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Autore: Redferne    15/12/2022    3 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 87

 

 

 

I'M A WILD(E) ANIMAL

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sera.

La sera dell'ultimo giorno. La sera della scadenza dell'ultimatum.

Era appena iniziata. E loro erano ancora ben lontani dal punto di ritrovo designato.

Ancora belli distanti, ma già in prima linea.

Schierati, pronti a partire e ben disposti. In tutti i sensi.

Sia sul mettersi in azione che sullo scatenarsi senza freni, incuranti di ogni possibile conseguenza.

Sia nei confronti delle cose che delle persone. Soprattutto di queste ultime.

Del resto il loro capo era stato ben chiaro, in proposito.

Partì un lungo ruggito. Dapprima sommesso, poi via via sempre più forte e roboante ad ogni ripetizione e sgasata di acceleratore.

I motori stavano rombando, su di giri e a massimo regime, nonostante fossero ancora fermi sul posto.

Proprio come chi li stava azionando per verificarne l'opportuna resa. E proprio come chi stava occupando la parte di rivestimento e di carrozzeria che quei motori di grossissima cilindrata, tra non molto, avrebbero scarrozzato in giro in lungo ed in largo. Insieme a chi avrebbe preso posto nella parte di chassis destinata ad alloggiare i passeggeri.

Cinque pick – ups. Enormi. Voluminosi. Giganteschi e neri come la notte. Con un triplice squarcio su ognuna delle fiancate laterali.

Tre solchi profondi che parevano realizzati dagli artigli sguainati di una belva infuriata e assetata di sangue.

Erano già strapieni e a massimo carico, esattamente come i cilindri e pistoni dei loro motori sotto sforzo e come i cuori colmi d'odio e rabbia di chi li occupava.

Vi era il tutto esaurito, quella sera. Con tutti i membri della gang al gran completo.

Tutti presenti, abili ed arruolati. Ed egualmente ripartiti tra l'interno dell'abitacolo ed il cassone esterno.

Due rispettivamente nei posti del guidatore e del passeggero davanti, mentre tutti gli altri...dietro.

E lo stesso valeva per il mezzo che stava in testa, anche se solo per chi aveva poggiato le proprie chiappe sui sedili. Ossute, muscolose o grasse e flaccide che fossero.

I venti membri della banda erano divisi equamente tra i vari mezzi. Fatta ovvia e debita esclusione per colui che aveva assunto, o meglio si era auto – assunto l'onere di voler mettersi a contare.

Colui che da sempre era, rappresentava e costituiva il loro boss, capo e comandante supremo.

L'anima della banda e del gruppo. Anche se lui, un'anima...non doveva avercela più, ormai. E da un bel pezzo.

In numero di cinque per ognuno, se la matematica non era un'opinione.

Ma opinabili o meno che fossero, al loro capo non interessava nulla delle operazioni di aritmetica.

No, non gli importava affatto. E men che meno mettersi a fare di conto.

E comunque...lui era escluso dalla conta, lo si era già detto e ribadito. E pure sottolineato.

In ogni caso...non gliene poteva fregare niente di meno. Quelle robe gliele aveva sempre lasciate ai sapientoni.

Che se le tenessero pure loro. Gente buona a vivere solo nel loro cervello e dentro alle proprie teste.

Che tanto, quando ne stacchi e ne rimuovi una dal collo...alla fine sono tutte uguali.

Quando la si strappa e si separa dal resto del corpo, smette di funzionare come tutte le altre, indipendentemente da ciò che contiene.

Però era sempre stato un tipo preciso quanto meticoloso. E visto che si parlava di dividere, perché dopotutto separare é un po' come dividere...a lui erano sempre piaciute le cose equamente divise.

I suoi sottoposti dovevano venire assolutamente distribuiti in parti identiche sui mezzi che avevano a disposizione per la missione.

Sempre.

Venti membri e quattro macchine. Quindi...cinque per ognuna. Non uno di più, non uno di meno.

Tre nelle retrovie e due in trincea. E così i conti tornavano. E si pareggiavano, puntalmente ed immancabilmente.

Sempre, ogni volta. La cosa costituiva una regola fondamentale. Anche se...

Anche se ciò non valeva di certo per lui. Perché la prima macchina del gruppetto era, doveva essere destinata soltanto al leader e al suo vice. Anche se forse quest'ultimo ricopriva ed aveva ricoperto più il semplice ruolo di fido schiavetto e servitore, a giudicare da come lo trattava. Pur ammettendo il fatto che il lacché in questione accettava la sua mansione con rassegnata indifferenza. E saltuariamente, alle volte sembrava persino contento di ciò dato che aveva tutta quanta l'aria e dava tutta quanta l'impressione di esserne persino felice di svolgere quel compito infame, arrivando ad esibire e tradire persino un certo orgoglio.

In fin dei conti il leopardo nebuloso si era sempre accontentato di poco, nella sua vita.

Bastava davvero un niente, un nulla per farlo felice. Ed il buon vecchio Crusher non aveva mai chiesto o preteso di più oltre ad una ben precisa cosa.

L'appartenenza. Il senso di unione e di comunione che si prova nei confronti di un branco, godendo delle sue fortune e vittorie.

Il far parte di un gruppo. Fosse anche solo come zerbino o come ultima ruota del carro. O anche solamente come puro e semplice portacenere, posacenere e acciarino. Di qualcun altro.

Nella fattispecie del corpulento felino perfettamente immobile, inespressivo e con le braccia muscolose quanto abnormi tenute conserte che gli stava piazzato a fianco. Ed a cui avrebbe fatto da autista e da chaffeur, ma non da cicerone. Perché il posto dove dovevano andare e recarsi tra non molto lo conoscevano già.

Ci erano già stati. Tre sere prima, per la precisione.

Non che al suo capo importasse, dopotutto.

Nemmeno di quello, perché a lui interessava solo e soltanto massacrare.

Solo quello, gli aggradava e piaceva. E sembrava scuoterlo dal torpore che lo attanagliava ed in cui regolarmente sprofondava, ad intervalli più o meno omogenei.

Proprio vero, dunque. Se, come dicono, in termini di produzione non bisogna ragionare o pensare ma fare...allora per l'uccidere forse vale il medesimo discorso.

Non conta dove si va. Ma quel che si fa una volta giunti sul posto e fin laggiù.

E quindi...un posto vale l'altro, se messa in questo modo.

Conta lo sterminare, più di ogni altra cosa. E che ciò avvenga tra le nevi perenni di un ghiacciaio o tra la roventi sabbie di un deserto non conta, non fa differenza.

Idem come sopra se si tratta di un paesino o di una cittadina di poche anime dannate o di un'immensa città o metropoli con centinaia di migliaia di anime.

E ugualmente maledette quanto dannate, anche lì.

L'importante é farlo senza dare nell'occhio. E quel posticino sperduto tra i boschi e ricavato, quasi scavato a colpi di pala , di vanga e di piccone nel cuore della vallata avrebbe assolto pressoché alla perfezione quella funzione. Di vittima sacrificale di turno.

Sì. Era perfetto. Sarebbe andato benone.

A meraviglia, proprio. Più e meglio di così non si poteva proprio chiedere.

Non contava nulla, Haunted Creek o come diavolo ed accidenti si chiamava ed avevano deciso di volerlo chiamare.

Non aveva mai contato nulla, sin dal momento della sua stessa creazione. Avrebbe quindi continuato a contare nulla e meno di zero una volta sparito dalla faccia della superficie terrestre.

A nessuno doveva mai essere importato questo gran che, fino ad adesso. Quindi...

Quindi a nessuno doveva sicuramente importare qualcosa adesso. E perciò...

Perciò a nessuno sarebbe importato qualcosa in futuro, da qui in avanti.

Anche questa era logica, in fin dei conti. Anche questo era logico.

E tutto ciò che é logico...lo si può definire anche matematico.

Ed era questa l'unica matematica che lo interessava, che lo aveva sempre interessato. E che l'avrebbe sempre interessato, un domani.

L'unico genere di dato, di calcolo e di statistica che gli importava.

Quella che concerne e che riguarda le stragi. E i genocidi.

L'unica matematica in grado di attirare e catturare in qualche modo la sua attenzione. E capace di strapparlo, se pur per non che pochi decimi di secondo o forse ancora meno, dai neri ed oscuri vortici e abissi della sua noia esistenziale in cui pareva talvolta sprofondare senza alcun preavviso.

E dentro alla quale doveva piacergli e garbargli assai lasciarsi scivolare sempre di più, sempre più spesso.

L'unico genere di conto. Così come l'unico tipo di grammatica la dovevano costituire le due scritte che si era fatto e ricavato da solo, per conto proprio e a colpi dei suoi stessi artigli, incisione dopo incisione. E forse nemmeno così tanto dolorose.

Forse non dovevano avergli poi fatto questo granché di male. Per il sempice fatto che chi ha il coraggio ed insieme la pazzia di conciarsi e sfregiarsi le carni del suo stesso corpo a quel modo arriva a un punto in cui di dolore non ne sente nemmeno più.

Quando si arriva fin lì il dolore non lo si prova più.

Non si sente più nulla, nel modo più assoluto.

E nel suo preciso e specifico caso...nel suo caso il dolore doveva aver smesso di sentirlo già da un pezzo. Un bel pezzo.

Qualunque tipo o genere di dolore e sofferenza. Perché quelle due parole, anzi quattro che si era scavato a sangue non erano l'inizio. Piuttosto rappresentavano il culmine.

Il traguardo finale dell'opera. L'atto ultimo del gran lavoro di progressiva mortificazione, demolizione e distruzione di sé stesso che aveva già intrapreso da tanti e tanti anni.

Da parecchi anni addietro. A suon di tagli, ferite e squarci.

Un lavoro infame e a dir poco scellerato. Sopra il quale quelli che erano gli unici vocaboli riconoscibili risuonavano come due autentiche bestemmie.

Perché per un lottatore, per un combattente, per un guerriero il proprio corpo equivale ad un tempio.

Un tempio da allenare e fortificare fino allo spasimo. Per poter meglio conservare e venerare la propria anima immortale e il proprio spirito indomito, racchiusi nella teca del proprio cuore come le più sacre ed uniche tra le reliquie, in modo che non vadano mai dimeticate e perdute.

Il corpo va portato al limite, ed anche oltre se necessario. Ma va anche rispettato, perché solo così potrà sempre proteggere ciò che contiene al suo interno e nei suoi meandri. E che costituisce il tesoro più raro e prezioso, per colui che li possiede é ne insieme proprietario e custode tutelare.

Ridurre un corpo, il proprio corpo in maniera simile equivale a un atto di eresia. E a maggior ragione se si é guerrieri. Perché manifesta la propria intenzione ed il fermo proposito di rinnegare, rigettare, rifiutare e vomitare fuori da sé tutti i principi con cui loro tutti loro sono cresciuti. E in cui essi credono.

I principi in cui uno di loro, ognuno tra loro credono. In cui e a cui dovrebbero credere. Fermamente e ciecamente.

Precetti e concetti nobili trattati come immondizia. E sputati e rigurgitati fuori da sé come il peggiore ed il più immondo dei veleni, anziché venire tramandato.

Zed aveva sempre disprezzato ed irriso tutto questo. E quelle scritte costituivano la massima espressione ed esaltazione della sua lucida follia. Come i quadri di un artista che ad un certo punto sbrocca e va fuori di testa, partendo definitivamente e senza alcun rimedio per la tangente.

Due serie di lettere messe in verticale ad altezza bicipiti. Scolpite linea dopo linea dai suoi artigli efferati e dalla sua volontà malsana e distorta, e poi ricoperte di vernice bianca e indelebile per poter rimanere fissate e mantenute lì sopra in eterno, a crudele quanto malvagio monito.

Magari era arrivato pure a mettersela quando ancora stavano sanguinando, persino.

Due scritte verticali sulle braccia, il cui senso di lettura scorreva dall'alto verso il basso. E adeguatamente replicate e miniaturizzate qualche spanna più sotto, tra una nocca e l'altra.

Queste ultime in versione più piccola e messe stavolta per orizzontale, ma pressoché identiche nella forma e nel contenuto. E nel messaggio che vogliono lasciare ed imprimere a chiunque le legga.

Un chiaro avviso al malcapitato di turno che se le ritrova davanti.

DEATH.

DESTRUCTION.

Morte. E Distruzione. La prima sulla parte sinistra, la seconda su quella destra.

Due termini inconfondibili ed incontrovertibili. Che più che vocaboli sono e rappresentano una dichiarazione d'intenti. Una sentenza.

Una sentenza con relativa condanna. Entrambe già scritte e promulgate. E senza che vi fosse o che vi potesse essere possibilità alcuna di scampo, di rinvio, di prescrizione o di appello a riguardo.

E adesso...adesso era giunta l'ora.

Era giunto il momento. Il momento tanto atteso e sospirato.

Il momento di eseguire la sentenza. Di dare il via alla condanna capitale.

E di dare a lui il compito principale.

A lui, che aveva sempre avuto nient'altro che il ruolo di mediocre comparsa, e nulla più.

Nient'altro che un'inutile ed accessoria comparsa, gli era toccato di fare. Nel mezzo di tutto quell'assurdo quanto tragicomico miscuglio di commedia incrociata col dramma. Che tutto quanto il cibo per vermi osava ed aveva l'ardire di chiamare e definire vita.

Le carogne e le carcasse deambulanti su di un paio di esili e rachitiche zampe che talvolta involontariamente ma sempre malauguratamente gli capitava di incrociare. E che era solito paragonare grossomodo a fango o a sterco che osava imbrattare il glorioso sentiero del suo destino.

Perché quello erano.

Carcasse. Carogne. Cibo per vermi. Il prodotto finito di cui ognuno di loro non faceva altro che costituire la materia prima.

E lui, Zed, si ricordava di aver personalmente contribuito a fornirne un sacco, di quella materia prima...

In dosi che non si poteva certo evitare od esitare a definire generose, abbondanti e munifiche.

A quello servivano. E non erano utili se non quando eran morti. E avevano pure il fegato e lo stomaco di chiamare e definire tutto questo schifo come vita.

Certo che avevano proprio un bel coraggio.

Beh, se non altro aveva provveduto a contribuire alla causa. E tutte le volte che aveva fatto ciò...aveva anche ricordato alla vittima e malcapitato di turno quale doveva essere il suo posto, il suo vero posto nel mondo. E nell'ordine delle cose.

Cibo per vermi, appunto. Per, larve, insetti, scarafaggi e lombrichi. E tutto ciò che compone la schifosa popolazione atta a restituire alla terra ciò che non serve e non occorre più.

Che non é mai servito, in realtà. Perché la maggior parte degli esseri che si permettevano di occupare, invadere ed usurpare il suo spazio vitale non erano degni di farlo.

Non servivano a nulla, gli altri. Perciò non avevano e non potevano rivendicare alcun diritto di esserci, su questo mondo e su questo piano dell'esistenza. Tantomeno di starci. Se non...

Se non come cibo per vermi. Ma su cui i vermi non potevano operare o agire direttamente, però.

Occorreva un tramite. Un mediatore. Qualcuno che agisse e che operasse sui corpi, in modo da renderglieli lavorabili. E appetibili. In modo che potessero finalmente disporre.

Qualcuno che li privasse per sempre del movimento, della parola e della scintilla della vita.

Solo così, solo in tal modo avrebbero potuto fruirne.

E toccava a lui.

A lui! A lui a cui tutti avevano voluto negare la parte più importante dello spettacolo.

A lui, che aveva finito con l'essere relegato ad interpretare il personaggio più superfluo ed ininfluente di tutto quel grottesco show. E non certo per mancanze o negligenza o demerito suo, ma piuttosto per precisa colpa e responsabilità d'altri.

O per lo meno era così che lui la vedeva. E tanto bastava.

Tanto gli bastava. Perché sia la sua parola che il suo pensiero, così come ogni suo gesto, erano da considerarsi legge.

Lui, il grande Zed!!

Quello di cui nessuno si ricorda. Quello che non torna dopo la fine ed il termine della recita per fare e ricevere il bis e poi anche il tris di applausi.

Quello che non rimane nemmeno nel mucchio sparso di coloro che compongono la troupe o la crew, a beccarsi almeno la loro misera fetta e briciola di ovazioni destinate in genere alle star.

E invece...indovinate un po', gente. Qui abbiamo una novità.

Sorpresa delle sorprese...in quel ruolo infame che gli avevano affibbiato aveva scoperto di starci da favola.

Ci si trovava e ci sguazzava che era una meraviglia, a dispetto dei pronostici.

Persino dei suoi.

Mai. Mai e poi mai e poi ancora mai lo avrebbe potuto immaginare. Di riuscire e riuscirci così bene.

Di sapersi calare in modo così magnifico in un ruolo in cui intimamente, almeno all'inizio, sentiva e credeva di non essere assolutamente tagliato.

Il ruolo che nessuno voleva fare. E che gli avevano scarrozzato, scaricato ed affibbiato proprio perché nessuno voleva e se la sentiva di volerlo fare.

In quel ruolo lui aveva trovato il suo posto. Perché era quello, il suo posto. Ed erano piuttosto gli altri, a non sapere invece quale fosse il loro.

Glielo avrebbe insegnato e fatto scoprire lui. E ben presto, anche.

Era il suo destino. E mediante esso avrebbe fatto rivelare quello di tutti.

Avrebbe potuto, doveva primeggiare. Ad ogni costo. Ma non era andata così, però.

Lo avevano fatto finire come ultimo tra gli ultimi.E lui, da lì dove si trovava...avrebbe fatto finire tutti ancora più sotto, dato che non gli avevano permesso di stare sopra.

Nessuno voleva fare ciò che faceva lui? Bene. Benissimo, anzi.

Voleva dire che lo avrebbe fatto meglio di chiunque altro. E che lo avrebbe fatto come nessun altro al mondo.

Né prima né dopo di lui. E nemmeno durante.

