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Autore: Anonimadelirante    23/12/2022    1 recensioni
[Nancy Drew (2019)]
«Abitiamo in una casa infestata» annuncia Ace, accendendo la torcia del cellulare sotto il viso come se fossero bambini al campeggio.
«Non essere sciocco» storce il naso Nancy, infastidita. «I fantasmi non esistono» ripete per l’ennesima volta.
Lui sbuffa e scuote la testa, il fascio di luce nuovamente puntato davanti a sé: «D’accordo, come ti pare. Guastafeste» aggiunge un attimo dopo, ma le porge comunque la mano. Nancy la prende – perché è buio, tutto qua: «Sono una persona concreta e razionale» replica, quasi in tono di scuse. «E non credo che--» ma qualunque cosa stesse per aggiungere si perde coperto da quello che sembra a tutti gli effetti il lamento di uno spirito in pena.
«Parliamo di quanto sia irrazionale da parte tua ignorare l’evidenza dei fatti» sbotta Ace, dopo un istante di silenzio scioccato, sembrando molto più felice di quanto sia decente.
Nancy lo capisce, un po’. Uhm. Molto.

Also, mi sono scritta la coinquilini!AU che volevo per Natale, ma sono Nancy ed Ace, quindi OVVIAMENTE la casa è infestata.
(72 prompt in attesa di Natale @Mari Lace & Sofifi + Everything is CHALLENGED @Pinguina Mati)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: partecipa al calendario dell’Avvento del forum Ferisce la penna, e cioè 72 prompt in attesa di Natale (fantasma” & «È la cosa più carina che tu mi abbia detto» / «Non abituartici» & roommates!au) + alla Everything has CHALLENGED (per lo specchietto Lover), sempre sul forum.
— canon divergence / coinquilini!au per cui Nancy frequenta davvero la Columbia ed Ace eh. Ace è Ace in qualunque universo ci si trovi, e questo è un dato di fatto canonico; title @Taylor Swift, Lover, per ovvie ragioni.

 


Apologies: niente in questa fanfiction tiene seriamente conto del canone – sì, certo, ci sono costanti riferimenti a cose, but who cares. Questa è un’AU e in quanto tale può essere letta del tutto indipendentemente dalla conoscenza del fandom. Tutt’al più, se non avete visto la serie TV e avete comunque voglia di imbarcarvi in quest’avventura, troverete una marea di dettagli inutili che ho modificato ed inserito per puro ludibrio personale (che qui sta per: fare scempio assoluto de 1: la timeline originale; 2: le backstory e le residenze dei personaggi, tranne, in parte, di quelle di Nancy ed Ace, per ovvie ragioni; 3: la ragione dell’autrice, che ha perso la testa dietro a ‘sta scemenza).
Ci sono solo due ““““spoiler””””, e sono entrambi sulla situazione familiare dei due protagonisti. Sebbene sfidi chiunque a non capire immediatamente il “plot twist” che sconvolge l’esistenza di Nancy alla fine della prima stagione, quello di Ace forse è leggermente meno prevedibile (ma solo perché sembra tanto, tanto alla mano, ma in realtà non dice MAI NIENTE SU SÈ STESSO. Fateci caso. Manco alla sua plathancor, fra un po’. È così frustrante lo adoro), quindi… non lo so, lettori avvisati, mezzo salvati (?)
(PS: sono la più grande fan al mondo delle slow burn e questa è la ragione principale per cui la Nace mi piace così tanto, ma per questa volta, e solo per questa volta, ho cercato di prendere le cose leggermente meno lentamente. Leggermente è la parola chiave, comunque. Dò la colpa a Tylor Swift, per questo.)

 

 

 


 


All's well that ends well to end up with you

 


«Quattro suicidi uguali e ora un biglietto? Ah, sembra Natale! »
(Steven Moffat, Sherlock: A Study in Pink)


Il Natale dovrebbe essere legna che arde nel caminetto, profumo di pino
e di vino, buone chiacchiere, bei ricordi e amicizie rinnovate.

Ma... se questo manca basterà l’amore. 
(Jesse O’Neill)


Cominciate a credere alle storie di fantasmi, Miss Turner… Ci siete dentro!
(Ted Elliott, Teddy Rossio,
La maledizione della prima luna)


La paura è una cosa meravigliosa, a piccole dosi.
(Neil Gaiman)


Potremmo lasciare le luci di Natale fino a gennaio
Questa è casa nostra, facciamo noi le regole

E c’è una foschia abbagliante, su di te, tesoro, qualcosa di misterioso
Ci conosciamo da venti secondi o vent’anni?
(Taylor Swift, Lover)

 

 

 

 


