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Autore: Orso Scrive    18/12/2022    2 recensioni
Egitto, primi anni del Novecento.
Una squadra di egittologi porta a compimento una scoperta sensazionale ad Abu Simbel, l’antica porta del regno egiziano per chi risaliva il Nilo proveniendo dalla Nubia. Ma la scoperta potrebbe attirare su tutti loro una maledizione che la sabbia dei secoli non è ancora stata in grado di cancellare...
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUINTO

 

Quando la luce dell’alba inondò con i propri raggi rossicci i maestosi templi di Abu Simbel e tutto l’accampamento, il dottor Thompson si ridestò dal proprio sonno, completamente lucido ed ormai dimentico dello choc provato il giorno precedente durante il crollo della tomba. Si stiracchiò e, avvertendo i morsi della fame - dopotutto, non aveva più toccato cibo da parecchie ore - si rivestì in fretta ed uscì dalla tenda per andare a mangiare qualche cosa.

Insolitamente, trovò il campo deserto, cosa del tutto strana, dato che i lavoranti erano soliti mettersi all’opera almeno un’ora abbondante prima dell’alba; ma immaginò che i suoi colleghi, dopo una notte di baldoria, stessero ancora riposando profondamente. Quando entrò nella tenda grande, tuttavia, fu colpito dal disordine che regnava ancora lì dentro: piatti sporchi, bicchieri sparpagliati, bottiglie rovesciate, tutto era rimasto tale e quale lo avevano lasciato gli egittologi la sera precedente. Un comportamento intollerabile, per un uomo pratico ed ordinato com’era sempre stato Thompson. Dovette riconoscere che, i giovani d’oggi, non sarebbero più stati gli uomini perfetti del secolo precedente. Lo aveva sempre pensato: la guerra che aveva sconvolto il mondo pochi anni prima aveva mutato profondamente anche le coscienze, facendo nascere generazioni che sarebbero state sempre più incuranti ed indolenti.

Tuttavia, ciò che colpì maggiormente l’anziano egittologo, fu la vista dolorosa delle casse aperte e dei reperti gettati qua e là, alla rinfusa, alcuni evidentemente rovinati; una vista amara, che lo fece dapprima soffrire, poi infuriare. Ma che quegli uomini non credessero di poterla scampare! Avrebbe scritto ai loro musei ed alle loro università affinché provvedessero a prendere urgenti provvedimenti disciplinari nei loro confronti. Immaginò che, al momento del deturpamento, Summerlee non fosse presente: innanzitutto, poiché sapeva bene che il curatore aveva la cosiddetta sbronza triste, quindi non si sarebbe mai e poi mai abbandonato a cotali orge, in secondo luogo perché il professore non avrebbe mai permesso che accadesse qualcosa di simile sotto i suoi occhi, neppure se fosse stato in preda ad una ubriacatura colossale. Neppure Abdul lo avrebbe consentito: poteva essere un ladruncolo, Thompson ne era fin troppo consapevole, ma il vecchio arabo rispettava profondamente la cultura antica del proprio paese, quindi un fatto del genere non si sarebbe mai potuto verificare in sua presenza. L’egittologo sperò solamente che i suoi nipoti, John e Rachel, non avessero avuto alcuna parte, attiva o passiva che fosse, in quel gesto sacrilego poiché, se così fosse stato, li avrebbe immantinente rispediti dalla loro madre, con l’ordine categorico di non far loro rimettere mai più piede in terra d’Egitto. Probabilmente, li avrebbe anche diseredati.

Completamente dimentico della fame, Thompson si volse e si recò a grandi passi verso la tenda che i due nipoti condividevano; li avrebbe buttati giù dal letto ed avrebbe preteso le loro spiegazioni. Tuttavia, trovò vuoto il loro alloggio. Uscitone con aria un po’ incerta, notò la possente figura di suo cognato Abdul che scompariva all’interno della grande tenda.

Non appena lo ebbe raggiunto, gli lesse lo sconcerto in faccia.

«Ma che cos’è, tutta questa baruffa?» domandò l’arabo, riferendosi al gran disordine che regnava sotto la tenda.