Avrebbe dovuto diventare Re. Monarca. Imperatore.

Era scritto nelle stelle. E nel suo sangue. Ma gli avevano detto di no, a tutto quel che gli spettava di diritto.

Avevano distorto tutto per rivolgerlo a loro favore e vantaggio. E lo avevano sbattuto a compiere e svolgere la mansione più infame.

Peggio dello scudiero, del garzone e del guardiano delle stalle.

Schernito, odiato, sbeffeggiato, insultato e deriso da tutti. E persino malmenato e picchiato, certe volte.

Perché non lo sopportavano. E lo detestavano con tutte le loro forze. Eppure, avevano bisogno di lui.

Serviva. Era necessario. E la sua presenza ricordava che, in fin dei conti, aveva il diritto di vita e di morte sul resto delle genti.

Perché era sì il sovrano, a condannare e a emettere la sentenza di morte e di esecuzione. Ma sarebbe stato lui, a metterla in atto e a eseguirla.

E sarebbe stato il suo, l'ultimo muso che il condannato avrebbe visto prima di morire.

Giusto l'attimo che precedeva il crepare ed il tirare le cuoia.

E lo avrebbero visto, eccome. Perché lui non avrebbe messo maschera o cappuccio a coprirne i lineamenti.

Non aveva bisogno di nascondersi. Non temeva ritorsioni o vendette da parte di amici o parenti del povero idiota che subiva il supplizio.

Se soltanto ci avessero provato...li avrebbe spediti a fargli debita compagnia. Ed in men che non si dicesse.

Lui non se ne vergognava. Ne era orgoglioso, piuttosto. Perché era il migliore in ciò che faceva, anche se quel che faceva era da considerarsi tutt'altro che piacevole.

Ma a lui piaceva. Piaceva un sacco. Ne godeva. Di ogni uccisione.

Era il suo lavoro. Il lavoro della sua vita.

Quale, ci si chiede?

Il boia. Ecco quale.

Quello che cala l'ascia e la scure. Che preme il grilletto della sparachiodi ad aria compressa. La leva per riversare le tensione della corrente nella sedia elettrica. Il rubinetto che rilascia il gas mortale. O il pulsante che inietta il liquido letale.

L'ascia che lascia la scia. Di sangue. O lo spuntone che trapassa il cranio da parte a parte.

Prima lì. E poi il secondo direttamente nel cuore, se si fallisce. E se il condannato ha la fortuna di sopravvivere.

Non é così facile uccidere un individuo tramite penetrazione di stampo balistico alla testa.

Non come sembra o appare, almeno.

Il più delle volte il proiettile scivola lungo la parte superiore del cervello senza toccarlo. E si finisce col tramortire il suo proprietario e basta. Anche se é fin troppo chiaro che, da quel momento in poi, mai più recupererà o gli si potrà restituire lucidità e coscienza.

Rimane intontito. E quando gli si buca il muscolo cardiaco, a momenti neanche se ne accorge.

Che peccato. Un gran peccato.

Deve sentirla, la morte. Deve sentirla, mentre invade il suo corpo e ghermisce ogni sua singola cellula e tessuto fino a spegnerlo! Fino a rubargli l'ultimo respiro e l'ultimo battito per poi lasciarlo così, immobile ed immoto, mentre fuoriesce per far ritorno al suo regno dopo avergli sottratto e strappato l'anima!!

Nel paese dei dannati. Nel luogo dell'eterno dolore e dell'eterna sofferenza.

Il luogo dove si augurava che fosse finito il suo vecchio.

Tanto, presto o tardi...sarebbero finiti tutti lì, i mucchi di cibo per vermi ambulanti che lo circondavano e che stazionavano indebitamente sul suo stesso pianeta.

E ce li avrebbe fatti finire tutti lui, uno dopo l'altro. Uno ad uno.

Pezzo dopo pezzo, e brandello dopo brandello.

Si era già perso e trastullato abbastanza, in quei foschi quanto piacevoli pensieri.

Rivolse lo sguardo e l'occhio ancora buono verso il mucchio di cibo per vermi a forma di leopardo nebuloso che stava alla sua sinistra.

Crusher lo stava guardando a sua volta. Stava come in attesa. Persino col fiato e con la parola. E con i flaccidi muscoli che componevano gran parte del suo corpo, obeso oltremisura.

Non ce la faceva ad emettere nemmeno un verso. Neppure un singulto.

Tremava, questo sì. Come e peggio di una foglia o di un budino. Ma cercava di controllare persino quei movimenti involontari, se pur malamente e con scarsi risultati.

Era palese che almeno in quello non ce la stesse facendo. Ma cercava comunque di fare del suo meglio.

Era come...sospeso. Si era messo in pausa da solo, in attesa febbrile e spasmodica di un suo minimo cenno o detto. Come se da quello dipendesse la sua vita.

Perché era così. Dipendeva la sua vita, dal prossimo gesto e dalla prossima parola.

Ogni secondo, ogni istante di più ed in più di quel suo malcelato silenzio era da considerarsi guadagnato.

Ma l'ultimo di quegli attimi dovette dilatarsi oltremodo ed oltremisura, a seconda del suo modesto quanto misero parere. Perché ad un certo punto, anche se si stava letteralmente squagliando e scogliendo dalla paura e dal terrore più puri e genuini, anche il suo vice dovette averne abbastanza.

Sì, alla lunga doveva essersi spazientito pure lui di quell'ostinato quanto reiterato silenzio e mutismo da parte de suo capo, alla faccia della proverbiale pazienza. E infatti si azzardò a compiere l'impensabile.

Aprì bocca. Per primo.

“E...ehm” gli fece, schiarendosi la voce.

Zed non smise di osservarlo.

“Ah – ehm...” bofonchiò il felino maculato.

“C – capo?!” aggiunse poi, balbettando vistosamente.

“Andiamo, Crusher” gli rispose la pantera. “E' l'ora.”

Sì. Era giunto.

Era giunto il tanto atteso quanto sospirato momento.

Era giunta l'ora, finalmente.

Era l'ora di calarla. Di calare impietosamente la mannaia sulle teste. E di farle saltare.

Tutte quante. Una dietro e dopo l'altra.

Il suo sport preferito. Il lavoro della sua vita. Ciò che lo realizzava, e lo faceva sentire completo.

Completo, sì. A differenza di tutti gli altri sacchi di cibo per vermi. Che dopo il suo fatale passaggio si ritrovavano tutti inesorabilmente divisi. Nel senso che finivano rigorosamente smembrati e a pezzi.

Ridotti a tanti, minuscoli, infinitesimali ed insignificanti pezzettini.

Insignificanti come lo erano state le loro vite.

Contavano nulla da vivi, contava o ancora meno da morti.

Almeno i vermi avrebbero avuto vita facile, insieme ad un compito e ad un'incombenza decisamente semplificate.

Lui era lì per quello, dopotutto.

Era per quel motivo, che stava al mondo. E adesso lo sapeva.

Lo aveva sempre saputo, dentro di sé.

“Vai” gli disse.

Poi sporse il monumentale braccio all'esterno del proprio finestrino, cacciandolo fuori fino alla spalla, in modo che fosse ben visibile anche agli occhi mezzi annebbiati degli altri imbecilli.

Alle pupille, alle cornee e ai ricettori resi parzialmente offuscati dall'ignoranza appartenenti alle altre sacche di cibo per vermi. Quelli che avevano deciso di seguirl...anzi, no.

Quelli a cui lui aveva concesso l'onore di farsi seguire. E che si trascinava appresso senza un reale motivo che non fosse quello di fare da pubblico, da paltea e da spettatori alle sue gesta.

Perché forse potessero narrarle e perché ne potessero cantare, un giorno.

Non che avesse poi questo gran bisogno di loro. In realtà non aveva nessun bisogno di loro,

L'unico che gli serviva era il sacco di cibo per vermi a forma di leopardo obeso che gli stava a fianco. Ma solo perché non gli andava e non gli era mai andato né di guidare, né di camminare.

Faceva e aveva sempre fatto tutto quanto da solo.

Non aveva mai condiviso niente con nessuno. Non lo aveva mai voluto fare, e neppure ci teneva a farlo. E la cosa valeva, era da sempre valsa sia per il lavoro, che per il piacere.

Il Re, il monarca, il sovrano, l'imperatore, la vera e autentica maestà...non lascia avanzi. Non spartisce, non divide col resto della gente appartenente al popolaccio infame.

Lui é di nobile stirpe e lignaggio. E gli altri non sono suoi sudditi, e neppure servi. Ma schiavi.

Schiavi. Questo sono. Pronti ad eseguire ogni suo comando, obbedire a ogni suo ordine e soddisfare ogni suo desiderio, e senza nemmeno poter contemplare o pensare l'eventualità o l'opzione di ribellarsi od opporsi.

Ma obbedire, eseguire e soddisfare non bastano. Occorre pure sacrificarsi, se il sovrano lo richiede.

Donare la propria vita, fosse anche solo per capriccio, e senza la benché minima esitazione. Ma pure con somma ed estrema gioia, anzi.

Alzò l'arto che aveva appena esposto portandolo verso il cielo, per poi riabbassarlo lentamente e con un movimento solenne che ricordava proprio il macabro strumento di morte che poco fa gli era balzato alla mente.

Una mente cresciuta e pasciuta con idee di morte, e che solo quelle era in grado di concepire.

Morte. E distruzione.

Proprio come le incisioni che si era fatto su nocche e bicipiti.

Il suo ritornello. Il suo tormentone. Il suo ormai rinomato marchio di fabbrica.

Sogghignò. Ad aver avuto una mannaia vera e reale tra le mani, avrebbe compiuto e dato vita ad un'esecuzione davvero perfetta, coi fiocchi e con tutti i dovuti quanto sacrosanti crismi.

Un colpo preparato e studiato sin nei più minimi particolari. Tirato con una lentezza mirata quanto esasperante, per fare in modo che il tragitto verso il ceppo e oltre il corpo, il collo e la testa della vittima duri il più a lungo possibile. Al punto che sembrerà non finire mai.

La lama che attraversa la pelliccia, e poi i primi strati di pelle e di cute direttamente più sotto. E poi il derma, il grasso protettivo. E poi i muscoli, le vene, le arterie, e la carne. E infine l'osso.

E quando arriva lì...il condannato smette di implorare e di supplicare e inizia direttamente a maledire.

Ma non il boia, no.

Maledice sé stesso, il malaugurato giorno in cui é nato e quella sventurata e disgraziata di sua madre che ha avuto la bella quanto sciagurata idea e trovata di metterlo al modo.

Di volerlo mettere a tuti costi al mondo, e al solo ed unico scopo di fargli passare tutto quel che stava passando.

Di fargli subire quell'inferno, prima di farlo finire direttamente all'inferno.

Un antipasto. Un piccolo, piccolissimo assaggio di inferno prima dell'inferno vero e proprio.

Quello autentico. Ma prima glielo si fa passare sulla Terra, o almeno nello sparuto e striminzito lasso di tempo e di permanenza che ancora gli rimane. Che in talmodo finirà per giudicare sempre troppo.

Lentamente, senza fretta alcuna.

Centimetro dopo centimetro. Millimetro dopo millimetro. E chi se lo sta beccando...può solo pregare, sperare ed augurarsi che finisca presto.

Che raggiunga presto il ceppo. E che vada in fretta dall'altra parte.

Non può fare altro. Ma non che serva.

Perché é colui che comanda colui che controlla, colui che gestisce il patibolo a dettare le leggi e i comandamenti.

Si gioca secondo le sue regole, lì. E' il suo regno, e la vita di chi vi entra ormai la possiede lui.

Non appartiene a chi deve morire.

Non gli appartiene più.

Lentamente, sì. Per prolungare il più a lungo che sia possibile il dolore ed insieme il piacere.

Il dolore, la paura e la sofferenza da parte di chi riceve. E il godimento, il piacere, il divertimento, l'euforia e la libidine da parte di chi dà.

E la sofferenza...non si spreca. Non va mai sprecata.

Così la pensa Zed.

Questo é ciò che ritiene giusto. Questo é quel che lui sostiene da sempre.

Il braccio rientrò nell'abitacolo. E i motori, col loro incessante romabo, aumentarono sia di volume che di intensità.

Fino ad adesso, per quanto rumoroso, al confronto non era stato che un digrignare di denti.

Un borbottare sommesso che mutò e che si tramutò in un boato a dir poco fragoroso. Paragonabile solo a quello che lo accompagnò.

I veicoli urlarono. Quasi quanto chi vi stava a bordo.

L'attimo dopo, partirono tutti quanti insieme.

Era iniziata.

Era iniziata quella che si prospettava una gran bella serata.

Magnifica. Di botti, di lazzi e di divertimenti.

Almeno per loro.

Una notte di sangue e di massacri. Di fuoco e fiamme. Di lacrime, di lutto e di morte.

Per Zed.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sempre notte.

Notte fonda e buio pesto.

Stavano viaggiando schierati a cuneo, con il pick – up occupato dalla pantera nera e guidato dal leopardo nebuloso piazzato in testa e davanti a tutti, a costituire la punta.

Completavano il tutto altri due sui lati e un poco più indietro. E gli altri due ancora più sui lati e ancora più indietro.

Di nuovo. Proprio come allora. Proprio come la scorsa volta.

Come la parte terminale ed acuminata di una freccia. Di una cartuccia di sparadardi. O di una picca. O di una lancia. Oppure di un proiettile, sempre ammesso e concesso che ne esistano e che se ne vedano davvero in giro.

Nel modo reale, e non solo nei romanzi di fantascienza.

Ma il progresso é sempre più inevitabile, e procede a ritmi sempre più serrati e vertiginosi.

Presto le cartucce delle armi non avranno più bisogno di contenere un liquido per essere efficaci, di qualunque genere esso sia o possa essere. Soporifero o letale.

C'era da poterne essere sicuri, più che sicuri, e scommettere che nel futuro avrebbero potuto contare unicamente sulla loro potenza dirompente e perforante, per uccidere.

In modo da minimizzare i costi e aumentare così sia la produzione che la vendità. Nonché la circolazione su vasta scala.

Quei dardi letali, o come diamine si chiamavano, di cui si sentiva vociferare in giro da un po' di tempo e che tanti danni stavano creando nella grande metropoli mammifera...non erano che da considerarsi il canto del cigno, in tal senso.

L'ultimo, finale atto per quel genere di armamenti. Che lo sviluppo tecnologico e bellico avrebbero ben presto reso obsoleti. Sorpassati. E quindi, di fatto, inutili.

Totalmente inutili.

Inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili, inutili.

Solo una cosa non passava mai di moda e d'uso.

La forza. E di quella, il loro capo ne aveva da vendere.

Procedevano come la punta di una freccia. Di una picca. Di una lancia. Di una spada. Di un dardo. Di un proiettile. E persino di un missile o di una testata ad ampio raggio.

Armata a carico e contenuto chimico, batteriologico o nucleare.

Non importava. Non faceva alcuna differenza.

A cuneo. E a fari rigorosamente spenti, per di più.

Secondo quanto l'ormai collaudata e consolidata prassi richiedeva. E nel pieno quanto timoroso rispetto dei dettami, dei comandamenti e degli ordini imposti dal loro grande capo.

Accenderli solo quando si é in prossimità del bersaglio, e giusto l'attimo che precedeva l'arrivo a destinazione. Non un solo istante prima.

Per non dare nell'occhio, principalmente. Ma anche per sorprendere. Per spaventare. E per disorientare.

Per dare l'impressione di incombere sulla vittima designata, e di piombargli addosso da un momento all'altro. E quando meno se l'aspetta.

Proprio come facevano, come farebbero, come fanno i predatori con le loro prede.

Sempre ammesso e concesso che qualcuno lo faccia ancora adesso. Ma di sicuro era ciò che facevano in passato, e questo era assolutamente fuori discussione.

Sicuro come l'oro, che facevano così così. Fine della storia.

Loro facevano così. Era quel che facevano i predatori. Ed in tal proposito...

La maggior parte di loro lo era.

Quasi tutti, volendo precisare. E perciò perfettamente a loro agio, immersi nelle tenebre. E perfettamente in grado di muoversi, anche danetro a quelle più fitte.

Potevano quindi procedere benissimo e a meraviglia anche i quelle condizioni ed in quella maniera così scriteriata e pericolosa senza alcun bisogno o ausilio di fanali di sorta.

Anabbaglianti, abbaglianti o persino antinebbia che fossero.

Anche se non vi era nebbia, quella sera.

Per sfidare la sorte. E poi la morte. La mietitrice implacabile stessa.

Guidare a fari spenti nella note più profonda, per vedere se in fondo é poi così tanto difficile andare a schiantarsi.

Tu chiamale emozioni, se vuoi. Se ti pare. Se é così, che ti pare.

Schiantarsi. E magari crepare. Anche se in realtà la cosa, nel caso fosse accaduta sul serio e per davvero, sarebbe stata da considerarsi valida soltanto per gli altri.

Per chiunque altro, ad eccezione di loro. Perché tanto i loro mezzi erano rinforzati e corazzati, e non soltanto nei punti giusti ma su tutta quanta la superficie disponibile ed esposta.

Non erano invulnerabili, questo no.

Non lo erano a differenza di chi li stava conducendo in missione. Ma poco ci mancava.

Quando la carne, unita alla volontà di chi la muove e la possiede, riesce a superare persino l'acciaio.

Persino il diamante.

Che ci provassero, a pararsi davanti. Se qualcuno avesse osato farlo...beh, tanto peggio per lui.

L'avrebbero sbalzato fuori dalla strada e dalla carreggiata col solo urto, facendolo volare giù dalla scarpata per poi ridurre la vettura ad un cumulo di lamiere contorte a furia di rotoloni su rotoloni.

Non c'era da provar pena, o pietà per chi schiattava. Non erano altro che incidenti di percorso, sia in senso metaforico che nel vero senso della parola, se avessero davvero finito per incocciare contro a qualcosa. O contro qualcuno.