Si sveglia al suono di Jingle Bells, il profumo dolcemente familiare di bucce di mandarino lasciate a seccare sul fuoco che le pizzica il naso.
Al piano di sotto, sua madre e suo padre ancora in pigiama – lui che canticchia stonato davanti al tablet, lei che beve il suo caffellatte con una spruzzata di cannella, il giornale aperto sul tavolo. I ciocchi di legna nella stufa che scoppiettano lambiti dalle fiamme, succo d’arancia in un bicchiere ed omini di pan di zenzero in un piattino, ad aspettarla davanti alla sua sedia vuota, assieme alla penultima casella del calendario dell’Avvento ancora da aprire.
Sorride e si stiracchia e--
La voce, apre lentamente gli occhi, la voce non è quella dei suo padre. 
Lei non è casa. È al college. Sua madre è--
Si trova alla Columbia. Sta vivendo la vita dei suoi sogni. Deve pensarlo molto intensamente e per parecchi secondi di fila, per riuscire a convincersene, ma alla fine ce la fa. Con un brivido, sguscia fuori dal letto e si infila il suo maglione di lana preferito – un’oscenità informe, residuo bellico di quando sua madre aveva provato ad imparare a lavorare a maglia, anni fa. George ha minacciato più volte di dargli fuoco, ma è caldo e morbido e sa di casa (il dopobarba di suo padre, principalmente, l’ammorbidente che usano in lavatrice e la lavanda secca del sacchetto attorno al quale è stato piegato: immagina che potrebbe descriverlo in maniera più poetica di così, ma sono solo i fatti – non c’è molto altro di cui possa odorare un indumento dopo mesi in un armadio, in realtà). Per un lungo momento, Nancy respira e basta, a piedi scalzi sul tappeto al centro della stanza, e si lascia credere di essere ad Horseshoe Bay, più piccola di un paio d’anni, ancora al liceo. Ancora--
Poi, il momento passa, e Nancy esce dalla propria camera per avventurarsi nel corridoio gelido che porta in cucina.
In cucina, dove il suo coinquilino sta cantando a squarciagola, stonando mostruosamente sui versi Over the fields we go, laughing all the way / Bells on bob tails ring making spirits bright, apparentemente del tutto ignaro della sua presenza.
«Ehm» borbotta Nancy. All’improvviso, si rende conto che non ha idea di come si chiami il ragazzo con cui condivide il bagno, la cucina, il corridoio e l’ingresso da quasi tre mesi. Forse avrebbe dovuto stare più attenta, quando Hannah Gruen, la loro stramba padrona di casa, li ha presentati. La realtà, però, è che c’è una ragione per cui non si è preoccupata di farlo, ed è che non le interessa. Davvero, no. In qualche modo, il soprannome al quale sa che risponderà, però, sembra un po’ troppo intimo, un po’ troppo-- eh.
«Ace» dice comunque, a voce più alta, sbattendo una mano sul tavolo per attirare la sua attenzione, ed Ace sobbalza, lancia un urletto del tutto poco virile e quasi rovescia il pentolino di cioccolata calda che stava mescolando a fiamma bassa.
«Nancy» gracchia, appena si è assicurato che la cioccolata non bruci. «Cosa ci fai qui?» aggiunge chinandosi sul pc per abbassare il volume fino a ridurlo ad un sottofondo accettabile per una conversazione.
Nancy fa una smorfia. Addobbata com’è, la cucina dell’appartamento sembra un po’ troppo casa, un po’ troppo domestica, un po’ troppo-- «Cosa ci fai tu qui» replica, incrociando le braccia al petto e rifiutando di riconoscere il fatto di essere in pigiama, completamente sfatta dal sonno, esattamente nella situazione di dimessa familiarità che ha fatto di tutto per evitare da quando ha capito con chi avrebbe convissuto durante il suo primo anno all’università. «Credevo saresti tornato a casa per la pausa invernale.»
«Eh» replica Ace senza impegno. Non la guarda, ma si gira per tirare fuori dalla credenza due tazze e riempirle di cioccolata fino all’orlo. «In frigo c’è la panna» la istruisce, ancora impegnato a ripulire il fondo del pentolino, e Nancy esegue automaticamente, un po’ stordita.
Una volta guarniti i boccali, Ace alza di nuovo gli occhi su di lei, ma solo per domandare: «Un po’ di cannella?»
Nancy non pensa ai sorsi che rubava dal caffellatte di sua madre, al gusto della cannella spolverata sulla panna montata che ci galleggiava sopra. Davvero, non lo fa.
Annuisce e basta, la voce strozzata in gola.
Ace, dal canto suo, le lancia uno di quei suoi sorrisi piccoli e disinteressati che le rivolge da quando si conoscono e poi si sporge su di lei per recuperare un piccolo Babbo Natale di ceramica, a cui toglie il cappello per poter versare un’abbondante pioggia di cannella sopra entrambe le tazze. È solo quando sono entrambi seduti, e può nascondere la propria espressione dietro la montagna di panna che ha messo assieme, che le risponde: «Casa può essere un po’ un campo di battaglia, durante le feste» borbotta, apparentemente più interessato ai biscotti allo zenzero nella scatola di latta che fa bella mostra di sé sulla credenza, che a guardarla in faccia. Nancy lo capisce, lontanamente. Be’. Piuttosto intimamente, in realtà. Forse è per questo che si alza per circumnavigare il tavolo e recuperare la scatola al posto suo.
«Giusto» mormora, la voce ancora un po’ grumosa di sonno, e poi beve un sorso di cioccolata. È buona. Cioè, straordinariamente buona, non acquosa come quella che fanno sempre lei e George sciogliendo un preparato nel latte, ma densa e cremosa, da adulti. Si rende vagamente conto che considerare la preparazione riuscita di una cioccolata calda una cosa da adulti la qualifica automaticamente come una ragazzina, una sprovveduta, una sciocca infantile, tutte cose che non è, grazie tante, ma. Sì, be’. È solo un dato di fatto, che sia un’ottima cioccolata: «Wow» esala, perché a quanto pare l’intera situazione le ha bruciato quel poco di autocontrollo che ancora possedeva ed ora esternerà a voce alta tutte le proprie considerazioni. «Sei-- bravo» inciampa, nel tentativo di sembrare più distaccata di quello che è. «Voglio dire» tossicchia. «È… solo cioccolata, ovviamente. Ma è davvero buona, ecco tutto.»
Ace sorride un po’ e morde un nuovo biscotto: «Grazie?» inarca le sopracciglia, facendo sembrare la risposta per lo più una domanda. «È la cosa più carina che tu mi abbia mai detto. Sì, no. L'unica cosa che mi hai detto. Il segreto sta nello sciogliere a bagnomaria una tavoletta di cioccolata, comunque» fornisce un attimo dopo, le labbra arricciate sul bordo della tazza.
Non è un’informazione di cui Nancy farà mai nulla, ovviamente, ma: «Buono a sapersi» concede. E poi, per buona misura, aggiunge: «Sì, non abituartici» secca. Il viso di Ace fa una cosa strana, una complicata operazione di muscoli facciali che combattono fra loro, ed alla fine sbuffa una specie di risata: «Oppure potresti smettere di evitarmi e chiedermi di preparartela.»
«Non ti sto evitando» replica Nancy, prima ancora di riuscire a processare.
«Come no» alza gli occhi al cielo lui. «Studiamo alla stessa università, ma abbiamo ovviamente orari completamente incompatibili.»
«È così» sbotta lei. Non è… non sta evitando il suo coinquilino attivamente. Sta solo-- «Non è per te» ritratta un attimo dopo, mordendosi l’interno guancia. «È solo. Sai. Sono venuta qui per ricominciare» prova a spiegargli, un po’ legnosa. «Non… sono venuta qui per, ah. Per avere un coinquilino di Horseshoe Bay» capitola, sentendosi vagamente più infantile di quello che è.
«Quindi è per me» ribatte Ace, senza perdere un colpo, ed anche se non sembra esattamente offeso Nancy non può esserne certa, perché Ace ha sempre un’aria eccessivamente rilassata, per i suoi gusti, ed è quasi sicura che si tratti al novanta per cento di una facciata. Una facciata molto solida e molto ben costruita, certo, una facciata attraverso la quale lei, Nancy Drew, la ragazzina detective di Horseshoe Bay, colei che ha smascherato il traffico illecito di crostacei dei Hudson durante le finali dell’ultimo anno di liceo, non riesce vedere. È un po’ inquietante, a dirla tutta, ma Ace potrebbe essere davvero essere l’essere più inscalfibile ed imperturbabile della terra.
«Non è per te» ripete, vuota. «Non per te in particolare» si corregge con una smorfia, nella speranza di non peggiorare ulteriormente la sua posizione.
Ace arriccia il naso: «Be’» commenta, in tono d’aiuto. «Se ti può consolare, non ti conosco. Cioè» ritratta. «So che sei Nancy Drew, ovviamente. Quella che ha ritrovato Rose Turnbull a dodici anni. L’incubo dei poliziotti della città – o il loro più grande idolo, dipende a chi chiedi. Ma a parte questo, e apparentemente il fatto che ti piace la mia cioccolata calda» aggiunge dopo un lieve tentennamento indicando allegro la tazza quasi vuota che Nancy culla fra le mani. «Non so chi tu sia.»
Nancy ingoia a vuoto: «Giusto» borbotta. «Ma sai--»
«--so di tua madre» la precede Ace, senza fare una piega. «Sì. Come tutti ad Horseshoe Bay. E mi dispiace» aggiunge riuscendo a sembrare persino sincero. «Ma» si stringe nelle spalle. «Cosa vuoi che ti dica? Che tu non conosci me, Nancy Drew?» ripete, quasi come una specie di scherzo condiviso (solo che lui e lei non condividono niente. A parte la propria città natale, un rapporto complicato con le forze dell’ordine ed una casa).
«È vero» ammette Nancy. «E, uh. Non prendertela, ma» si stringe nelle spalle. «Essere bravo nel preparare cioccolate calde non basta perché cambi idea sul fatto di non volerti conoscere.»
Di nuovo, Ace non sembra colpito, qualunque cosa provi realmente sotto centimetri di indifferenza e vago sfottò: «Sono devastato» annuncia, piatto. «Per essere una specie di genio dell’investigazione, però, Nancy Drew» aggiunge dopo un attimo, alzandosi per sfilarle dalle dita la tazza ormai vuota e metterla nel lavandino con la propria. «Stai partendo da un presupposto errato.»
«E cioè?»
Ace le sorride davvero, questa volta, vittorioso ed un po’ sfacciato, prima di darle le spalle per lavare i piatti accumulati nel lavello: «Che io stia impazzando dalla voglia di conoscere te
Nancy sbatte le palpebre.
«È giusto» ammette con qualche secondo di ritardo. «Quindi prepareresti cioccolate calde per qualcuno che non ti piace, in questa tua versione dei fatti?» indaga, non perché non voglia credergli, ma perché è un po’ contraddittorio e molto frustrante.
«Non ho mai detto che non mi piaci» ribatte lui, gradevolmente. «Penso che una convivenza civile si basi su cioccolate calde bevute in silenzio.»
«Giusto» ripete lei, perché c’è qualcosa ridicolmente logico in questo ragionamento da tossicomane. «Quindi, ora che abbiamo chiarito» continua, perché deve sapere. «Hai davvero intenzione di rimanere qui per le vacanze di Natale?»
«Uh, sì?» risponde Ace, le sopracciglia aggrottate.
Questo è un problema. Sarà un problema. Tutto quello che vorrebbe per Natale è essere lasciata sola. In pace. A languire in pigiama in giro per casa fino a molto oltre mezzogiorno. A piangere per le stupide rom-com di Netflix e studiare, tutt’al più. Di sicuro, non condividere il suo spazio vitale con Ace Dio Solo Sa Il Suo Cognome e la sua perfettissima ed adorabilmente educata fidanzata – o, peggio ancora, qualunque amico pensi di poter invitare a fumare erba nell’appartamento. Ecco. Questa è una cosa che deve chiarire al più presto perché--
«Questa cosa che stai facendo nella tua testa mi sta facendo impazzire» annuncia Ace, chiudendo il rubinetto. «Smettila subito.»
«Questa cosa, come la chiami tu, si chiama pensare» replica Nancy, raddrizzando le spalle. Ace annuisce, quasi comprensivo, e poi si asciuga le mani in uno strofinaccio con le renne: «E lo fai spesso?» indaga, beffardo. «Perché non sembra piacevole.» 
Oh, fantastico, pensa Nancy. Ora sta ridendo di lei.
«Guarda» commenta lui dopo un attimo, di nuovo serio. «Non so quale problema stia friggendo il tuo cervello, ma non tornerò ad Horseshoe Bay solo perché vorresti avere la casa tutta per te ed il tuo ragazzo.»