«Non ne ho idea» replicò Thompson, osservando con aria afflitta una statuina di calcare ormai distrutta, che ricordava benissimo di aver riposto egli stesso con estrema cura, ancora completamente intatta, il pomeriggio precedente. «Pare che i nostri amici abbiano un po’ esagerato con il bere, ieri sera. Sono appena andato a chiedere spiegazioni a John e Rachel, ma non sono nella loro tenda.»

«Neppure Smith c’è» rispose Abdul. «La sua tenda è accanto alla mia e, nel venire qui, ci ho buttato per caso dentro un’occhiata: vuota.»

Mentre Thompson, palesemente rattristato, riponeva alcuni reperti nuovamente dentro la loro cassa, l’arabo continuò: «Ieri sera sono andato a letto un po’ tardi. C’era allegria, si cantava e si ballava, qui dentro, ma nulla dava l’impressione che potesse scoppiare una baraonda del genere, vecchio.»

«Chi c’era, quando te ne sei andato?»

«Erano rimasti i bambini, Fournier, Smith e l’italiano, Libone. Gli inservienti erano già stati congedati.»

«Congedati proprio bene. In giro non se ne vedono più.»

«Già, l’ho notato pure io.»

«Summerlee? E al-Farooq?»

«No, il professor Summerlee si è ritirato un’ora abbondante prima di me, l’ho visto mentre sgattaiolava via con aria furtiva, mentre al-Farooq, fintanto che ci sono stato io, non si è più rifatto vivo.»

«D’accordo» borbottò Thompson.

Rimise un ultimo monile dentro una cassetta che richiuse con il coperchio, quindi aggiunse: «Be’, andiamo a svegliare Fournier e Libone. Almeno loro, ci dovranno pur dare una risposta, e che sia valida.»

L’egittologo era palesemente furente, tanto che Abdul cercò di calmarlo, dicendo: «Non perdere le staffe, vecchio, o ti coglierà un accidente.»

«L’accidente lo farò prendere io all’autore di tutto questo!» sbottò l’altro, incamminandosi in direzione della tenda di Fournier.

Ma i due uomini non riuscirono a trovare né il francese né, tantomeno, l’italiano. Uscendo dalla tenda vuota di quest’ultimo, Abdul sbottò: «Possibile che siano spariti tutti quanti?»

Thompson udì un sommesso russare provenire da lontano; si volse ed individuò la fonte del rumore, dalle parti della stalla.

«Almeno uno so dove poterlo trovare!» esclamò, facendo segno al cognato di seguirlo.

Raggiunsero in fretta la stalle e trovarono il professor Summerlee disteso sulla paglia, con la bottiglia vuota stretta in mano, tutto preso da un sogno che lo faceva russare della grossa. L’asinello mangiucchiava del fieno poco discosto.

«Professore, si svegli» gridò Thompson, tentando di scuoterlo, ma invano: il curatore del British Museum non sembrava intenzionato a lasciare le braccia di Morfeo. Neppure schiaffeggiandolo sulle guance l’egittologo riuscì ad ottenere qualche risultato.

«È inutile che tu faccia così, vecchio» lo fermò Abdul. «Questo qui è proprio partito e non si sveglierebbe nemmeno se sparassimo delle cannonate. Dovremmo buttargli addosso una secchiata d’acqua in faccia, per farlo tornare alla svelta tra di noi.»

«Non possiamo prendere a secchiate in faccia il curatore del British Museum» disapprovò Thompson.

«Curatore o no, io dico che…» cominciò Abdul, ma dovette interrompersi subito poiché, in quel momento, i loro occhi furono attratti da due uomini che si avvicinavano, montando dei cavalli bianchi.

Uno era certamente un arabo, mentre l’altro vestiva all’europea, con giacca a quadri e bombetta, e sfoggiava un paio di baffi castani. Thompson e Abdul mossero alla loro volta, senza poter fare a meno di notare che entrambi portavano pistole nella fondina e fucili a tracolla.

