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Autore: Kanako91    21/12/2022    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Parte II. Il capitano - Capitolo 3. Per un pugno di lapislazzuli




Nomi utili:

Ciryandil: secondogenito di Tar-Ciryatan
Ciryatan: dodicesimo Re di Númenor, marito di Nenilde, padre di Atanamir (canon) e Ciryandil
Nenilde: moglie di Ciryatan, madre di Atanamir e Ciryandil. Scrive componimenti poetici erotici sotto lo pseudonimo "Ciryanilde"
Tar-Minastir: undicesimo Re di Númenor, padre di Ciryatan, figlio di Isilmo fratello di Telperien (canon)
Hallariën: moglie di Minastir, madre di Ciryatan
Tar-Telperien: decima Regina di Númenor, zia di Minastir (canon)
Atanamir: tredicesimo Re di Númenor (canon), fratello maggiore di Ciryandil, figlio di Ciryatan e Nenilde
Aldarian: nobildonna númenóreana, amante di Ciryandil




3. Per un pugno di lapislazzuli




La prima volta che Ciryandil la vide, lei canticchiava mentre era intenta a raccogliere frutta e bacche selvatiche, una cesta che teneva appena sopra la curva generosa di un fianco.

L’unica parola che avrebbe potuto descriverla appieno era proprio quella: curva. Quella dei fianchi, la vita che rientrava e risaliva verso il seno prosperoso; quella delle guance marroni, che scivolava dalla fronte alla punta del naso, morbida sul mento e sulla mascella. Gli stessi capelli neri erano pieni di curve, che ricadevano lungo la schiena fino al sedere e oscillavano come un mantello a ogni movimento.

Era una figlia di terra e cielo notturno, neppure la prima che vedeva, neppure così notevole rispetto alle donne della sua terra.

Ma Ciryandil rimase a guardarla dai cespugli dietro cui si era appostato, seguendo con gli occhi il suo ancheggiare inconsapevole mentre la donna si muoveva come un’ape di fiore in fiore. Finché lei non riempì il cesto e se ne andò, reggendolo in testa, i fianchi che ondeggiavano a ogni passo.

Il giorno dopo, lei era di nuovo lì e Ciryandil non si perse nemmeno un attimo di quel rituale. E iniziò a notare quei dettagli a cui avrebbe dovuto far caso prima, non fosse stato troppo concentrato sul desiderio che lei appiccava tra le sue gambe.

C’erano gemme alle orecchie della donna. Di un blu pieno, non cristallino, che finora aveva visto solo di sfuggita. Sapeva come li chiamavano e che l’unico posto in cui avrebbe potuto trovarli era proprio l’Harad, ma non sapeva di preciso dove.

Lapislazzuli.

Doveva esserci una miniera nei dintorni, se pendevano alle orecchie di una semplice serva.

A meno che non fosse al servizio della famiglia che possedeva la miniera, o addirittura l’amante del padrone. Non sarebbe stato sorprendente.

Il terzo giorno, Ciryandil fece caso agli abiti azzurri, una tonalità rara in questi territori lontani dal mare da cui pescare i molluschi necessari, o dalle montagne su cui crescevano le piante per i pigmenti giusti.

Quando quella sera Ciryandil tornò al campo, aveva la testa piena di lapislazzuli, fianchi e seni marroni che oscillavano sopra di lui, mentre il vento scostava appena le tende azzurre.

«Abbiamo un nuovo obiettivo» disse Ciryandil ai suoi capitani.

Si sarebbe occupato lui di ottenere le informazioni utili all’attacco e si sarebbe avvicinato ai nativi.

O almeno, a una nativa in particolare.


* * *


Ciryandil sapeva dove aspettarla.

La lasciò canticchiare nel raccogliere i primi frutti, poi scivolò fuori dai cespugli e si poggiò con una spalla al tronco di un albero, lo sguardo su di lei finché non si fosse accorta di essere osservata o non si fosse voltata.

Quando la donna si girò verso di lui, lo avrebbe dovuto vedere e invece continuò a canticchiare tra sé, mentre frugava tra i cespugli per controllare la maturazione di alcuni frutti.

Ciryandil rimase immobile. L’espressione divertita con cui l’avrebbe voluta accogliere scivolò via e lui strinse gli occhi.

Lei gli si avvicinò senza interrompere un attimo il suo lavoro, finché non rimase un soffio tra loro.

Solo allora la donna sollevò la testa e un sopracciglio.

Pronunciò una parola, o meglio un verso interrogativo.

Non aveva idea di cosa volesse dirgli, né di come potesse essere così tranquilla nel sapere che lui era lì in agguato con intenti fin troppo chiari. Altre donne prima di lei avevano urlato ed erano fuggite da lui, il grande e grosso bestione pallido.

Questa donna piccola e nera, invece, gli stava davanti come a chiedergli cosa volesse. O forse se aveva intenzione di muoversi, a giudicare dall’aria paziente con cui lo guardava.

A Ciryandil, alla fine, non importava un bel niente.

La afferrò per la vita e la sollevò per guardarla dritta negli occhi.

