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Autore: Soledad_93    11/12/2022    0 recensioni
Chiara e Sara, unite da un male antitetico e complementare. L'incontro di due solitudini sullo sfondo di un mare invalicabile.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 2
Autunno


Il cambio di stagione portò ventate di aria fredda che ingiallirono le foglie degli alberi, tingendole di rosso ed arancio. Dal mare stinto, che come uno specchio rifletteva il grigio cenere delle nuvole, esalava un olezzo fetido di alghe. L’estate era passata sulla città e aveva lasciato alle sue spalle dei danni ben visibili. Se andavi a riva nelle prime ore del mattino, le onde portavano fino ai tuoi piedi diversi tipi di rifiuti: bottiglie d’acqua vuote o involucri di quelle che un tempo erano state patatine in busta, residui di bottiglie di birra o di vino frantumate. Lungo tutta la spiaggia brillavano al sole pezzi di vetro che sembravano pietre preziose.
Mentre, arrancando sulla sabbia, infilzava una bottiglietta d’acqua vuota per gettarla dentro un grosso sacco di plastica gialla che già era pieno di ogni genere di rifiuto, Sara pensò che non era così inutile come si era sempre valutata e creduta. Se tutti quei detriti lo intasavano, soffocandolo, con il suo operato permetteva al mare di respirare di nuovo.
Chiara non sembrava ugualmente interessata alla “missione”. Se ne stava seduta a qualche centinaio di metri di distanza sulla battigia con i piedi a mollo nell’acqua fredda, sollevando con la punta delle dita qualche sassolino del fondale, mentre pigiava sui tasti del suo nuovo cellulare. Chissà cosa scriveva, e a chi, si domandò Sara con una punta di amareggiata gelosia, mentre continuava a ripulire la spiaggia. C’erano mattine, e a volte (meno di frequente) sere, che nulla sembrava turbare la sua serenità. Quella mattina era di quelle in cui tutto per forza andava bene, tutto per forza non poteva che trasmettere e irradiare una letizia ed una calma innaturale. La cosa più affine che c’era per lei all’essere felici. Forse erano i farmaci, ma galleggiava in una nebbia opaca di insensatezza tanto radicale da non poter neppure causare dolore. Altre volte la sua vita priva di senso, di obiettivi, la deprimeva al punto che trovava difficile alzarsi dal letto. Con tutti quei pensieri che la punzecchiavano, di dover perdere peso, di essere sola al mondo, sola, un’anima vagabonda perduta in un mondo di sette miliardi di persone sconosciute. Sette miliardi di persone che non l’avrebbero mai voluta.
Il medico psichiatra dell’ASL le aveva detto:
Hai solo cumuli di macerie sparse qua e là intorno. Tu devi costruirci qualcosa che sia per te un riparo sicuro dall’angoscia di questo tuo sentirti persa, sola, senza speranza. La speranza è anche qualcosa che si costruisce, sai, Sara? Proseguendo. Anche se sotto i piedi non hai nulla. Avanza passo dopo passo. La strada comparirà da sé ad ogni passo. Fidati”.





2.




