macchiò di rosso.
D’improvviso, l’attenzione di tutti i cani sembrò spostarsi su Nico. Vidi fissare i loro occhi rossi fissarlo e un brivido mi percorse la schiena.
Un cane dal pelo rossiccio abbaiò e tutti gli altri lo imitarono, poi, si lanciarono su Nico. Lo vidi menare fendenti a destra e a manca. Alcuni di loro venivano subito colpiti, la maggior parte schivava i colpi e lo mordeva. Quando un cane lo morse al polpaccio, sentii Nico grugnire e trattenere un urlo di dolore. La cosa più strana era il silenzio. Nonostante la battaglia, nessuno urlava, i cani e gatti ringhiavano e miagolavano solo prima di attaccare,gli uccelli non cinguettavano. L’unico rumore costante era quello delle spade di Dinah e Nico. E questo mi fece anche più paura. Sembrava di essere rimasti soli al mondo.
Dinah sbatté a terra il gatto, e con un unico, fluido gesto, lo uccise. Poi, si alzò velocemente, la fronte imperlata di sudore.
“Aiutami,Dinah!” gridò Nico, mentre ,con un calcio, spediva un cane contro il muro. Lei annuì, ma quando fece per aiutarlo, un altro gatto le fu addosso e poi un altro e un altro ancora. La sommersero. Letteralmente.
La vidi cercare di scacciarli con calci e pugni, ma non sembrava funzionare.
Lanciai un’occhiata agli uccelli ancora appollaiati sugli alberi. Pessima mossa. Uno di loro iniziò a cantare. Non era un cinguettio piacevole, aveva un sottofondo duro, quasi metallico e la melodia non era allegra, sembrava quasi un canto di guerra. E guardandolo negli occhi capii. Quello era un canto di guerra. Sguainai il pugnale di mia madre, ma la mano tremava e gran parte della teatralità della scena si perse quando dovetti chinarmi per raccogliere il fodero.
“Attenta!” gridò una voce che non conoscevo. Alzai lo sguardo. L’uccello si stava per schiantare addosso a me. E quando dico schiantare, intendo proprio quello. Era un volatile-kamikaze. Si muoveva ad una velocità molto elevata, probabilmente era grosso come un’aquila e credo che sapessimo entrambi che l’impatto contro il muro della biblioteca sarebbe stato abbastanza potente da uccidermi.
Tentai di muovere il pugnale, sperai che così sembrasse più grande di quello che era e che l’uccello si spaventasse, ma non funzionò. E quando smisi di agitarmi e lo fissai, capii di essere ad un passo dalla morte.
Fu a quel punto, credo, che un libro volò addosso all’uccello ,tramortendolo.
“Canestro!” esultò qualcuno alle mie spalle “No , cioè … Centro!”.
Mi voltai. Era il ragazzo della biblioteca. Indossava un paio di jeans e una felpa verde, dall’aria piuttosto pesante. Quando incrociò il mio sguardo, accennò un sorriso.
“Rientra!” ordinai, indicando la porta “Qui non è sicuro per te”
“Ma ti ho appena salvato la vita” replicò lui.
“E’ stata fortuna, solo fortuna!”
Scosse le spalle, ma non sembrava molto convinto “Qualunque cosa fosse, ti servirà ancora”
Provai a ribattere, ma proprio in quel momento, decine e decine di uccelli-kamikaze iniziarono a cantare. Lo guardai ed un brivido mi percorse la schiena.
“Non è un buon segno, eh?” fece lui.
Grugnì “Non hai altri libri, vero?”.
“Spiacente, moby dick era l’ultimo”.
Corrugai la fronte, quel nome mi diceva qualcosa, ma non ne ero sicura. E comunque, quello non era un buon momento per perdere i sensi.
Strinsi il pugnale e lo puntai contro lo stormo di uccelli che stava volando verso di noi.
“Stai dietro di me” gli ordinai.