«Chi?»
«Ned Nickerson? Il meccanico?»
«Io e Nick non--» lei e Nick non stanno insieme. Hanno fatto sesso occasionale sul soppalco della sua officina, per un po’, però. «E tu che diavolo ne sai?» assottiglia lo sguardo.
«Florence» dice lui, rimboccandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Elabora» insiste lei, raddrizzando la schiena.
«La mia auto» sbuffa Ace. Poi, rotea gli occhi e continua senza che Nancy debba ulteriormente incoraggiarlo. «Io ho un auto, tu no, ma ti ho incontrata più spesso dalla Dodd and family che in casa. Due più due fa--»
«Zero, Ace. Io e Nick non stiamo assieme. E ti prego dimmi che non hai chiamato la tua auto come il gruppo musicale.»
Le labbra di Ace si arricciano in una cosa che potrebbe essere un sorrisetto abortito, come una smorfia soppressa – Nancy deve ancora deliberare: «Non ti piaccio io, non ti piacciono i Florence and the machine e non ti piace Horseshoe Bay» elenca sulle dita, il tono leggero. «Ti prego, continua pure, questa conversazione è così piacevole, stiamo scoprendo un sacco di cose in comune.»
In realtà, a Nancy piacciono i Florence and the machine, ma non è questo il punto: «Non ho mai detto che non mi piaci» lo prende in giro, un sorriso lento che le si apre in volto senza raggiungere gli occhi.
«No» replica lui, un’espressione gemella, ma leggermente meno difensiva. «Solo che non vuoi avere niente a che fare con me.»
«Non è personale» insiste lei, perché, be’, è così. Non lo è. Ad essere del tutto onesta con sé stessa, Nancy potrebbe ammettere di trovare Ace un po’ accattivante, con quell’aria tranquilla, come se nulla nella sua vita avesse peso, e quel suo sguardo acuto, attento, quasi ferocemente vigile, in netto contrasto con le spalle rilassate e i sorrisi semplici, ed i capelli che gli si arricciano dolcente sulle tempie e sul collo, e che devono essere davvero davvero morbidi, e le camicie orribili che porta e quelle dita lunghe con cui ticchetta al pc a tutte le ore del giorno e della notte. È solo che è di Horseshoe Bay. Tutto qui, davvero.
«Elabora» le fa il verso lui, mentre piega meticolosamente lo strofinaccio e ne tira fuori un altro (con ricamati sopra elfi e pacchetti regalo, questa volta) dal cassetto, per poi adagiarlo sul piano del lavello.
«Te l’ho detto» sbuffa Nancy, senza riuscire ad impedirsi di seguire il disporre delle tazze bagnate sullo straccio, vicine al mestolo ed ai cucchiaini – paralleli – che Ace ha usato per preparare la cioccolata. «Sono qui per ricominciare da zero. Tabularasa. Nessuno che mi conosca. Hai un disturbo ossessivo compulsivo?» sbotta poi, senza riuscire a trattenersi.
Ace guarda lei, per un lungo istante, e poi le stoviglie ben allineate sul lavandino: «Lo gestisco benissimo, grazie tante» replica, per poi aggiungere, «Rifiutare le proprie origini non è un gran piano per ricominciare. O, be’. Ti direi questo, se non stessimo giocando a chi è meno interessato a chi.»
«Senti» sospira lei, perché tutto questo è estenuante ed è precisamente quello che ha cercato di evitare con successo da quasi tre mesi. «Voglio solo passare le vacanze in solitudine. Senza pensare alla mia famiglia o, non lo so, a quanto sia incasinata la mia vita.»
Quasi si aspetta che Ace rida di lei, oh, sì, la vita di Nancy Drew, l’eroina di Horseshoe Bay, una borsa di studio alla Columbia, dev’essere proprio uno strazio, ma invece si stringe nelle spalle, e risponde: «Accomodati.»
Nancy vorrebbe davvero potersi fidare, ma: «Questo vuol dire che tu e la tua ragazza non potrete fare Love Actually in cucina» gli spiega, abbandonando definitivamente il tentavo di non essere scortese. Dubita fortemente che Ace avrà ancora voglia di bere cioccolata in silenzio con lei, dopo questa conversazione, ma be’. Non tutti i mali vengono per nuocere, immagina. Avrà quello che vuole, dopotutto. Con un po’ più di stress ed una conversazione imbarazzante di troppo, ma, ehi.
Ace, continuando a sembrare del tutto ignaro di ciò che sta passando Nancy per riuscire a mettere una parola di fila all’altra: «La mia ragazza?» ripete, perplesso.
«Mora, minuta, adorabile..?»
I suoi occhi si allargano ed esala persino un: «Oh» di comprensione. «Bess non è la mia ragazza. È la mia--» incespica, cercando un termine di uso comune che possa definirli con esattezza. «Migliore amica» decide alla fine, stringendosi nelle spalle.
Nancy alza gli occhi al cielo: «Non potete fare Love, Rosie in cucina» insiste perché non li sta torturando entrambi con questa agonia per mollare sul più bello.
Ace sembra più perplesso, se possibile: «Alla fine il biondino di Hunger Games e la rossa di Shadowhunters non si mettono assieme?»
«Sì.»
«Bess è fidanzata» chiarisce allora lui, roteando lo sguardo. «Con una ragazza
«Be’. Non puoi invitare Bess e la sua ragazza a--»
«Ti prego no. Zitta» gesticola, singolarmente drammatico. «Non rovinare la mia categoria porno preferita con l’immagine della mia migliore amica e di Lisbeth che cercano di sedurmi.»
Nancy si morde via un sorriso divertito: «Meno male che non volevo sapere niente di te, ora so anche i segreti della tua cronologia internet» sbuffa.
«Per colpa tua non potrò mai più farmi una sega senza ridere» ribatte lui, teatralmente affranto. «E io non c’entro, hai fatto tutto tu.»
«Non è colpa mia se sono una brava detective» ribatte lei. «Non posso spegnermi
A questo, Ace aggrotta la fronte e poi domanda, quasi dolcemente: «Vorresti spegnerti?»
Nancy potrebbe ritrattare. Potrebbe ridere e scuotere la testa e dire Era solo uno scherzo, ma la realtà è, be’: «Io--» incespica. «A volte» articola lentamente, senza sapere bene come finire la frase. Si schiarisce la voce, imbarazzata: «Sarebbe solo, sai, più semplice.»
Ed Ace è cresciuto ad Horseshoe Bay, il cui giornale locale intitolava la prima pagina di almeno un numero al mese Nancy Drew ha salvato, ha risolto, ha scoperto, per cui tutto quello che dovrebbe fare sarebbe ridere di lei e del suo stupido sconforto, perché alla gente non piace, sentirsi dire che l’intelligenza a volte è un peso. Invece annuisce, e stringe le labbra e dice, piano: «Sì. Lo immagino.»
Nancy sbatte le palpebre per spannarsi lo sguardo improvvisamente sfocato: «Non sono un mostro» sbotta.
«Non ho detto questo» replica Ace, aggrottando le sopracciglia, sincerante confuso, un po’ allarmato.
«Ma lo pensi» insite lei, perché ormai la diga è saltata, ed Ace è-- insopportabilmente gentile, sul serio, e lei sta per soffocare.
«No, davvero» replica lui, incrociando le braccia, quasi piccato.
«Quindi non pensi che dovrei tornare a casa. Da Carson. Il primo Natale che passa senza sua moglie» lo sfida Nancy, alzando un sopracciglio.
A suo merito, Ace tentenna un po’, prima di rispondere: «Penso--» comincia, umettandosi le labbra. «Penso che non siano affari miei» e poi, prima che Nancy possa sbottare che sono stronzate, e che tutti hanno opinioni su tutto, e soprattutto tutti i suoi compaesani hanno opinioni su di lei, alza una mano, come per fermarla, e prosegue. «E penso che non riesco neanche ad immaginare cosa tu stia passando e che ognuno ha i modi diversi per affrontare i propri lutti, quindi no, non credo che tu sia un mostro» poi, si passa una mano fra i capelli. «Tutt’al più, penso che tuo padre sarà triste.»
«Già, be’» gracchia Nancy, la voce strozzata dal nodo che le impedisce di respirare. «Non sai--»
«Non è un giudizio» si stringe nelle spalle Ace, le reni appoggiate al lavandino. «Solo un dato di fatto. Può essere di conforto stare coi propri cari, quando si condivide una perdita. Questo» si pulisce la gola con un colpo di tosse. «In generale, ecco.»
Nancy si passa una mano sul viso e respira a fondo una, due, tre volte: «Non è una buona idea che io torni a casa» sentenzia, quando è riuscita a riprendere il controllo delle proprie corde vocali.
«Okay» ribatte Ace senza perdere un colpo, e quando riesce a metterlo nuovamente a fuoco, lo scopre ad armeggiare con una scatola di cartone carica di – presumibilmente – addobbi.
«Rischierei di dire delle cose che non voglio-- non so se voglio dire, e di cui probabilmente mi pentirei» aggiunge, la bocca secca, a mo’ di spiegazione.
«Okay» ripete Ace, morbido, senza spingere.
Sul fuoco, la pentola dalla quale spande l’odore frizzante e dolciastro del sidro che ribolle con le mele, le spezie e le arance brontola. Nancy si sporge per abbassare il fuoco, e respirare a fondo, le spalle voltate, il viso nascosto. Natale, pensa, un po’ freneticamente, del tutto non linearmente. Ad occhi chiusi, se fosse una persona incline a cose del genere, potrebbe persino fingere di essere di nuovo a casa sua, sua madre e suo padre che parlottano piano mentre finiscono gli ultimi ritocchi alle decorazioni. È un bene, che non sia il tipo. Per niente. È logica e razionale e le emozioni non sono mai state un problema – è sempre stata brava, a gestirle. Lo è ancora. È solo il profumo del wassalling che--
Dietro di lei, Ace sta appendendo ad una ghirlanda la serie di popcorn e bastoncini di zucchero più regolare che sia mai stata messa in fila. Nancy trattiene il fiato ancora per un istante, prima di forzare un sorrisetto nella sua direzione: «Stai misurando col righello la distanza della sequenza?» sbuffa, sforzandosi di sembrare solo divertita, e non affranta o stanca o anche solo un po’ giù. Non crede ci riesca granché.
Lo guarda fissare la decorazione meticolosamente assemblata con una smorfia: «Peggiora, quando sono stressato» commenta soltanto, stringendosi nelle spalle, gli occhi ancora fissi sull’ultimo popcorn infilato.
Lei sorride un po’. Potrebbe prenderlo in giro – per un attimo, l’eventualità le rimbalza in gola: potrebbe dire Sembra un gran problema, sai, uh, la precisione, che peso enorme da portare, ma, be’. Ace non ha fatto lo stronzo con la storia della detective dalla vita perfetta, Nancy può anche ricambiare, decide. E poi, stressante è, be’, la maniera più gentile con cui sia mai stata etichettata, a dirla tutta: «Scusa» borbotta.
Ace le rivolge uno sguardo divertito, un angolo della bocca più alto dell’altro, ma quando parla lo fa scuotendo la testa, lo scatolone già in braccio: «Ti hanno mai detto che sei un po’ egocentrica?» domanda, con un tono dimesso e scherzoso, che disinnesca quasi dle tutto l’accusa. «Non tutti i mali del mondo sono riconducibili a te. Sono in sessione. E questo periodo dell’anno è sempre orribile. Ora, se vuoi scusarmi, vado a fare l’albero di Natale.»
A questo, Nancy si acciglia: «In sala?»
«Sì!» risponde Ace, già in corridoio.
«La nostra sala? La stanza che abbiamo in comune?» insiste lei.
«Sì, Nancy Drew» si sente rispondere, in un allegro sfottò. Poi, la testa di Ace spunta di nuovo dal cornicione della porta: «Sono certo che mi darai la tua opinione in merito» aggiunge, le sopracciglia inarcate.
«È la nostra sala in comune» ripete lei prontamente, calcando le parole per dare forma al concetto. «Dovresti chiedermi se mi sta bene.»
Ace annuisce, compito, sembrando concordare assolutamente, completamente: «Certo» dice, con un sorrisetto divertito in volto «In linea del tutto teoria, se volessi decorare una stanza che divido con qualcuno, chiederei a quel qualcuno il permesso» si blocca un attimo, un sorriso stampato in volto. «O lo farei, se la mia coinquilina mi parlasse» si corregge felicemente.
«Ti sto parlando.»
«Ah-ah» scuote la testa lui. «Non vale, così. Troppo facile. Tre mesi di silenzio radio, Nancy Drew» le ricorda. «Farò quest’albero di Natale, fosse l’ultima cosa che faccio. E la detective dei diari scomparsi non mi fermerà.»
«Ero in terza elementare!» esclama Nancy, senza sapere cosa pensare, di questa enciclopedica conoscenza dei suoi casi risolti. Lo insegue in salotto: «Continuerai molto a lungo con questa storia?» chiarisce.