Mentre tornavano a casa il sole si fece cocente. All’una e mezza del pomeriggio si fermarono, come avevano deciso in mattinata, in una pizzeria con vista mare. Sara insistette perché ordinassero entrambe abbondantemente, anche se Chiara diceva di non aver fame. Il cibo che non avrebbe mangiato lei, sarebbe finito nello stomaco di Sara come al solito. Portarsi Chiara nei locali recava l’unico vantaggio di poter mangiare il doppio senza attirare troppo l’attenzione.
Chiara era più emaciata del solito e parlava di meno. Masticò una decina delle patatine fritte d’antipasto (90 calorie, calcolò lei in mente) e sbocconcellò qualche quadratino della sua pizza rossa alle acciughe, tre o quattro in tutto (120 calorie). Sara ordinò una pizza molto farcita e la mangiò per intero nello stesso tempo.
Fuori dalle vetrate il cielo era pallido e cadeva qualche stilla di pioggia. A parte per loro due, il locale rimase vuoto e silenzioso per tutto il tempo.
Pagarono ed uscirono e dopo essere salite di nuovo in macchina si avviarono al parco cittadino. Era un piccolo spazio verde abbandonato, con un’altalena arrugginita e uno scivolo di plastica spaccato in più punti in quella che un tempo era stata un’area gioco per bambini. Sara sedette sull’altalena mentre Chiara si accomodò alla fine dello scivolo accanto ad essa. Il vento faceva oscillare le cime degli alberi pieni di foglie rosse e gialle e le agitava facendole turbinare sul prato incolto.
Pigiando sui tasti del cellulare mentre scriveva un SMS, Chiara chiese distrattamente se avrebbero fatto qualcosa per Halloween, Sara rispose che no, non c’era niente da fare ad Halloween o in qualunque altro giorno dell’anno in quella orrenda città. Tirando un calcio ad un sasso davanti a lei aggiunse: “Sogno di essere da un’altra parte, magari fuori dall’Italia, forse ci divertiremmo di più”.
Forse ti detesterei di meno, corresse in mente.
Chiara sospirò e si massaggiò la tempia con la mano che non artigliava il cellulare. “Beh, potremmo andarci. Ti va un viaggetto?”
Dove dovremmo farlo, questo viaggetto?...”
Dove vuoi tu, anche fuori dal Paese. Ti va di andare in Francia?”
Sara alzò gli occhi al cielo reprimendo un sospiro d’esasperazione. “Ooh… la Francia. Prenoti tu i biglietti dell’aereo? Credo che andando in agenzia adesso per il trentuno dovrebbero costare meno di quattrocento euro a testa andata e ritorno”.
Perché fai così?”
Così come?”
Sei sempre sarcastica, acida…”
È una tua impressione. Sono molto tranquilla”.
Scese il silenzio per qualche minuto. Sara fissava per terra con aria imbronciata. Chiara aveva una ruga verticale fra gli occhi. Dopo un po’ sbottò: “Senti, se ti sto sulle palle dimmelo e basta. Sono mesi che sei una vipera totale. Non ti ho fatto niente di male”.
Sono mesi che io sono una vipera perché è una vita che tu sei insopportabile” mormorò Sara a denti stretti, abbastanza piano da non farsi capire. Poi, a voce più alta: “Ti ripeto che è tutto nella tua testa. Sei molto paranoica, non è una novità…”
Sono paranoica perché vedo che sei cambiata in peggio?”
Sono cambiata in peggio? Ma ti sei guardata?”. Sara bloccò in tempo il resto dello sfogo. Chiara sollevò gli occhi su di lei e il suo viso si irrigidì in un’espressione di profondo disappunto.
Cosa dovrei guardare?” sussurrò risentita.
Sara scosse la testa, in imbarazzo. “Beh... Ti comporti malissimo da sempre, con tutti…”.
Perché sono malata…”
Anch’io lo sono…” cominciò Sara e di nuovo si trattenne.
Per la seconda volta Chiara infranse il silenzio: “Se non mi vuoi più vedere, ok. Non ci vediamo più. Ognuno per la sua strada…”
Sì, forse…” esitò Sara, giocando a disagio con un ciuffo di capelli. “… forse è meglio così”.
Si sentì triste, in colpa. Chiara aveva un’aria depressa che mantenne lungo tutto il viaggio di ritorno. Non le disse più una parola finché non si fermarono davanti casa sua.
Allora ciao” la salutò con aria tranquilla scendendo dalla macchina per attraversare il vialetto.
Sara picchiettò con le dita sul volante, guardando da un’altra parte. “Ciao” mormorò.
Chiara sbatté la portiera dell’automobile (un po’ più forte del normale) e sparì. Sara si girò a guardarla andare via.
Rimase con quel nodo che le stritolava la gola finché non fu anche lei a casa. Si lasciò cadere sul divano d’ingresso, raggomitolandosi su di sé, rimuginando su quello che era successo al parco.
Ci mise dieci minuti per decidersi ad agguantare il cellulare componendo il numero di telefono di Chiara.
Lei rispose dopo cinque squilli a vuoto.
Che c’è?” domandò la sua voce all’altro capo della cornetta. Sara tirò un profondo sospiro per calmare la tensione e balbettò:
Ti chiedo scusa… lo sai che sono impulsiva quando sono nervosa…”
Non è vero che ti dispiace e non ti scuso” rispose la voce di Chiara, gelida, dall’altra parte. “Te la prendi sempre con me, mi odi a morte, solo perché sei invidiosa…”
Sara sbatté le palpebre, guardando davanti a sé.
Che intendi dire?”, le chiese cauta.
Beh” sbottò Chiara con sicurezza, “Io sono molto bella, e tu sei…”
Tacque. Sara allontanò il cellulare dall’orecchio e lo guardò a distanza. Pigiò sul tasto di fine chiamata senza pensarci troppo.
Di nuovo il cellulare squillò.
Che vuoi?” esclamò Sara portandoselo di nuovo all’orecchio. Chiara proruppe con voce stentatamente trattenuta, piena di rabbia:
Lo sai cosa ti stavo dicendo e ci puoi giurare che è così, che sei invidiosa. Tu sei solo una grassa rana triste e io sono tutto il contrario di te. Sono magra e bella. È per questo che sei così acida tutte le volte che usciamo. Uscire con te mi fa bene, lo sai? Perché mi sento ancora più bella del solito. Questo è tutto...”.
Sara serrò le dita tozze attorno al cellulare. “È tutto?” chiese.
Sì, è tutto”.
Beh, allora sappi una cosa. Sarai anche bella, ma sei un’immensa stronza. E da come ti comporti, sembra che soffri anche di scemenza. Non hai nulla di cui sentirti superiore, perciò, con me. Ma con nessuno. Con nessuno al mondo ti puoi sentire superiore. Questo è ciò che penso e che ho sempre pensato di te. Ed è ora, che è tutto”.
Chiuse il telefono in faccia all’altra. D’improvviso si sentiva solo alleggerita da un peso.
Come aveva potuto buttare più di due anni della sua vita con quella stupida?




