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Autore: Cladzky    20/12/2022    1 recensioni
«Forse non fu il romanzo di Melville a spingere il signor Friederich su una baleniera, ma certo lo portò a ribattezzarla "Jungfrau"»
Una piccola avventura ai confini del mondo nel circolo polare artico. 1851; nella Germania ancora non unificata, il signor Friederich decide di finanziare una spedizione nei mari più freddi della terra alla ricerca di una nuova rotta per la caccia alle balene, mercato in declino ad Amburgo. L'equipaggio del suo brigantino, dunque, viene composto della più incivile marmaglia disposti a spingersi oltre i confini conosciuti pur di avere un'occupazione e l'emozione di star sfidando la natura in ambienti tanto remoti da non essere ancora mappati. Johannes, primogenito di un vecchio ramponiere di capodogli, s'imbarca, pur non sopportando la personalità del suo capo. Ad attenderli, un ambiente ancora inadatto all'essere umano, dove solo animali eccezionali sopravvivono, mai studiati prima.
Genere: Generale, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    Qualcuno mi biasimerà, dandomi dello sciocco. Ma come Johannes, non mettesti tu piede al porto, scendendo dal traghetto partito sessantotto miglia più su, allo sbocco dell'Elba? Perché chiedere informazioni per un posto in cui fosti già stato? Chi dice questo ignora quanto grande possa essere il porto di Amburgo. Seguendolo, l'Alster s'immette nel fianco del gran fiume e le sue acque scorrono insieme fino a perdersi nell'oceano. Dove finisce il canale inizia una tale distesa d'acqua che a fatica si vede la gente sulla riva opposta. Potreste illudervi, guardando la penisola che sporge, chiudendo il canale di Binnehafen, offrendo terreno perfetto all'ormeggio e poco altro nella sua sottigliezza, ma, scendendo dal centro, spostatevi più a destra e intravederete, oltre gli alberi dalle vele ammainate delle imbarcazioni che formano una foresta sterminata di alberi secchi, la sponda della Bassa Sassonia, verdeggiante nei suoi boschi, con trecento metri d'acqua a separarci. Rigirando i talloni sulla regione opposta dell'Holstein, mi perdetti a studiare gli alberi di mezzana dell'ultimo paio di navi che manovravano ora: L'una per uscire, un vaporetto svettante la bandiera sarda. La seconda, che le scivolava accanto, lenta, placida sull'acqua, quasi senza alzare uno spruzzo in confronto al rombo dei motori della prima, appena diradato il fumo nero lasciato dalle ciminiere, si rivelò essere una modesta imbarcazione danese a tre alberi, molto bassa sull'acqua, con quattro lance montate ai fianchi sbiaditi e sopra questi stava scritto a caratteri gialli, in bordi neri, un nome che non riuscivo a distinguere da quanto era lontano e scurito da un'incrostazione, fin quanto non mi fu a nemmeno trenta metri dal molo, tanto vicina che ne potevo sentire l'ordinata scricchiolare. Si leggeva Jægerske e l'incrostazione era di un marroncino cha appariva quasi sangue secco e aveva tutta l'aria di esserlo davvero, perché là in prora, sotto il bompresso, stava legato quello che potrei definire solo come un becco gigantesco, color d'avorio e tanto lungo da percorrere in lunghezza tutto il palo, assicurato con lacci di funi come i resti d'una vittima sacrificale.

    Mi passarono dietro gli ufficiali del porto, che andavano comunicando con il capitano tramite gesti e un megafono di legno dal quale gridavano, con voce vibrante, ordini nella loro lingua scandinava, seppur con un forte accento. La nave mi sorpassò, approssimativamente a cinque miglia l'ora e gli piede con una camminata veloce, senza staccarle gli occhi dosso, arrischiando di essere buttato in mare a suon di bestemmie da un pescatore quando impattai contro la sua pila di gabbie d'aragosta. 