Meglio i secondi, senza dubbio alcuno. E infatti Zed ci sperava, in uno scontro di quelli belli grossi.

Peccato solo che non ci fosse quasi mai nessuno, in giro a quell'ora così tarda.

Ma non si sa mai. Non si può mai sapere.

La speranza é l'ultima a morire, da sempre. Così come la fortuna non aiuta gli audaci, ma i forti.

Non si può scofiggere chi é più forte di te col solo coraggio.

E loro erano forti. Potenti. Inarrestabili.

Lui lo era. Era aveva reso così chi gli andava dietro, temprandolo adeguatamente.

Nulla poteva fermarli. Più niente e nessuno.

Gli altri, tutti gli altri erano incidenti di percorso, comesi diceva. Sassolini su cui inavvertitamente si inciampa.

Era il destino a consegnarglieli, a darglieli in mano. E quindi non erano meritevoli di eventuali scrupoli o rimorsi di coscienza.

Se li incontravano, se avavno la sfortuna di incontrarli...voleva dire che era semplicemente giunta la loro ora. L'ora di lasciare questo mondo, e di abbandonare ogni velleità e speranza.

Per sempre.

Sassolini. Danni collaterali.

Cibo per vermi.

Sempre lì. E' sempre lì, che si torna. Coi pensieri e coi concetti.

Sporse il braccio destro fuori dal finestrino.

Di nuovo. Proprio come allora. Proprio come la volta scorsa.

Proprio come ed uguale a quanto aveva fatto la volta precedente, quando se n'erano andati via da Haunted Creek. Graziando inaspettatamente i loro avversari designati.

Il terzetto di idioti che avevano deciso e stabilito di frapporsi tra il loro arrivo ed i loro intenti. Che guarda caso coincidevano, visto e constatato che erano proprio per loro tre che erano giunti fino a quella sorta di discarica guarnita con un ammasso di catapecchie messo a degno contorno.

Per quei tre. Tutto per quei tre. Per uno, in particolare. Eppure...

Eppure quelle volta il boia aveva deciso inspiegabilmente di rimandare l'esecuzione. Ma solo per prolungare un po', ancora per un altro poco, sia la sofferenza che il divertimento.

La prima senza dubbio per loro. Mentre la seconda, con ancor meno dubbi...senz'altro per lui.

Proprio come tre giorni addietro. Che tra poco e non molto sarebbero stati in procinto di scoccare. Almeno secondo quanto stabilito da quel vecchio, scemo editto che aveva stabilito un fesso altrettanto vecchio e ormai schiattato da un bel pezzo.

Di nuovo. Proprio come allora.

Proprio come la scorsa volta, si diceva. Ma questa volta...questa volta era tempo.

Tempo di andare sino in fondo. E di non fermarsi più.

Lasciò scorrere le fronde ed il fogliame ancora per un poco, tra la sue nocche e le sue falangi. Poi decise di serrarle e di rinchiuderle di scatto.

Ritirò il braccio. E dopo esserselo portato all'altezza del muso lo riaprì, giusto per vedere cosa vi fosse rimasto tra le sue dita, i polpastrelli, gli artigli ed il palmo messo lì ad unire, collegare e far funzionare più o meno degnamente e decorosamente il tutto.

Voleva vedere a quale parte, porzione e pezzo della pianta che aveva sfiorato la sua mano era toccato. A chi é che, almeno secondo quanto la sorte aveva deciso, fosse toccato di dover morire per quella sera. E per quella notte.

Alcune foglie. E dei pezzettini di ramoscello.

Decisamente insoddisfacente, come raccolto e messe. Alquanto.

Un'annata scarsa. C'era bisogno di scorte decisamente più grosse. E quando i campi e le colture non danno le adeguate quanto attese soddisfazioni...é tempo di passare direttamente alla selvaggina.

Tempo di passare alla caccia.

Tempo di arringare la folla. E i caricare a dovere i suoi.

I sacchi di cibo per vermi che gli stavano dietro. E a fianco, anche se opportunamente arretrati.

Poiché nessuno, e va sottolineato a punta grossa NESSUNO, doveva avere il fegato e l'ardire di osare stargli davanti. E neppure alla stessa altezza, o sulla medesima linea.

Lui doveva stare davanti a tutti.

Tempo di accattivarsi la folla con torce e forconi, dunque. Perché come diceva di consueto un tale, un altro sacco di cibo per vermi che se non ricordava male tempo fa ed addietro avevano eletto sindaco, laggiù nella grande città...

La folla é femmina. Bisogna ricordarselo. Sempre.

Questo era il suo motto. La frase celebre di quel tizio. Ma lui, Zed, aveva deciso di apporre delle modifiche, a quella massima.

C'erano delle parti che non andavano bene. Che non gli andavano per niente bene. E aveva quindi stabilito di apporre di apporre delle variazioni e delle modifiche.

Di rivederla. Di revisionarla. Di correggerla. Di reinterpretarla. In modo da migliorarla.

La folla é femmina. Ok, ci sta. Ma lui non l'avrebbe mai trattata da principessa o da regina in modo da diventare il Re. Perché semplicemente lo era già.

La folla é femmina. E quindi é sottomessa, deve stare sotto al volere e alla volontà del maschio. Soprattutto a quello alfa. Che deve sentirsi libero di trattarla come gli pare.

Di picchiarla quando ne ha voglia, tutte le volte che ne ha voglia. E di cacciarla fuori dalle mura della propria casa per poi tenerla al freddo, sulla soglia e sull'uscio, a implorarlo di riaprire e di farla entrare perché sta battendo i denti e sta congelando.

Così. Anche senza un motivo o una ragione particolari se non quella di sfogarsi su di lei solo perché non gli é capitato a tiro niente e nessuno di degno o di meglio.

Oppure per ribadire il proprio potere e controllo. Per farle capire ed infilargli in quella sua testa bacata, limitata e inferiore una nuova consapevolezza. O per ribadire un concetto già noto e conosciuto.

E cioé che deve aspettarselo. Deve sapere che quel che le sta capitando può capitarle in qualunque momento, e senza un perché.

Le capita perché se lo merita. Le accade solo quando se lo merita, il che vale a dire sempre.

Le accade solo per il fatto di esistere.

Le accade perché lui ha deciso. Perché lui si sente di farlo. Perché é giusto così.

Le accade perché lui é il suo signore e padrone, e quindi ha il diritto di farlo. E di disporre di lei come meglio crede e ritiene.

Deve farlo. E accettarlo. O lui la ucciderà. Perché é più forte di lei, e può fare di lei quel che vuole.

E quando se ne sarà sbarazzato, andrà in cerca di un'altra.

Tanto una di meno non fa alcuna differenza. Di femmine ce ne stanno finché se ne vuole, e sono persino troppe.

Meno ce ne sono, meno problemi ci sono.

Poggiò il braccio sopra al finestrino aperto, mettendolo per intero sulla fessura in cui si era nascosto e rintanato il piccolo parabrezza laterale. Forse persino lui inorridito e disgustato da quella pletora e sequela di immondi precetti.

Sembrava essersi proprio messo in testa di voler fare qualcosa. Se non fosse che il sacco di cibo per vermi che gli stava vicino e alla guida doveva avere pure lui qualcosa da dire e da aggiungere. Ancora.

“Ne...ne sei sicuro, capo?” Gli chiese, balbettando esitante.

“Di cosa?” Gli domandò di rimando Zed.

Non che ve ne fosse particolare bisogno. Aveva già capito, capito benissimo dov'é che il grassone e ciccione suo simile stesse andando a parare. E che domanda stava per fargli.

Ma prima che potesse aprire di nuovo quella sua larga e sgangherata bocciaccia, la pantera ritenne opportuno agggiungere una piccola considerazione.

“Non avresti dovuto chiedermelo” precisò. “No, proprio non avresti dovuto. Già la conosci, la risposta. Ti dovrei uccidere solo per avermela fatta, la domanda. Solo per averla pensata.”

Non lo avrebbe fatto. Non adesso. Non oggi. Non in quel momento. Ma gli piaceva.

Vedere sprigionarsi il suo terrore, che gli scorreva sotto la pelliccia velato e strisciante, lo divertiva e lo esaltava.

Lo eccitava, se così si poteva dire.

Come con le femmine. E ve ne sono tante al mondo, travestite pure sotto mentite spoglie maschili. E messe di fronte alla paura, quella vera, rivelavano la loro vera e più sincera natura.

La loro natura flaccida, molliccia e patetica. Debole.

Non bisogna aper forza uccidere e fare del male, come si diceva. Ma far capire che però si é in grado benissimo di farlo. Ed in qualunque momento.

Decise di lasciarlo parlare.

Glielo poteva concedere. Dopotutto il suo tributo in termini di tensione e spavento lo aveva pagato. E profumatamente, anche. Così come lui aveva provveduto a riscuotere.

Quel che é giusto é giusto. Le femmine le si può lasciar parlare, dopo averle pestate a dovere. Dopo che si é finito loro di massaggiare, aggiustare, mischiare e rompere ben bene le ossa. Anche se in realtà non si sta ascoltando una sola parola, di quel che dicono.

Quel che hanno da dire non interessa a nessuno. Non ha mai interessato nessuno.

Non ce la fanno. Non sono all'altezza del maschio. E comunque, tengano sempre presente di chiedere se possono prendere la parola, prima. E se gli é consentito di esprimere il loro parere e la propria opinione, da parte del loro padrone.

In caso contrario...si può ricominciare a muovere e a menare le mani. Anche subito. Il loro signore é lì che non aspetta altro. E che non chiede di meglio, o di più.

“S – sì. Scusa, capo” si schermì Crusher. “M – ma...ma quel che volevo sapere...era solo per sapere s – soltanto se...”

“Vieni al dunque, verme.”

“S – sì, capo. S – scusa ancora.”

“No, invece. Sappi che non ti scuso affatto. Ma continua.”

“T – ti ringrazio, capo. Ecco, i – io...insomma, ne sei davvero sicuro, capo?”

“Sicuro di che?”

Di nuovo un'aggiunta extra di paura, in omaggio. Era un vero godimento, starlo ad ascoltare.

Era uno spasso. Un autentico spasso. Sia da vedere che da sentire.

“Voglio dire...é davvero questo, ciò che vuoi? E' davvero necessario?”

“Cosa?”

“Q – quello...quello che hai deciso di fare, capo. E' davvero necessario andare fino in fondo, con quella gente?”

“Oh sì, che lo é. E ho atteso pure troppo. Avrei dovuto farlo già la volta scorsa, quasi tre giorni fa. Ma qualcosa e soprattutto qualcuno me l'hanno impedito. Ma direi che hanno approfittato fin troppo. Della mia pazienza e della mia indulgenza. Ma ora basta.”

“Basta” ribadì.

“O – ok” gli fece Crusher. “O – ogni tua parola é un ordine, capo. Per me e per gli altri, E lo sai.”

“M – ma...” obiettò subito dopo. “Ma lascia che ti chieda ancora una cosa. E – ecco...non é che per caso...voglio dire, non sarà un rischio troppo grosso, capo? Fino ad ora non abbiamo mai avuto problemi proprio perché abbiamo deciso di tenere un basso profilo. Nient'altro che lavoretti saltuari. Facili, veloci, con trattativa diretta e privata. E da cui era possibile sfilarsi nel giro di una manciata di secondi, alla bisogna e in base alla necessità. T – tu...tu stesso lo hai sempre detto! Ce lo hai sempre detto, che bisognava fare così! Che era la cosa giusta e migliore da fare, perché non dava troppo nell'occhio!! E...”

Si bloccò. E solo per aver nominato quella parola.

Occhio. Già da sola suonava come un avvertimento più che esplicito, oltre che a fare da involontario riferimento all'handicap esibito quasi di malavoglia dal suo boss. Che risultava pressoché impossibile da non notare, per quanto così smaccatamente risaltava.

E non ci pensò minimamente al fatto che, dopotutto, lui soffrisse dello stesso e medesimo tipo e genere di menomazione.

Se non peggiore. Visto che, in fin dei conti e alla fine della fiera, il suo capo un occhio dopotutto ce l'aveva ancora. Per quanto malandato, sbiadito, decolorato che fosse. Per non parlare delle ormai scarse, scarsissime diottrie di cui disponeva e su cui poteva contare.

Senza contare che...

Il suo avrebbe potuto essere un errore madornale quanto fatale, per la sua sorte.

Ma Zed, per sua fortuna e con suo enorme e gran sollievo, non ci fece il benché minimo caso a quell'affermazione. O semplicemente decise subitaneamente di non badarci e di non farci caso.

“Continua” disse, limitandosi semplicemente ad esortarlo. “Lo sai che odio chi si interrompe e si incarta da solo nei suoi stessi discorsi. Lo detesto.”

“No, proprio non lo sopporto” gli ribadì. “Và avanti.”

“E – ecco, capo...” proseguì Crusher. “E'...é perfettamente inutile che te lo dica, ma...”

“Tu dimmelo lo stesso. Spetta a me, decidere. Deciderò io se quel che dici é più inutile del solito o meno, chiaro?”

“S – sì, c – capo. Ecco...s – secondo me corriamo troppi rischi, a fare quel che tu hai in mente. S – se...se facciamo qualcosa di troppo grosso é la volta buona che finiamo nei guai. E se facciamo davvero il massacro che hai deciso tu...stavolta non é più roba buona solo per la polizia. E' la volta buona che intervengono pure i federali, o...o i governativi. E magari persino l'esercito! E' q – quella...quella é gente che non scherza, capo! M – ma soprattutto...é gente che non molla! Non molla più l'osso, una volta che ha fiutato la pista! Non ce li leveremo...quelli non ce li leveremo più di torno una volta che si saranno messi sulle nostre tracce, capo! E lo faranno, perché con quel che combinerai non si potranno più permettere...non potranno più fare finta di niente! Non dopo questo! Ci inseguiranno fino in capo al mondo! E non si fermeranno fino a che non ci avranno sbattuto in gattabuia, dietro alle sbarre! E con tutto quello che abbiamo fatto in passato, con tutti i capi d'accusa che ci pendono sulle spalle...ne abbiamo almeno per quattro ergastoli! A testa! Loro sono metà di mille, capo. E forse anche di più. Noi...noi siamo poco più di una ventina scarsa, tralasciando noi due! Cosa possiamo fare, in così pochi? C – che...che diavolo possiamo fare, noi? Me lo dici? Me lo dici, Z...”

Ammutolì di nuovo, tappandosi inorridito la bocca con una delle zampe superiori. Quasi a voler cancellare il peccato che mortale che aveva appena commesso.

Non lo aveva chiamato capo. E per poco lo stava chiamando pure per nome, e senza titolo onorifico.

A tal punto, stava per osare.

Ma Zed sorvolò e vi passò sopra pure stavolta.

Come già detto e adesso pure ripetuto...si stava divertendo e gli piaceva fin troppo, assistere a tutto questo.

Quel grosso e grasso barile ripieno di lardo denso ed adiposo misto a fifa blu e nera lo stava facendo letteralmente morire e scompisciare dal ridere.

“Dici che dopo che questa notte ucciderò e truciderò a mani nude, con queste mie stesse tutti quanti, laggiù...potrebbe essere la volta buona che intervenga qualche pezzo grosso, hm?” gli fece. “I federali o i governativi, dici? O magari pure l'esercito?”

Rivolse le proprie palme verso di sé e si concesse qualche attimo per osservarle, visibilmente compiaciuto.

“Bene, che vengano” dichiarò in modo sprezzante, e senza smettere un solo secondo di ammirare quelli che di fatto erano da considerare i suoi due strumenti di lavoro, pregiati quanto insostituibili.

Nonché armi, ovviamente. E del tipo più micidiale.

“Che vengano” ripeté. “Che vengano pure, quei vermi. Tanto, prima o poi...dovrò fronteggiare pure quelli. Sono pronto anche per loro. Li massacrerò uno dopo l'altro, tutti quanti. E distruggerò senza pietà chiunque mi sguinzaglieranno dietro.”

“E chissà...forse sarà l'occasione buona per trovare finalmente qualcuno alla mia altezza! Ah, ah, ah!!”

Rise di gusto.

“E allora?” aggiunse, rivolgendosi al guidatore. “Pensi che io non possa farcela, forse?”

“N – no...” lo rassicurò prontamente il leopardo. Anche se il tentativo con tutta probabilità era rivolto contro lui medesimo più che verso la pantera, dato che lì dentro era sicuramente lui il tizio che andava tranquillizzato. E non certo il suo comandante.

“A – assolutamente” chiarì. “I – io...credo che t – tu...che tu sia in grado di sconfiggere chiunque, capo. Io...io credo in te. Ho fiducia assoluta in te, nelle tue capacità e nella tua forza. Ti ho sempre visto all'opera, e s – so...so di cosa se capace. Se giuri o prometti q – qualcosa...so che prima o poi tu la mantieni, in un modo o nell'altro. Ma ti faccio presente...voglio farti presente che quel che tu vuoi fare non é quello che vuole...non é quel che desidera il nostro attuale cliente.”

“N – non sono...non sono questi, i patti, mi spiace” precisò. “E gli accordi tra noi e lui parlano fin troppo chiaro. Mister Carrington non vuole problemi. Vuole solo che sistemiamo lo sceriffo. Vuole solo la testa della volpe, e basta. Al massimo dei suoi aiutanti, se si mettono in mezzo.

“Sicuro. E così sarà. Mi ha chiesto la sua testa, e l'avrà.”

“S – sì, c – capo. M – ma...ma nulla di più. Nient'altro. Non vuole problemi. E non vuole che ci vadano di mezzo gli altri cittadini. Non ha alcun interesse a veder finire la città in fiamme, o messa a ferro e fuoco. E se poi lo vorrà fare per suo conto...questi sono affari suoi. Non ci riguarda.”