Ace è già in ginocchio sul tappeto, chino sullo scatolone, e nell’angolo destro della stanza fa bella mostra di sé un albero alto quasi due metri, già montato. Per essere una grandiosa detective di provincia, Nancy ha esercitato molto poco il suo spirito d’osservazione, nell’ultima giornata e mezza, piò ammetterlo almeno con sé stessa. «Finché sarà divertente» si sente rispondere, anche se Ace non alza gli occhi dalle decorazioni che sta estraendo dall’imballaggio.
«Allora smettila» sbuffa quindi lei, perché non è mai stato divertente, e si lascia cadere sulla poltrona.
«Guastafeste» ribatte lui, ma le sta sorridendo, e non insiste con la storia dei diari scomparsi (un bidello davvero strambo, ma nel complesso piuttosto innocuo, alla fin fine).
Dall’alto della poltrona, lo guarda cominciare a sbrogliare senza fretta un filo di lucine. Sospira, e si porta le gambe al petto. Poi, del tutto involontariamente, le torna alla mente qualcosa che ha sempre saputo, nell’angolo del suo cervello dove stagnano le informazioni-non-rilevanti-ma-che-forse-un-giorno-potrebbero-risultare-decisive. Aggrotta la fronte: «Ma non sei ebreo? Perché diavolo stai facendo l’albero?»
A questo Ace s’irrigidisce, ed alza lo sguardo per un solo istante, un lampo di qualcosa, negli occhi, che Nancy non riesce ad identificare, ma che è comunque la reazione più istintiva e meno controllata che gli abbia visto avere da-- sempre, probabilmente: «Hai l’esclusiva sul voler dare un taglio con la propria famiglia, oltre al voler passare il Natale da sola?» le domanda, ed anche se finisce la frase con un tono leggero, con gli spigoli nuovamente celati, Nancy fa comunque una smorfia: «Scusa.»
Ace scuote la testa: «No» mormora, tornando a sbrogliare con attenzione il filo elettrico. «È solo--» si schiarisce la voce. «Mio padre è molto religioso. Si è convertito all’ebraismo quanto si è sposato con mamma, ma – sì, è davvero importante, per lui. Abbiamo avuto una specie di discussione, prima che partissi. Sto cercando… nuove prospettive.»
«Nel devastante capitalismo e nel consumismo compulsivo?» domanda Nancy, sforzandosi di alleggerire l’atmosfera.
Ace rotea lo sguardo: «Lascia che la Coca-cola vesta Babbo Natale di rosso, d’accordo? È meglio che pensare di doversi proteggere dai krampus.»
Questo svia definitivamente il discorso sull’ebraismo, si rende conto Nancy, e la riporta sul terreno comune delle ridicole tradizioni folkloristiche di Horseshoe Bay, ma accetta la cosa con una scollata di spalle: «Solo se sei stato un bambino cattivo» replica, abbozzando un sorriso.
Ace alza gli occhi su di lei, inarca le sopracciglia: «È la società che definisce come positivi o negativi i comportamenti delle persone» commenta, asciutto.
È un modo di vederla, e in linea del tutto teorica Nancy potrebbe persino essere d’accordo, ma, se non altro per amor di discussione, scuote la testa: «Non è vero. Uccidere è sbagliato in qualunque contesto.»
«Oh, sì?» sbuffa lui, le labbra leggermente arricciate. «Incredibilmente pacifista da parte tua»  risponde, ma non approfondisce con per una persona che ha quasi ucciso un uomo con una scossa elettrica e Nancy gliene è grata. Sa che potrebbe. Il titolo del Horseshoe Bay Paper era piuttosto inequivocabile. Sa anche di non essere stata lei, sa che è stato un incidente e che lui stava cercando di ucciderla e che la polizia ha indagato e l’ha assolta grazie al filmato nelle telecamere, ma. Le sue ultime tre settimane ad Horseshoe Bay non sono state particolarmente piacevoli e se già prima non era molto popolare-- eh. Il signor Josh Dodd era uno stimato membro della comunità – e lo sarebbe rimasto fino ad una volta uscito dal coma, quando aveva aggredito i poliziotti della scorta e ucciso un’altra persona, convalidando in un colpo solo tutte le teorie di Nancy e le prove circostanziali che aveva raccolto a suo carico. Nancy a quel punto era già partita per la Columbia, e nessuno l’aveva chiamata per scusarsi, però.
«Cosa te ne fai di un salotto addobbato, comunque, se non puoi invitare nessuno?» s’informa dopo qualche minuto di silenziosa contemplazione della slavina di orrori che che sono stati gli ultimi sei mesi.
«Prima di tutto, il fatto che tu non voglia che io inviti amici non significa che io non possa farlo» ribatte Ace, guardandola da sotto in su. È in pigiama anche lui – ridicoli pantaloni di pail con una fantasia scozzese ed una felpa col cappuccio sopra la maglia smaccatamente rossa del twin set – ed a gambe incrociate sotto le fronde di plastica dell’abete sembra più giovane di quello che è, più familiare e conosciuto di quanto non faccia sentire Nancy del tutto a suo agio. Si conoscevano anche prima della Columbia, ovviamente. Di vista. Sono cresciuti a Horseshoe Bay, tremila anime contante, dove tutti conoscono tutti. Tutti parlano di tutti. Le loro famiglie vivono a tre strade di distanza l’una dall’altra, e si sono incrociati spesso al Bayside Claw – lei frequentava il locale solo per via di George, ma lui ci ha lavorato un paio di anni, dopo la scuola, prima del college. Quindi, dire che non si conoscono è inesatto. Nancy sa cose, su Ace, una quantità di piccoli, insignificanti dettagli, pezzi di puzzle che compongono istantanee di una vita intera. Molto più di quanto non sappia sulla maggior parte dei suoi compagni di facoltà, a dire il vero. Non sono informazioni che ha raccolto coscientemente, come fa quando indaga, ma, per l’appunto: non può spegnersi. E gli abitanti di Horseshoe Bay, soprattutto gli adolescenti, sono degli inguaribili pettegoli.
Sa che è più grande di lei di qualche anno e che era il migliore del suo corso in quasi ogni materia e che gli insegnanti erano disperati, quando non ha inviato nessuna richiesta per nessun college alla fine dell’ultimo anno. Sa, da George, che è il miglior lavapiatti che il Claw abbia mai avuto – che è un dipendente puntuale, riservato ed efficiente, e una volta che la sua migliore amica era davvero-davvero incazzata con lei (un litigio finito con una lunga tirata sui talenti e le possibilità e le occasioni sprecate, un litigio vinto da George, ovviamente, perché neanche lei può davvero spuntarla con l’unica adulta della famiglia Fan) George le ha urlato contro che Ace era sprecato, in cucina, come sarebbe stata sprecata lei se non avesse compilato quella dannatissima mail per ottenere il posto che le spettava alla cazzo di Columbia. (Ace si era seduto al tavolo con loro, quella volta. L’unica volta che Nancy abbia mai attivamente interagito con lui, probabilmente, almeno prima di settembre. Lei e George a mala pena avevano riconosciuto la sua presenza, impegnate com’erano a strepitare, ma Nancy ricorda con estrema chiarezza il suo viso vuoto, un sopracciglio ben inarcato, e le sue dita precise, quando avevano estratto una canna dalla tasca del grembiule. George si era voltata verso di lui, allora e solo allora, ed aveva ringhiato: «Giuro su Dio, Ace--» e lui le aveva sorriso placido, gli occhi serissimi, ed aveva risposto. «È ora di chiusura, Fan» e lei aveva ribattuto «Questo non ti dà il diritto di fumare nel mio locale» anche se il The Claw non era suo per davvero, ed Ace, a sua volta, aveva replicato: «E cosa ti dà il diritto di decidere se fare il lavapiatti sia o non sia il sogno della mia vita?» – ed era stato così, che Nancy aveva scoperto che lei non poteva averla vinta su George, ma esisteva qualcuno, ad Horseshoe Bay in grado di farlo.) Sa anche che ha probabilmente speso tutto il suo magro stipendio in erba da smezzarsi con l’aiuto-cuoco sul retro del locale, e che ha frequentato Laura Tandy per un lungo ma imprecisato periodo, alle superiori (Julie e Josie, del corso di chimica, avevano passato un intero pomeriggio a parlottare eccitate di che strana coppia formassero, di che puttana spocchiosa fosse lei, di che stramboide schizzato fosse lui, di quanto fossero sexy insieme, e di quanto male assortiti fossero, nonostante questo, perché lei era ricca e viziata ed impulsiva quanto lui era un nerd, una specie di genio dei computer, a dire il vero, quello bisognava riconoscerglielo, ché una volta era riuscito a salvare i dati del cellulare di Nicole Wilson nonostante fosse del tutto distrutto, ma che questo non bastava a fare di lui il ragazzo adatto a tenere testa ad una Tandy. Nancy aveva smesso di accettare i loro inviti a studiare, da quel giorno in poi, perché, be’. Sì. Ovviamente. Nella sua modesta opinione di quattordicenne, comunque, c’erano cose molto più interessanti su cui passare il proprio tempo – svelare il mistero di come mai tutte le galline di Billy Jacobs facessero uova dalla peculiare sfumatura azzurrina, per esempio.)
Sa, dai tempi in cui si vedeva con Gil al porto di nascosto dai suoi che lo consideravano un poco di buono, quindi almeno tre anni dopo che Julie e Josie erano state bocciate in chimica, che Ace ed Amanda Bobbsey affrontavano con una certa passione lunghe sessioni di pomiciate sulla barca del padre di lei e – e basta, più o meno. Sa altre cose, ovviamente, piccoli dettagli che nota anche senza volerlo, cose come l’OCD e l’insonnia e le patatine abbandonate a metà sul balcone della cucina e la passione per i gialli – sono più le volte che si sono incrociati in biblioteca negli anni della loro adolescenza che non quelle che si sono incontrati in corridoio in questi ultimi tre mesi – e per il true crime e per i computer. Crede che sua madre lavori nella biblioteca pubblica della loro città, in effetti, anche se non ha ben presente quale sia, delle tre donne dallo sguardo dolce ed il sorriso paziente che si alternavano nei turni pomeridiani della sua infanzia. Sa per certo, invece, che suo padre è un poliziotto – ex-poliziotto. Pensione d’invalidità. Era troppo piccola per ricordare cosa sia successo con precisione (un incidente in auto durante un inseguimento durante l’inverno più rigido della storia di Horseshoe Bay, le ha detto l’ufficiale Rawley, una volta che stavano aspettando insieme che lo sceriffo McGinnis tornasse in ufficio da chissà dove), ma ha visto lui ed Ace parlarsi concitati attraverso il linguaggio dei segni davanti al commissariato abbastanza volte da sapere che il loro rapporto non è dei più rosei.
Quindi, sì. Immagina che per qualcuno di più superficiale o almeno di socialmente più spigliato di lei, si potrebbe dire che in effetti, lei ed Ace si conoscano – ma sarebbe un’imprecisione, una sciocchezza, un’eccessiva semplificazione di quella che è la vita nelle cittadine di provincia. Non si conoscono. Hanno sempre frequentato ambienti diversi. Be’. Non geograficamente, questo è ovvio – oltre ad essere piccola, Horseshoe Bay non detiene nessun record per quanto riguarda l’intrattenimento giovanile: per Nancy, e così per Ace, i pomeriggi dell’adolescenza si sono divisi fra la biblioteca, la stazione di polizia, il cimitero (tradizionali festini di fine anno, per lo più, ma anche lunghe passeggiate in solitaria, perché il cimitero della loro città è un giardino curato in maniera deliziosa: gli abitanti di Horseshoe Bay sono molto legati ai loro morti), il porto, il Bayside Claw e la scogliera. Socialmente, però. Eh. Ace era stato presidente del club di D&D della scuola, per quello che ne sapeva. Forse aveva frequentato la banda, di certo l’angolo del cortile riservato ai tossici, e lui e Nancy non avevano avuto un solo amico in comune, fino a George. Fino alla fine del suo quarto anno, in effetti, Nancy aveva avuto un folto gruppo di amici e conoscenti, davvero. (A guardarsi alle spalle adesso, può ammettere che le battute su Mean Girls di George abbiano almeno un fondo di verità.)
