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Autore: Glenda    23/12/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Alla salute delle tane!” disse Noam, e ogni cosa andò avanti da sola, come se non potesse andare in altro modo che così.

Come se fosse già tutto previsto.

Quella volta aveva progettato tutto, quella volta sì che era stato capace di pianificare: e lui non aveva intuito un accidente.

“Alla salute delle tane!”… e poi gli bastarono poche altre frasi – ma pronunciate in quel modo così autentico, leggero e sicuro insieme, rispettoso e sfacciato insieme – per trasformare il K-32 nel palcoscenico del comizio più strepitoso a cui Adrian avesse mai assistito.

Noam parlava con la sua voce morbida, che non saliva mai di tono ma che era dappertutto, ed in una manciata di minuti era diventato una presenza non ignorabile, catturando l’attenzione del locale intero. Le persone gli si raggruppavano intorno, gli facevano domande e lui rispondeva con la solita sorridente semplicità, senza orpelli, senza compiacimento, senza nessuna paura nel dire “non lo so” o “non posso”. Era completamente alieno alla retorica delle promesse e alle posture studiate: prima seduto sullo sgabello addossato al bancone, poi, per poter essere sentito meglio, seduto con le gambe penzoloni sul bordo di un tavolo, visibilmente a proprio agio e visibilmente felice di essere lì, parlava con assoluta spontaneità sia delle cose che aveva fatto che di quelle che non era riuscito a fare, dei suoi progetti ed anche, senza ombra di vergogna, di ciò che gli faceva paura.

Il popolo della Tana lo ascoltava rapito: l’ex-leader di FDL che ancora incantava la gente di Mòrask, l’uomo che che faceva paura a Kàmil Òraviy e che Zjam Karkoviy era disposto ad assecondare pur di averlo dalla propria parte, il ragazzo gentile e un po’ confuso che approdava a Noravàl da immigrato e ci fondava il movimento più creativo di tutti i tempi.

Era magico, era travolgente, era assoluto.

Nessun Kàrkoviy, Òraviy o Thièl sulla terra aveva alcuna possibilità di misurarsi con lui.

La serata scivolò con naturalezza dalla politica alla convivialità, due chiacchiere, due bicchieri di troppo, qualche canzone: la Mòrask sotterranea non era un pericolo, per Noam, era un alleato.

“Perché non andiamo in un’altra tana?” fece un ragazzotto che doveva essere un universitario ed aveva sommerso Noam di domande prendendo persino appunti “Ti facciamo parlare col nostro collettivo!”

Si davano già tutti del tu.

Si chiamavano per nome.

“Volentieri!” fece Noam “La propaganda è propaganda!”

E via da un locale all’altro, per tutta la notte, in situazioni sempre più affollate, più caotiche e più alticce.

Alle cinque del mattino, Adrian era l’unico rimasto lucido, l’unico che non si era lasciato sfuggire neppure un dettaglio e l’unico testimone attendibile degli eventi di una nottata che avrebbe reso superfluo ed insipido qualsiasi altro discorso.

Noam era un maledetto genio: non solo aveva trasformato il suo viaggio a Mòrask da una vuota comparsata ad un piano di auto promozione ad effetto, ma, mettendosi all’apparenza in pericolo, si era invece costruito una rete di sicurezza. Nessuno, l’indomani, - transenne o non transenne – lo avrebbe guardato come una marionetta del Governo: Adrian non poteva che prendere atto e ammettere che era stato un passo avanti a tutti.

 

***

 

“Pensi di dormire un paio di ore o nel tuo piano diabolico c’è il presentarti a parlare in pubblico con quella faccia?”

Ma quale faccia…! Noam era radioso.

“Devo ancora smaltire la sovra-eccitazione,” rispose “ma tu, invece, è bene che riposi un po’: non sarò io a dover avere cento occhi domattina.” Guardò l’orologio “Emh, stamattina!”

“Sei pazzo, lo sai?”

“Sì, sì, un adolescente cretino…” cantilenò con sufficienza.

“No. Proprio pazzo.”

Noam sospirò e fece spallucce.

“Vado a farmi una doccia. Tu dormi, però. Davvero.” incrociò il suo sguardo, erano entrambi esausti “Ah… e mi dispiace.”

Adrian non capiva di cosa si dispiacesse, se dell’averlo tenuto in piedi tutta la notte o di aver di nuovo scelto la strada più pericolosa per ottenere uno scopo: ma nessuna di queste cose l’aveva fatta da solo.