“Devo forse ripetertelo, Crusher? Quel maiale vuole la testa di quella volpe. Ed é così, che sarà. Poi gli darò in omaggio anche quelle degli altri due, indipendentemente dal fatto che decidano di impiacciarsi o meno. Avrà la pelle di tutte e tre, e senza sovrapprezzo. E dopo di loro, toccherà anche a tutti gli altri. Al resto di quel miserabile paese. Perché é così che ho deciso, che gli piaccia o meno. E che gli piaccia, oppure no.”

“Ho trattenuto represse e a freno la mia ira, la mia rabbia e il mio furore per troppo tempo” gli spiegò. “Davvero troppo, troppo, troppo tempo. E per troppo a lungo E non posso, non voglio più farlo oltre. Bisogna lasciar liberi i propri istinti, dopotutto. Liberi di sfogarsi, non trovi anche tu?”

“S – sì, c – capo. V – va b – bene” disse Crusher. “M – ma v – voglio ricordarti...ti volgio far presente c – che lui...lui...non ci paga per questo.”

“Non ci ha pagati per questo.” ribadì, replicando meccanicamente il concetto che aveva appena terminato di esprimere. E di far comprendere.

Senza risucirci, però. Almeno stando alla risposta che venne fuori e ne seguì.

“E anche se fosse...cosa cambia?” Controbatté Zed. “Cosa vuoi che mi importi? Non mi interessa nulla, di lui. O credi che quella vecchia ciabatta ripiena di lardo possa permettersi di dettare legge col sottoscritto solo preché é il padrone di tutta quanta la zona, e perché ci ha messo i suoi sporchi soldi per finanziare l'operazione? Io amo avere carta bianca, quando mi metto al lavoro. Perciò...si farà come ho stabilito io, punto e basta. E se quel sacco ripieno di cibo per vermi a forma di suino avrà qualcosa da dire o da obiettare, in proposito...beh, vorrà dire che sarà la volta buona che regolerò i conti anche con lui. E lo sistemerò una volta per tutte. Se non sta attento, ma molto attento...verrà il suo turno, dopo quel mucchio di bifolchi. Mi sono già stancato, di prendere ordini da quel grosso pezzo di idiota. Ne ho piene già le scatole.”

“Si fa come dico io” ripetè, pur con termini e parole leggermente diverse e differenti, anche se di eguale quanto identico principio. “E se hai intenzione di farmi cambiare idea...ti ricordo che contraddirmi una volta ti é già costato caro, Crusher. Molto caro.”

“Perciò rifletti” gli suggerì. “Riflettici bene, se hai intenzione di contraddirmi. Pensaci bene, se hai davvero intenzione di obiettare o di contestarmi qualcosa.”

“Forza, avanti” lo esortò. “Dimmi ancora che non dovrei farlo. Sappi che per me é un invito a nozze, non vedo l'ora. Però ti faccio presente che senza l'altro occhio poi guidi male.”

“Già senza un occhio guidi male” rincarò compiaciuto. “Con un occhio solo e di meno fai senz'altro una gran fatica a prescindere. E se per caso ti togliessi e decidessi di privarti anche di quell'altro...sarebbe ancora peggio, credimi.”

Chrusher si toccò istintivamente la parte orba del cranio.

Sfiorò la pezza nera con le dita, sospirando e indugiando nel punto in cui cominciava la cavità in cui una volta vi era un bulbo con tanto di umor vitreo ed umor acqueo, e di cui adesso ne era definitivamente ed irrimediabilmente priva.

Eccolo. Eccolo là, dunque. Il particolare terrificante ed agghiacciante che aveva preferito rigorosamente omettere poco prima, e su cui aveva sempre glissato.

Il macabro dettaglio su cui aveva sempre sorvolato. Almeno fino ad adesso.

Sino ad ora. E più che altro per evitare di incorrere in ulteriori ire da parte di colui che era da considerarsi il suo signore e padrone assoluto.

E cioé che era stato lui. Era stato Zed in persona, tempo addietro, a causargli quella ferita orrenda.

Quell'orrida quanto permanente menomazione.

Un danno irreparabile.

In genere sceglieva e prediligeva evitare persino il rimembrarlo o ricordarlo. E pure il solo e semplice pensarci o soffermarsi per un solo attimo con la propria mente. Fosse anche distrattamente, o involontariamente.

Un atteggiamento pienamente comprensibile e condivisibile, il suo. Come dargli torto o mettersi a deprecarlo o biasimarlo, del resto?

Non poteva né gli rimaneva di fare altro che non quello. Perché se soltato quella cosa gli riaffiorava all'interno e sulla superficie del suo cervello, gli sembrava di rivivere tutto quanto.

Era come ravvivare e riattizzare le fiamme di un'incendio, con tutto il carico di spaventose cicatrici, ustioni e piaghe che esso comporta e causa a chi gli rimane esposto per troppo a lungo.

Gli sembrava di sentire riaffiorare tutto d'un botto quel dolore sordo, continuo e pulsante.

Quel dolore atroce ed inenarrabile scoppiargli ed esplodergli dentro, per poi riversarsi fuori come una cascata.

Quella fitta spaventosa da ablazione senza anestesia praticata sul sedile operatorio di un dentista o di un odontotecnico pazzi furiosi. Nonché sadici e prennemente in fissa con la sofferenza inflitta ai loro inermi pazienti e clienti.

Pochi, senz'altro. Ed anche loro tendenti per intima natura ad un masochismo spiccato, per voler finire e rimanere in simili mani. Senza alcuna ombra di dubbio.

Quella fitta dovuta a quello strappo. A quella lacerazione così improvvisa e fulminea. E a dir poco brutale.

E poi il rumore. Quel rumore.

Lento, esasperante. Senza fine.

RRRIIIIPPPP.

Tirato e cavato via. In un sol colpo ed in una sola mossa.

Così. Come se niente fosse. E solo perché gli doveva essere girato di farlo, e basta.

Un gesto persino banale, nella sua naturalezza. Quasi quanto il dubbio che aveva osato sollevare, al punto che nemmeno se lo ricordava più.

Proprio una roba da niente, a giudicare dalla noncuranza con cui il suo capo l'aveva eseguita, quasi senza pensarci.

Di poco, pochissimo conto. Da nulla. Ma che aveva lasciato il segno, però. E non solo sul suo muso e sulla sua pelle.

Perché quello se lo ricordava benissimo, invece. Come se fosse fresca. Come se gliel'avesse fatta da neanche un minuto prima.

Perché quel che vine tracciato e scritto versando del sangue, rimane per sempre.

Qualcuno ha forse un'idea di quanto sangue esca, quando un occhio viene tolto e asportato di netto?

No, non se ne ha un'idea. Nemmeno la minima idea.

Ma grazie e per merito del suo capo...adesso Crusher ce l'aveva, l'idea.

Ce l'aveva eccome. E l'aveva imparato direttamente a suo scapito e sulla sua carne.

Zed notò una nuova scarica di profondo e cieco terrore, ed il termine cieco non era affatto casuale.

In ogni caso, non mancò di rimarcarlo.

“Uh, uh, uh...” ridacchiò. “Proprio come pensavo. Come braccio destro fai pena, Crusher. Fai davvero pietà. Ma come buffone che mi intrattiene e che mi diverte...non hai pari”

“Sei senza eguali, davvero” commentò. “Hai forse qualcos'altro da dire, in aggiunta?”

“N – no...” disse l'altro, rassegnato. “A – anzi...sono lieto. Sono contento di farti divertire, c – capo.”

“Bene” disse la pantera. “Vorrà dire che ti lascerò il tuo unico occhio ancor per un po'. Senza, alla velocità a cui stiamo andando, non rimarresti sulla carreggiata che per pochi secondi.”

“Sì, finiresti fuori starda nel giro di un attimo” continuò. “Ma se stai pensando che stia parlando di me, se é del sottoscritto che ti stai preoccupando...beh, ti informo che ti sbagli.”

“Ti stai sbagliando” ci tenne a sottolineare. “E di grosso, anche. Sei caduto in un madornale errore, se ti illudi che mi possa accadere qualcosa. E di te che sto parlando, piuttosto. E' a te, che mi riferisco. Lo dico solo per il tuo bene, non certo per il mio. Forse ritieni che ci ammazzeremmo entrambi, dopo un simile volo dentro al burrone qui di fianco. Ma se davvero sei convinto che potremmo morire ambedue...voglio che tu sappia che non é così. No, le cose non stanno affatto in questo modo. Moriresti solo tu. Sari solo tu a morire, Crusher. Perché il mio corpo é indistruttibile, e può resistere anche a una caduta del genere. Lo sai questo, non é vero?”

S – sì, c – capo. L – lo so.”

“Ottimo” gli fece Zed. “E adesso rallenta. Devo dire due paroline al branco di imbecilli che ci stanno qui intorno.”

Crusher obbedì. Il pick – up smorzò l'andatura, anche se di poco.

Di pochissimo, quanto bastò per portarsi ai lati delle altre due vetture che gli stavano vicino, quasi a contatto di fiancata.

Zed uscì per intero dal finestrino, in tutta quanta la sua possente ed enorme figura.

Si issò arrampicandosi agilmente sull'abitacolo, a dispetto sia della mole che della stazza.

Senza sforzo e quasi senza bisogno di tenersi aggrappato. In totale ed assoluto spregio al vento e all mulinare senza sosta alcuna da parte dell'aria causati dallo spostamento del veicolo, che procedeva ed avanzava spedito e a velocità pressoché folle. E che turbinavano intorno ad esso, impetuosi.

Pareva si muovesse dentro ad una sorta di bolla invisibile. Dentro alla quale la forza di gravità semplicemente non esisteva, e dove la fisica rispondeva a leggi tutte inedite quanto particolari.

Le sue.

Pazzesco, in una sola parola. Anche se erano già cinque, le parole utilizzate.

Raggiunse il cassone posteriore e si mise ritto in piedi, e constatò che la necessità di agganciarsi o attaccarsi da qualche parte con le mani continuava a non sentirla.

Non la percepiva minimamente, proprio come all'inizio.

Bene così. Ottimo, davvero. Anche perché la mani gli sarebbero servite per qualcosa d'altro, da lì a poco.

Usò infatti una di esse, la destra per la precisione, per alzarla al cielo.

“Voialtri!!” Gridò coprendo con la propria voce, cavernosa ma insieme possente, sia il rombo dei motori che quello del vento. “Statemi bene a sentire, razza di miserabile marmaglia. Vi é stato concesso un grande onore. Vi ho concesso un grande onore. Quello di entrare a far parte della mia banda, e di agire in mio nome. E quindi, il minimo che potete fare e di rispettare entrambi, facendo di tutto per dimostrarvi all'altezza di entrambi. E non c'é che un modo, a quanto ne so io. E io so. So sempre, quel che vi é da fare. Così come so sempre qual'é la cosa giusta da fare, e al momento giusto.”

Tutti gli altri rimasero in attesa, e con le orecchie ben spalancate.

Guai, a non farlo. Guai, a lasciarsi sfuggire qualcosa o il benché minimo dettaglio. Compreso il più piccolo ed insignificante.

Guai e sventura a loro, a tutti loro, se non avessero agito così. O se avessero fatto altrimenti, oppure il contrario o anche solo qualcosa di diverso dall'ordinario. E dall'ordinato.

“Il paese che sta davanti a noi” spiegò Zed. “Il posto dove stiamo per arrivare ora, e da dove siamo partiti tre giorni fa e e dove adesso stiamo per fare debito quanto dovuto ritorno, secondo quanto stabilito dal patto che io ho fatto...non si conquisterà da solo. Quindi...da voi, da tutti voi, non mi aspetto che il meglio. Il che vale a dire che siete liberi di fare del vostro peggio. Esigo, vi ordino che facciate del vostro peggio. Il peggio che vi viene in mente, e che riuscirete ad ideare. Fate in modo che la parte peggiore e più oscura di voi si sfoghi e si possa esprimere liberamente, come più gli aggrada. Avete tutto il resto della notte, per riuscirci. E vi do tempo fino all'alba.”

“Questo é il tempo che io, Zed, vi concedo” annunciò. “Noi siamo come demoni, ora. E pertanto ci spetta e ci aspetta un lavoro da demoni. Perché questo é ciò che fanno i demoni. Voglio che mi mostriate un animo degno di voi, e di me. Un animo nero come la pece e il più profondo degli inferni!!”

Alzarono tutti il braccio destro al suo indirizzo, urlando esaltati e trionfanti. E diventando una sola, squallida voce.

“SIIIIII'!!”

“Saccheggiate! Ammazzate! Bruciate! Abusate!!” Gridò ancora la pantera, ormai fuori controllo. “Siate voi stessi! Siate...HELL'S FANGS!!”

La gang urlò di nuovò, agitando il braccio verso il comandante per la seconda volta.

Zed, invece, quel braccio improvvisamente lo abbassò. E lo impiegò per battere ripetutamente e a più riprese sul tettuccio, arrivando fin quasi a sfondarlo.

L'impronta della dita rimase impressa sulla lamiera, dalla gran forza che ci aveva messo.

Crusher capì al volo e si spostò verso la direzione indicata dalle botte incessanti, ed il pick – up si spostò verso destra ed in direzione del mezzo che gli stava più in prossimità.

A bordo del suo cassone vi era una delle due donnole. Che a differenza sua stava facendo una gran fatica per rimanersene appiccicato e stabile lì dov'era e dove si trovava, senza volare e venire sbalzato via dall'aria corrente.

Zed, per contro, mosse un paio di passi verso di lui con tutta la calma e la naturalezza di questro mondo.

La donnola capì e si preparò a sentire quel che voleva, e a ricevere eventuali ordini.

Il grosso felino portò il suo muso sfregiato a pochissimi millimetri di distanza dal suo padiglione auricolare formato ridotto, tipoco di ogni mustelide. E tenuto ben basso e contro il pelo della nuca.

Un po' per l'aria, ma anche un po' per timore.

Soprattutto per timore.

“Ascoltami bene, idiota” gli fece lui, sussurrandogli direttamente nel timpano. “Ora ripeti con me.”

“C – come, c – capo?!” Gli biascicò il minuscolo predatore.

“Ripeti quel che dico io” insistette Zed. “Ripeti la mia frase. Le parole che dirò. Subito dopo di me, e vedi di non farmi attendere troppo. Giusto per vedere se hai capito bene.”

“O – ok.”

“Sai...non credo di aver capito, idiota.”

“S – sissignore.”

“Così va meglio. Dopo di me, ricorda. E vedi di non metterci un solo secondo di ritardo. E...sta attento a non sbagliare, mi raccomando.”

Zed si rivolse nuovamente verso gli altri.

“Ascoltate!!” Disse. “Perché questi sono i miei ordini. Brutalizzate tutte le femmine, grandi e piccole! Uccidete tutti i maschi, grandi e piccoli! E incendiate tutte le case, grandi e piccole! Questi sono gli ordini di Zed!!”

Di nuovo il braccio destro al cielo, seguito da un urlo possente. Compreso l'interrogato di turno.

Per la terza volta.

A quel punto, la pantera si girò verso il membro della gang che un attimo fa aveva direttamente e personalmente interpellato. E che adesso si trovava sotto esame.

“E adesso ripeti” gli comandò. “Per filo e per segno. Forza!!”

“Ehm...sì, sì” gli fece l'altro.

“Non credo di aver capito, idiota. E siamo già a due.”

“S – sissignore. A – agli ordini.”

“E allora comincia, su. Vedi di iniziare, una buona volta.”

Il piccolo predatore si schiarì la voce.

“Ah – ehm!!”

E cominciò.

“Questi sono gli ordini del nostro capo!!” ripeté, da bravo e diligente scolaretto. “Incendiate tutte le femmine, grandi e piccole! Uccidete tutte le case, grandi e piccole! E brutalizzate tutti i maschi, grandi e piccoli! Questi sono gli ordini del grande Zed!!”

Silenzio. Neppure colui che era stato appena nominato disse o aggiunse nulla.

Si limitò a guardare davanti a sé l'orizzonte che gi si estendeva senza confini, con un'espressione persa, emettendo un sospiro.

Poi allungò di scatto un braccio. Lo stesso che aveva prima alzato al cielo, e poi battuto sul tettuccio.

Afferrò la donnola per la gola, con una sola mano. E la sollevò.

Il poveretto si mise a sgambare e a scalciare come un forsennato, cercando di divincolarsi e di separare le nere dita che lo stavano stringendo e soffocando. Senza tuttavia riuscirci.

Un particolare che Zed non ritenne degno della benché minima considerazione, e che lo lasciò totalmente e completamente indifferente.

Un dettaglio infimo quanto trascurabile, da trattare con estrema freddeza e noncuranza.

Ignorò le sue ripetute pedate tirate all'aria. E in quanto alle suppliche...con la gola tenuta premuta, ben stretta e serrata era difficile stabilire se lo stesse implorando o meno. Se non del tutto impossibile.

Certo, c'era e rimaneva pur sempre lo sguardo. Ma per uno come lui...gli sguardi erano tutti identici.

Sia da vivi che da morti.

Per uno come lui erano tutti uguali, dato che il primo ad essere completamente inespressivo era il suo.

Lo lanciò, con un semplice e velocissimo gesto. Ma dalla gran forza, dato che lo fece atterrare parecchie decine di metri più avanti.

Giusto quel che bastava per investirlo. E tirarlo sotto.

Il poveretto fece appena a tempo a vedere la carovana venirgli addosso. La carovana di cui lui stesso faceva parte sino ad un secondo fa. Fino al secondo prima di venire cacciato.

In quanto all'urlare...no, per quello non ne ebbe proprio il tempo.

Il branco, su ordine preciso quanto tacito del maschio dominante, aveva deciso e stabilito di comune e silenzioso accordo di non riconoscerlo più. Di non ricordarsi più di lui, e nemmeno di chi fosse e di cosa fosse stato o avesse rappresentato per loro. Per tutti loro.

Sempre ammesso e concesso che avesse mai rappresentato qualcosa, o che ognuno di loro rappresentasse o contasse qualcosa per l'altro.