3.





Lentamente ma inesorabilmente, con il passare dei giorni, la tristezza era tornata ad intorpidirla, finché una mattinata di fine novembre si chiese che motivo c’era di alzarsi dal letto; non ne trovò nessuno e quella giornata trascorse nel torpore del sonno, fra coperte imbottite e bollenti. Ogni tanto si risvegliava sentendo la grandine picchiare con violenza sui vetri della finestra, sul tetto spiovente della casa. Si rigirava nel suo giaciglio piena fino all’osso di quella rediviva nausea di esistere e tornava a russare. Le parentesi in cui non dormiva agguantava ciò che di buono c’era in casa e lo trangugiava con foga.
Due settimane prima era riuscita finalmente a trovare un lavoro. Erano quaranta ore settimanali alla cassa di un grande supermarket nella periferia di una città limitrofa. Il suo unico compito era di passare sul rullo un articolo alimentare dopo l’altro: un lavoro robotico che le toglieva ogni residuo di voglia di vivere, e a parte per quello la sua vita era completamente prosciugata. Senza Chiara era sola, la solitudine aveva inasprito la sua depressione molto più di quanto lo facesse la compagnia di lei. Tuttavia non le mancava per niente.
Il medico dell’ASL le aveva prescritto una dose più forte di antidepressivo ed aveva aggiunto alla terapia farmacologica un potente sonnifero, per combattere l’insonnia che la tormentava con più ferocia che mai la notte. La settimana prima Sara lo aveva salutato con la mano esibendosi timidamente in un sorriso mesto e cordiale, poi, in salvo fuori dalla struttura sanitaria, si era detta: meglio morire, ma non mi intossico oltre con questa robaccia.
Aveva infatti saltato la visita psichiatrica del venerdì e poi anche quella del martedì successivo.
Si ricordava di Chiara e di come neanche lei vedesse di buon occhio gli psicofarmaci. “Ti fanno diventare scema”, diceva.
Sarai scema per questo, tu, pensò Sara con la faccia premuta contro il cuscino, e proruppe una risatina vuota.
Chiara sarebbe stata per lei una gran delusione se non si fosse accorta di odiarla prima che lo diventasse in via definitiva. Per fortuna, come succedeva spesso, nel panorama squallido e morto della sua esistenza Dio, a suo modo, la tutelava. Dio lo faceva sempre, con i suoi figli talentuosi. Sara sapeva di essere intelligente, e la sua intelligenza era un enorme vantaggio in mezzo a tanti svantaggi, il più importante e prezioso. Provava un po’ di compassione per Chiara che, invece, non disponeva di alcun acume e comprensione di ciò che la circondava. Proprio per questo sarebbe morta ogni giorno, sarebbe sempre stata soggetta ai capricci del fato e della sfortuna, sbatacchiata di qua e di là fra un’asperità e l’altra come una patetica foglia secca presa a ceffoni e sputi dal vento e dalla pioggia, facendosi forza solo con la dimenticanza. Nessun dio l’avrebbe mai protetta, a Chiara. Se Sara fosse stata nella sua pelle, si sarebbe già suicidata da tempo. Anche se sapeva di non avere il diritto di giudicare l’esistenza altrui, al di là della malattia di cui soffriva ringraziava sempre e comunque Dio di non essere lei. Sarebbe stato estremamente peggio, essere lei. Non soltanto per la miseria che ammantava tutta la sua esistenza, ma anche perché non avrebbe mai disposto neppure degli strumenti necessari a salvarsene.
Invece Sara sì: perciò si sarebbe salvata. Grazie al suo cervello, si sarebbe salvata. Perché la vita era sempre, tutta quanta, solo una questione di cervello.