Tutti molto allegri e spigliati, certo – e molto poco disposti a sopportarla, dopo che aveva smesso di essere la Nancy spensierata ed un po’ sfacciata dei brunch dal Jack’s tutte le domeniche mattine e della ginnastica ritmica il giovedì pomeriggio e dei misteri più frivoli e divertenti della città. La Nancy a cui chiedere di scoprire dalla grafia del biglietto chi fosse il ragazzo che aveva lasciato una rosa a Lara Jackson, la Nancy Reginetta del Mare, la Nancy che si teneva per mano con Frank Keller per i corridoi durante il cambio dell’ora. Quando sua madre aveva cominciato a stare male, l’unica persona che le era rimasta a fianco era stata George – be’, non è del tutto giusto: quando sua madre aveva cominciato a stare male, Nancy aveva preso a boicottare sistematicamente ogni sua relazione e girare con George Fan, l’emarginata della scuola, era sembrato un buon piano per lanciare un messaggio chiaro ed inequivocabile a tutta la popolazione dell’Horseshoe Bay’s High School. Solo che George era come un riccio di mare: dolorosissima, da frequentare, per tutte e tre le settimane che ci aveva messo a scavarle nella pelle coi suoi aculei, ed impossibile da estirpare, successivamente. Così, Nancy era rimasta incastrata. Affezionata. Qualcosa a metà fra il più recalcitrante e feroce amore platonico che si può provare a diciott’anni e l’esasperazione le era gonfiato nel petto di pomeriggio in pomeriggio. George l’era rimasta accanto – sgarbata, acuta e fedele – quando tutti gli altri avevano smesso di chiederle di uscire per andare al cinema o a bere un frappé, di combattere per farla sorridere, ed era rimasta quando Nancy aveva pianto, a lungo e senza sosta, la notte del ballo, quando sua madre era morta e lei non era lì, a tenerle la mano, ma sulla stupida tomba di Lucy Sable a ridere ubriaca fra le braccia di Frank (per l’ultima volta). Era rimasta per tutta l’estate successiva, e l’aveva costretta ad inviare le richieste per il college ed aveva litigato con lei più volte di quante ne potesse contare, ma era rimasta. 
E forse, solo forse, se Nancy fosse stata un pochino più lucida e presente a sé stessa, durante il suo ultimo anno scolastico, avrebbe saputo che Ace si era iscritto al college, dopo due anni sabbatici passati per lo più ad asciugare bicchieri e girare canne nel retro del Claw, e a quale college – e forse, solo forse, George gliel’aveva persino detto, prima che partisse: «Se vedi Ace, salutami quel bastardo. Da quando se n’è andato non ho più trovato un lavapiatti decente.»
Ace, che in questo momento, sta dicendo: «…per tua fortuna, Bess è a casa della sua famiglia a fare il più imbarazzante coming out della storia, portando la sua ragazza a cena a tradimento.»
«Non sembra un gran piano» si lascia sfuggire lei, anche se quello che vorrebbe dire in realtà è: Non sono affari miei.
Lui tentenna: «Non è una famiglia molto-- aperta al dialogo. Comunque vada, sarà una vittoria, per Bess.»
Qualcosa, sul suo viso, sembra più aperto e vulnerabile di quanto non lo abbia mai visto, ed il suo sguardo, pur rimanendo basso, rivolto allo scatolone, brilla d’un affetto crudo e senza ombre, che Nancy riconduce solo a certi sorrisi rapidi e divertiti di George: «Siete molto legati» commenta allora, raccogliendo le gambe sotto di sé.
Ace alza un sopracciglio, ma quando le risponde: «Un’intuizione brillante, Sherlock» ha di nuovo quel tono semi-affettuoso, da presa in giro amichevole, che aveva all’inizio della mattinata.
«Questo fa automaticamente di te il mio Watson» replica lei, prima di potersi fermare. Si schiarisce la voce, improvvisamente iper-consapevole di quanto contraddittorio sia il suo comportamento. Dovrebbe semplicemente alzarsi e andarsene. Alzarsi, e chiudersi in camera. Una parte di lei lo vuole disperatamente, ma: «Intendo» borbotta, soffocata. «Per via del fatto che siamo coinquilini.»
Lui le scocca uno sguardo indecifrabile, quasi certamente benevolo: «Le spalle sono sempre i personaggi migliori» replica, alzandosi in piedi. «Prendi Samvise Gamgee» articola. «In realtà è il protagonista morale dell’intera vicenda. Per non parlare di Todd Brotzman di Dirk Gently o—»
«Okay» sbuffa Nancy, capitolando dentro di sé all’assurdità della situazione. Scivola giù dalla poltrona per togliergli il filo di lucine fra le mani perché se sarà costretta a guardo litigarci ancora per molto impazzirà: «D’accordo» aggiunge, abbinando il tono a quello di Ace – il più amichevolmente sarcastico le riesca, cioè. Ha l’impressione di suonare comunque un po’ più acida di lui, ma se ne farà una ragione: sono passati degli anni, dall’ultima volta che ha provato ad interagire con qualcuno che non fosse George per qualcosa di diverso da delle indagini ed è ridicolmente arrugginita: «Tu sei il personaggio profondo e ben studiato, peno di sfaccettature, al quale il pubblico si affezionerà disperatamente ed io la protagonista sopravvalutata e un po’ banale, va bene, ho capito.»
«Come tutti gli eroi che si rispettino. Non uscire dal ruolo, Nancy Drew, per favore. Non vogliamo che il pubblico si annoi seguendo le vicende di un’eroina riflessiva.»
«Ahi» ridacchia lei, impotente. «Sono così felice di passare il Natale con te» replica assicurandosi che ogni parola grondi sarcasmo.
«Ed io felice che tu lo abbia ammesso.»
«Sai che dal punto di vista della narrativa tutto quello che hai appena detto è assolutamente sbagliato, vero?»
«Guardami negli occhi e dimmi che preferisci Scott McCall a Stiles Stilinski.»
Nancy sbuffa: «Non ho tredici anni. Non seguo--»
«Ma sai chi sono.»
Lei gonfia le guance. Sì. Sa chi sono. Certo. Potrebbe aver seguito le repliche di Teen Wolf con sua madre, a colazione, durante tutto il terzo anno. Potrebbe avere avuto un po’ una cotta per Stiles. Non sono affari suoi, comunque: «Guardami negli occhi e dimmi che preferisci Sam a Dean Winchester» rilancia quindi.
Lui sgrana comicamente lo sguardo: «Ah… ? Prima di tutto, Sam è un personaggio davvero complesso e sfaccettato, e, almeno nelle prime stagioni, i conflitti che vive non sono triti e ritriti. Al contrario di quelli di Dean che invece è… il cliché del buon soldato americano, con una spruzzata di perbenismo cristiano, e secchi di mascolinità tossica. Davvero poco attraente. Ti prego dimmi che non stiamo avendo questa conversazione» aggiunge dopo un instante, teatralmente affranto. «Non voglio più vivere sotto il tuo stesso tetto» dichiara, una mano che si accarezza il petto. «E comunque, è tutto superfluo e sterile perché è chiaro che chiunque abbia un cuore si affezionerà a Castiel sopra ad ogni altro. Sto iniziando a dubitare che tu li abbia, gli occhi, Nancy Drew, perché Misha Collins è--»
«Misha Collins?» ride Nancy. «Avrei detto fossi più il tipo da essere sotto un treno per Felicia Day.»
Ace si schiarisce la gola, mentre procede ad alzarsi dal tappeto per cominciare a decorare l’albero: «Voglio dire. Charlie è un gran personaggio, ovviamente. Ma, detto fra noi, non è un’hacker molto realistica.»
«Ah, no?»
«Non si può hackerare la NASA con un computer come quello che viene mostrato in camera sua»
Lei inarca le sopracciglia: «Stai sottintendendo che tu sapresti come hackerare la NASA, col device giusto?»
Per un lungo istante, sembra che Ace non risponderà affatto. In realtà, il suo viso è nascosto da un lungo festone dorato, per cui Nancy non può esserne certa, ma è in apparenza divertito, perché dopo un attimo replica, una risata soffocata in gola: «Non trasformerai un’amichevole discussione sulla cultura pop in una confessione, Nancy Drew. Mi passi la pallina a forma di Morte Nera, per favore?»
Nancy gliela passa.
L’albero si è velocemente appesantito di addobbi, realizza, un pattern ridicolmente preciso di rosso bianco ed oro, ma in qualche modo l’eccessiva regolarità non risulta fastidiosa perché è spezzato di tanto in tanto da decorazioni del tutto diverse le une dalle altre – una TARDIS ed un cacciavite sonico, i Doni della Morte, il Re dei Topi direttamente dallo Schiaccianoci ed un broccolo di plastica, per qualche ragione. Se c’è una successione logica anche lì, Nancy non la coglie. Sfiora una ballerina di vetro impegnata in un elegante retirè, e la guarda girare su sé stessa, fissando il gioco di riflessi che vengono catturati dalla gonna del tutù mentre volteggia. Pensare ai sorrisi entusiasti di sua madre, seduta sotto l’albero di casa, che la incita ad aprire i regali, le stringe dolorosamente il cuore, ovviamente, ma non ha molto tempo per soffermarsi sulla sensazione di straziante mancanza che le si arrampica lungo la trachea, perché Ace sceglie proprio quell’istante per trascinare rumorosamente la poltrona alle sue spalle. Le porge il puntale dorato: «Meno fissare il vuoto con aria smarrita e più lavorare, Drew» le dice, ma senza alcun morso nella voce. «Vuoi avere l’onore?»
Nancy alza gli occhi al cielo, ma si arrampica sulla seduta della poltrona ed abbozza una specie d’inchino: «Ti prego» sbuffa porgendogli la mano col palmo rivolto verso l’alto perché Ace possa passarle solennemente l’oggetto glitterato.
«Sei ufficialmente investita del titolo di Reginetta del Natale, Nancy Drew» proclama lui, teatrale.
Lei rotea lo sguardo: «Mi mancava» replica però, stando al gioco. «C’è una fascia in finto raso che testimoni questa mia vittoria? Perché vorrei appenderla vicino a quella di Reginetta del Mare.»
«Ti prego dimmi che l’hai tenuta» ride lui, gli occhi brillano, uscendo dal personaggio.
«Certo che l’ho tenuta» risponde lei, altera, fingendosi stizzita. In bilico sullo schienale della poltrona, infila il puntale al suo posto e poi sospira e guarda l’albero finito.
«Apprezzo sempre la dedizione con cui fingono di essere in una commedia anni novanta,  all’Horseshoe Bay High School» commenta Ace.
«Hanno un grande talento, sì» ammette lei, voltandosi per guardo in faccia.
Lui le porge una mano per aiutarla a scendere e, per amor di messa in scena, Nancy l’accetta. Balza giù dalla poltrona. Ace sta sorridendo, quando si siede nuovamente sul tappeto di fronte all’albero, lì dove se fossero bambini ci sarebbero montagne di regali sotto le fronde, e le fa cenno di imitarlo: «Dai» la incita. «Attacca la presa e vieni a goderti lo spettacolo. Ho preparato lo wassiling apposta per questo momento.»
«Sei davvero preso da questa faccenda del Natale, eh?» sbuffa, mordendosi un sorriso via dalle labbra, ma poi scuote la testa. In qualche modo non sembra giusto: «Sento che dovresti farlo tu» ammette, pur sedendosi a gambe incrociate vicino a lui. «Non penso che dovrei appoggiare il tuo comportamento, ma in realtà credo che tutti questi sforzi per rendere la casa una succursale del laboratorio degli Elfi di Babbo Natale dovrebbero essere premiati, in qualche modo.»
Ace ride, e scuote la testa. Si alza, accennando a sua volta ad un inchino: «Così gentile, da parte sua, vostra altezza.»
Poi, le dà le spalle per chinarsi ad attaccare la presa.
Per un istante, tutta la sala è illuminata di lucine intermittenti, sfavillanti, allegrissime.
L’attimo dopo, salta la corrente.
Ovviamente.
Ace impreca. Qualcosa di piuttosto feroce e davvero poco nel personaggio, per essere uno che ha costantemente l’aria di interpretare con gusto il cliché del surfista californiano: «L’impianto di questa casa» ringhia dopo un istante. «È un disastro. Sai che ho dovuto riparare il mio computer fisso cinque volte da quando siamo qui? Hanna Gruen dovrebbe pagarci per vivere in questo posto infernale.»
Nella penombra che filtra dalle finestre nonostante il cielo scurissimo carico di nuvoloni plubei, Nancy sospira: «Forse avresti potuto prevedere che non avrebbe retto gli ottomila volt di lucine che hai messo su, allora. Ad essere onesta, sono stupita che non sia saltata prima, quado avamo in cucina.»
«Oh, io avrei dovuto prevederlo, detective?» replica Ace, lievemente più acido del solito.
«Sei tu il genio della tecnologia» si stringe nelle spalle lei.
«Adesso sono un genio?» sbuffa lui.