Non esisteva più. Aveva cessato di essere e di esistere nel momento in cui era stato buttato lontano, come un mucchio o un cumulo di rifiuti.

Ed infatti fu così, che finì. Fece proprio quella fine, pochi istanti dopo.

La fine di un rifiuto pressato.

Tutto quel che rimase di lui fu un rumore al passaggio del gruppo di bolidi. Nell'istante stesso in cui gli passarono sopra.

Un rumore di un pomodoro o di un caco schiacciati per terra. In quanto a ciò che vi rimase dopo...meglio ma molto meglio non indagare o indugiarvi sopra oltre, per il benessere del proprio stomaco o del proprio tratto digestivo. A maggior ragione se di natura particolarmente delicata.

Crusher tirò dritto senza fare una piega. Nononstante il suo fosse il veicolo di testa. Ed in quanto tale fu proprio il suo parabrezza a beccarsi gli schizzi di rosso quanto scuro sugo venoso.

Zed se ne tornò vicino all'abitacolo e, alcuni metri dopo, menò altri due gran pugni sul tettuccio allargando e rendendo se mai possibile ancora più profondo il solco che aveva generato in precedenza con una mossa non poi molto dissimile.

Ormai giusto una sottile, sottilissima listarella di lamiera separava il tutto del metallo con e nella sua continuità dalla formazione di un bel buco.

Messaggio recepito. Al volo.

Crusher pigiò con la zampa inferiore sul pedale del freno e mollò un'inchiodata lì dov'era e dove si trovava. E senza minimamente badare ad eventali o possibili conseguenze di quel suo gesto così istintivo quanto azzardato.

Conseguenze che non tardarono affatto ad arrivare.

Gli altri, presi ovviamente alla sprovvista ed in totale contropiede, non furono altrettanto lesti a frenare, a differenza del vice – capo. E nemmeno altrettanto stabili e saldi come invece fu il loro capo.

I veicoli furono sul punto di ribaltarsi e di cappottarsi da un momento all'altro. E parecchi tra gli occupanti vennero espulsi e sbalzati fuori dalle macchine, e volarono per strada.

Zed era l'unico. L'unico ed il solo, rimanere immune a tutto quel disastro. A quella sorta di caracollata così bizzarra da parer un incidente sfiorato.

Un incidente a cui era mancato giusto il maxi – tamponamento finale, per definirsi ed essere tale. E per concludere degnamente il tutto.

Zed era l'unico, ad esser rimasto in piedi ed al suo posto.

Tanto per cambiare, verrebbe da dire. Insieme ad un bel sai – che novità.

Ma infatti. E dove sarebbe l'anomalia, in tutto questo?

La pantera guardò dentro al vetrino rettangolare e dagli angoli arrotondati situato nel mezzo della parte posteriore dell'abitacolo.

Crusher vide i suoi occhiacci giallastri, di cui uno irrimediabilmente opaco, riflessi nello specchietto retrovisore posto a qualche spanna sopra alla parte centarle della plancia, e di nuovo comprese all'istante quel che voleva da lui. E che gli chiedeva.

Anzi, che gli ordinava.

Ingranò la retromarcia e passò sopra le povere e miserabili spoglie dell'ex – membro della gang, ormai sicuramente ridotto da una sfogliatina decisamente al sangue con ripieno di emoglobina.

Di nuovo quel raccapricciante rumore di spremitura.

Il pick – up si fermò. E poi ripartì, in avanti. E poi di nuovo andò in retromarcia.

Avanti e indietro, avanti e indietro. Più e più volte.

Tutte quelle che servirono e furono necessarie, e che il loro capo ritenne opportune.

Avanti e indietro. Avanti, e indietro. Finché non smise.

Finché quel rumore che faceva rizzare la pelliccia e gelare il sangue nelle vene a tutti non cessò.

A tutti tranne a voi – ben – sapete chi, volendo precisare.

Tanto per cambiare anche questo, va detto.

Zed, dall'alto del suo improvvisato ma tuttavia efficace podio, si mise a fissare i membri della banda che lentamente si rialzavano.

“Morte agli imbecilli” sentenziò. “Questa é la legge della mia banda. La legge che vige nel mio regno. E voi siete tutti miei sudditi. E schiavi.”

“Ricordatevelo” aggiunse. “Ricordatevelo bene. E tenetelo sempre a mente.”

Gli altri annuirono, osservando al sua figura con occhi sbarrati.

Un mormorio d'orrore a bassissima voce, quasi gutturale, si diffuse tra il gruppo mentre faceva mesto ritorno alle macchine.

Uno vomitò e diede di stomaco, ripensando alla scena che aveva visto e a cui aveva appena assistito. O forse era solo per paura. E un altro lo seguì a ruota, inarcandosi verso il basso, colto probabilmente da un riflesso incondizionato. O magari era semplice spirito di emulazione.

Chissà. Vai a sapere.

Anche Zed stava riflettendo su qualcosa, in quel momento. Mentre aspettava di ripartire, e si augurava che quel branco di deficienti non ci mettesse una vita e non lo facesse aspettare ed attendere troppo e più del dovuto.

Aveva ribadito, e proprio nel modo che preferiva e che piaceva a lui, il suo potere su tutti loro.

Il potere con cui li teneva legati ed incatenati a sé. Tutti quanti.

La paura. Non vi é piacere né potere più grande di quello.

Ne esistono altri, di sistemi. Ma nessuno era da considerarsi altrettanto efficace, a parer suo. E neanche gli dava la stessa gioia.

Avrebbe dovuto essere contento. Al settimo cielo.

Non poteva iniziare la missione in modo migliore.

Avrebbe dovuto sentirsi quantomeno...felice, no?

E invece non lo era.

Non lo era affatto. Non lo era proprio per niente.

Tolti lui e il suo fido lacché, adesso il numero dei fessi era diminuito, si era ridotto.

Era sceso a diciannove.

Diciannove. Un numero significativo.

Non era da escludere che in altri mondi ed universi il numero diciannove fosse un numero fortunato, e magari persino dotato di un grande potere.

Ma a lui non piaceva. Perché era dispari.

E a lui i nuomeri dispari no gli garbavano. Perché erano brutti.

Gli davano l'aria e l'impressione di qualcosa di raffazzonato, di incompleto. Di storto, di sbilenco e di estremamente sghembo.

Di qualcosa che non fila. E che non torna.

Per lui i numeri perfetti erano quelli pari. Perché si potevano dividere per due.

Come il corpo di un mammifero quando lo si prende e lo si afferra per le sue estemità, per poi tirare con forza.

Diciannove...no. Non gli piaceva.

Pazienza. Tanto, come aveva stabilito all'inizio, poco prima di partire e di mettersi in marcia ed in moto...a lui non importava.

Non gli fregava nulla. Non gli era mai fregato nulla, dell'aritmetica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sera.

La sera del terzo giorno. La sera della scadenza dell'ultimatum.

E ormai stava per finire, visto che mancava poco più di mezz'ora all'orario stabilito.

Lo stesso e medesimo orario in cui era avvenuto l'assalto con conseguente devastazione e distruzione della centrale di polizia locale con annesso commissariato.

Mancava poco più di mezz'ora, al loro arrivo.

Inoltre, si era decisamente da un'altra parte.

Perché anche loro due erano ben lontani dal luogo di ritrovo designato, dato che avevano deciso di anticiparli ed intercettarli lungo il percorso.

Comunque sarebbe andata, comunque andasse a finire...quegli animali non dovevano mettere assolutamente piede o zampa in città.

Non dovevano arrivare laggiù. Per nessun motivo. E ad ogni costo.

Erano certi, più che sicuri che sarebbero giunti da lì. Come la scorsa volta.

Perché é chiaro come l'inferno che un assassino non si presenta sulla soglia né bussa mai alla porta della tua casa per due volte con lo stesso nome.

Ma senz'altro torna sempre sul luogo del delitto, prima o poi. E passando pure per la stessa strada, per giunta.

Perché si sente sicuro, a quel punto. E pensa e crede di essere diventato inviincibile. Ed inafferrabile.

Nick e Maggie si trovavano a circa quattro miglia di distanza da Haunted Creek.

Lungo il breve tratto pianeggiante che di norma introduceva ed conduceva chi decideva di mettere piede nel ridente paesino fresco e appena recente di nomina.

La stessa strada di montagna che aveva accolto la volpe, la prima volta che aveva deciso di avventurarsi da quelle parti mentre era alle prese con un viaggio praticamente assurdo. Senza scopo e senza meta.

Per il semplice fatto che in realtà si trattava di una fuga.

Da una situazione, dalla disperazione, dai sensi di colpa e dai rimpianti e dai rimorsi che lo attanagliavano e perseguitavano. E non ultimo ma anzi prima di tutto...da sé stesso.

Da sé stesso e dalle proprie responsabilità. Quelle che aveva. O fossero anche soltanto quelle che pensava, che credeva o che riteneva di avere. O di dover avere.

Erano sufficienti. Bastavano ed avanzano.

Beh, fatto stava che quel posto all'apparenza così dimenticato, sia da Dio che dai mammiferi, glieli aveva saputi incredibilmente dare.

Sia una meta, che uno scopo. Almeno per il momento. Ed anche se provvisori, con tutta quanta la probabilità. E che nemmeno lo avrebbero dovuto riguardare direttamente o in prima persona, in fondo.

Sempre la stessa e medesima strada. E nulla pareva essere particolarmente mutato o cambiato,da allora.

Niente si era modificato, da quella volta.

Sempre la stessa strada. E sempre lo stesso ridente panorama che aveva saputo così deliziarlo, nell'ultimo tratto. Rendendolo ancora più depresso, avvilito e paranoico di quanto già non fosse.

Stesso silenzio. Stesso buio e tenebre fitte, e a malapena rischiarato dalla tenue e flebile luce lunare che osava penetrare attraverso le fronde degli alberi situati tutt'intorno sotto la forma di minuscole quanto striminziti steli luminosi.

Scie fioche ma tuttavia brillanti, con tonalità che spaziavano dal lattiginoso e caliginoso all'azzurrino pallido. In tutte le emaciate varianti, gamme e radiazioni possibili e che si potessero immaginare tra l'unione di due colori tanto smorti.

Stessa strada. Stesso bosco. Stesso posto. E pure stesso bar visto che tanto, la sera del suo arrivo, giusto lì era giunto.

Giusto fino all'abbeveratoio di quel rimbambito di Tobey aveva saputo arrivare, e non oltre. E con la sola intenzione di voler fare il pieno, da brava schiappa che si sentiva di essere.

Stessa strada, bosco, posto e bar. E persino gli stessi rami, così simili a braccia adunche e scheletriche ben pronte ad afferrare e ghermire la vittima o il malacapitato di passaggio.

E dunque, pure la stessa impressione. Perché era proprio quella la sensazione che gli avevano dato.

E che gli stavano dando tuttora.

Stava provando lo stesso, indentico sentimento di quando le aveva viste per la prima volta scorrere lungo il finestrino di sinistra della sua auto.

Il buon vecchio macinino di fiducia. Chissà come se la stava passando, a maricre ed arrugginire ancora di più sul fondo del Chingachcook River, dopo che quei due balordi ce lo avevano fatto finire dentro simulando un incidente talmente casuale da risultare finto pure ad un cieco.

Smarrimento. Ecco la parola chiave.

La vecchia carretta doveva essere spaesata esattemente come lo era il suo proprietario, anche se non ufficiale a termini di legge e di motorizzazione.

Smarriti. In preda alla sensazione di trovarsi in un posto non loro, e con cui non c'entravano nulla. Proprio come i cavoli a merenda.

Ma ora quello smarrimento Nick lo sapeva gestire. Aveva imparato a controllarlo.

Ed anche se non sarebbe passato mai, ed era pressoché impossibile guarirne...se non altro aveva cominciato a conviverci.

Era già qualcosa. Era già tanto.

Di più: era fin troppo. Era ben oltre quanto si potesse chiedere ed osasse pretendere, visto ciò che aveva combinato e quel che aveva sulla coscienza.

Merito di quel posto, senza dubbio.

Perché. Ecco la seconda parola chiave.

Nick, dopo la tragedia, era in cerca di perché. Aveva un mucchio di domande, a cui cercava e voleva dar risposte. E non avrebbe avuto pace fino a che non le avesse ottenute.

E quel posto, in tutto il suo carico di squallore e desolazione pressoché perenni, aveva saputo fornirgli entrambi.

Sia domande che risposte, ai suoi perché. Anche se forse non erano proprio quelli che cercava.

Si sarebbe accontentato, per ora. E in ogni caso, era giunta almeno l'ora di sdebitarsi. E di fare qualcosa per chi aveva fatto così tanto, per lui. Anche se in fondo...non é che gliel'avesse poi chiesto.

Non aveva mica cercato il suo aiuto, dopotutto. Però Haunted Creek glielo aveva dato ugualmente. Glielo aveva dato lo stesso.

Era decisamente arrivato il momento di contraccambiare, in qulache modo.

Dopo aver avuto, che lo si volesse oppure no, tocca sempre dare.

Comunque lì attorno nulla era cambiato, davvero. Così come nulla era cambiato un paio di sere prima. E così come nulla sarebbe cambiato quella sera, di sicuro.

Zed e i suoi erano passati da lì. E ancora una volta erano passati, subito dopo la loro vile scorribanda.

E se é vero che non ci sta mai il due senza il tre...sempre da lì sarebbero dovuti per forza passare.

Era da lì, che dovevano arrivare. Indipendentemente dal fatto che fossero partiti dal loro covo, sempre ammesso e concesso che ne avessero e che disponessero di un qualsivoglia quartier generale. O che avessero fatto sosta o meno alla cartiera, o addirittura alla villa di Carrington ad attendere e prendere nuove od ulteriori istruzioni o eventuali dettagli e ragguagli in aggiunta.

Era una questione di abitudini. E le buone abitudini su cui si basa e si fonda ogni routine che si rispetti non vanno mai cambiate o mofidicate.

Dopotutto, anche nella testa e nella mente in preda al caos di un paranoide schizzato c'é del metodo, seppur filtrato secondo una logica ed una maniera tutte sue quanto aberranti.

Anzi, spesso risultano essere i più puntigliosi ed inflessibili di tutti, specie quando si tratta di agire secondo schemi e routines ben collaudate e consolidate.

Era per forza da lì, che dovevano arrivare.

Nulla era davvero cambiato, dunque? Non proprio.

Le scorse volte agli alberi scheletrici era toccato di doversene rimanere a bocca asciutta. Ma questa volta...

La prossima volta quelle secche e mostruose appendici avrebbero avuto il trofeo, la ricompensa che sembravano continuamente bramare e reclamare, dal tanto che erano così grottescamente protesi.

Ma chi, tra i due contendenti?

Lui, oppure quel tanghero?

Nick o Zed?

Ancora non lo sapeva. Non poteva saperlo.

Madama la Morte non aveva ancora tirato a sorte.

Ancora non si era decisa, su quale biglietto col nome doveva estrarre.

Ma se tutto fosse filato liscio, se era destino che tutto andasse secondo i piani e secondo quanto prefissato, e se la fortuna gli avesse dato una mano...forse non sarebbe toccata a lui.

L'altra fanciulla, ovvero Damigella Fortuna, aveva accumulato un bel debito nei suoi confronti.

Gli aveva sempre portato via tutto.

Ogni cosa, e sempre senza mai tanti preamboli o complimenti. Persino quella che per lui era la più importante.

La più importante di tutte. E fra tutte.

E dopo tanto prendere...bisogna anche pur dare qualche volta. No?

Alle loro spalle si trovava il fido SUV d'ordinanza.

Quello realizzato su misura e modificato dal buon vecchio Flash. E direttamente dalla cricca e dalla crew di una certa e famigerata officina meccanica specializzata in tuning ed elaborazioni, su ordini del loro capoccia. Che altri non era se non il caro bradipo. Sempre stra – pieno di inventiva e di idee brillanti, almeno per quanto concerneva il suo lavoro e la sua principale passione. Ma per sua natura sin troppo lento, compassato e collassato per potersi mettere ad elaborare e modificare di suo pugno le vetture che gli venivano assegnate ed affidate.

Ma se non altro aveva dimostrato di possedere un buon fiuto, pressoché infallibile nella scelta dei colloboratori. Non a caso, visto che si era appena parlato della sua squadra, aveva saputo scegliere e circondarsi dei migliori, per comporre gli elementi che formavano e che avevano dato vita al suo team.

Il SUV della polizia locale. Il bottino di guerra richiesto da quel maniaco dal manto mezzo sbrindellato.

Col piffero che gliel'avrebbero lasciato.

Poteva scordarselo. Sia di prendere e di avere quello, che la cittadina.

Il macchinone era a motore spento per non generare rumori sospetti, ma ad abbaglianti accesi e spianati per dare il suo misero apporto e contributo ad illuminare e rischiarare quella zona così brulla ed aspra. A concreto rischio di esaurire la carica energetica della batteria, riducendola ai minimi termini. E pure storici.

Nessun pericolo. La batteria era praticamente nuova di pacca. Di carica ne aveva sicuramente da vendere.

In ogni caso, era quanto bastava per far notare ciò su cui i fari stavano puntando.

Un'enorme catasta di legna secca, ammontonata ed ammonticchiata sul ciglio e sul alto sinistro della strada.

Di recente, con tutta quanta la probabilità. Ma dall'utilizzo e dagli scopi ancora ignoti.

Di sicuro non per i due che erano presenti. Senza considerare che emanava una forte, fortissima fragranza di cariburante. E per giunta ad alto contenuto di ottani, visto quanto pungeva l'odore che stava tuttora penetrando all'interno delle loro narici.

A voler essere sinceri fino in fondo un po' di più in quelle della volpe, data la sua natura di predatore.

Dovevano averla innaffiata ed irrorata bene bene di benzina, gasolio o kerosene. In modo che potesse pigliar fuoco alla minima scintilla provocata. O ad una qualunque accensione di miccia generica.

