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Autore: speechlessback    06/12/2022    2 recensioni
Questa storia partecipa alla challenge 4shipchallenge del gruppo "Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom". ATTENZIONE: spoiler del manga fino al capitolo 149. MakixNobara.
"Ho raccolto i pezzi, vagato tra le macerie. Sulle mie mani c’è stato molto più sangue di quanto anche tu pensavi possibile. Ma le ho ripulite. Alle ferite del cuore, ci ha pensato lei."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Kugisaki Nobara, Zenin Mai, Zenin Maki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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---> Il prompt era il seguente: "Le sorelle Zenin litigano su tutto, Mai non avrà Nobara." SPOILER: fino al capitolo 149 del manga.
 

Io sono io, tu sei tu.
 
 
Sorellina.
Se stai leggendo queste parole, e ti soffermi con cipiglio già solo al primo punto, vuol dire che le cose sono andate esattamente come non dovevano andare. Esattamente, dunque, come le avevi pianificate tu.
Partiamo dall’inizio. Il mio nome è Maki Zenin. Ultimamente me lo ripeto, quasi fosse un mantra - alla fermata dell’autobus, mentre faccio la spesa, sulla strada di ritorno -, un po’ per scherzo e un po’ perché ne ho bisogno.
Perché ti sto scrivendo?
Le parole non sono mai state di buon auspicio, tra me e te. Piuttosto creavano una scia di macerie e detriti.
Però sento il bisogno di scriverti. E poi parlarti. Un flusso di parole che scorre senza un’argine, frasi a mozziconi, ché tanto tu non puoi fermarle.
È ironico, vero? Che è proprio questo l’unico momento in cui riesco ad avere la meglio sul tuo incessante blaterare.
Non avrei pensato di poter provare questo miscuglio di sensazioni. Sono una massa ingestibile, e non c’è maledizione o esorcizzazione riuscita - o pugno tirato in faccia a qualsiasi essere umano che osi guardarmi storto - che serva a guarirmi.
Di te ricordo solo i litigi e i battibecchi. La distanza siderale tra il mio modo di combattere, ed il tuo modo di pensare al resto del mondo. Le nostre scuole diverse, i nostri cammini destinati ad incontrarsi di nuovo.
Forse non siamo poi così diverse da quello che pensavamo, sorellina.
Quella voglia di scappare era forte in ognuna - solo in modo diverso.
E non è forse ancor più esilarante che, alla fin fine, ci siamo innamorate della stessa persona?
Gli dei della stregoneria si saranno fatti una grossa risata!
Due gemelle maledette - una senza energia, l’altra senza spinta -, ognuna una metà del mezzo: una sola donna, al centro di ogni futura scaramuccia.
Sai bene di chi sto parlando, non è così?
Lo so che scuoti la testa, abbassi lo sguardo per un millisecondo, perché non vuoi ammetterlo. Ma io lo so.
E ti capisco. Infondo, mi sono innamorata anche io.
Non è solo il suo modo di essere, o quella sua finta superficialità - che in fondo, converrai con me, un po’ ti ricorda - ma è il modo in cui, passo dopo passo, emerge una ragazza diversa. Una donna piena di forza, un cuore pieno di compassione. E una voglia di combattere che solo a pensarci mi viene voglia di strappare questo foglio in mille pezzi, e correre nell’altra stanza. Ma non lo faccio, vedi?
Perché devo parlare con la mia sorellina.
Alla fine ho avuto Nobara.
Ma a che prezzo?
Me lo dici, tu, a che prezzo?
Non mi risponderai, lo so.
Ma io ti parlo lo stesso.
Più non mi rispondi, più io ti parlo. 
Non mi sfuggi, non puoi farlo. Ho già commesso quest’errore.
 
//
 
Sei cattiva.
Sei cattiva, cattiva, cattiva. Non mi vengono altre parole. Mi tremano le mani per la rabbia, e probabilmente l’inchiostro macchierà il foglio e questa sarà l’ennesima lettera illeggibile, l’ennesimo sfogo urlato alla pagina - mai a te.
Perché non posso, giusto?
Sei contenta, dimmi la verità?
Che io ho vinto. E Nobara è al mio fianco, mi scuote nel sonno quando gli incubi si fanno così forti da prendere possesso anche del riposo. Mi scosta le ciocche dagli occhi e mi dice le parole forti di cui ho bisogno.
Sei contenta, Mai?
Sei contenta, sorellina?
Io non lo so se lo sono.
Non c’è niente di giusto in tutto questo.
Rispondimi, ti prego.
Rispondimi sorellina.
 
//
 
È stata Nobara a dirmi di scrivere.
Te lo dicevo, sotto quella scorza dura si nasconde un’anima complicata, fragile come un fiore e forte come un uragano. Sono le mille tempeste che ci hanno portato in questo appartamento dismesso a renderla ancora più forte. A rendere me, ancora più innamorata.
Quindi ti scrivo. Sembra che ti rinfacci la vittoria? Ma io non voglio.
E non so che scrivere, perché tu non rispondi.
Tu vieni, prendi quello che vuoi, lasci ciò che credi, spieghi quel minimo indispensabile, e mi lasci vincitrice. Ma di che?
Io raccolgo i pezzi. Miei, tuoi, della nostra casata - sappi che almeno l’ho deturpata della nobiltà. Proprio come volevi tu, sorellina.
Distruggili tutti, mi hai detto. Te l’ho promesso.
Ma dovevo distruggere anche me?
Questo invece, non me lo hai detto.
Rispondimi.
Rispondimi, sorellina.
Ché mi manca un pezzo.
 