“Certo, capo” rispose lui, portandosi una mano alla fronte. Non capii il motivo di quello strano gesto “Rimango qui mentre tu uccidi tanti polli alieni con uno stuzzicadenti”. Non capii fino in fondo neppure quella frase, ma decisi di rimandare le spiegazione ad un altro momento.
Il primo uccello che mi raggiunse, iniziò a colpire  e graffiare e ben presto si unirono anche gli altri. Il dolore, da penoso divenne insopportabile. Sembravano quasi possedere degli artigli. Ogni ferita bruciava sempre più. Tentai di colpirne qualcuno, ma prendere la mira era impossibile.
Guardai il ragazzo. Tremava e rivoli di sangue iniziavano a scorrere lungo le sue braccia. Immaginai che il freddo e uccelli-kamikaze non fossero il massimo per un umano. E poi pensai che si erano ficcato in quella situazione per noi, per delle persone che neppure conosceva e desiderai salvarlo. Fu allora che ricordai cosa fare. In realtà, ricordare non è la parola giusta. Era come se il mio corpo sapesse qualcosa che la mia mente aveva scordato completamente. Strinsi i denti, feci forza sulle braccia  e cercai di non pensare al dolore che stavo provando, poi, finalmente, riuscii ad attraversare la barriera vivente che mi circondava. Nella mano stringevo il pugnale e anche se sapevo che era sbagliato, anche se c’erano mille ragioni per non farlo, ascoltai quella piccola parte di me che non lo ignorava e lanciai il pugnale il più lontano possibile.
“Grande mossa, capo” sentii il ragazzo urlare. Le sue braccia erano ormai, totalmente insanguinate.
Non risposi, sperai,semplicemente, che funzionasse.
 
Il bello è che non funzionò. Non subito. Gli uccelli continuarono a beccarci e graffiarci, fino a che, all’improvviso, uno di loro cantò. Era un canto diverso, basso, quasi sussurrato, ma tutti i suoi amici si fermarono ad ascoltarlo. Sentii il ragazzo accanto a me ansimare. Lo guardai. Era stato colpito anche in faccia e in testa, ma le braccia rimanevano la parte messa peggio. Avrei voluto portarlo al sicuro, ma non potevo. Guardai verso gli uccelli. Li osservai uno ad uno, infine mi soffermai su quello che aveva cantato. Era più grosso degli altri, gli occhi era più rossi e più folli, il becco sembrava quasi storto in un ghigno. Trattenni un brivido, mentre con cautela mi avvicinano a lui. Sembrava aspettarmi.
“Capo” bisbigliò il ragazzo, facendomi quasi sobbalzare “Che vuoi fare?”.
Non gli risposi. Quando mi trovai abbastanza vicina all’uccello, trassi un profondo respiro e senza smettere di guardarlo negli occhi, tesi una mano verso di lui. Sperai non mordesse e non lo fece. Non indietreggiò,neppure. Cinguettò, invece. Un cinguettio minaccioso, simile ad un ringhio. Fui tentata di darmela a gambe,ma non potevo. Il trucco era non mostrare la propria paura, se lo avessi fatto, tutto quello non sarebbe servito a niente. Trattenni un urlo, poi, chiudendo gli occhi, appoggiai dolcemente la mano sulla sua testa. Le piume, sorprendentemente, erano soffici. Al mio tocco il canto s’interrupe,poi, gradatamente, cambiò. Divenne più dolce, più allegro. Tornò ad essere un cinguettio.
“Grandioso, capo” disse il ragazzo, dal tono sembrava sinceramente colpito.
Aprii gli occhi. Davanti a me l’uccello di poco primo era tornato ad essere un normale piccione e assieme ai suo compagni, stava volando via. Li guardai sorpresa.
Alle mia spalle, sentii Dinah gridare di stupore, quando il gatto contro cui combatteva diminuì di due taglie. Quando la vide, quello miagolò impaurito e corse via, così come tutti i suoi amici.