Nick si stava guardando attorno mentre giocherellava con uno dei suoi piedi, sollevandolo per poi far finta di muovere un passo.

Maggie, invece, stava ferma. E lo stava osservando, in silenzio.

“Ne sei...ne sei proprio sicuro?” gli chiese con voce preoccupata, prendendo la parola qualche istante dopo. “Sei davvero sicuro di ciò che vuoi fare?”

“Più che sicuro” le rispose lui. “Sicurissimo. Al cento per cento. Ed ora và a prendere la tua postazione come prestabilito, agente Thompson. Secondo i miei calcoli, tra non molto arriveranno qui.”

Ecco. La solita litania, trita e ritrita.

Quell'AGENTE THOMPSON non lasciava spazio né addito a dubbi o equivoci.

Quando la chiamava col suo titolo e per cognome esteso invece che col suo nome e basta, voleva e stava a significare una cosa ed una soltanto. E cioé che doveva limitarsi ad obbedire senza poter minimamente fiatare, protestare o contestare.

E li aveva, i suoi ordini. Li aveva eccome. Il suo capitano aveva già provveduto a fornirglieli per filo e per segno, e con dovizia di dettagli e di particolari.

E per ogni ufficiale di polizia che si rispetti sulla faccia della terra...gli ordini, quando ci sono, non si discutono. Si eseguono.

Si eseguono, e basta.

Non aveva, non poteva avere alcuna voce in capitolo, a riguardo.

Sapeva già cosa fare. Lo sapeva, quel che c'era da fare e che avrebbe dovuto fare da lì a poco.

Ma già che c'era, mentre andava ad obbedire agli ordini in questione e ad eseguirli senza fiatare poteva concedersi ancora qualche tentativo.

Perché no, dopotutto? Poteva ancora provarci, a dissuaderlo.

“Ecco, per l'appunto” replicò. “Siamo...sei ancora in tempo, Nick. Riflettici.”

“Errore, mia cara” la corresse ironicamente la volpe. “Ti sbagli. E di grosso, anche. Non c'é più tempo, invece. Quel che é detto é detto, e quel che é fatto...sarà fatto, al momento giusto. E a tal proposito...credo che per te sia giunto il momento di andare.”

“Ora và, su” la esortò. “E ricordati che da un certo momento in poi dipenderà tutto quanto da te. La mia vita, e il destino di tutti gli abitanti di Haunted Creek saranno belle tue mani.”

“Già” ammise Maggie. “Ed é proprio questo, a spaventarmi tanto. Fossi in te non prenderei la situazione alla leggera come stai facendo. E soprattutto non me ne resterei così tranquillo.”

“Oh, e invece sono tranquillissimo, come puoi ben notare. Perché devi sapere che io...”

Si portò la mano ancora operativa a lato della bocca e di taglio, come a voler darle da capire che intendeva sussurrarle qualcosa all'orecchio.

Maggie istintivamente si abbassò, per sentire meglio.

“Più vicino” le disse Nick.

Maggie obbedì e si rannicchio ancora di più, riducendo al minimo la distanza.

“Io...mi fido di te” le bisbigliò lui. “Ma non dirlo a nessuno. Ad anima viva, intesi?”

“V – va...va bene” Fece lei, poco convinta.

Nick, a quella risposta, arretrò di qualche passo proprio mentre lei si rialzava.

“Capito, Maggie?” Aggiunse. “Io mi fido, di te. Non mi fido di altri che di te, sappilo. E ho scelto di non fidarmi di altri che non sia tu. Tienilo bene a mente, ragazza mia.”

“O – ok” rispose la daina. “Se lo dici tu. Ma visto che ci sei...mi potresti dire come diavolo fai ad essere così sicuro che la tua fiducia in me sia ben riposta?”

“Lo so e basta” tagliò corto Nick. “E tanto mi basta. E' una questione di fede, mia cara. Non sei abbastanza sicura da voler credere in te stessa? E allora, se proprio non vuoi credere in te...creci in me. Perché io credo in te.”

“E io credo proprio che mi stia venendo un gran bel mal di testa di quello con i fiocchi, a furia di starmene qui a sentire le tue elucubrazioni ed i tuoi arzigogoli mentali. Che, lasciatelo dire...sono davvero contorti, bello. Ma di brutto.”

“E' perchè ti vuoi ostinare ad usare l'approccio sbagliato. Non si tratta che di pura e semplice fede, te l'ho appena detto. Prova a sentire, invece di continuare a ragionarci e ad arrovellartici sopra senza alcun costrutto. Perché in realtà é molto semplice. Più semplice di quanto che tu possa immaginare.”

“In fondo non vi é nulla, di cosi complicato” provò a spiegarle. “Perché non c'é da capire, ma solo da credere. E riguardo all'affidarti la mia vita...sappi che in questo preciso momento non la potrei e non la vorrei affidare a nessun altri che te. A nessun altro, che non sia tu.”

“Davvero molto lusingata” replicò lei, abbozzando una sorta di inchino. “Se lo dici tu...”

“Lo dico, lo dico” le confermò lui. “Lo dico eccome.”

“Anche se, ora che mi ci fai pensare” si corresse subito dopo, alzando i suoi verdi occhi al cielo blu scuro e portandosi l'indice della mano sinistra sulla punta delle nere labbra, in modo assumere un atteggiamento pensoso e riflessivo.

O quantomeno, a volerlo simulare. Riuscendoci appieno, tra l'altro.

“Sì” proseguì. “A volerla dir tutta...ora che mi ci fai pensare ce ne sarebbe stata un'altra, di occasione simile.”

“Mph. Scommetto che anche in questo caso si debba trattare del tuo famoso e fantomatico MIGLIOR AGENTE DI POLIZIA DI TUTTA QUANTA ZOOTROPOLIS E DI TUTTI I TEMPI, dico bene?” Buttò lì Maggie, con evidente quanto malcelato sarcasmo.

“Dici bene.”

“Ook. E visto che ne stiamo parlando e abbiamo tirato in ballo l'argomento...vedi di essere così gentile da levarmi una curiosità. Scommetto quel che vuoi e che ti pare che anche la frase ad effetto che mia hai sciorinato e tirato fuori poco fa é farina del suo sacco, vero?”

“E'...é merito suo anche quello, dico bene?” Gli ribadì quasi con insistenza.

“Dici bene anche in questo” si limitò ad asserire Nick.

“Lo immaginavo” fece la vice. “Solo...solo mi domando se riuscirò ad essere come LEI, un giorno.”

Nick, a quelle parole, si girò di scatto a guardarla, come colto alla sprovvista.

Glielo si poteva leggere in faccia. Ciò che pensava, oltre al suo stupore e sbigottimento. Ed infatti fu proprio quel che Maggie fece.

 

Come lei.

Lei, ha detto.

Ha detto proprio così.

Lei.

LEI.

Ma che...ma come...come ha...

 

Provò a dissimulare anche stavolta. Non riuscendoci del tutto, però.

“C – cosa...cosa hai detto, scusa?!” Le fece.

“No...niente” gli rispose la vice. “Un lapsus, mi sa. Mi stavo soltanto chiedendo se, con tutto quel che faccio...ecco, mi stavo chiedendo se, nonostante tutti i miei sforzi riuscirò mai ad essere come quell'agente, un giorno. Se riuscirò mai ad essere lontanamente al suo livello, per TE.”

Nick le sorrise bonariamente.

“Non puoi” le rispose, semplicemente.

“C – come?!” Gli fece Maggie, quasi punta sul vivo.

“Ho capito. E' come immaginavo...” aggiunse qualche istante più tardi, sospirando rassegnata. “E' proprio come immaginavo...”

“Hai capito bene” le conferò la volpe. “Però non devi fraintendere.”

“Che vuoi dire?”

“Intendo dire che non devi commettere l'errore di fraintendermi, e di mal interpretare quel che ho detto. Non puoi essere come quell'agente, é vero. Ma non intendevo certo dire che non puoi perché non sei alla sua altezza, questo no. Non puoi così come non posso io, ecco tutto. Perché tu sei tu ed io sono io. E quell'agente...era quell'agente. Tutto qui. Ognuno di noi é diverso dall'altro, sai. Ha delle peculiarità, e delle qualità che gli altri non hanno. E vice – versa. Ognuno di noi é unico, ed é sia una caso che una storia a sé. E contando su questo...fa del proprio meglio, ogni giorno. Deve fare del proprio meglio sfruttando al massimo le proprie capacità, ogni santo giorno. Ma facciamo che te lo spiegherò meglio quando sarà tutto finito, va bene?”

“Va bene” rispose Maggie.

“Sempre che ne usciremo vivi...” continuò.

“Andrà bene, Maggie” la rassicurò Nick. “andrà benone, vedrai.”

La daina, a quell'affermazione, scosse ripetutamente il capo.

“Sai...” gli confidò. “Te l'ho detto molto tempo fa, ricordo. E oggi te lo voglio ripetere. Certe volte...certe volte ho come l'impressione che tu sia uscito da un film, Nick.”

“No...” obiettò. “Di più, anzi. Mi sembra che tu viva in un film, certe volte.”

Nick le fece spallucce.

“I'm a Wilde animal, baby.”

La daina ridacchiò brevemente, a fronte di quell'ennesima sparata e smargiassata. Ma smise subito.

“Sarà...” disse, tornando cupa di botto e di colpo. “...Ma ti lascio con cuore pesante, sappilo.”

“Che?!” Le fece lui, guardandola incuriosito.

“Una volta si diceva così” gli spiegò. “O almeno é quel che mi ha detto quel mezzo matto squinternato del tuo amico Finn, a proposito dei nativi pazzoidi che frequentava e con cui se la intedeva ed era sempre pappa e ciccia, laggiù in città.”

“O almeno é sempre quel che mi ha detto lui” precisò. “Comunque, pare che da quelle parti dicessero proprio così quando si era costretti a lasciare o ad abbandonare per cause di forza maggiore amici, parenti, famigliari o...”

“...O?”

“Lasciamo perdere, che é meglio.”

“Hai ragione. Forse é meglio così. Ci manca giusto quel menagramo di Finn con le sue scempiaggini, in un momento simile.”

“Forse é come dici tu, Nick. Forse non saranno che fesserie, ma...ma ora capisco quel che intendevano dire. Perché é proprio così, che mi sento.”

“Esatto. Mi sto sentendo così, in questo momento” gli ribadì. “Mi sento come se me ne setssi andando con un gran peso sul cuore.”

“Non devi...” le disse. “Visto che ci dobbiamo salutare, per ora...allontanati con un sorriso, piuttosto.”

E quasi per incoraggiarla e a voler sdrammatizzare fu proprio lui, a rivolgerglielo per primo.

Un sorriso candido ed innocente. Da fanciullo, quasi.

Proprio come quella volta. Proprio come l'ultima volta. E Maggie non mancò di rimarcarglielo, pur ricambiando controvoglia.

“L'ultima volta che hai detto e fatto così per poco non ti ammazzavano” sottolineò. “Ti hanno quasi ucciso. E te la sei cavata per un soffio.”

“Per puro miracolo, direi” aggiunse.

“Questa volta andrà diversamente” le assicurò Nick. “Perché questa volta abbiamo un piano. Siamo noi ad aver preparato la trappola, non loro. E ti garantisco che ci cascheranno dentro con la testa, tutte e quattro le zampe e pure la coda. E ' tutto stabilito e organizzato per filo e per segno, e a puntino. A patto che tu faccia esattamente quel che ti ho detto di fare. E che entri in azione al momento giusto. Quindi niente più distrazioni o pensieri, da ora in poi. Mentre fredda e stà pronta ad agire, mi raccomando. Te lo ricordi come faceva quel vecchio film in costume, no? Al mio segnale...”

“Scatenerò l'inferno, lo so” proseguì la vice. “Proprio non ci riesci a rinunciare e a fare a meno delle tue cavolate, eh?”

“Devo, agente Thompson. Per contratto. Ora vedi di filare alla tua postazione. Và, su.”

Maggie se ne rimase a fissarlo ancora per un istante, in perfetto silenzio.

Un solo, unico istante. Che però a lei dovette apparire come interminabile.

Forse era davvero l'ultima volta che poteva vederlo. Parlargli. Sentirlo.

Avrebbe dovuto uscirsene con qualcosa di adatto e di appropriato alla circostanza e per l'occasione, quantomeno.

E invece le riuscì solo di rivolgergli un semplice e scarno senno di saluto.

Tutto qui. Poi montò sulla volante, la mise in moto e partì.

Tutto qui? Ma che, davvero?

Tutto qui. Esatto.

Certe volte le parole e i gesti sono di troppo. E gli addii spesso inutili, tristi ed oltremdo dolorosi.

In certi momenti occorre solo dare un taglio netto, a certe cose. E senza starci a pensare troppo su.

Sena pensarci più. Così, casomai le cose dovessero mettersi o finire male...

Casomai non vi rivedessi...buongiorno, bunasera e pure buonanotte. E' stato un piacere.

E così che funziona, no?

La vettura fece un'inversione ad U all'indietro e poi si allontanò a passo di mammifero bipede.

A velocità bassa ma costante, scomparendo ben preso nell'oscurità circostante.

Nick ne poté seguire il percorso a lungo, grazie alla sua prodigiosa vista notturna.

Poi, quando decise di averne avuto abbastanza, si girò e le diede le spalle.

Niente più distrazioni nemmeno per lui, ora.

Aveva da fare. Avrebbe avuto un gran da fare, da adesso in poi.

Una marea di roba da fare. Un mucchio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era solo.

Il guerriero era di nuovo solo, dunque.

Un'altra volta.

E come detto poc'anzi...prima di cominciare vi erano delle cose da dire. E da fare.

Una in particolare, prima di tutto. E prima di ogni altra.

Era pressoché fondamentale.

Tirò fuori la penna a forma di carota, con micro – registratore incorporato.

Il regalo d'addio e di commiato da parte di lei.

Da parte di Judy.

Appariva integro, ad una prima e rapida occhiata.

Era scampato, all'assalto ed all'invasione da parte dell'orda di barbari scatenati. Per fortuna.

Ma la fortuna non c'entrava per nulla. Proprio per niente, almeno in questa occasione.

Naturale, che fosse così.

Lo aveva messo opportunamente al sicuro, prima di decidere di mettere a repantaglio la propria incolumità insieme ed in degna compagnia della propria vita. E consegnandolo al buon vecchio Finn, era da consierasi in buone zampe.

Le migliori.

Ma doveva comunque provarlo, per poterne essere matematicamente sicuro.

Premette il pulsante di riavvolgimento del nastro.

CLICK.

Seguito a ruota e subito dopo da quello di avanzamento.

CLICK.

 

“Nick, é stato un onore poter lavorare con te. Sei il miglior amico che potessi mai sperare di incontrare. Ti voglio bene.”

 

Di nuovo riavvolgi.

CLICK.

Da capo. E di nuovo fai avanzare.

CLICK.

 

“Nick, é stato un onore poter lavorare con te. Sei il miglior amico che potessi mai sperare di incontrare. Ti voglio bene.”

 

E ancora una volta riavvolgi.

CLICK.

E ancora una volta fai avanzare.

CLICK.

Messaggio.

Riavvolgi.

CLICK.

Avanza.

CLICK.

Messaggio.

Poi riavvolgi.

CLICK.

Poi avanza.

CLICK.

 

Alla fine perse il conto di quante volte lo fece. Di quante volte lo riascoltò.

All'ultima, a quella che dovette giudicare finalmente perfetta e definitiva, almeno quel tanto che bastava e che dovette guidicare sufficiente per riuscire a convincerlo, emise un evidente quanto liberatorio sospiro di sollievo.

Era intatto, nonostante tutto. E funzionava che era un piacere.

Così come era un piacere averla potuta risentire di nuovo.

Un vero piacere e conforto. Anche se quelle parole così dolci, tempo addietro, lo avevano quasi ucciso. E ferito a morte.

Quella frase, sentita in pieno deserto e nel corso di una sera tempestata di stelle proprio come quella in cui si stava trovando immerso, lo aveva spezzato fin nel profondo.

Dentro, fin nel fondo della sua anima. E gli aveva creato una crepa che gli aveva letteralmente squarciato e spaccato in due il cuore, causandogli una ferita dalla quale non si era mai più ripreso.

Non era mai più guarito e né mai più gli si era rimarginata, da allora.

Mise via. Ed alzò il proprio muso verso l'alto e verso il cielo trapuntato di piccole gemme luminose. Verso una direzione ed una meta ben precise, e che lui ben sapeva e conosceva.

Là. Dove si trovava lei.

La sua stellina. Laggiù, in quell'angolo, separata da tutti gli altri gruppi e costellazioni.

Per conto suo. Solitaria come sempre.

Solitaria come lui.

La prima a comparire. E l'ultima ad andarsene.

Ligia al proprio dovere, ai propri principi ed alla propria natura sino in fondo.

Alla sua filosofia e condotta.

La sua stella. Quella che aveva preso a guidarlo, e a proteggerlo.

Quella che lo guidava e che lo proteggeva da sempre. E che ora aveva un nome.

Formulò dentro di sé una preghiera, che somigliava più ad una filastrocca per mocciosi.

 

Stella, stellina, ecco il mio desiderio di stasera...

 

Smise praticamente da prima di subito.

Lo trovò e si sentì semplicemente ridicolo. E poi...non funzionava così.

No. Non era così che funzionava, con lei.

Ne aveva già realizzati tanti, tra i suoi desideri. Compreso quello più importante di tutti e tra tutte quelle molteplici richieste.

Trovare qualcuno o qualcuna che credesse in lui. E che gli concedesse mezzo grammo di fiducia.

Mezzo grammo, non di più. Perché lui era uno che si accontentava.

Era uno che aveva sempre saputo accontentarsi di poco.

Ma adesso...adesso quel che gli stava per chiedere era da considerarsi un autentico miracolo.