Non appena fu nel centro dell’accampamento, l’europeo smontò da cavallo e, tenendolo per le briglie, li raggiunse, tendendo loro la mano in segno di riverenza.

«Salve» salutò cordialmente.

«Buongiorno» rispose Thompson, squadrando le armi dell’individuo.

Il quale, per nulla turbato da quella specie di radiografia, domandò: «Ho l’onore di trovarmi presso il campo della spedizione Thompson?»

«Sì, esattamente. Il dottor Henry Thompson sono io. E lei sarebbe…?»

«Molto bene, perfetto! Sa, sarei giunto qui molto prima, ma ho vergogna di dover ammettere che io ed il mio accompagnatore abbiamo perduto più volte la strada. Mi chiamo Alan Knight, agente investigativo della polizia internazionale, l’Interpol. Il mio compagno di viaggio, invece, è il tenente Meziane della guarnigione militare del Cairo.»

«La polizia internazionale?» si stupì Thompson.

Era la prima volta che ne sentiva parlare: doveva essere qualche cosa di nuovo. Soprattutto, però, non comprendeva il motivo di un agente di polizia presso il campo della sua missione archeologica.

«Sì, esatto, signore, la polizia internazionale» confermò l’altro.

Thompson osservò Meziane scrutare l’accampamento con aria inquisitoria, quindi domandò: «E potrei sapere che cosa desiderino lor signori, da noi? Non mi pare di aver violato nessuna delle norme internazionali per lo studio delle antichità, con questo scavo archeologico, peraltro regolarmente autorizzato. Quale sarebbe, quindi, il motivo della vostra cortese visita?»

Anche Knight non faceva altro che guardarsi attorno, come se fosse alla ricerca di qualcosa o di qualcuno; senza rispondere, si fece guardingo nell’individuare qualcheduno che muoveva loro incontro, alle spalle di Thompson e di Abdul. L’egittologo si volse all’indietro e vide che Summerlee s’era svegliato e veniva verso di loro barcollando e sbadigliando.

«Il professor Summerlee, il curatore del British Museum» spiegò Thompson. «Oggi non si sente molto bene…»

«Lo vedo da me…» rispose l’altro.

«E, invece, signore, ha omesso di rispondere alla mia domanda.»

Knight tornò a fissare il capo della spedizione e, sorridendo amabilmente, disse: «Lo farò subito, signore. Prima, però, vorrei domandarle dove siano gli altri membri della vostra missione. Immagino, difatti, che non sarete solamente voi tre.»

Thompson stava per rispondere ma, in quel momento, Summerlee li raggiunse e, nel riconoscere il poliziotto, esclamò: «Per la miseria, Knight! Che cosa ci fa lei qui?»

«Buongiorno, professore» salutò il poliziotto, toccandosi il cappello.

Thompson, invece, parve cadere dalle nuvole.

«Voi vi conoscete?» esclamò con totale sorpresa.

«Direi proprio di sì» rispose Summerlee. «Un anno fa ci fu un furto, al museo, e Knight venne inviato ad indagare. È uno dei migliori, quando si tratta di rintracciare opere d’arte ed antichità oggetto di furto. Che cosa la porta qui, signore? Non crederà che noi possiamo essere dei tombaroli, vero?»

Knight sollevò le braccia, come a scacciare quell’accusa infamante.

«No di certo, signori, no» rispose. «Non voi, almeno. Purtroppo, però, devo comunicarvi che sono qui per arrestare due membri della vostra spedizione, rispondenti ai nomi di Philippe Fournier e di Jeremy Smith. Li conoscerete, suppongo.»

«Smith e Fournier! Perché diamine volete arrestarli? Che cosa hanno combinato?» gridò Thompson.

«Ve lo spiegherò dopo che li avrò acciuffati. Ditemi dove possa trovarli e procederò subito all’arresto!»

Thompson ed Abdul si scambiarono un’occhiata, senza rispondere.