    L'equipaggio aveva già ammainato tutte le vele al di fuori della randa e un gruppo si avvicinò alla murata di babordo, prese delle cime spesse e, legate in cappi, le lanciò contro la terra ferma, facendo frustare con violenza quelle gomene sul molo. Subito si prodigarono gli ufficiali per assicurarle alle bitte in ferro lucido, nuove di zecca, mentre dall'occhio di cubìa veniva lasciata cadere di colpo l'ancora, che atterrò con un alta esplosione, turbando il manto violetto e calmo del fiume. Fu avvicinata da terra una passerella montata su ruote al piccolo veliero e, festanti, già si accumulavano i marinai al parapetto, gridanti frasi incomprensibili. Avevano l'aria di non vedere terra da tempo, ma ciò non aveva impedito loro di sistemarsi per bene. Qualcuno si era sbarbato, chi non l'aveva fatto si stava rivestendo a modo, chi si pettinava ed erano tutti belli puliti. Come fosse possibile farsi un bagno sopra un veliero, ancora non lo sapevo. Appena il ponticello fu bloccato, quelli si gettarono giù scavalcandosi a vicenda per poter calpestare per primi pavimentazione diversa dalle assi di coperta. Rimasero a discutere sul castello di poppa quelli che potei dedurre essere il capitano, col suo bel cappellino e in uniforme, insieme al suo nostromo, il timoniere e un paio di inservienti, anche questi vestiti a modo per approdare. 

    Salirono loro incontro gli agenti del porto e fui tentato di accodarmi per dare un'occhiata a questa nave d'alto bordo, ma appena messo un piede sulla passerella lo ritrassi per paura di farmi gridare contro da qualcuno per la terza volta, quel mattino. Infatti giurerei di aver scorto un'occhiataccia furtiva nei miei confronti da parte del capitano, che aveva calato le palpebre sugli occhi foschi durante le trattative con la capitaneria di porto. Lento e mesto ripresi a passeggiare, non senza fermarmi a sbigottire ancora di fronte quello strano becco che dava l'aria alla nave di un dreki normanno con la sua faccia da drago. Sembravano le zanne di un gigantesco elefante e in effetti si collegavano a una struttura che si poteva riconoscere essere un cranio, dati gli zigomi, un orbita ossea e inserti dove un tempo collegavano muscoli e tendini. Doveva essere un animale gigantesco, o tutto testa o con un corpo ancora più grande. Allora capì la professione di quella gente.

    "Ehi, tu" Mi fece trasalire la voce roca di un uomo al mio fianco. Voltandomi riconobbi quello che ipotizzai essere il nostromo, col volto di una statua e le rughe crepe nella pietra, ma sgattaiolato alle mie spalle col peso di una piuma, colpa il mio assortimento. Se ne stava lì, mani giunte dietro la schiena, ad alzare le sopracciglia cespugliose con uno sguardo di gioco e smuovendo la barba rossa col respiro. Nonostante avessi reputato quella decorazione un'insolita novità, ero l'unico di tutto il porto che si fosse fermato a studiare quella belva bianca, mentre altri buttavano uno sguardo e tiravano avanti. Feci per girarmi ancora e andarmene svergognato, ma di nuovo mi chiamò l'uomo, più forte di prima "Ehi, tu!"

    "Non volete che me ne vada?" Chiesi, agitato dalla confusione.

    "Ti interessa la nostra nave?" Continuò senza rispondere, annuendo con fierezza. Sebbene danese, questi aveva una dizione niente male e ne rimasi piacevolmente sorpreso e deluso di non poter ricambiare.

    "Mi interessa la vostra polena" Dissi indicando il mostro. L'uomo aprì la bocca in un gesto di chi ne sa di più.

    "Quella polena ha una grande storia" Disse, indicando col pollice le sue spalle. Il capitano era ancora lassù, che mostrava un piccolo barile agli agenti "È un trofeo del signor Guldbæk."

    "Vuole raccontamela?" Chiesi con tono scherzoso, ma dentro ci speravo.