//
 
E se fossi stata tu, ad acquisire il potere?
A vincere contro tutto?
Se fossi tu, qui, al mio posto. Se fossi tu ad abitare questo spazio angusto, ad abbracciare quelle membra fragili, a sussurrarle carezze nella notte, melodie per farla addormentare. Se fossi tu a passare pomeriggi interi ad allenarsi. Notte intere a conoscersi di nuovo, ogni volta come fosse la prima.
A puntare il dito su una cicatrice, a scherzare sulla sua provenienza. A stringersi, come se non ci fosse la certezza del domani.
Eppure la certezza c’è, lo sappiamo entrambe.
E se fossi stata tu, a vincere?
Sarebbe diverso?
Sorellina, dove sei? Mi rispondi?
//
Sorellina.
Oggi siamo andate in spiaggia. L’aria era fresca, ma piacevole. Il vento ci carezzava i volti e non era troppo forte, solo il giusto.
Un picnic. Idea di Nobara.
Lo so, lo so. Sono fortunata.
Quando guardavo all’orizzonte, mi sembrava di scorgere qualcosa. Ma forse ho solo perso la testa.
O forse ricordavo. Mi hai detto di distruggerli tutti, e l’ho fatto.
Ho raccolto i pezzi, vagato tra le macerie. Sulle mie mani c’è stato molto più sangue di quanto anche tu pensavi possibile. Ma le ho ripulite. Alle ferite del cuore, ci ha pensato lei.
Quindi guardavo l’orizzonte, il cielo era sereno. C’era uno di quei tramonti che ti sembra poter guardare una sola volta nella vita. L’acqua era limpida, cristallina. E ci buttavamo le pietre per osservare come si increspasse.
E ho pensato, solo per un millisecondo, una minuscola frazione di secondo, che tu fossi lì con me.
Sorellina, ti ricordi?
Ricordi quello che mi hai detto?
Se ti ricordi, rispondi.
Rispondi.
 
//
 
Una volta mi hai detto che per ottenere qualcosa, bisognava sacrificare qualcosa.
E che noi, che eravamo gemelle, in realtà eravamo solo parte di un uno.
Perché io sono io, e tu sei tu.
Ed io sono tu.
Ho capito, vero?
Tu sei nell’aria della sera che le scosta dolcemente i capelli dal viso. Se lì quando sorride, e mi porge la mano, e battibecchiamo sulla spesa e sullo stato pietoso della mia camera.
Tu sei nella rugiada che si posa al mattino sulla finestra. Nell’orizzonte limpido, quando siamo al mare.
Nel buio della notte, quando gli incubi si affollano e l’aiuto tarda ad arrivare. Ma poi arriva l’alba, il sole rischiara il buio della camera - si infila tra le finestre abbassate, e irrompe maestoso.
Io sono io, tu sei tu: io sono tu.
Ho capito bene, sorellina?
Tranquilla.
Rispondimi quando vuoi.
 
//
 
Nell’appartamento dimesso e giocoso, disordinato e caotico, al centro della stanza, in posizione di rilievo, Maki Zenin ha preparato un butsudan (*altare casalingo) che illumina tutte le stanze, ne risucchia l’energia, si fa baricentro di ogni attenzione.
Vicino all’altare, una pistola senza proiettili. Maki porta dolciumi accuratamente selezionati, delle marche più pregiate di Tokyo. Quando dimentica, o è troppo affranta per avvicinarvisi, è Nobara a prepararlo, a chiacchierare con i morti. Nessuno più di loro sa quanto sia sottile il confine tra i due mondi.
Vicino all’altare, tra i fiori freschi, e le fotografie imperiose, c’è uno scatolo di legno lucido. Elegante e compatto, che a prima vista sembra poggiato per caso, quasi non appartenga a quel luogo sacro e così vivo.
Straripa di lettere dalla calligrafia elegante, mozziconi di pagine, fogli stropicciati ed altri quasi illeggibili.
Fa parte dell’arredamento, è parte integrante di quel microcosmo.
 
Maki, quando poggia la prima lettera, ancora non può saperlo; che è un gesto che ripeterà mille volte - con ansia, frustrazione, e poi anche gioia -; che talvolta si addormenterà seduta, chiacchierando con la sorella, aspettando una sua risposta.

Nobara, d’altro canto, ha capito già il senso di quel legame viscerale, e aspetta con pazienza. Scosta i ciuffi di capelli di Maki, la porta di peso in camera quando la trova - così giovane e indifesa - addormentata, in ginocchio sul tatami.

Mai, invece, osserva silenziosa.

Nei passanti che sorridono alla sorella quando scende di fretta al mattino, nella rugiada che si posa sulle foglie, nella salsedine e nel freddo pungente del mare d’inverno.
In ogni particella dell’universo. Nell’alba che irrompe e le scuote dai sogni inquieti. Nella brezza leggera della sera, nel vento che scuote gli alberi di ciliegio. Maki ne raccoglierà uno e lo porgerà, imbarazzata per il gesto così sdolcinato, a Nobara. Che accetterà volentieri, indossandolo come fosse l’ornamento più prezioso.
Mai Zenin veglierà su di loro.
Questo, nessuna delle tre può ancora saperlo. 
 
//
 
Non preoccuparti, sorellona. Tu vivi. 
Perché io sono te, e tu sei me.
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