“Beh, eccoci qua” le disse, sorridendo. “Io e te, di nuovo. Io e te, te ed io. Noi due, da soli contro tutto il resto del mondo. Come ai vecchi tempi, eh?”

Il suo volto si fece improvvisamente serio.

“Ti prego, Carotina...” implorò. “...aiutami. Aiutami tu. E perdonami, se puoi. Se siamo arrivati a questo punto...é perché non ho avuto abbastanza coraggio, purtroppo.”

“Non sono stato abbastanza coraggioso” le confidò. “Non nella misura che avresti voluto tu, almeno. Di desideri me ne hai esauditi tanti, da quando ti conosco. Ma non ho avuto il coraggio di rivelarti quello che era il mio desiderio più grande, insieme a quel che provavo veramente per te. Ho avuto paura. Così come ne ho adesso. Quanto vorrei che quel bestione mi colpisse così forte, ma tanto forte da lasciarmi a terra steso. In tal modo...in tal modo non sentirei più niente, e potrei finalmente smettere di soffrire. Ma poi...poi ho scoperto che se resisti abbastanza, e se tieni duro abbastanza a lungo, col tempo viene fuori una parte di te che non ha così tanta paura. Una parte di te che nemmeno sapevi da avere, e che ti dice di rialzarti e di rimanere in piedi ancora per un altro po'. Ancora per un altro round, come direbbe il buon vecchio Butch. Perché la campana io non l'ho ancora sentita. Sai? La campana non ha ancora suonato, per me.”

“Me lo hai insegnato tu, ricordi?” le fece. “Una volta mi hai detto che la paura é come un fuoco. Se lo lasci troppo libero, finirà col bruciarti. Ma se lo controlli...ti riscalda. Ecco, io...solo ora capisco il significato di quelle tue parole, Carotina.”

“Adesso capisco anch'io” rivelò. “Ora lo so. Finalmente l'ho capito, il senso di quel tuo discorso. C'é voluto del tempo, certo. Ma, alla fine...ci sono arrivato. Ci é arrivata anche la tua cara, vecchia volpe ottusa. Perché la verità é che anche tu...anche tu avevi paura, certe volte. Anche se facevi finta di niente. Percò io lo sentivo, col mio fiuto. Lo capivo dal tuo odore, dall'odore che emanavi. Ma stavo al gioco, e non ti dicevo nulla. Perché tu ti tenevi tutto dentro, esattamente come me. Proprio come facevo io. E al momento giusto lo liberavi, ed era proprio quello a permetterti di superare il limite e a compiere l'impossibile. Perché ad un certo punto la paura ti passava, e io...io quell'odore non lo sentivo più.”

“Ho fatto degli errori” dichiarò. “Ho comesso un grave errore, con te. Ed intendo rimediare. E soprattutto la gente di questo posto non deve essere costretta a pagare e a soffire per colpa dei miei sbagli. Farò quel che devo, e ciò che é giusto. Ma proprio come mi hai detto tu quella volta che mi sei venuta a cercare, sotto a quel lurido ponte mezzo dismesso e dopo aver attraversato mezza città...ho bisogno del tuo aiuto, Carotina. Ho bisogno di te. Da solo non posso farcela.”

Allungò la mano sinistra verso quella stella. Verso quella stella così luminosa e solitaria. E poi gliela racchiuse attorno, come a volerla catturare.

Come a volerla prendere, insieme a tutto quanto il suo splendore.

Si portò la propria mano chiusa a pugno davanti al viso.

“Sai...” disse. “So che forse non ci crederai, detto da me. Ma...sono cresciuto, in questi ultimi tempi. Sono maturato molto. Non sono più il Nick di una volta. Non sono più il buffone che ti faceva così tanto divertire e che tendeva a ridere e sottovalutare qualsiasi situazione, fosse anche la più seria.”

Si portò il pugno chiuso al petto e ve lo premette contro, forte. Come a far passare un poco di quella luce attraverso lo sterno ed il torace, fino a raggiungere il suo cuore.

Rialzò lo sguardo. La stella era ancora là. Lassù. Ma era come se una parte di essa fosse con lui, adesso.

Come se fosse giunta da lassù per entrare a far parte del suo corpo.

La sua espressione mutò, facendosi furente. Ed una profonda ruga gli solcò la fronte, mentre gli occhi gli si fecero sottili sottili.

Lacrime sgorgarono da essi, rigandogli le guance.

Strinse il pugno, fin quasi a far sanguinare il palmo.

“So che forse queste mie parole suoneranno un po' strane, alle tue orecchie. E che forse sarà un po' macabro ciò che sto per dirti, visto che sei ancora viva. E sono certo che tu, in questo preciso momento, stia andando avanti a combattere la tua battaglia. Proprio come sto facendo io. Hai una prova senz'altro difficilissima da affrontare, e perciò non voglio distrati e farti perdere tempo ulteriormente. Ma sono certo che la supererai, prima o poi. Come ogni volta. Come hai fatto tutte le altre volte. Perciò...vorrà dire che in attesa del tuo ritorno ci penserò io, al tuo posto. Ho deciso che raccoglierò il tuo testimone.”

“Voglio che tu sappia una cosa” proclamò. “Ci tengo a dirti che ho ereditato le tue volontà ed il tuo spirito, Judy. E ora...sarò implacabile, contro quelle carogne. Li spazzerò via dalla faccia della Terra, e farò in modo che di loro non ne rimanga nemmeno il ricordo!!”

Ecco. Era finito il momento del cordoglio e della tristezza.

Dopo averla tanto e così a lungo assaporata crogiolandocisi dentro...adesso era giunto finalmente il momento di tramutarla e di trasformarla in qualcos'altro.

Era il momento di renderla rabbia. Una rabbia così cieca e travolgente da salire fin su nei cieli, per scuoterli fino a farli tremare.

Era il momento di accendere il fuoco. Di abbeverarsi e di imbeversi direttamente dalla sua fonte, fino a riempirsi e a strabordare, per riversare tutto fuori ed inondare ogni cosa.

E travolgere, come un fiume in piena.

Nick cercò nella tasca dei pantaloni ed estrasse un cerino.

Lo sfregò vicino al punto in cui l'aveva appena tirato fuori, e quello si accese pressoché all'istante.

Lo buttò con un lancio calibrato quanto preciso al millimetro sulla catasta di legna poco distante, che ci mise praticamente un niente ad appicciarsi.

Riportò la mano sana vicino al fianco, all'altezza della tasca.

Era curioso, però. La stava tenendo aperta, con le dita unite ed il pollice tenuto leggermente poco distante e piegato. Proprio come se...

Proprio come se stesse tenendo per mano qualcuno.

Nick chiuse gli occhi. Si voltò nella direzione da cui, secondo i suoi calcoli, sarebbero dovuti giungere quei manigoldi.

Abbassò il mento, affidandosi al vento che ed alle sue correnti che soffiavano, ed inspirò forte.

Risollevò le palpebre.

Stavano arrivando.

“Combattiamo insieme, Carotina” disse, mentre si preparava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maggie aveva rallentato ulteriormente, frattanto che si allontanava a bordo del mezzo.

Sembrava si stesse aspettando ancora qualcosa, da Nick.

Un ulteriore gesto in più. E la sua attesa supplementare non venne tradita.

Guardò nello specchietto retrovisore, e quel che notò fu aveva a dir poco dell'incredibile.

Era ormai lontana, ma riusciva a scorgerlo ancora con estrema chiarezza, complice il falò appena acceso.

E non riusciva affatto a capacitarsene, di quel che stava vedendo.

Già per prima cosa aveva giusto finito di vederlo gesticolare in maniera strana, per poi agitarsi e comportarsi in maniera ancora più strana e singolare.

Ma quello fu niente, messo a debito confronto di quel che arrivò e che sopraggiunse subito dopo.

Era come se una sorta di alone avesse preso a circondare il corpo del suo comandante.

Una sorta di aura tra il fiammeggiante ed il perlaceo, o forse era solo l'effetto dei raggi lunari che riflettavano sul suo manto rossiccio, mescolati ai bagliori intermittenti ed irregolari emessi dal fuoco e dalle sue braci ardenti.

Ma era ugualmente impressionante. E non solo.

Non era tutto. Vicino a lui, nella parte sinistra, dove teneva il braccio ancora sano e funzionante...c'era qualcosa.

No, non qualcosa. Era come ci fosse qualcuno.

Quella sorta di alone argenteo proveniente forse dalla luna e dalle stelle sembrava essersi concentrato maggiormente proprio in quel punto.

E aveva assunto pure una forma. Un forma, minuscola, longilinea e slanciata.

No, chiunque o qualunque cosa fosse...laggiù Nick non era da solo.

E chi gli stava facendo compagnia doveva aver deciso di manifestrasi proprio nel momento stesso in cui lei si era allontanata.

Aveva deciso di comparire solo quando lei aveva messo qualche decina di metri di distanza, a separarli.

Le doveva aver concesso un momento tutto per sé, prima di prendersi di nuovo tutta quanta la scena.

Che gentile, però. Da commuoversi.

Nick, in quel momento, dovette percepire di sentirsi osservato e tirato in causa per qualche motivo.

Perché di colpo si girò e la guardò.

Sì, la stava guardando, di riflesso e attraverso lo specchietto.

Doveva aver percepito i suoi pensieri. Ma come...

Maggie scorse i suoi occhi, persino da così tanto lontano.

E nelle sue iridi verdi lo rivide.

Rivide il fuoco.

Quello stesso fuoco che l'aveva ammaliata ed insieme terrorizzata, il primo giorno che si erano conosciuti.

Il preludio ad un incendio che ben presto avrebbe ingoiato e finito con l'inghiottire tutto e tutti.

Lei compresa. E per prima.

Quel fuoco che tre giorni addietro era stato quasi fin sul punto di spegnersi, per via delle numerose botte e ferite ricevute. E che tuttavia aveva resistito, nononstante avessero tentato di farlo estingure in tutti i modi.

Quel fuoco che quella stessa mattina aveva visto riprendere ad ardere, con suo enorme sollievo.

Un fuoco che adesso che pareva bruciare più che mai.

Non li aveva mai visti risplendere a quel modo, gli occhi di Nick. Del suo Nick.

Mai, così forte.

E poi, notando il riflesso ed il riverbero proprio sotto ad essi, così simile sia a quello lunare che a quello dello stelle, istintivamente dovette intuirne perfettamente la ragione.

Si chiese se stesse piangendo. O se doveva aver appena finito di piangere.

No, non poté proprio fare a meno di domandarselo.

Merito delle pupille. Le stesse gli stavano apparendo più brillanti e splendenti del solito e del consueto.

Più lucenti che mai. E al mondo vi era solo una cosa, che poteva renderle così.

Solo le lacrime potevano pulirle, lucidarle e lavarle a quel modo.

Solo loro sapevano renderle così pure, vivide e linde. Sciacquando via ogni ombra residua.

Un brivido la percorse. E quasi finì fuori strada.

Ci mancò davvero poco. Pochissimo.

Si diede una botta in testa con lo zoccolo, come punizione per la sua leggerezza ed incapacità.

Cosa si era detto? Niente distrazioni, giusto?

Right?

Si ricordò che mancava poco, al punto di svolta.

Vide la piccola stradina laterale che si diramava dala carreggiata principale.

La imboccò senza esitazione, per raggiungere il punto stabilito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era arrivata.

Percorrere quella strada sterrata al buio, di notte, e per di più a velocità sostenuta per non fare tardi e rispettare la tabella di marcia non era stato e non aveva affatto costituito uno scherzo, anche se le sospensioni e gli ammortizzatori rinforzati del SUV erano stai realizzati e progettati per sostenere ed assorbire quel tipo di impatti, di sforzi e di scossoni alla perfezione.

Ma alla fine dipendeva tutto dall'abillità del guidatore, e su quello...niente da dire.

In giornata aveva provato e riprovato quel percorso più e più volte, in modo da non farsi cogliere impreparata.

Peccato che in quel caso fosse stato ancora pieno giorno, però. E non sera tarda. Men che meno notte fonda.

Proprio vero. C'é sempre una certa differenza, tra la simulazione ed il reale.

Per quanto ci si possa avvicinare, anche il più possibile...vi sarà sempre quel margine che non potrà mai venire colmato.

Fermò la macchina, aprì la portiera e scese.

Guardò dove avrebbe dovuto salir su, tra non molto.

Perfetto. Quella gigantesca e spoglia sequoia rappresentava l'ideale.

L'aveva scovata nel corso dei suoi giri di ricognizione. Da là sopra avrebbe avuto una visuale della strada a dir poco perfetta.

Il massimo, davvero, sia per gli appostamenti che per gli agguati. E una manna dal cielo per i cecchini.

Doveva prepararsi, non mancava poi molto. Ma già che c'era...doveva fare ancora una cosa.

Prese il cellulare, fece scorrere la sfilza di numeri pre – impostati, ne scelse uno e premette il tasto di chiamata.

La risposta arrivò dopo una serie di squilli a vuoto.

“Pront'?!” fece la voce dal'altro capo del telefono. “Chi rompe?!”

“E chi vuoi che sia” gli fece la daina. “L'avrai pur letto il numero prima di rispondere, no?!”

“Mais certaimént! Ma ceeerto, que l'ho letto. Era solo pro fare un poquito de sciena, alla vecchia mannera...”

“Per favore, Finn. Lasciamo perdere, che non é proprio il momento. E cerca di essere serio, almeno per questa volta. Per una volta nella tua vita. Chiedo troppo?!”

“Claro que no. Quest'ce que che tu voeul, plus tòt? Che vuoi, bimba? Anche se yo già lo so cosa vuoi, dal vecchio zietto Finn...”

“Smettila, ho detto. Niente, voglio. Men che meno da te.”

“Giààà. Da me de seguro, no. Ma dal mì socio...”

“Piantala. Voelvo solo sapere se sei pronto, tutto qui.”

“Pronto y operativo, dolcezza. Aspetto solo instructiones, como ti. Intanto me sto vedendo un para de filmetti sconci inter – schminter, interspecie. Roba zozza y muy fuerte. Vuoi que te ne giro un paio, zucchero? Accussì enizi ad impratichirte un pochetto...”

“Le tue schifezze tientele pure per te, Finn. Volevo solo sapere se sei pronto, tutto qui.”

“Domanda muy scema, Bambi. Te l'agg' jamò ritt, plùs and plùs voltas. Yo non tiengo el besogno de farme trobàr pronto. E soto y puro escritto...es nato pronto, Nuts.”

“Tanto meglio. Comincio a sistemarmi anch'io, allora. Passo e chiudo.”

“Hm. Yo non ce riesco a creer. Nun ce credo. Tre cavolate che te agg'esparato, e ancora non trovi el coragio.”

“Ma di che parli?”

“C'maaan. Non vrrai venirmi a dire que me hai llamato seulemént pour dirme se stoi pronto?”

“...”

Attimo di silenzio.

“Allora?” la incalzò il tappo. “Que te rode? Me lo vuoi dire?”

“Ecco, io...ho una gran pena, Finn. Ad aver lasciato Nick là da solo, ad affrontare quel branco di assassini senza scrupoli...”

“A – ah. Te correggo, Nocciolina. El plain, el piano tu lo connais, lo conosci. Nickybello non es afato de per lù. Non es da solo. Y noi due que ce stiamo à faire, seconda ti?”

“Lo so, Finn. Lo so. Ma ho paura lo stesso.”

“Escuchame, Magda. Y stame a sientìr bién. Stammi a sentire bene. Tu lo sa cossa l'é un professionista?”

“Ma che c'entra adesso, scusa?”

“Dame la definiciòn de professionista, bella” insistette il piccoletto, senza badare alla risposta.

“Senti...non é già abbastanza assurda la situazione, secondo te? Dobbiamo pure metterci a sfogliare il vocabolario per giocare alle parole difficili?!”

“Tu no vuele, hm? Oook. Allora te lo digo yo. Un professionista es sempliciemiente el meior en quelo que fa. Il migliore nel suo campo, todo aqui. Tutto qui. Il più bravo por quel que reguarda la sù arte. E sia l'arte quel el campo de juego del mì socio es ESTO.”

“E' questo, ciò che sa fare meglio. Ed é il migliore que yo conosca. E la sai una cosa? Ho como l'empreciòn que assisteremo a qualcosa de unico, cette soir. Siento que Nick sta por realizzare el su CAPOLAVORO, esta noche.”

“Sì, ma...”

“Eeexactly” aggiunse il fennec. “Ma ad un bravo artista servono puro degli assistenti en gamba, perciò...datte da fare, muchacha. Passo e chiudo. Ma yo, però.”

E mantenne all'istante quanto aveva detto, sbattendogli di fatto la cornetta sul muso. Anche se in tempi di telefonia mobile non si poteva più parlare di cornette.

E talvolta neppure a casa, dato il boom dei cordless.

Maggie sospirò.

Già. Era ora di darsi da fare. Forza.

Andò verso la parte posteriore del SUV, aprì il baule e tirò fuori il suo fidato fucile di precisione, per poi richiudere il tutto con un bel botto.

Si mise l'arma a tracolla e comincio ad arrampicarsi ed inerpicarsi lungo il fusto del grosso albero, e da lì sui rami.

Ne scelse uno abbastanza alto e che le garantisse una buona panoramica. Ed una volta fatto questo vi salì, accertandosi che reggesse il suo peso, e si appollaiò nel punto che giudicò più comodo e funzionale.

Il ramo faceva una sorta di ansa, verso la metà. Vi si poteva distendere senza difficoltà, e poggiare il fucile.

Fece entrambe le cose, con tutta la calma del modo.

Si concesse qualche minuto per ricontrollare e regolare il visore, il mirino, il cannocchiale telescopico e tutte le altre componenti, anche se non si era ancora decisa a puntarlo in direzione della scena. E del bersaglio.

Per quello c'era ed aveva ancora tempo. Tutto il tempo del mondo, dato che il bersaglio in questione ancora non era arrivato.