    "Certo, perché no? Tanto non ci muoveremo finché non avranno concluso là sopra" Rise l'uomo e voltandosi verso l'argomento della discussione prese a dissezionarlo. Io seguivo con lo sguardo "L'abbiamo misurata: in tutto sono sei metri tondi e se la apri ci può stare un uomo seduto sulle spalle di un altro."

    "È una balena?"

    "Certo, la più grande che la 'cacciatrice' possa vantare di aver preso, onorando il suo nome" lo sguardo sognante mutò in un'espressione di scherno amichevole "Ne hai mai vista una?"

    "Mai, in tutta la mia vita."

    "Allora immaginala" E mi fece cenno di avvicinarmi, scrutandomi con occhi di vetro "Eravamo al largo della Grønland settentrionale, una terra arida che non è mai veramente verde. Le vedette in cima le coffe non vedevano altro che acqua e isbjerg, che in fondo è sempre acqua, sopra un orizzonte mosso. L'inverno si avvicinava e il sole compariva sempre meno. Permaneva un'atmosfera plumbea di giorno e il buio pesto la notte, senza luna, oltre nubi. Soffiava un vento, quell'ottobre, che t'irrigidiva tanto che faceva male muoversi, specie in cima agli alberi. Eravamo tentati di consumare l'olio estratto sino ad allora per scaldarci dando fuoco alla nave. Non si vedeva una balena da settimane e avevamo ancora mezza stiva vuota. Facciamo per tornare a casa, confortandoci di beccarne qualcuna nei pressi dell'Islanda, quando d'improvviso ci coglie un vento contrario e tremendo da sud-est. Subito il panico ci stringe quando ci rendiamo conto che siamo rapiti dal fønvind! Tentammo di risalire il vento con una manovra a bolina e lo scafo beccheggiava tanto forte ad ogni onda infranta che il povero timoniere rischiava di rimetterci tutti i denti sulla ruota. Kaptajn Guldbæk, allora, appendendosi all'albero maestro, grida a tutti un discorso tanto forte da sentirsi anche sulla tempesta. —Dio mi sia testimone— diceva —Abbiamo sbagliato a voltare indietro. Ecco, ora ci porta in un posto migliore!"

    "Non suona promettente." Dissi col cuore in gola, rapito dal racconto.

    "Lo pensammo anche noi. Fu una notte d'inferno ed eravamo convinti di naufragare sulle coste di Scoresbysund che tentavamo di fuggire. Invece, in un'atmosfera calmissima, ci trovammo all'alba, senza aver dormito, in una zona di mare sconosciuta, al limite della calotta polare. A mezzogiorno misurammo col sestante la latitudine e scoprimmo di essere settanta miglia nautiche più a nord. Nonostante la violenza dell'uragano e gli isbjerg ci eravamo salvati e questo fu il primo miracolo."

    "Non lo chiamerei miracolo."

    "Invece sì. Ascolta quello che succede dopo. Stavamo ancora decidendo come proseguire quando d'improvviso un grido ci scuote. Da sopra i pennoni giunge la voce della vedetta —Soffia! Laggiù a dritta!— Allora guardiamo e che meraviglia: a un miglio appena se ne stava placida una Grønlandshval! Quella che gli inglesi chiamano bowhead, testa ad arco, perché ha una bocca che quando è chiusa le forma un sorriso capovolto gigantesco sui labbroni. Era vecchia, lo si vedeva dalla corona che portava in testa, fatta di cirripedi e una schiena rugosa nel suo scintillio. Era la più grande che avessimo mai visto, tanto che perdiamo del tempo ad ammirarla. —Forza idioti!— ci grida Guldbæk —Aspettate che s'immerga per inseguirla? Abbiamo giá disobbedito a Dio una volta, facciamo quanto ci chiede!— Smontiamo tutte le lance e pure lui ci segue.

    "Anche voi?" Chiesi sbalordito. Quello quasi si risentì, poi rise, molleggiando le goti flosce.

    "Non nego di essere vecchio ma anche il primo ufficiale!"

    "E quella non scappava?"