Le labbra carnose incurvate in un sorriso, lei gli avvolse le gambe intorno ai fianchi, premendosi contro il suo ventre e sfiorando la punta dell’erezione che premeva sotto le vesti.

Incapace di trattenere un sorriso, Ciryandil si voltò per spingerla con la schiena contro il tronco dell’albero e il cesto di frutta rotolò a terra con tutti i suoi contenuti.

Ma non importava più nemmeno a lei.

Gli slacciò i pantaloni prima ancora che lui le sollevasse la gonna.


* * *


Comunicare con la donna era complicato.

La lingua che parlava gli suonava del tutto aliena, e l’accento gli rendeva incomprensibili –a un primo ascolto– anche quelle poche parole che erano comuni con gli abitanti poco più a nord.

Quando erano insieme, lui le parlava come gli veniva e spesso lei si divertiva a ripetere le sue parole, trasformando il Sindarin in un idioma a parte. Con l’Adûnaic sembrava uno strano sogno fatto di sussurri e toni gutturali che rischiavano di distrarlo del tutto dal suo obiettivo.

«Lecca il dolce miele dal mio alveare» le disse un pomeriggio. Era solo una delle frasi che si divertiva a pronunciare per sentirgliele ripetere.

Quando lei ripeté, distesa per terra, l’abito azzurro sciolto sotto di lei e i capelli aperti in onde intorno al viso, Ciryandil non poté che accontentarla fino a sentirla gridare nella sua lingua aliena.

Preghiere senza dubbio.

Lui sapeva essere un dio magnanimo, se soddisfatto della devozione dei suoi fedeli.


* * *


Una sera, la donna lo prese per mano e lo portò con sé fuori dal bosco, fino al villaggio di case di terra e paglia che lui aveva intravisto il primo giorno. Solo le stelle rischiaravano il cielo e, lungo la via principale, tutte le abitazioni erano buie.

Non ebbe modo di vedere molto altro, perché la donna gli fece fare il giro del villaggio dall’esterno fino a una casetta isolata dalle altre e molto piccola.

Se quella era la sua casa, l’ipotesi che fosse l’amante di qualcuno diventava all’improvviso meno credibile. In quelle terre, chi viveva fuori dai villaggi non era ben visto.

Quando entrò nella casetta, scoprì che era composta da una sola stanza con lo spazio per un focolare al centro –in corrispondenza di un foro nel tetto di paglia– e, sulla parete opposta all’ingresso, un giaciglio in un angolo e una cassapanca in un altro. Alle pareti erano appese erbe a essiccare e vasi di varie dimensioni.

Non proprio quel che aveva sperato.

Ma se una donna costretta al limitare del villaggio aveva simili gioielli –pagamenti, forse?–, come gli orecchini che le aveva visto addosso una volta o la catenina per i fianchi che aveva sfoggiato durante uno dei loro incontri, chissà cosa dovevano avere gli altri.

Non riuscire a parlarle era una gran seccatura. Durante un momento di torpore dopo il sesso, avrebbe potuto almeno chiederle dove fosse la miniera e invece era costretto a trarre conclusioni in base all’osservazione e basta.

La donna andò al focolare e si accovacciò per accenderlo.

Non faceva abbastanza freddo per quello, forse voleva preparargli del cibo?

Il cibo nativo non gli piaceva. Le donne poteva tollerarle, dopotutto i corpi caldi e accoglienti erano uguali una volta che vi era dentro, ma gli strani intrugli di spezie e le carni dalla provenienza incerta non erano lo stesso per il suo palato.

Aveva un cuoco númenóreano per quello.

Ciryandil avvolse le mani della donna nelle sue, con un sorriso malizioso le tolse la pietra focaia e la portò al giaciglio.

Al risveglio, lei avrebbe avuto troppa fame per prendersela per la sua sparizione.


* * *


La luna nuova offrì loro il momento propizio per l’attacco. I Númenóreani non avevano problemi a muoversi alla sola luce delle stelle, vedevano quasi come di giorno, al contrario dei comuni abitanti della Terra di Mezzo.

Ciryandil e i suoi uomini si addentrarono nel villaggio, coperti da mantelli blu per evitare qualsiasi luccichio del metallo che portavano addosso, incedendo a passo sicuro verso quelle case notabili che lui aveva notato durante una ricognizione di ritorno dalla casetta della donna. Si trovavano proprio al centro del villaggio, intorno a un tempio circolare e scuro, con il tetto a cupola che sembrava assorbire la luce delle stelle.

Con un segno della mano, Ciryandil indicò ai suoi uomini di procedere, mentre lui si soffermava a guardare quello strano tempio. Non vi era entrato durante la ricognizione, perché si aspettava di trovarvi un qualche stregone o sacerdote ancora sveglio e capace di dare l’allarme, ma ora poteva essere utile.

Così, si piegò e passò sotto lo stipite.

L’interno era nero come l’esterno e la puzza di bruciato impregnava tutto. Al centro dell’atrio circolare c’era una fossa scavata nella terra che custodiva braci e un piccolo fuoco.

Lì davanti c’era una persona di spalle, quasi un guardiano.

Ciryandil gli si fermò di fianco, la mano sull’elsa della spada sotto il mantello.