«Be’?» sbottò Knight. «Signori, vi assicuro che il mio non è uno scherzo. Se volete vederlo, ho in tasca un mandato di cattura internazionale scritto e protocollato: i due illustri personaggi di cui ho fatto i nomi, difatti, sono attesi dinnanzi ai tribunali di mezza Europa.»

L’egittologo chinò il capo, prima di dire: «Devo darle una cattiva notizia, signor Knight. I due uomini che lei va cercando, insieme ad un terzo egittologo, ai miei due nipoti ed a tutti gli operai della spedizione, da questa notte sembrano essere spariti.»

«Spariti!» esclamò Knight. «Come?»

«Non lo sappiamo» rispose Thompson. «Quando, questa mattina, ci siamo svegliati all’alba, ci siamo trovati da soli. Non abbiamo alcuna idea di dove siano finiti gli altri. Sembra quasi che si siano volatilizzati.»

«Dannazione!» gridò Knight, tirando un calcio alla sabbia. «Altro che volatilizzati! Quelli mi sono sfuggiti di mano un’altra volta!»

Summerlee, scuotendo un poco la testa e massaggiandosi le tempie, si era schiarito le idee.

«Potremmo sapere che cosa intende dire, signor Knight?» domandò.

«Ormai… tanto vale che ve lo racconti. Innanzitutto, dovete sapere che, quello Smith, non è affatto un egittologo. Egli, infatti, è un abile truffatore, che ha audacemente assunto l’identità, ma soprattutto i titoli accademici, di un suo omonimo caduto in guerra.»

«Libone lo diceva giusto ieri che, da quel che aveva potuto sentire, il dottor Smith ne sapeva davvero molto poco, di antico Egitto» si ricordò Thompson. «Raccontava di averlo sentito parlare in una conferenza in Olanda e di essersi meravigliato delle tante fanfaronate che aveva messo in campo, al punto da voler indagare sui suoi titoli, senza però trovare nulla di illecito nel suo curriculum.»

Knight annuì, confermando la tesi dell’assente Libone.

«Ebbene, Smith ha cominciato ad utilizzare la sua nuova professione fasulla per riuscire a mettere a segno furti in diversi musei di tutta Europa. È riuscito a sottrarre antichi pezzi rari e pregiati in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Italia, in Spagna, nei Paesi Bassi, in Grecia e solo Dio sa dove ancora. Quando, finalmente, ci siamo messi sulle sue tracce, abbiamo scoperto che, a lui, nella sua opera di saccheggio, s’era unito anche Fournier, un egittologo francese di chiara fama, questo sì, ma rimasto profondamente insoddisfatto e rabbioso dopo aver perso la propria cattedra all’Università della Sorbona. Con l’aiuto di Fournier, Smith si è unito a diversi scavi archeologici in Egitto e Vicino Oriente, trafugandone diverse opere per rivenderle ai collezionisti di Europa e Stati Uniti. Ed in questi anni, ha pure avuto la faccia tosta di tenere conferenze e lezioni ovunque, come uno studioso vero e proprio; ovviamente, questi suoi apparenti impegni accademici gli servivano solamente come copertura, per potersi aggirare liberamente dentro e fuori dai musei senza destare sospetti. Finalmente, però, le nostre indagini hanno dato un nome ed un volto ai nostri ladri, fino ad allora rimasti misteriosi, ed io sono stato inviato alla loro ricerca. Nulla di più facile, pensai inizialmente: arrestare due professori universitari non sarebbe certo stato un impegno così gravoso. Che errore di valutazione! Da quando sto loro alle costole, hanno impunemente depredato tre siti archeologici senza che io riuscissi ad intervenire per tempo. Quando seppi della loro presenza qui ad Abu Simbel, nonché del rallentamento dei lavori a causa dell’assenza di uno di voi, però, sperai di poterli finalmente prevenire, giungendo ad arrestarli prima ancora dell’apertura della tomba. Purtroppo, una serie di incidenti e di strade sbagliate hanno impedito a me ed al tenente di giungere in tempo.»

«Ecco spiegata, quindi, l’impazienza che quei due dimostravano quando dovevamo attendere Summerlee per iniziare i lavori!» constatò Thompson.