Nancy alza gli occhi al cielo, anche se non può vederla, e si alza per raggiungerlo: «La finta modestia non ti si addice.»
Lui scuote la testa: «Ti volevo solo far notare che è un po’ comodo che ora improvvisamente in questa casa abitino due geni, mentre fino a questa mattina sembravi decisa a fingere di non avere un coinquilino» replica, ma sembra star lentamente tornando l’Ace di sempre, leggermente svagato, un po’ troppo scherzoso.
«Mi terrai il muso ancora per molto, per questa faccenda?» sospira lei, sentendosi più divertita di quanto probabilmente sarebbe logico.
«Ah… ?» risponde lui, accennando ad un sorrisetto nella penombra. «Sai, è personale» aggiunge, facendole il verso. Poi, però, sospira. «D’accordo. Scendo in cantina a vedere di riattivare il contatore generale.  Stacca qualche presa, nel frattempo, va bene?»
«Agli ordini» replica lei, sbuffando.
Lui le dà una spintarella gentile sulla spalla, prima di frugarsi nelle tasche dei pantaloni alla ricerca del cellulare: «Un po’ di entusiasmo, soldato» la riprende.
Lo trova, ed accende la torcia.
«Scusa se non riesco a vedere il lato positivo della faccenda. È così evidente» replica Nancy, questa volta roteando lo sguardo a suo esclusivo beneficio, visto che è tornato a poterla vedere in faccia.
«Sai, potrebbe farti bene smettere per cinque minuti di comportanti come il Grinch» le consiglia Ace, a metà fra il serio ed il faceto. «Voglio dire, scientificamente. Sorridere mette in circolo più endorfine di un cioccolatino. E sono pronto a scommettere che non hai neanche il calendario dell’Avvento in camera, per cui dovresti davvero cercare di fare qualcosa che non c’entri col cibo per il tuo buonumore.»
Nancy non può impedirsi di ridere, a questo: «Ti sei comprato un calendario dell’Avvento? Quanti anni hai, dodici?»
«Certo che non l’ho comprato» incrocia le braccia al petto lui. «L’ho costruito.» Dopodiché aggiunge, a mo’ di spiegazione: «Le sorprese mi mettono angoscia. Sapere a che gusto sarà il gianduiotto con cui comincerò la giornata, al contrario, mi riempie di gioia.»
«Sei un nerd» decreta Nancy, senza riuscire ad impedirsi di sorridere.
«Te ne accorgi solo ora? Hai lasciato ad Horseshoe Bay le tue famose capacità deduttive?»
Nancy lo caccia fuori dall’ingresso con una leggera spinta, prima di dirigersi verso la cucina.
Il sidro sta ancora sobbollendo dolcemente. Spegne il fornello, perché dubita che potranno berlo a breve. Poi, si guarda attorno. Fuori, minaccia di piovere. Forse, di nevicare. Dentro, senza la luce del fuoco, le decorazioni non proiettano più ombre scure lungo le pareti, ma ammiccano nel buio come mostri nascosti. Prende un sospiro, ed estrae il cellulare. Non sono neanche le undici. In realtà, potrebbe ammettere che fino a quando non è saltata la corrente è stata una mattinata piacevole. Tutto considerato.  Nonostante sia Natale e lei abbia il cuore spezzato. Si siede al tavolo e comincia a scorrere l’app di Just Eat. A meno che Ace non si riveli uno chef stellato, cosa che dai commenti di George non è mai stato, potrebbero dividersi una pizza. Oziosamente, si domanda quanto dovrà aspettarlo. Potrebbe tornare in camera, ovviamente, non preoccuparsene. Decretare la fine di questa-- cosa. Di qualunque cosa si tratti. Pacifica convivenza, suppone che la definirebbe lui. Una bella mattinata, ma niente di più. Qualcosa, però la spinge restare a scrollare lo schermo in cucina, i gomiti appoggiati al tavolo. Ad un certo punto, la playlist natalizia di Ace dev’essere finita, perché dal computer arrivano lenti e lenitivi canti di balene. Nancy sbatte le palpebre. Chiude di scatto il pc. È un’attenta osservatrice ed ha un talento naturale come investigatrice che non può spegnere, è vero, ma può decidere di non indagare ulteriormente. Per il suo bene. Come se non avesse già abbastanza informazioni casuali sul suo coinquilino. E, sì, d’accordo, lo ammette: tutto in Ace sembra suggerire una persona che gradisca la propria privacy. Nancy immagina che glielo debba, almeno questo, che l’averle risollevato il morale sia stato volontario o meno. Questo, ed una pizza. Per metà guarnita da peperoni e per metà da salsicce, decide arbitrariamente. Un po’ perché quella ai peperoni è la pizza tipica delle serate cinema dei Drew – o lo era, pensa, stringendo forte il cellulare – un po’ perché non ricorda di aver mai visto Ace mangiare della carne ed anche se non è del tutto certa sia vegetariano preferisce prevenire che curare.
Quindi, una volta ordinata la pizza formato famiglia, sfoltisce le notifiche su Instagram – George, che le ha inviato una loro foto sfocata dell’estate scorsa, Janine, che di tanto in tanto ricarica i selfie di gruppo che si scattavano all’inizio delle superiori e tagga tutti i presenti ed il suo podcast di true crime preferito, che la cita per ringraziarla pubblicamente dei numerosi commenti che ha lasciato in privato a Laci, la ragazza che lo gestisce, e che a quanto pare l’hanno aiutata a considerare una nuova pista sul caso archiviato di un giovane impiccato con un processo farsa una settantina d’anni prima. Nancy punta tutto sui pregiudizi razziali della corte, e glielo scrive aggiungendo una faccina arrabbiata alla fine della risposta, poi invia un cuore azzurro a George e, ignorando completamente Janine, fa partire la riproduzione della sequela di stories che pubblicizzano il Detective Con di quest’anno come il migliore e più organizzato di sempre.
Passa più o meno mezz’ora, prima che decida di scendere a controllare. In realtà, non sa perché lo faccia. Ace sembrava piuttosto sicuro di sé e non è che lei abbia alcuna capacità sull’elettronica: non può fare nulla, per riattivare la corrente, a meno che non si tratti solo di risollevare qualche levetta, cosa che ovviamente non è, perché il tempo scorre ed Ace non accenna a ritornare. Il fatto è che, be’. Nancy ha imparato da tempo, a seguire il proprio istinto. E forse è davvero solo una sciocchezza – il temporale che ormai impazza fuori dalle finestra che fa tremare i vetri e getta scure ombre sinistre nella stanza, le gocce che picchiano furiose agli infissi, ma preferirebbe davvero sapere che Ace non ha preso la scossa. Tipo, ora.
Così, accende la torcia del cellulare e prende le chiavi, si chiude la porta alle spalle.
Anche nel resto della palazzina dev’essere saltata la luce, perché l’interruttore in corridoio scatta a vuoto. Poco male. Per quello che ne sa, qualunque sia la ragione, lei ed Ace sono gli unici affittuari di Hanna Gruen e gli unici abitanti dell’edificio in generale. C’è una ragione, ovviamente, pensa mentre il fascio di luce che esce dal suo cellulare illumina il muro scrostato. Scende le scale fino all’ultimo ballatoio, prima di accorgersi che nel portone le luci lampeggiano. Strano, ma davvero: il posto è vecchio. Poco più che una catapecchia. Tutto ciò che si può permettere, con Carson che si barcamena fra i debiti delle spese mediche di sua madre – non che lui le abbia detto nulla, figurarsi, ma dovrebbe conoscerla un po’ meglio di così, perché davvero non si è sforzato affatto di nascondere le bollette, chiudendole a chiave nella scrivania dell’ufficio. Avrebbe dovuto sapere che Nancy l’avrebbe considerata più una sfida, che un divieto, visto che insiste tanto a definirsi suo padre, nonostante tutto.
Nel seminterrato, la temperatura è notevolmente più bassa e Nancy guarda il proprio fiato addensarsi davanti a lei: «Ace?» chiama. Nessuna risposta. Benissimo. «Ace!»
Da circa tre porte chiuse più in là di dove si dovrebbe trovare il contatore, arriva un suono soffocato.
«Ace?»
«Nancy?» la voce di Ace arriva un po’ lontana e leggermente più stressata di quanto non l’abbia mai sentita, ma è inequivocabilmente lui. «Grazie al cielo, iniziavo a pensare non saresti mai scesa!»
Nancy si appoggia alla maniglia, anche se è piuttosto certa sia un tentativo a vuoto: «Che è successo?» domanda, scuotendo la porta. Ovviamente non si apre. «Come hai fatto a finire bloccato qui?»
Qualunque faccia stia facendo Ace in questo istante, non deve assomigliare a nessuna delle sue espressioni accuratamente livellate che rivolge alla gente normalmente, non stando al tono della sua voce: «Ho sentito-- non importa. Riesci a tirarmi fuori di qui?» esala, leggermente frenetico.
Nancy sospira, forte. Questo è tutto il contrario di stare ad oziare in pigiama annegando nell’autocommiserazione, pensa, un po’ frustrata, ma nel complesso del tutto meno rammaricata di quello che che credeva: «Aspetta» borbotta, armeggiando col cellulare per spegnere la torcia e metterselo in tasca – ovviamente, non c’è né linea né internet. Ecco perché Ace non l’ha chiamata – sempre che Ace abbia il suo numero, in effetti. Deve sbattere le palpebre un paio di volte, perché i suoi occhi si abituino alla semi-oscurità del seminterrato, ma quando lo fa, sfila una forcina dal bordo del maglione. George la prende sempre in giro, per questa sua abitudine di seminarle ovunque – sui suoi vestiti e su quelli dell’amica, nelle tasche e nelle borse e negli astucci – ma a Nancy non basterebbero tutte e venti le dita delle mani e dei piedi per elencare le volte in cui è stata felice di averne a disposizione una. La apre, deformandola lievemente, e poi armeggia lentamente con la serratura.
«Nancy?» si sente domandare, dopo qualche minuto, un po’ debolmente.
«Aspetta» ripete, questa volta un po’ più convinta. C’è qualcosa che non va, nella serratura, perché non scatta alla prima come dovrebbe.
«Perché tu lo sappia» sta dicendo Ace, dall’altra parte della porta, il respiro corto. «Faccio quest’incubo ricorrente in cui muoio dissanguato appeso ad un gancio per la carne chiuso nella cella frigorifera del Claw.»
Questo è-- ridicolmente specifico, davvero: «Ci sono ganci per la carne, lì?» si sente domandare prima ancora di decidere se valga la pena rispondergli o meno.
«Non che io veda» ammette Ace. «Ma è parecchio buio, per cui non posso esserne certo.»
«Be’, puoi essere certo che si tratti solo un box di una cantina condominiale» replica, continuando a cercare di forzare la serratura. «E non di un frigo di un ristorante.»
«Dal freddo non si direbbe.»
«Lo so» ammette, perché inizia a sentirsi intirizzita anche lei, ed Ace è quaggiù da molto più a lungo. «Non sei riuscito a riattivare il generatore?» cambia argomento allora, se non altro perché cercare di gestire un attacco di panico attraverso una porta bloccata, mentre sta provando di scassinarla al buio sembra coinvolgere un po’ troppe capacità di multitasking di quante non si senta in grado di padroneggiarne al momento.
«Non ci ho neanche provato» sbuffa lui. Dal rumore che fa, potrebbe essere scivolato a sedere con le spalle contro il legno. «Quando sono arrivato qui, mi è sembrato di sentire… non lo so. Probabilmente era solo-- un topo..?» borbotta, incerto.
«Un topo?» lo incoraggia Nancy a continuare.
«Voglio dire. Non sembrava un topo. Forse un gatto. Anche se non ci sono gatti qui dentro bloccati con me. A dire il vero, lì per lì ho pensato che si trattasse di un bamb-- ma è stupido. Lascia stare. Ovviamente non c’è nessun altro a parte noi, qui.»
«Ovviamente» annuisce lei, certissima. Ace deve aver sentito davvero un topo o forse lo scricchiolare del legno mescolato ai rumori del temporale che rimbombano dal portone. Razionalmente, non può essere nient’altro, anche se il posto fa venire i brividi. Come tutte le cantine di questo genere, si dice Nancy, smetti di fantasticare, non è d’aiuto. «Okay» mormora, quando capisce cosa c’è che non va. «Ace, c’è un problema.»
«Non lo dire.»
«Non posso aprire la porta.»
«Fantastico» sospira lui. «Morirò soffocato in una cantina a millemila chilometri da casa. E non ho neanche chiamato mia madre per farle gli auguri, questa mattina. Me lo merito.»
«Divertente» sbuffa lei. «Non puoi morire soffocato, passa tutta l’aria che serve dalla fessura sotto la porta» replica dopo un istante, però, e per dimostrare il punto infila le dita oltre la fessura. Il palmo della sua mano è già troppo spesso, ma Ace le picchietta col polpastrello sull’indice: «Va bene, Nancy Drew» dice dopo un istante di silenzio passato a scriverle in codice morse S.O.S. sulle nocche. In qualunque altra circostanza, Nancy avrebbe ritirato la mano da un pezzo, ma la sua pazienza viene premiata perché quando parla, Ace non sembra più sull’orlo del panico: «Quindi? Come vuoi procedere?»
«Potrei sparare ai cardini della porta» scherza lei, chiudendo la forcina.
«Se hai sul serio una pistola nascosta in camera farò in modo di trovarmi una nuova coinquilina entro la fine delle vacanze» minaccia lui.
«Davvero un incentivo a tirarti fuori di qui» ride Nancy, ma poi fa passare la forcina sotto la porta.
Silenzio.
Forse non l’ha vista.
«Ace? Stavo scherzando, ovviamente. Non ho una pistola. Ti sei chiuso dentro dall’interno. Devi forzare la serratura» articola.
«Non posso» replica lui, dopo un altro attimo di contemplazione.
Nancy sbuffa: «Cosa, il figlio del poliziotto è troppo integerrimo per forzare una serratura?» domanda, leggermente più dura di quanto intendesse. Il fatto è che ha perso il conto delle occhiate stranite e giudicanti che ha ricevuto in vita sua quando la gente scopre che è particolarmente brava nell’aprire porte e lucchetti senza chiave, tutto qui.
Dall’altra parte della porta, Ace fa un verso di scherno: «Non posso perché non sono capace, Drew.»
Oh. Certo. Be’, ha senso. Non tutti hanno passato il doposcuola ad esercitarsi a forzare gli armadietti del corridoio est per due settimane e mezzo, alle elementari. Forse Ace leggeva fumetti nascosto in bagno, in quel periodo. «Non importa, ci sono io. Ti dirò come fare.»
«Mi piacciono i tutorial» ammette Ace dopo un istante, e sembra star sorridendo, dalla voce.
«Ma non mi dire» rotea gli occhi lei, anche se non riesce ad impedire alle proprie labbra di incurvarsi. «D’accordo, ascolta» comincia. «Devi spingere la forcina verso destra, finché non senti una certa resistenza, va bene? Quello è il tamburo.»