    "Un baleniere sa come approssimarsi senza far rumore sull'acqua. La mia lancia fu la prima a raggiungerla, affiancandola dietro il lobo sinistro nel suo lento passeggiare. Da vicino era ancora più grossa, almeno venti metri, forse di più. Il mio ramponiere prese l'asta, fa per tirare, quella si volta appena e il colpo parte. Bang! La punta del rampone sbatte contro i cirripedi attaccati sopra l'occhio e rimbalza via. Per lo spavento alza la coda di quattro metri buoni fuori dall'acqua, una coda da delfino nonostante la sua mole, ad arco come lei, e poi ce la sbatte accanto, ribaltando la barca d'un lato."

    "Dio!"

    "Eh sì, ci aveva giocato un bello scherzo, catapultandoci in quelle acque gelide. In pochi minuti si muore assiderati. Allora, il Livjatan, preso dalla foga, si volta verso le altre imbarcazioni e vi rema contro a dieci nodi di scatto, volandoci accanto. Gli ho toccato il fianco mentre passava e dovevi sentire quanto fosse caldo quel mostro pure in quelle acque gelide. È molto insolito per una balena come quella agire in maniera tanto aggressiva, ma è insolito pure che raggiungano quelle dimensioni. Fendendo l'acqua con la schiena, correva velocissima in mezzo alle tre lance rimaste. La prima gli lancia un rampone, ma lo manca e viene investita dalla testa, spezzandogli la chiglia per intero. La seconda la colpisce sopra il dorso, quella tentenna, legano la cima, ma riparte e se li tira dietro fino a immergersi sotto la banchisa, costringendoli a tagliare la lenza. Rimane solo Guldbæk, alla barra della sua barca, sul sentiero della balena. Quella gli corre a perdifiato addosso per investirlo. I suoi uomini vorrebbero scappare ma lui no. Sa che poteva essere l'ultima volta che ne vedeva una così. Prende lui stesso il rampone e la becca sul muso. Quella devia dal dolore e corre via. Legano la lenza e si fanno trascinare a una velocità pazzesca che pare volassero. Comincia a calare una valle di nebbia e loro ne vengono inghiottiti. Gli urliamo di tagliare la corda, tornare indietro, ma non torna nessuno. Accendiamo i lumi, aspettiamo un'ora e ancora niente. Ci avviciniamo col veliero nella loro direzione ma non si vede a un palmo naso. Passa un giorno intero e già prefiguriamo il sontuoso funerale a cui attenderemo a Esbjerg. —Ohè!— grida una voce dal nulla, lontana. Ci sporgiamo dalle murate e lì, davanti a noi, la lancia di Guldbæk traghetta dietro di sè il Livjatan ed egli ci agita un pugno —Maledetti fuochi fatui, non sono ancora morto!

    "Ottima imitazione, Torsten" Si congratulò alle nostra spalle lo stesso capitano del racconto, con un accento molto più marcato. Un uomo alto e torvo, un corvo in persona, stempiato e dai capelli gonfi. Un po' imabarazzato, il suo primo ufficiale ci rise su.

    "Volevo solo spargere la vostra leggenda, herr Kaptajn .

    "Macché leggenda. Ho cacciato balene tutta la vita, è solo mio mestiere."

    La riprovazione nei confronti della sua mitizzazione me lo faceva sembrare, per paradosso, ancora più eroico, anche se dal fisico si sarebbe detto solo un quarantenne annoiato. Ma si leggeva nel volto, come marchiato a fuoco, che aveva visto più di quanto l'uomo comune doveva. Cosa fosse mai successo dietro quella nebbia, per un'intera giornata, lo sapeva solo il capitano e i suoi rematori.

    "La balena che avete ucciso è comunque gigantesca, Guldbæk" Insistetti ler osservare la sua reazione. Quello arricciò il naso per sopprimere un senso di vanità.