«Non mi è mai piaciuto, quell’uomo! Se mi dovesse capitare ancora una volta davanti, gli farò mangiare tutti quanti i denti a furia di pugni» ruggì Abdul, prendendo per la prima volta la parola dall’arrivo di Knight, il quale gli rivolse un’occhiata interrogativa.

«Mio cognato Abdul» presentò Thompson.

Alan Knigh scosse il capo.

«Purtroppo, temo che non li rivedrà mai più. A quest’ora, a mio parere, avranno già passato il confine con il Sudan e mi toccherà inseguirli ancora. Sarà meglio che io parta al più presto per rimettermi alla loro ricerca. Spero solamente di non doverli inseguire troppo a Sud, altrimenti finiremo coll’incontrare la savana e la giungla; ho sentito raccontare strane storie ultimamente, riguardo a quei luoghi, e non vorrei dover scoprire da me se siano vere o false.»

«Un momento» lo trattenne l’egittologo. «Se la loro assenza dal campo, come dice lei, è spiegabile con una fuga, altrettanto non può essere affermato riguardo a quella dei miei nipoti, del professor Libone e di tutti gli operai. Dubito fortemente, infatti, che essi abbiano deciso di seguirli oltre il confine, non ne avrebbero avuto alcun motivo.»

«Senza contare che, dei ladri, fuggirebbero con il bottino» aggiunse Abdul, «mentre, poco fa, nel rimettere a posto i reperti che erano stati sparpagliati in giro questa notte, ho visto benissimo che quasi tutti i monili e gli altri ornamenti di grande valore raccolti nella tomba non sono stati portati via. Mancava solamente una collana, se ho ben guardato: un po’ poco, direi, per essere considerata una refurtiva di valore.»

«È vero!» confermò Thompson. «Mio caro Knight, io credo che i suoi due briganti non siano ancora fuggiti verso il Sudan, ma si trovino ancora nei paraggi.»

«Ma se non sono andati da quella parte, allora dove sono finiti tutti?» intervenne Meziane che, sceso a sua volta da cavallo, ruppe per la prima volta il proprio silenzio.

«Questo è proprio un bel mistero» dichiarò Summerlee.

«Professore, lei questa notte ha dormito nella stalla» constatò Thompson.

Summerlee, a quella frase, avvampò per l’imbarazzo.

«Be’, sì… sa… sotto la tenda… faceva caldo… allora, io ho… pensato… che magari… sarei potuto stare… un po’ più… al fresco… per dormire meglio…» balbettò il poveretto, sudando copiosamente da tutti i pori della sua vasta figura.

L’anziano egittologo, tuttavia, minimizzò la faccenda con un gesto della mano, aggiungendo: «Sì, certo, professore, ma quello che io vorrei sapere è se lei, magari, dalla sua posizione, non abbia potuto vedere o sentire qualche cosa che possa aiutarci a risolvere questo mistero.»

Il grasso curatore si sfilò il fez e si passò nervosamente un fazzoletto sul cranio lucido di sudore, prima di rispondere.

«Purtroppo, caro Henry, ho dormito proprio della grossa e non ho davvero notato nulla di nulla. Mi dispiace veramente moltissimo di non poter essere di alcun aiuto.»

Knight, nel frattempo, aveva continuato a gettare sguardi tutto attorno, forse alla ricerca di qualche traccia. All’improvviso, alzò una mano, ad indicare in direzione del maestoso tempio per metà ancora ricoperto dalle sabbie.

«Non sarebbe possibile che siano entrati tutti in quel vecchio edificio?» domandò.

«Quello è il tempio maggiore di Abu Simbel, fatto scavare e scolpire nella pietra arenaria di questa zona della Nubia dal faraone Ramses il Grande a partire dal suo ventiseiesimo anno di regno, ed è antico, non vecchio» rispose Thompson, leggermente indispettito dalla mancanza di tatto del poliziotto nel discorrere delle vetuste antichità che avevano di fronte. «E, da che siamo qui, nessuno ha avuto ancora occasione di entrarci. Io ci sono stato in più occasioni, negli anni passati, e contavo di tornarvi un’ultima volta prima di lasciare il campo per ripartire verso il Nord. Cosa avrebbero dovuto entrarci a fare, di notte, tutti i nostri compagni?»