 

 


 

 


Ace ci mette sorprendentemente poco, a far scattare la serratura, e poi è fuori. Per un attimo si guardano e basta, strizzando gli occhi per mettersi a fuoco nell’oscurità – lui perché nella celletta era ancora più buio, lei perché non ha più riacceso la torcia.
«Be’» respira Ace, in una specie di singulto. «Non sono mai stato tanto felice di averti come coinquilina, Nancy Drew.»
Nancy sorride con un solo angolo della bocca, e gli dà una pacca sulla spalla, fingendo di non notare che sta tremando leggermente. Potrebbe essere il freddo, in realtà. Anche lei sta cominciando a sentire qualche brivido arrampicarlesi lungo la schiena: «Be’» gli fa il verso. «Ora sei uno scassinatore. Ricambia il favore ed insegnami a riavviare un generatore.»
Ace alza gli occhi al cielo, ma non ribatte Ci vogliono ben più di cinque minuti per diventare periti elettricisti. Invece scuote la testa e: «Facci strada, Nancy Drew.» Poi aggiunge, senza sembrare imbarazzato la metà di quello che dovrebbe: «Il mio cellulare si è spento.»
Nancy sbuffa: «….l’hai scaricato, vuoi dire.»
«Dovevo tenermi impegnato in qualche modo.»
Lei alza gli occhi al cielo. Lo sta facendo parecchio, questa mattina: «Certo» concorda, ironica. «Registrando le tue ultime parole?»
«Scrivendo una fanfiction su Spock e Kirk in codice binario» replica lui, le labbra arricciate in un’espressione
impossibile da decifrare – impossibile capire se stia bluffando o meno. Nancy davvero non riesce ad impedissi di ridere: «Stai scherzando
«Continua pure così, Drew» si passa una mano fra i capelli lui. «Non avrai mai il mio nickname su Ao3.»
Nancy si finge meditabonda per un paio di secondi: «Credo che sopravvivrò lo stesso» dichiara alla fine.
«Non sai cosa ti perdi.»
«Scommetto di no.»
Si fermano davanti al contatore. In realtà, tutte le leve sono abbassate. Ace stringe le labbra, sembrando ingiustificatamente deluso: «Be’, la lezione da elettricista è rimandata.»
«Ah» sospira Nancy. «E io che pensavo che sarebbe stato il mio regalo di Natale.»
Ace alza visibilmente gli occhi al cielo, anche nella penombra del seminterrato: «A te l’onore, allora» sbuffa. Nancy arriccia il naso, e si morde via un sorriso, prima di ripristinare la corrente con un solo gesto.
Per un attimo, la luce è quasi accecante. Ovviamente, in realtà la lampadina sopra le loro teste è vecchia e consumata e produce un lieve ronzio, ma Nancy deve comunque sbattere le palpebre più volte, prima di riuscire a mettere a fuoco Ace, davanti a sé.
Ace, che è molto, molto pallido: «Nancy» dice. Nancy si prende un istante soltanto per archiviare da qualche parte nel proprio cervello come il suo nome suoni in bocca ad Ace quando non è corredato da un cognome che non è più sicura le appartenga o incrinato da un tono canzonante. Poi, Ace continua: «Sei stata molto chiara sul non voler avere niente a che fare con me per tipo tre mesi, e nonostante la mattinata sia stata piacevole, forse dovrei dirti che prendermi per mano è un po’-- affrettato
Lì per lì, Nancy non capisce, davvero. Anche volendo – cosa che non vuole, grazie tante, perché dovrebbe? – non potrebbe star tenendo la mano di Ace, perché sono uno di fronte all’altro, abbastanza vicini da respirare la stessa aria, ma decisamente senza toccarsi: «Uh-- io non ti sto--» comincia, ma Ace la interrompe, aspro, a malapena trattenuto, gli occhi sgranati come piattini, la postura completamente immobile: «Lo so» sibila.
A questo, Nancy abbassa lo sguardo. C’è, in effetti… non lo sa. Davvero non lo sa. Un riflesso, probabilmente. Non sa di cosa. Per un attimo gli sembra che ci sia davvero una mano intrecciata con le di dita di Ace. È-- niente. Non è niente. Sbatte le palpebre e non c’è nulla, deve esserselo solo immaginato. Alza di nuovo lo sguardo su Ace, per dirgli di piantarla, quando qualcosa le sfiora il collo. Sul serio. Un respiro. Qualcosa di più. Un ansito. Nancy non sobbalza solo perché è pietrificata.
Qualunque cosa ci sia dietro di lei, che possa vederla o meno, Ace sembra rendersi conto di cosa sta succedendo almeno dalla sua postura perché quando parla lo fa con lo stesso tono di prima – quasi piatto, privo d’intonazioni particolari che non siano un leggero tentennio, il tentativo fallito di apparire tranquillo: «Niente panico» dice, chiaramente sull’orlo del panico. «Ora, visto che è tornata la luce, torniamo su» le fa cenno di muoversi e Nancy annuisce e respira e si volta.
Davvero, non c’è nessuno.
Non sa perché abbia pensato che--
«Andiamo» la incita Ace, dietro di lei, e Nancy fa’ strada, il cellulare ancora acceso, l’app della torcia ancora aperta, nonostante la luce in corridoio funzioni perfettamente.

 

 


 