Alzai lo sguardo in cerca di Nico, ma lui era ancora sommerso di cani. Solo che stavolta, al posto di azzannarlo, lo leccavano. “Okay” disse ridendo e alzandosi “Ora basta, belli”.
“Cosa è successo?” domandò seccamente Dinah, avvicinandosi e squadrandomi “Tu non hai una bella cera”
“Lui è messo peggio” protestai, indicando il ragazzo.
Lei seguì il mio sguardo e spalancò gli occhi “E tu cosa sei? Un umano”.
La domanda sembrò coglierlo alla sprovvista “Ehm ,credo di sì”.
 “Perfetto” borbottò lei “Ci mancava un umano per finire in bellezza” .
“Dinah” feci,tirandola per la manica “E’ …”
“Ferito” concluse lei “Lo so. Lo siamo tutti.”
La guardai. Aveva ragione. Il suo viso era sporco e arrossato, pieno di lividi e graffi e lungo le gambe i vestiti erano stracciati ed insanguinati. Capii che stava soffrendo. Ma quando feci per dire qualcosa, Nico ci raggiunse. Non era messo meglio di noi. Le braccia erano segnate da morsi, i vestiti erano rotti e sporchi, le gambe sanguinavano ed una sembrava addirittura rotta.
Non sapevo che aspetto avessi io, ma la testa mi girava terribilmente.
“Chi è lui?” domandò Nico con un tono di voce più basso del solito, quasi debole.
“Sono Nicholas Grace” si presentò il ragazzo, tendendo una mano verso Nico “Ma per gli amici, Nick”. Lo guardammo male ed io pensai che voi umani avevate proprio delle strane usanze. Dopo qualche secondo, Nick tirò indietro la mano. “E voi sareste?”.
Lo ignorai, ma guardai le sua braccia. Perdeva molto sangue.  
“Dobbiamo andarcene” dissi “Dobbiamo …”
“Che è successo?” la voce di Bianca mi fece sobbalzare. Mi voltai. Era in piedi sulla porta, sembrava fosse stata lì tutto il tempo.  
“Cosa non è successo, vorrai dire” sibilò Dinah, rifoderando il suo guio “Tu dov’eri?”.
“Stavo portando in salvo le altre persone”
“E ti ci è voluto tutto questo tempo?”
“Un lavoro accurato richiede tempo”
Dinah scoppiò a ridere “Già, beh, te ne è sfuggito uno” e con un gesto distratto indicò Nick.
Vidi Bianca sobbalzare “Ma è ferito!” gridò “Presto!” fece avvicinandosi a lui e conducendolo fuori “Vieni con me, piccolo.”  
Dinah grugnì “Ma guarda te cosa mi tocca vedere” borbottò, prima di seguirli.
Nico fece per muoversi, ma quando fu sulla porta, si fermò.
“Non vieni?” chiese.
Annuii “Aspetta.”
E allontanandomi verso il laghetto, afferrai il coltello di mia madre. Non volevo perderlo . Era l’unica cosa che mi rimaneva di lei e sospettavo, anche l’unico modo di cavarmela in quel mondo.
Osservai il mio riflesso nella lama e sorrisi amaramente.
“Ti manca?” chiese Nico, tutto a un tratto.
“Molto”  risposi “A te non manca casa tua?”.
Scrollò le spalle “Casa mia era un casolare desolato in piena campagna, piccolo e fatiscente. A undici anni i miei mi hanno mandato a lavorare e da allora non li ho più rivisti.”
Lo guardai. Gli occhi di Nick era grigi, profondi e duri. Lo squarcio di un mondo di ferro. Ma c’era anche una luce in quel mondo. Era piccola. Un bagliore così minuscolo da passare inosservato, ma che in quel momento pulsava come una stella. Paura.
“Mi dispiace” dissi,distogliendo lo sguardo.
“Non devi ,principessa. Ci sono cose peggiori.”
 “Sbrigatevi” gridò  Dinah interrompendoci“Il nuovo amico di Siena qui, non sta per niente bene!”.
 
   
 
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