«Be’, non scordiamoci che avevano bevuto tutti parecchio, considerando il disordine che si sono lasciati dietro» borbottò Abdul. «Forse, in preda ai fumi dell’alcol, potrebbero aver deciso di penetrare nel tempio per chissà quale ragione.»

«Erano ubriachi, eh? Magari questo ci faciliterà le cose e li troveremo là dentro, ancora addormentati» dichiarò Knight, portandosi una mano alla fronte per schermarsela dal sole, ormai alto. «Dinnanzi all’ingresso del tempio, infatti, vedo delle orme nella sabbia, che entrano, ma non ne riescono. Là dentro c’è qualcuno.»

Fece un segno del capo a Meziane, invitandolo a seguirlo, e partì risoluto in direzione del maestoso complesso. Mentre camminava, si sfilò di spalla il fucile e lo imbracciò dopo aver controllato che fosse carico, subito imitato dal compagno. Abdul e Thompson tennero loro dietro rapidamente, mentre Summerlee, arrancando a fatica, si affrettò a seguirli con la massima velocità consentita dalla sua mole.

«Dottor Thompson, stia indietro» invitò il poliziotto. «Potrebbe essere una faccenda pericolosa.»

Ma l’egittologo non si fece spaventare, ribadendo: «La prego caldamente di non utilizzare quest’arma là dentro, signore. Potrebbe danneggiare irreparabilmente l’antico tempio di Ramses II, con qualche proiettile.»

«Senza contare, poi, che là dentro potrebbero esserci davvero i nostri nipoti» ruggì Abdul. «Non vorrà fare del male ai bambini, vero?»

«Signori, so quel che faccio, è il mio lavoro» cercò di rassicurarli Knight.

Nel frattempo, erano giunti nei pressi dell’entrata del tempio, il cui interno appariva completamente buio, rispetto alla forte luce solare del mattino. Il poliziotto, mantenendosi guardingo, si chinò ad osservare le impronte che si perdevano verso la porta.

«Una sola persona è passata di qui» dichiarò. «Queste orme appartengono ad un solo individuo.»

«Potrebbe essere una pista sbagliata» gli rispose Meziane.

«Ma potrebbe anche non esserlo. Occhi aperti.»

I due uomini ripresero il cammino e s’addentrarono lentamente nel tempio, con i fucili spianati di fronte a sé, tallonati da presso da Thompson, Abdul e Summerlee il quale, approfittando della loro sosta, era riuscito a raggiungerli, sebbene ansimante.

La penombra, dentro l’antico complesso, non riusciva a smorzare il grande caldo che lo pervadeva. I cinque uomini si ritrovarono in un’ampia sala, dal pavimento sommerso da uno strato di sabbia finissima e dall’alta volta sorretta da pilastri ricoperti da geroglifici, dinnanzi ai quali sorgevano otto imponenti statue in posizione stante, raffiguranti il grande faraone nelle vesti di Osiride, il dio dell’oltretomba. Su entrambi i lati dei pilastri, invece, le pareti immortalavano con spettacolari immagini le grandi imprese militari compiute da Ramses II nel corso del suo lunghissimo regno, durato sessantasette anni.