La persona non sembrava del posto. La pelle era molto più chiara di quella della gente del villaggio e, quando gli parlò, anche l’accento era diverso.

Ciryandil estrasse la spada e allora l’uomo urlò.

Non gli diede il tempo di gridare oltre, perché lo colpì al collo con la lama appena affilata. Gli tranciò la testa di netto e quella gli rotolò in grembo e giù nella fossa del fuoco.

Le fiamme divamparono intorno alla testa e con un calcio Ciryandil vi gettò dentro anche il corpo. Poi prese un ciocco dalla legna impilata contro la parete e lo affondò nel fuoco finché non si incendiò.

Con la torcia appena accesa, uscì dal tempio, per sentire le urla degli abitanti del villaggio, che gridavano, tentavano di lottare e scappavano, tutti agghindati con i loro gioielli poveri di metalli ma ricchi di lapislazzuli. C’erano alcune baracche già in fiamme e Ciryandil diede il suo contributo con la torcia, solo dopo aver visto i suoi uomini con le sacche in spalla piene di bottino.

Tra le urla e la gente che correva, i suoi uomini che falciavano i fuggitivi che si trovavano davanti, Ciryandil fece un giro tra le vie, per spargere ancora morte e distruzione. Con la luce del sole, sarebbero tornati al villaggio raso al suolo per vedere se c’erano tracce dell’origine delle pietre di lapislazzuli.

Ora dovevano prendere tutto quello che il villaggio aveva da offrire e anche qualche prigioniero da riportare a Númenórë, dove gli schiavi dalla Terra di Mezzo stavano diventando un bene di lusso tra la nobiltà e anche comoda manodopera gratuita tra gli artigiani più facoltosi.

Lo sguardo di Ciryandil fu attirato da un uomo agghindato come se fosse un re, perché era l’unico a muoversi tra le capanne con cautela e guardandosi bene intorno.

Ma non abbastanza bene, perché non vide Ciryandil finché non appiccò fuoco ai tetti di paglia delle case alle sue spalle, tracciando una linea di fuoco fino a lui.

Prima che il capovillaggio potesse reagire, Ciryandil lo afferrò per il mantello corto che gli copriva le spalle e lo mandò a sbattere contro una casa non ancora in fiamme.

L’uomo aveva gioielli di lapislazzuli intorno al collo e Ciryandil li indicò.

«Dove si trovano?» disse in Adûnaic.

L’uomo sgranò gli occhi e scosse la testa.

Ciryandil gli piazzò la torcia davanti al viso e l’uomo, con un urlo, tentò di tirare la testa indietro.

«Non temere... fuoco» disse l’uomo, in quello che sembrava Adûnaic, molto stentato e da uno strano accento.

«Dovresti» disse Ciryandil e abbassò la torcia, per mettergliela tra le gambe.

L’uomo diede un urlo disumano in risposta, gli occhi si girarono indietro mostrando solo il bianco, e crollò a terra. Ciryandil infilò la torcia nel tetto della casa e si chinò per sollevare l’uomo dal mantello. Lo agitò.

«Dove si trovano?»

Tutto ciò che riuscì a tirar fuori dall’uomo fu un gorgoglio incomprensibile. Gli sputò in faccia e si rialzò, senza nemmeno tagliargli la gola per mettere fine al supplizio del fuoco.

«Meno male che non lo temevi».

Quella parte del villaggio era deserta, così si voltò per tornare dagli altri.

Ma proprio allora, tra le fiamme che si stava lasciando alle spalle, vide una figura familiare.

Piccola e nera, con una criniera di capelli riccissimi. I suoi abiti erano anneriti, non rimaneva nulla dei gioielli che le aveva visto indossare, ma aveva la schiena così dritta, negli occhi una strana ferocia, che Ciryandil si fermò ad ammirarla.

Non capiva se si sentisse tradita da quel che vedeva o se fosse soddisfazione quella che illuminava il suo viso.

Tutto quell’odore di bruciato gli faceva credere che dovesse importargli qualcosa di quel che la donna pensava delle sue azioni.

Nulla di più sbagliato.

Quello che lei pensava non aveva alcun valore perché, che fosse morta nel rogo o fosse stata uccisa dai suoi uomini, Ciryandil non l’avrebbe vista mai più.

Si voltò.

Le fiamme gli giocavano brutti scherzi.






Nota dell'autrice


In questo capitolo ci sono i resti delle prime scene che ho scritto di questa storia, nell’estate del 2017, quando stavo definendo meglio la scaletta delle due parti.

Se su Khamûl avevo idee vaghe già da quando scrivevo Caccia Grossa nell'Est, Ciryandil è venuto prima di tutto in relazione alla Donna. La sua figura ha preso nitidezza tale mentre plottavo, che ho dovuto scrivere una scenetta (la seconda, di preciso) e provare a continuare. Non sono riuscita ad andare troppo oltre, ma avevo fissato alcuni punti fondamentali della Donna e da lì non mi sono scostata più di tanto.

Quanto al resto… no comment.

Grazie a chi ha letto fin qui e ci vediamo dopo le feste!

Kan


   
 
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