4.





Era un sabato mattina poco prima di Natale quando la rivide per la prima volta dopo oltre un mese. La vide spingere fino alle casse un carrello strabordante di roba dolce e salata di ogni tipo. Quando si accorse di Sara sobbalzò leggermente e tentò una fuga dell’ultimo minuto nella cassa accanto, ma dietro di lei si era già infilato un altro cliente che le bloccò il passaggio. Chiara rimase lì, con gli occhi bassi e il viso violaceo per l’imbarazzo, con una mano timidamente poggiata sul maniglione del suo carrello stracolmo.
Sara fece finta di nulla, consegnò il resto alla vecchia signora che aveva appena finito di servire e passò al cliente successivo.
Quando si trovò davanti Chiara, notò con un sottile piacere occulto che non si era limitata per nulla negli elementi della sua abbuffata: cioccolata, patatine formato maxi, pacchi e pacchi di biscotti, due grandi bottiglie di liquore, panini, salumi, maionese, creme spalmabili… Si limitò comunque a pochi pensieri sul contenuto della sua spesa, dato che sapeva per prima cosa significava esser prede del demone delle abbuffate voraci.
Chiara aveva gli occhi velati da lacrime di umiliazione.
Faccio io” sbottò irritata, mentre Sara cominciava ad infilare tutta la mercanzia nelle buste di plastica del supermercato. Sara le passò le buste e andò al cliente successivo. Lui aveva due o tre cose in tutto e se ne andò in fretta, portandole in mano.
Chiara era ancora lì che infilava in fretta ed in furia le sue montagne di cibo nella borsa. Dato che non c’erano più clienti nella sua fila, Sara valutò di alzarsi ed andarsene da qualche altra parte, ma alla fine, come vinta da un impulso irrefrenabile, le rivolse la parola.
Non mi hai riconosciuta?”, le chiese.
Chiara alzò lo sguardo su di lei e parve d’improvviso calmarsi un po’.
Sì che ti ho riconosciuta, certo”, borbottò. “Ovviamente”
Ovviamente”. Sara le rivolse un sorriso finto. “Beh, tutto a posto?”
Sì, tutto normale”
Che ci fai qui?”
Sono venuta un attimo con mia madre, mi ha accompagnata lei” disse Chiara. “Se non ti dispiace devo tornare in macchina…”
Certo. Mi ha fatto piacere rivederti”
Anche a me” replicò Chiara controvoglia, e si avviò alle porte d’uscita con tre sacchi rigonfi di cibo appesi alle dita.
Sara sospirò, si rilassò sulla sua poltroncina e chiuse gli occhi.


   
 
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