Seppure lo avesse già visitato numerose volte nel corso della sua vita e sebbene preoccupato per la sparizione di John e Rachel, Thompson non poté evitare di spalancare gli occhi, al colmo dell’ammirazione e della commozione, dinnanzi ad un tale prodigio dell’ingegnosità umana. D’altronde, tantissimi anni prima, era stata proprio l’osservazione delle litografie realizzate tra il 1838 ed il 1839 da David Roberts, pittore vedutista che aveva compiuto un lungo viaggio in Egitto e Vicino Oriente, traendone magnifiche tavole poi pubblicate in un volume, a fargli nascere dentro un amore ed una passione indicibili per tutto quanto concernesse l’Egitto antico, in particolar modo quello relativo al periodo del Nuovo Regno. E quell’amore, nonostante il trascorrere inesorabile dei decenni, non s’era ancora minimamente sopito, anzi era tornato ad ardergli dentro di una passione ancora più forte, da quando aveva deciso d’imbarcarsi nello scavo della tomba sconosciuta. Quindi, ogni volta che gli fosse capitato di posare i propri occhi sulle meraviglie scaturite dall’antico popolo egizio, egli non avrebbe potuto fare a meno di turbarsi fin quasi alle lacrime. Probabilmente, solamente l’amore per sua moglie Fatma era stato, in lui, più forte e profondo della passione per l’antichità; e, rivivendo per un momento nel proprio cuore quel felice giorno di mezzo secolo addietro, che purtroppo non sarebbe mai più tornato, in cui per la prima volta aveva posto piede nel tempio maggiore di Abu Simbel in compagnia della sua giovane amica, non ancora sposata ma già vivamente innamorata e ricambiata, l’anziano egittologo non riuscì a trattenere un leggero singhiozzo di rimpianto.

Udendolo, Knight si volse all’indietro, bisbigliando: «Che fa, Thompson? Piange?»

L’altro scosse la testa.

«Ma no, che dice… mi è entrato un bruscolino nell’occhio, sarà stata la sabbia» borbottò.

«Meglio così» replicò il poliziotto, tornando a voltarsi in direzione della grande sala. «Ed ora avanti, lentamente e con gli occhi bene spalancati. Quei due, sentendosi in trappola, potrebbero riservarci un comitato di benvenuto indesiderato. Nel caso udiate rimbombare uno sparo, non esitate a sparpagliarvi ed a cercarvi un riparo.»

Abdul, tuttavia, brontolò che, a suo dire, né Fournier né Smith avevano con sé delle armi.

«Il fatto che nessuno le abbia vedute non significa che non ci fossero» gli rammentò Meziane.

Con estrema prudenza, i cinque uomini avanzarono nel tempio; il rumore dei loro passi era attutito dalla sabbia, mentre il respiro si faceva affannoso a causa della calura intrappolata all’interno dell’edificio. Nella penombra, a malapena rischiarata dalla luce proveniente dall’esterno, il gruppetto notò che la serie delle impronte proseguiva verso la seconda sala.

Senza soffermarsi a guardarsi troppo attorno, Knight e Meziane proseguirono in quella direzione, con gli altri tre sempre alle calcagna. In breve, s’insinuarono nella seconda sala, una stanza decisamente più piccola della precedente, sorretta da pilastri su cui capeggiavano le immagini degli dèi. In fondo, all’interno del vero e proprio santuario, s’intravedevano le statue delle quattro divinità Ptah, Amon-Ra, Ramses II in forma divinizzata e Ra-Horakhte, il grande dio di Eliopoli. E, proprio ai piedi delle quattro antiche statue, essi scorsero un arabo rannicchiato su se stesso, addormentato.

«Qui c’è solo un vagabondo venuto a farsi un riposino» esclamò Knight, abbassando il fucile. «È inutile, sto solo perdendo tempo. Cerco qui dentro quegli uomini che, di sicuro, saranno già lontani.»

«Aspetti, quest’uomo non è un vagabondo» lo interruppe Thompson.

«È vero, è uno dei lavoranti del campo, ricordo di averlo assunto io stesso» aggiunse Abdul.

«Be’, allora, se è così, vediamo se potrebbe dirci qualche cosa d’interessante, almeno lui» replicò il poliziotto, chinandosi a scuotere l’uomo addormentato.

Costui, destatosi all’improvviso, si guardò attorno con meraviglia, prima di notare i cinque che lo sovrastavano; nel notare le armi che due di loro portavano, sul suo volto si palesò una maschera di terrore.

«Non avere paura, non vogliamo farti del male» lo rincuorò Thompson.