    "Le balene si stancano di correre, tutto qui e il metodo per ucciderle non cambia, fosse stata anche di trenta metri. Il più è stato rimorchiarla fino alla Jægerske per un giorno intero. Non c'è nulla di leggendario, solo uno spettacolo deprimente" E aveva tutta l'aria di dire la verità, ma non potevo crederci. Lo stesso essere che aveva seminato tre lance, ribaltando una e distruggendo un'altra, si era solo messo a correre in linea retta fino a stancarsi? Non aveva impiegato alcun trucco da vecchia esperta della zona? Magari saltando fuori dall'acqua, voltarsi contro la sua imbarcazione, avvilupparsi nella corda, immergersi. E il capitano Guldbæk non aveva risposto con manovre da eroe, anzi, saltandole addosso con un arpione e passandole il cervello standole sulla schiena? Non ci potevo credere.

    "La sua è una bella storia. La terrò in mente quando passerò per quelle zone" A queste parole quello strabuzzò gli occhi arrossati, proprio come quelli di un cetaceo, e si chinò su di me col suo naso stretto, lungo e schiacciato.

    "Det var noget pjat! Jeg håber ikke du vil blive hvalfangere?" Esclamò senza pensare "Dico, non vorrai diventare baleniere, tu?"

    "Certo, parto con la Jungfrau."

    Ma la sua incredulità era di diversa natura.

    "Il mestiere del baleniere è quanto di più bieco ci sia a questo mondo!"

    "Ma voi siete un baleniere" Feci stupidamente notare e poco ci mancò che quello mi picchiò sulla testa. 

    "Non c'è nulla di glorioso nel cacciare balene ma qualcuno deve pur farlo. Se proprio devi fare qualcosa di utile va a lavorare i campi o qualsiasi altra cosa."

    "Io non vi capisco. Perché scoraggiare la gente a unirsi alla vostra professione?"

    "Sempre questa storia" intervenne il barbarossa "Se tutti vi ascoltassero il mondo rimarrebbe senza olio. Come se la morte non esistesse sulla terraferma."

    "Torsten!" Gridò il capitano al suo primo ufficiale "Hai lasciato fuori un dettaglio dalla tua storia."

    "Sì, ecco" Si tolse il cappello con sguardo sconsolato "Dei rematori della mia lancia, cadendo in mare, uno non è tornato. La balena, correndo, lo aveva investito come un treno e gli è volato sul dorso. Lì è passato sopra la sua corona di molluschi, sbrindellandosi la pelle e ha rotolato fino a cadere dal lato opposto. Quando lo abbiamo recuperato era già morto e irriconoscibile. Si chiamava Johannes ed era un ottimo mozzo."

    "Questa è buona" Spalancai la bocca. Di nuovo il capitano minacciò un pugno.

    "Cosa credi, che sia una battuta?" Si risentì anche Torsten, agitando le ciglia cespugliose.

    "No, dico" Replicai timoroso come di fronte al destino in persona vestito da corvo "Anch'io mi chiamo Johannes."

    I due si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi il capitano riprese a parlare.

    "Dio mi ha dato un segno e così anche a te. Avete fatto benissimo a raccontargli questa storia, signor Torsten."

    "Ragazzo, io in queste cose non ci credo" Intervenne il primo ufficiale "Ma ti prego di considerare in cosa vai a imbarcarti."

    "Ormai è deciso, è una questione di famiglia" Dissi, ed estrassi anche a loro il mio rampone d'osso, come un lasciapassare. Ma dietro i loro sguardi non c'era approvazione.

    "Non c'è sangue umano che possa bollire abbastanza da sciogliere i ghiacci di Groenlandia." Scosse il capo Guldbæk, prima di allontanarsi. Rimase indietro un momento Torsten a darmi parole di cordoglio.

    "Arktis è un posto orrendo perché ti mette a nudo. Crederai di stare impazzendo e invece sei solo te stesso. Quando succederà osserva la balena e considera le sue vie. Lei ci vive e saprà cosa dirti."

    "Chiedere aiuto a chi voglio uccidere." Feci una smorfia all'assurdità della cosa. Ma quello si grattò la barba con sguardo sornione.

    "Non c'è odio nella caccia. Non provare odio neppure per Arktis."

   
 
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