Tagliando per intero e revisione al gran completo, dunque. E poi più altro, rimanendo in attesa e ripassando mentalmente le istruzioni relative all'operazione.

Non vi era più nient'altro da fare, del resto. O che potesse fare in più o di più.

Solo aspettare. E pregare che andasse e che filasse tutto qaunto per il verso corretto e giusto.

Avere fiducia.

Aver fede. Ed incrociare le dita.

Tutte quante. Sia delle mani che dei piedi.

Aspettare. E sperare. E pure pregare, già che ci si era.

Non c'era null'altro da fare che quello.

Null'altro, ormai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Certo che ne é passato di tempo, eh? Da prima dell'estate, se non erro.

A me sembra un'infinità, davvero.

A dirla tutta credo che, da quando ho iniziato a scrivere fanfiction per poi pubblicarle su EFP, non si mai passato così tanto tempo tra un episodio e l'altro come in questa occasione.

Temevo davvero di non farcela più, a ritornare.

E non certo perché non avessi idee, quelle per fortuna non mi sono mai mancate.

Non ancora, perlomeno.

Ma diciamo che sono reduce da un periodo davvero incasinatissimo, e che mi ha messo davvero a durissima prova.

E che non é ancora finito, purtroppo. Ma andiamo con ordine.

Sono accadute cose belle e cose brutte, come in genere accade con tutti noi.

Per prima cosa...ho finalmente completato il mio primo ROMANZO ORIGINALE!!

Dopo ben sei anni di lavoro, ragazzi.

Era un progetto che proseguiva in parallelo a quello delle storie su EFP. E devo ammettere che hanno costituito e continuano a costituire un'ottima palestra.

Perché, sapete...iniziare con personaggi conosciuti ed amati e scrivere di loro risulta facile, per certi versi.

Ma provando e riprovando...prima o poi capita che venga la tentazione di buttare giù qualcosa di inedito.

Ci tenevo molto, e poco prima di partire per le ferie ero in dirittura d'arrivo. Per cui...nell'ultimo periodo ho momentaneamente sospeso le mie due fanfiction per dedicarmi esclusivamente a quella storia.

Una scelta dolorosa, e ci ho pensato a lungo. Ma era necessario.

Me la dovevo levare di torno, una volta per tutte.

Ora l'ho conclusa, e posso tornare a dedicarmi al resto.

Ma voglio essere sincero: non pubblicherò il mio romanzo inedito qui su EFP.

Vorrei tanto farne un libro.

Lo farò registrare come opera inedita e poi andrò in cerca di un editore. E che la fortuna mi assista, una volta tanto.

Ho deciso che ci voglio provare.

Nel frattempo, mia moglie ha trovato finalmente un lavoro fisso, dopo anni di impieghi saltuari. E di sacrifici enormi, visto che dal punto di vista economico l'unico a tirare avanti la baracca ero io, da dieci anni a questa parte.

Sono felicissimo per lei. Ma questo, ovviamente, ha scombinato un po' le carte in tavola.

Insomma, non potendo più contare sulla sua presenza per ogni cosa anche al sottoscritto é toccato tornare alle tipiche incombenze come andare a scuola a prendere la nostra piccola, accompagnarla a fare sport e quant'altro.

Il che si é tradotto in meno tempo per scrivere, che già era di per sé poco.

Ma va bene così, ci mancherebbe. Benissimo.

Sul lavoro non transigo, viene prima di ogni cosa. E nella vita ci sono senz'altro faccende ben più importanti che scrivere. A maggior ragione se lo si fa per puro diletto e nient'altro.

E fin qui la parte bella. Poi si sa...mai una volta che la vita ti regali solo soddisfazioni e basta.

Quando dà...inevitabilmente toglie. Anche se uno, legittimamente, asprirerebbe non dico ad una vita priva di problemi, perché questo é impossibile.

Ormai lo so, ho imparato. Per certi versi sono le menate che ti tengono in vita, così come il viaggio stesso ad un certo punto diventa più importante della meta prefissata.

Però basterebbe un minimo di tregua, non chiedo tanto. E invece...

Per farla breve...nell'ultimo periodo ho avuto un lutto.

Mio suocero, la persona con gravi problemi di salute a cui spesso accennavo...ci ha lasciati due mesi fa, al termine di una lunga malattia.

Era una gran brava persona, dotato di un ingegno e di una passione eccezionali per i lavori di artigianato. E aveva un talento nel costruire presepi animati e meccanizzati, di dimensioni anche ragguardevoli.

Ad ogni Natale ne costruiva uno in casa sua grosso come un'intera parete, un vero spettacolo.

Nel complesso ha avuto una vita felice, circondato da persone che gli volevano un gran bene.

Ed é proprio grazie a loro che ha saputo lottare sino all'ultimo, e resistere per tutti questi anni. Perché, per contro, dal punto di vista della salute, é stato davvero molto sfortunato.

In tanti anni che lo conoscevo...sono ben poche le volte, che l'ho visto stare davvero bene.

Io temo che il suo limite lo avesse superato da un bel pezzo, e che sia rimasto qui soprattutto per merito di chi amava.

Guarda caso, il tutto é avvenuto una settimana dopo che avevo completato il mio romanzo.

Mi sento di dedicarlo a lui, questo capitolo.

La sua perdita é stata un durissimo colpo, sia per mia moglie che per mia figlia.

E tra non molto sarà il primo Natale senza di lui. Senza un papà e senza un nonno.

Non sarà facile, e dovrò star loro vicino.

Andare avanti e riprendere a scrivere non é stato per niente semplice, e vi assicuro che nelle ultime settimane avevo davvero altro per la testa.

Ma ce l'ho fatta anche stavolta.

Andiamo avanti, come si suol dire.

Un match alla volta. Un round alla volta. Un pugno e un passo alla volta.

E' stato davvero complicato arrivare alla realizzazione definitiva di questo episodio. E oltretutto lo considero un passo cruciale.

Non sono molto convinto, del risultato.

E quando mai, direte voi. Ti avessimo visto soddisfatto una volta che fosse una!!

Avete ragione. Ma alla fine il segreto per continuare a fare un buon lavoro é proprio questo.

Basso profilo. E non essere mai contenti!!

Non so. Poteva venire meglio? Sicuramente sì, non lo metto in dubbio.

Ma al momento, vista la situazione delicata e i mille pensieri, più di così non potevo fare.

E d'altra parte, non me la sentivo di aspettare più oltre.

Vada come vada, dunque. E spero che vi piaccia lo stesso.

Siamo ad un punto cruciale, si diceva.

Tutte le pedine e i pezzi sono schierati, e i due sfidanti sono già l'uno di fronte all'altro. Anche se ancora a miglia di distanza.

Proprio come due treni che arrivano a velocità folle sui binari, in procinto di fare un altro bel scontro frontale di quelli memorabili.

Ormai i duelli nella mia storia sono così, nel pieno rispetto di quell'autentico genio del cinema d'azione che era il grande quanto compianto Tony Scott.

Il vero talento della famiglia, non suo fratello scemo. Che ha fatto due filmoni a inizio carriera (ma non solo per merito suo), e da lì in poi ha campato esclusivamente di rendita.

Due tizi, ognuno col suo modo di vedere le cose e con i suoi principi. E la sua filosofia.

E nessuno dei due é disposto a cedere o arretrare di un solo millimetro.

Quando due così cozzano l'uno contro l'altro...salta tutto per aria.

Tutto é pronto per la rivincita, dunque. Però...

Però ho notato qualcosa di strano, e voglio dire la mia.

Zed appare come il solito mostro, con un unico pensiero fisso in testa.

Uccidere, e massacrare. E ci regala un ennesimo atto di crudeltà totalmente gratuito e non richiesto.

Ma anche Nick non é da meno, eh.

Come il grande Kenshiro insegna, anche un duro può versare lacrime. Pure nel momento di massima incazzatura e figaggine.

Io l'ho trovata una scena molto epica.

Ok, sapete che detesto farmi i complimenti da solo. Ma...ho trovato la parte in questione ben riuscita. E vi ho tirato fuori un pezzo di epicità fuori scala, almeno a parer mio.

Nick mi ha esaltato, qui. Ha addosso e in corpo una tale dose di CAZZIMMA (come direbbero a Napoli e dintorni) e furore che potrebbe andare giù fin sul fondo dell'inferno ad affrontare il demonio in persona, in questo momento.

E grossomodo, sta per avere di fronte proprio qualcuno che gli si avvicina parecchio, se non addirittura una sua precisa reincarnazione.

Ma c'é un però, dicevo poc'anzi.

Il ho notato qualcosa di strano, che non mi torna.

Avete presente la parte finale de L'OMBRA DELLO SCORPIONE, il celeberrimo romanzo di King?

Mi riferisco al cattivo principale dell'opera, ovvero il diabolico Randall Flagg.

Sin dalle prime battute fa davvero paura. E' di fatto immortale, onnipotente, ha occhi e orecchie dappertutto e può agire anche a distanza.

Miglia e montagne non lo fermano, dato che ha chi agisce in nome suo.

E' sempre un passo avanti, rispetto agli sprovveduti protagonisti.

Un po' come Sauron. E in effetti dicono che quel libro sia la versione di King de IL SIGNORE DEGLI ANELLI (non a caso, il capolavoro di Tolkien viene citato più volte, all'interno della storia).

Poi, però, poco prima dello scontro finale...accade qualcosa.

Di colpo Flagg inizia a perdere colpi. E i poteri.

Diventa sempre più debole, e non gli riesce più di manipolare e tenere sotto controllo la gente.

Quello che sembrava essere il diavolo si riduce ad un povero idiota. Che continua a compiere atti innominabili per terrorizzare e ridurre all'impotenza la gente, questo sì. Ma che ormai appaiono solo come gesti estremi e disperati nel tentativo di mantenere un controllo che ormai non ha più.

Volendo citare l'Apocalisse (e suppongo che sia così, perché King é credente), verrebbe da pensare che avviene la stessa cosa.

Anche lì Satana ritiene di essere invincibile, ma poi scopre che nemmeno lui può sfuggire all'autorità divina. Il potere che sfoggia ed esercita é solo quello che gli ha concesso Dio.

E ad un certo punto, gli viene tolto.

In altre parole...era anche lui un mezzo come un altro. Per dividere i buoni dai cattivi. E capire chi crede e chi no.

Mettendola direttamente sul profano, io penso che sia un ottimo modo per costruire una storia.

Mica come oggi. Dove i cattivi, almeno nelle storie, costituiscono l'eccezione in un mondo interamente popolato da buoni. E dove vengono regolarmente neutralizzati ancor prima che diventino davvero pericolosi, giusto per stare tranquilli e non preoccuparsi troppo.

Una volta era il contrario. Erano i buoni ad essere l'eccezione in un mondo di cattivi.

E giustamente, almeno all'inizio i buoni prendevano un sacco di mazzate.

Proprio come il nostro Nick con Zed.

E' naturale. I cattvi sono più furbi, più efficienti, più organizzati. E in un mondo di malavagi, ciò li avvantaggia e li favorisce.

Però sono fessi, per fortuna. Altrimenti i buoni non avrebbero nessuna speranza.

Fateci caso. Qui Zed appare minaccioso e imponente come sempre. Ma...

Ma peccato che la STRONZATA GROSSA COME UNA CASA con cui se ne viene fuori proprio sul più bello uno dei suoi sgherri (e che proprio per questo verrà ucciso) finisce con lo smontare tutto.

Gli ha rovinato il gran finale, e proprio sul culmine.

Nick, invece, é in crescendo. E ne esce alla grande. Alla grandissima.

Zed appare incrinato, per un istante. Sembra aver perso potere. Mentre quello di Nick...sta aumentando vertiginosamente. E sempre di più.

Scherzandoci sopra...pare che il Dio della storia, ovvero l'autore (ovvero ME) abbia inconsciamente deciso che é giunta l'ora di togliere a Satana il potere che lui stesso gli ha dato.

Ma é giusto. Siamo in una favola, e in una favola il cattivo prima o poi deve perdere.

Il male dev'essere sconfitto. Sempre.

E' come se il destino avesse già scelto.

Beh, vedremo come finirà. Sempre per dirla alla Ken...hanno entrambi sfoderato le loro armi migliori, ora solo la loro abilità deciderà l'esito dello scontro. E gli farà ottenere la vittoria.

Ciance a parte...Zed e i suoi NON HANNO ALCUNA SPERANZA, ragazzi.

Sono spacciati. O per lo meno, io li vedo così.

Hanno fatto incazzare Nick. E stanno per scoprire che per Nick vale lo stesso discorso che con Batman.

C'é una regola, in quel mondo. E se la infrangi...sono guai. Guai grossi.

E' la regola in questione é...NON BISOGNA MAI FAR INCAZZARE BATMAN.

Passiamo ora all'angolo della colonna sonora, che questa volta é molto importante.

Perché per creare e garantire la giusta atmosfera servono i pezzi giusti, questa volta.

Più che mai, aggiungo.

Abbiamo quindi una playlist molto ricca. Peciò tenetevi pronti.

Per la parte col dialogo tra Nick e Maggie ho scelto due canzoni.

A proposito...lasciatemi dire una cosa, prima.

Io i duetti tra questi due LI ADORO. Sul serio.

Lo ripeto da sempre. Laggiù la nostra volpe preferita ha davvero trovato un'altra anima gemella, al di là di Judy.

Sono fatti l'uno per l'altra, proprio.

Comunque...i due pezzi sono A GOOD HEART di FEARGAL SHARKLEY e NOTHING'S GONNA STOP US NOW degli STARSHIP.

Pieni anni 80, ragazzi. Nel massimo del loro splendore e fulgore.

Dopotutto, erano gli anni del trionfo della musica associata alle immagini. E infatti le colonne sonore scalavano le hit ed erano in cima alle classifiche.

In quale altra epoca le soundtrack di ROCKY IV e TOP GUN sarebbero state al primo posto?

Ma siamo solo all'inizio, gente. Il bello arriva ora.

Per la scena del monologo dove Nick si carica ho scelto ben OTTO pezzi.

Partite da IL GUERRIERO ERA DI NUOVO SOLO in poi, da quando inizia ad ascolare il registratore – carota.

Comincio dai peggiori (si fa per dire).

 

 

  • IL SOLE AD EST di ALBERTO URSO;

  • VIAGGIA INSIEME A ME degli EIFFEL 65 (ci sta benissimo pure questa, credetemi sulla parola);

  • TI SENTO dei MATIA BAZAR, con la mitica voce di ANTONELLA RUGGIERO;

  • A MODO TUO, di ELISA e LUCIANO LIGABUE.

 

Questi ultimi due torneranno preso con un'altra bellissima canzone, vi avverto.

Ok, queste prime quattro se volete rimanere sul soft.

Ora si passa alla roba forte.

Vai con altri tre:

 

  • STAR WALKIN' di LIL NAS X;

  • BAD LIAR degli IMAGINE DRAGONS;

  • HALL OF FAME dei THE SCRIPT.

 

Anche gli Imagine Dragons torneranno presto, in futuro.

E per finire, la mia preferita in assoluto.

 

  • HISTORY OF VIOLENCE dei THEORY OF A DEADMAN.

 

 

Quest'ultima, poi, é assolutamente fuori parametro.

Da URLO, garantito.

Dovete sentirla ASSOLUTAMENTE. Perchè il pezzo l'ho scritto con questa canzone in testa.

Ah, già. Ce ne sarebbe ancora una.

La parte finale, col dialogo tra Maggie e Finnick fino alla conclusione dell'episodio.

Ascoltatevi MAD DESIRE di DEN HARROW.

E adesso passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie a Sir Jospeh Conrard, Devilangel476 e a RyodaUshitoraIT per le recensioni all'ultimo capitolo.

E come sempre, un grazie anche a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Purtroppo devo constatare che l'afflusso é un po' scemato, negli ultimi mesi. Sia in fatto di scritti che di recensioni.

Sui racconti non dico niente, visto che in quest'ultimo periodo sono stato il il primo, a non farmi più vivo. Quindi, non posso certo lamentarmi emen che meno criticare, ci mancherebbe altro.

Come ho detto...abbiamo sicuramente tutti cose ben più importanti, di cui occuparci.

Pazienza. Io vado avanti, e non mi fermo.

Quel che conta é scrivere per il puro piacere di farlo, dopotutto. No?

Senza contare che nel frattempo in streaming é sopraggiunta la serie animata, e quindi mi auguro che servaa ridestare un poco l'attenzione sulla nostra opera preferita!

Su un possibile seguito, ancora tutto tace.

E forse é meglio così, per ora. La Disney ultimamente sta toppando parecchio.

ENCANTO non mi é piaciuto per niente, LIGHTYEAR carino ma niente di trascendentale, e pare che STRANGE WORLD sia un mezzo flop.

Fa nulla, tanto ci sarà il seguito di AVATAR, a riempirgli bene ben le tasche.

Ma per l'anno venturo? Al momento abbiamo ELEMENTAL, che a me ricorda tantissimo INSIDE OUT.

Nulla di particolarmente nuovo, a quanto sembra.

Insomma, non li vedo in un gran periodo. Perciò vorrei che mi evitassero di rovinare un film che adoro con un sequel che rischia di non essere minimamente all'altezza.

Prima di chiudere...visto che con tutta quanta la probabilità ci rivedremo con l'anno nuovo, ne approfitto per augurare un Buon Natale ed un felice 2023 a tutti.

Cercate di passarlo tranquilli e sereni accanto alla vostre famiglie e a chi vi vuol bene, e che l'anno venturo vi possa portare tanta gioia e felicità. Insime a ciò che più desiderate.

Che possano avverarsi i sogni e i desideri di tutti, una volta tanto. Lo spero vivamente.

Dal canto mio...cercherò di rifarmi vivo prestissimo. E di metterci un po' meno tempo, questa volta!

 

Grazie ancora a tutti, e...AUGURI!!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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