Nel riconoscere il capo della spedizione archeologica, l’egiziano gli si gettò ai piedi, scoppiando in lacrime e gridando, in un inglese stentato: «Ti prego, signore, tu perdona me. Io tentato di fermare il signorino John, ma lui non voluto dare ascolto me. Io detto lui che essere sciagura entrare dentro, ma lui non voluto ascoltare me ed andato con altri.»

«Ma di che accidenti stai parlando?» ruggì Knight.

«John è mio nipote» spiegò Thompson. «Ma mi prenda un accidente se riesco a capire che cosa costui intenda dire.»

Abdul s’inginocchiò accanto al proprio connazionale e, posatagli una mano sopra la spalla per tentare di calmarlo, gli parlò in arabo; alle sue parole, l’altro rispose con una lunga spiegazione, che fece scuotere la testa a Thompson.

In quanto a Knight, sbottò: «Qualcuno sarebbe così gentile da tradurre per chi non capisce?»

«Dice che, la notte scorsa, i tre egittologi, palesemente ubriachi, in compagnia della ragazza e del ragazzo, i nipoti del dottor Thompson, hanno fatto ritorno all’interno della tomba» gli spiegò con prontezza Meziane. «Pare che volessero cercare un tesoro. Lui ha tentato di fermarli, ma il giovane John glielo ha impedito. Poi…»

Si volse verso l’arabo, che aveva ripreso a parlare concitatamente, quindi tradusse nuovamente: «Dice anche che, dopo qualche ora, poco prima dell’alba, ha fatto ritorno la grande eminenza del Cairo, vestita come un antico faraone.»

«E chi diamine sarebbe, questa eminenza? Qualcuno lo sa?» domandò Knight.

«Immagino che intenda accennare al professor al-Farooq» spiegò Summerlee. «Ieri sera se ne è andato dal campo, fuori di sé per la rabbia, dato che nessuno voleva prestare fede al suo racconto sull’ira dell’antico faraone la cui sepoltura abbiamo scoperto, che avrebbe invocato una maledizione contro chiunque avesse osato profanare il suo sepolcro.»

«E perché era conciato da faraone? Che pagliacciata sarebbe?» borbottò il poliziotto.

Questa volta, a rispondere, fu Thompson, che era sbiancato in volto.

«Il nostro amico sostiene che al-Farooq sia arrivato in compagnia di altri fanatici, vestiti come lui da antichi egizi ed armati con lance e spade di bronzo. Pare che facciano parte di una confraternita segreta o qualche cosa del genere. Egli ha radunato tutti gli operai, spiegando loro la storia della maledizione ed aggiungendo che, per eliminarla, avrebbero dovuto seguire nella tomba i profanatori e catturarli, per compiere il rito purificatore di espiazione. Alcuni dei lavoratori, atterriti, sono fuggiti, e tra questi il nostro amico, che è corso a nascondersi nel tempio, dove lo abbiamo trovato vinto dal sonno, ma altri hanno deciso di unirsi a loro, entrando poi nella tomba. Ed il rito sarebbe… sarebbe…»

Le parole morirono in gola all’anziano egittologo, che abbassò la testa e non ebbe cuore di proseguire; al suo posto, concluse Abdul, a sua volta estremamente preoccupato.

«Il sacrificio di una vergine al dio Horo. E l’unica giovane che si trovi in quel gruppo è Rachel.»

«Cosa?» esclamò Summerlee, sbigottito. «Ma è inaudito! Che ignoranza è mai questa, da parte di al-Farooq? Gli antichi egizi non praticavano sacrifici umani, se non nel periodo più arcaico e remoto della loro storia millenaria!»

Knight volse lo sguardo su tutti i presenti e disse, con tono duro: «Ma questi non sono antichi egizi. Questi sono fanatici moderni. Signori, dobbiamo muoverci subito. Ormai, la nostra non è più una missione per catturare due ladri matricolati, bensì una corsa contro il tempo per strappare una povera innocente dalle mani di un pazzo furioso.»

Thompson risollevò la testa, fissò il poliziotto per un momento negli occhi e disse: «Mi segua, signor Knight. Le mostrerò la strada.»

 

 
   
 
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