«Che diavolo era?» gracchia Ace nell’istante in cui si chiudono la porta di casa alle spalle. Per buona misura, aggancia il chiavistello al muro, e poi torna a guardarla. Nancy è… non è spaventata. Spaventata è la parola sbagliata. Si sente lo stomaco contratto come fosse un unico granitico cubo di ghiaccio però, e deglutire è complicato: «Niente» la voce raspa contro la sua gola. Tossisce. «Niente» ripete. «Suggestione. Il temporale e--»
Come a voler sottolineare le sue parole, un tuono fa tremare gli infissi.
«Sì» soffia Ace, annuendo, perché è l’unica cosa ragionevole. «Certo.» Poi, però scuote la testa: «No» la contraddice apertamente. «No. Non sono-- non mi sono immaginato niente, Drew.»
«Lo so» alza le mani lei. «Guarda, lo so» mormora, cercando di apparire calma e ragionevole. «Ma il trauma a volte--»
«Quale trauma?» sbotta lui.
«Sei claustrofobico» sbuffa lei, perché non ha senso fingere che non lo sia. Non ora. Ora, Nancy vuole solo chiudersi in camera, strisciare sotto le coperte e dormire per dieci ore filate, non pensare mai più a cosa è successo in cantina. A come si è sentita. Alla notte del ballo, quando Frank è saltato fuori da dietro la lapide di Lucy Sable per spaventarla e lei – lei ha urlato, ma perché dietro di lui… dietro di lui, per un attimo soltanto, le era sembrato di aver visto…
Tornare a casa, scoprire che sua madre era morta, scoprire-- tutto il resto, Carson e Ryan e la stupida lettera azzurra che sua madre ava pensato bene di scriverle, invece che di leggerle quand’era ancora viva e in grado di farlo, avevano dato a Nancy abbastanza buone ragioni per non pensare pù al cimitero, ma questo. Questa sensazione. È esattamente la stessa.
«No» sta riponendo Ace, riportandola al presente. «Non sono claustrofobico.
«Non è la norma avere incubi ricorrenti su delle celle frigorifere, Ace!» sibilia, sentendosi un po’ soffocare nel-- panico, probabilmente. Probabilmente è panico, davvero. Non ha senso negarlo, a questo punto.
«Gli spazi chiusi e bui non sono la mia cosa preferita al mondo» ammette lui. «Non sono la cosa preferita di nessuna persona sana di mente. Ma non sono-- non ero fuori di testa, Drew. Qualcosa mi ha toccato. L’ho sentito.»
«Non sai cosa ho sentito» ribatte lei, stringendo i denti.
«So cosa ho sentito» Ace assottiglia lo sguardo, impuntandosi. «E come se non bastasse, anche tu l’hai sentito. Visto. Non lo so. Ma so che l’hai fatto. Dovresti migliorare la tua faccia da poker, se vuoi davvero avere questa discussione con me.»
«Io non- - smettila» Nancy quasi urla. Ha davvero bisogno che Ace stia zitto, adesso. Ha bisogno di respirare. «Smettila. È- - cosa poteva essere, comunque?» E prima che lui apra bocca per dire qualunque cazzata gli sembri appropriata dire in questo momento, lo interrompe. «Razionalmente.»
Ace respira e basta, per un lungo momento. «D’accordo» definisce allora. «Suggestione» annuisce, guardandola fisso negli occhi. «Io ero spaventato. Per, sai» gesticola, indicando qualcosa alle sue spalle. «L’anno e mezzo che è passato prima che ti accorgessi che ero sparito.»
«Mezz’ora» ringhia Nancy, correggendolo.
Lui alza gli occhi al cielo, ma sembra quasi affettuoso, quando risponde, soffocato: «Senza internet è sembrato di più» ammette. «Ma comunque. Io ero legittimamente un po’ nel panico. Ma tu? Non fingere di non aver sentito niente, Drew. So che l’hai fatto.»
«Io» gracchia lei. Non riesce a scrollarsi di dosso l’idea che- - «Io penso» commenta lentamente, l’idea che le si deposita nel cervello come qualcosa che affondi, senza scampo, inesorabile. Si umetta le labbra: «È possibile che io sia» respira. «Infestata.»
Ace ride.
Sul serio, lo stronzo ride.
«Le case possono essere infestate, Drew, le persone possono essere perseguitate, al massimo.»
Certo, perché è questa l’importante distinguo. Non che sia impossibile. Non che nella realtà questo non possa accadere. No. Il verbo che usato.
«Sei--» comincia. Poi, però, si blocca. Perché ha usato quella parola, in effetti?
«…carina» sta dicendo Ace, un sorriso lieve sulle labbra. «Però non così divertente, considerando che c’è davvero qualcosa, laggiù.»
«Io» riprova Nancy. «Non sto scherzando» definisce dopo un istante. «Non mi sta- - perseguitando. È più» si schiarisce la gola. «Una presenza.»
Perché, be’. Finché era sola, travolta dal dolore per la perdita di sua madre, dal ruvido affetto di George, dalle sconvolgenti rivelazioni familiari, dagli impegni della Columbia, Nancy ha per lo più ignorato la sensazione di essere osservata, un attimo prima di addormentarsi, o che qualcuno le stesse sfiorando la guancia, un attimo prima di svegliarsi o che qualcuno le si stesse avvicinando alle spalle per poi voltarsi e scoprirsi da sola, durante il resto della giornata. Suggestione, si è detta, più di una volta in questi mesi. I nervi. È stato il periodo emotivamente più stressante della sua intera vita ed è normale che si senta a pezzi. È normale che desideri così ardentemente che sua madre le rimbocchi le coperte da- -
«Una presenza» ripete Ace, atono.
«Una presenza» annuisce. «Non- non mi sta perseguitando» non sa come spiegarlo. «Sta solo… non lo so. È solo come se mi stesse guardando?»
«Hai uno stalker» chiarisce lui, sbattendo le palpebre. «Uno stalker fantasma.»
«Non ho detto--»
«Non ricominciare con--»
«I fantasmi non esistono!» sbotta.
Ace arriccia le labbra: «Allora cosa ti sta guardando?»
«Non lo so. Qualcos’altro. Qualcosa che esiste, se l’hai sentito anche tu, laggiù in cantina. Non un brutto effetto speciale da teen drama horror.»
Per un attimo, sembra che Ace riderà di nuovo. O urlerà. Ha un’espressione un po’ cruda, un po’- - in bilico, come. Quando parla, è sorprendentemente gentile, però: «Stai dicendo» si schiarisce la voce. «Hai preso in considerazione l’ipotesi che potrebbe essere tua madre?»
Nancy l’ha fatto. Onestamente. Quando, nel dormiveglia, non era abbastanza lucida da razionalizzare. Più volte. Davvero approfonditamente. Quando’è sveglia, però, alla luce del giorno, non sembra molto credibile: «Non- -» comincia, un groppo in gola. «Non credo che sia lei.»
Dio, vorrebbe che fosse lei. Lo vorrebbe così tanto. Ha così tanto bisogno di parlare con lei, in questo memento. Di- - di litigare, per lo più, di urlare. Di piangere fra le sue braccia.
«Io… la prima volta che l’ho- sì, vista, era la sera del ballo. Al cimitero.»
«…Death Lucy» completa Ace per lei.
«È possibile?» domanda Nancy, la voce pericolosamente incrinata. Non è possibile. Sa che non lo è. Ha solo bisogno che Ace le confermi che ha semplicemente bisogno di un TSA obbligatorio.
Ace fa una smorfia: «Incolpiamo Death Lucy per un mucchio di cose» dice lentamente. «Finestre rotte, macchine ammaccate. Quando sono caduto dalle scale della soffitta, a sette anni, ho detto a tutti che Death Lucy mi aveva spinto, ma--»
«-- è solo folklore locale, lo so» sospira Nancy, un po’ vuota. Ha mal di testa, scopre. Un gran mal di testa. E bisogno di una pausa, per poter pensare lucidamente.
Come se Ace le avesse letto nel pensiero, si stacca dalla porta con un colpo di reni: «Andiamo» dice. «Cucina. Wassalling. Se il sidro è ancora caldo. Se no tè. Non ha senso rimanere qui in corridoio a parlare di ectoplasmi.»
Nancy lo segue, impotente. Ha un po’ ragione, in fondo. «Non ha mai usato- -»
«Il termine corretto è ectoplasmi» ripete lui.
«…che non esistono» replica lei.
«Disse la donna che è infestata.»
«Stalkerta» lo corregge lei, per il solo gusto di rientrare nel ritmo calmante e lenitivo della battuta-e-rispota.
Ace sorride, un po’. In cucina, attacca il cellulare scarico ad una presa, e appoggia la mano sulla pentola: «Ancora caldo» conferma, suonando del tutto più soddisfatto di quello che sarebbe ragionevole.
Nancy non sa come faccia. Lo invidia un po’, a dirla tutta. Questa sua capacità di darsi tregua. Non è brava per niente, in questo. Mamma diceva che era una cosa di famiglia. Suo padre che non mangia, durante la stesura delle sue arringhe più complicate. Lei, che si dimentica persino di dormire, quando ha un mistero fra le mani. Non sono una famiglia, però. Davvero, non lo sono. Hanno avuto la possibilità di esserlo. Hanno avuto diciotto lunghi anni per parlarle, per-- «Sono stata adottata» sbotta. Non sa perché. Non sa perché adesso, non sa perché Ace. Ci ha messo sei mesi per dirlo a George. La sua migliore amica, ed Ace non è- -
Non è neanche il momento, a dirla tutta.
Ace si volta, un bicchiere in mano, e sostanzialmente dice solo: «Okay?» sbattendo le palpebre come se non cogliesse il punto. Nancy lo capisce, davvero.
«Sono… contento per te, credo?» aggiunge un attimo dopo, però, porgendole il sidro tiepido, pezzetti di mela che galleggiano in superficie. «Voglio dire. Carson e Kate sono… voglio dire. Tua madre era adorabile, francamente. Mi ha dato una mano con la scena del college. Anche se, voglio dire, anche se poi non sono andato. Mi ha davvero ascoltato, mentre cercavo di capire cosa volessi fare.»
«Era il suo lavoro» sottolinea Nancy, perché quello che dovrebbe fare un consulente scolastico. Ace scrolla le spalle: «Sì, be’. Quello che voglio dire è… che sembrava una bella persona. Una buona madre. Credo.»
Nancy fissa il sidro, sbatte le palpebre: «Lo era.»
Le sorride, sembrando genuinamente contento per lei: «E tuo padre- -»
«Carson» lo corregge automaticamente Nancy.
Ace si acciglia: «Non è--»
«Non è mio padre. Mi hanno adotta. Mi hanno mentito per tutta la vita. Hanno… hanno scelto di non dirmelo. Non--»
«Mi dispiace» mormora Ace. «Quello che volevo dire è sembrano dei bravi genitori, dal di fuori. Insomma, hanno cresciuto l’eroina di Horseshoe Bay. Non devono essere stati poi così orribili, no?»
«No» ammette Nancy. «Ma non me lo hanno detto. Mi riguardava. Ho dovuto… ho dovuto trovare una lettera di mia madre appena morta che mio padre non voleva consegnarmi. È- - perché?»
È stupido, ovviamente. Ace non la conosce. Non conosce i suoi. Non c’è alcuna ragione per cui dovrebbe saperlo più di lei. Più di George. Ma Ace si stringe nelle spalle: «Magari ha avuto paura» dice e questo è- - tutto, più o meno.
Carson ha avuto paura.
L’idea è ridicola, per un solo lunghissimo istante, l’idea è così ridicola da farla ridere, ma- - ma.
«Magari non voleva… sai, con tua madre appena morta e tutto il resto.»
Tutto il resto, dice Ace, e probabilmente intende i giornali intitolati Nancy Drew, l’assassina di Josh Dodd.
«Avevo il diritto di saperlo» ribatte lei, sembrando ridicola e capricciosa persino alle sue orecchie.
«Sì» risponde Ace, piano. «Ma» non dice altro, e per un po’ rimangono in silenzio, a bere sidro caldo in una cucina addobbata.
Poi, il cellulare di Ace rinviene. Quando una serie di blip acuti li informa delle notifiche che non ha ricevuto nel periodo in cui era spento, Nancy quasi sobbalzano.
Ace si volta automaticamente e scrolla lo schermo. C’è un’espressione curiosa sul suo viso, come freezata fra il divertimento e l’irritazione. Nancy crede che se avesse uno specchio mentre parla al telefono con George probabilmente avrebbe la stessa faccia: «Bess?» indovina
Ace non risponde. Avvia una chiamata, però, e quando dall’altra parte la voce di una ragazza dice: «Quanto sei arrabbiato da uno a dieci?» lui replica soltanto: «Perché non sono stupito?»
Nancy lo guarda alzarsi in piedi ed andare alla finestra, sentendosi un po’ stordita: «Non avresti dovuto intrometterti in-- come diavolo si ferma, Bess Marvin?» lo sente domandare.
Quando la telefonata finisce, Ace non si volta subito a guardarla. Rimane per un attimo a fissare fuori dalla finestra. Poi, sospira: «Eh, Nancy Drew» commenta. «Senti, a proposito di fantasmi che non esistono…»

 


 

 


Salta fuori che Bess ha notato lei, mentre lei notava Bess sgattaiolare dentro e fuori la stanza di Ace agli orari più improbabili. E che proviene da un’antica stirpe di streghe dell’ottocento.
«Questo non ha senso» ripete Nancy per l’ennesima volta.
Ace alza gli occhi al cielo: «Va bene» ammette. «Ma lo stiamo vivendo.»
«Non-- la tua migliore amica dice di aver fatto un rituale perché io potessi connettermi con lo spirito che mi perseguita e tu le credi?»
Ace si stringe nelle spalle: «La sua ipotesi è di aver sbagliato qualcosa nelle proporzioni della ricetta e di aver scatenato un po’ un casino con i fantasmi già presenti in questa casa.»
«Sei pazzo» realizza Nancy definitivamente. «Un pazzo amico di una pazza.»
Ad Ace sfugge un sorriso ironico: «È la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, Nancy Drew» ribatte, allegro.
«Certo» alza gli occhi al cielo lei. «Come no. Non abituartici.»
Lui la ignora: «Pensaci» insiste.
«Ma ti stai ascoltando
«Ad onore del vero, Nancy Drew» incrocia le braccia Ace. «Sembra la spiegazione più logica. Se questa casa fosse già stata infestata in precedenza si spiegherebbero molte cose.»
«No
«I rumori che senti di notte. So che li senti anche tu.»
«Assestamento. È un edificio in legno.»
«Il grattare alle pareti.»
«Topi.»
Ace annuisce: «Chiama un disinfestatore, allora.»
«Tu» sbuffa Nancy. «Tu non stai scherzando» realizza.
«Sei tu quella che crede di avere uno stalker fantasma.»
«La parola stalker non è mai uscita dalla mia bocca.»
Lui alza gli occhi al cielo e-- giustamente, è questo il momento in cui salta di nuovo la luce.«Abitiamo in una casa infestata» annuncia Ace, accendendo la torcia del cellulare sotto il viso come se fossero bambini al campeggio.
«Non essere sciocco» storce il naso Nancy, infastidita. «I fantasmi non esistono» ripete per l’ennesima volta.
Lui sbuffa e scuote la testa, alzandosi per dirigersi in corridoio, il fascio di luce puntato davanti a sé: «D’accordo, come ti pare. Guastafeste» aggiunge un attimo dopo, ma le porge comunque la mano. Nancy la prende – perché è buio, tutto qua: «Sono una persona concreta e razionale» replica, quasi in tono di scuse. «E non credo che--» ma qualunque cosa stesse per aggiungere si perde coperto da quello che sembra a tutti gli effetti il lamento di uno spirito in pena.
«Parliamo di quanto sia irrazionale da parte tua ignorare l’evidenza dei fatti» sbotta Ace, dopo un istante di silenzio scioccato, sembrando molto più felice di quanto sia decente.
Nancy lo capisce, un po’. Uhm. Molto.
Sospira.
«Parliamo di come risolvere questo pasticcio» replica invece.

 
  
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