“Promettimi che se Màrna vince queste elezioni, smetterai di scusarti per tutte le cazzate che fai” gli disse “Sei oggettivamente pazzo, ma io sono stato il tuo complice. Potevo decidere di non esserlo.”

Noam sfoderò un sorriso stanco e riconoscente.

“Già!”

Sentì lo scroscio dell’acqua che veniva giù da quella doccia sgangherata, il lamento della caldaia in funzione che borbottava come se non fosse stata accesa da secoli, un motorino smarmittare dalla strada, e, avvolto da quel miscuglio di rumori, finì per scivolare nel sonno.

Si svegliò nel sentire i passi di Noam in corridoio: credeva fossero passati pochi minuti, invece l’orologio gli segnalò che erano le otto del mattino. Si accorse di essersi addormentato vestito, sul letto rifatto e che Noam gli aveva appoggiato addosso una coperta e chiuso le imposte, da dietro le quali adesso filtrava una luce timida.

“In teatro è sconsigliato mangiare prima di salire su un palcoscenico, sai?” disse Noam, facendo capolino dietro la porta “Ma io ho bisogno almeno del caffè!”

“Ma sì!” gli tenne dietro Adrian “Il politico più discusso del paese, sotto scorta e prima di una comparsa pubblica ad alto rischio vuole fare colazione al bar, perché se proprio si deve morire, vogliamo farlo con un po’ di caffeina nel sangue, no?”

Si guardarono e scoppiarono a ridere.

Noam era casa, pensò di nuovo, e gli tornò in mente una cosa che lui gli aveva detto un giorno: “Il mio nome significa qualcosa come ritornare a casa, ma non intesa come famiglia né come comunità… è più la sensazione di entrare in un posto in cui stai comodo, quella sensazione di quando apri la porta e dietro ci trovi il gatto.”

Si avviarono verso piazza del Campanile sotto una pioggerellina lieve, quasi impercettibile, e nella testa una sensazione di sospensione del tempo, quel momento di immobilità prima che tutto cominci a correre.

E tutto stava davvero per iniziare a correre, anche se ancora non lo sapevano.

Alle nove e trenta erano davanti al posto di blocco, superavano le transenne, si avvicinavano al palco. Tanti poliziotti e pochissima gente. Una troupe della televisione locale in posizione.

Era domenica mattina e la città sembrava ancora addormentata.

Alle nove e tre quarti squillò il telefono di Noam.

Adrian lo sentì rispondere con cordiale allegria, poi vide il suo sguardo scurirsi.

“No” disse “Non ti muovere di lì. Sì, sì… chiama Segùr” “Sì, io sono già qui, sembra tutto tranquillo…” “Ma chissenenfrega, se ne faranno una ragione” il suo tono salì di un poco, ma si costrinse a controllarsi per non dare nell’occhio “Non ti muovere di lì, per la miseria!”

Quando attaccò il telefono, Noam era pallido come uno straccio.

“Che succede?”

Lui si guardò intorno e si accertò che non ci fossero orecchie indiscrete a portata di voce.

“C’è qualcosa che non va… ” rimase qualche istante pensieroso, poi riprese con una innaturale fermezza “Adrian, dobbiamo andare immediatamente a casa del professor Màrna. Sta accadendo qualcosa che non mi piace.”

“Sii più preciso: chi era al telefono e cosa ti ha detto?”

“Era Lant. L’uomo che deve accompagnarlo qui non si è ancora presentato, e mi ha riferito che già da ieri sera ha notato strani movimenti intorno a casa sua: all’inizio non gli aveva dato peso, ma stamattina ha messo insieme i pezzi e si è spaventato. Gli ho detto di chiamare subito Segùr per capire cosa sia successo alla sua scorta e di non uscire di casa per nessuna ragione. Tutto questo non va bene.”

Non andava bene, certo. Ma il panico che aveva colto Noam era sproporzionato rispetto ai fatti che gli stava esponendo. Fino alla sera prima se ne andava in giro per le tane senza nessun timore, che gli prendeva adesso?

“Io sono qui per proteggere te: figurati se, essendo a conoscenza di un pericolo, acconsento ad andargli incontro!”

“Maledizione, ti prego! Ti rendi conto di…” esitò, gli tremarono le labbra “Temo che qualcuno possa volere Lant morto!”

E glielo diceva adesso? Su che basi lo pensava? Gli aveva di nuovo taciuto delle informazioni determinanti? Aveva forse comunicato con qualcuno del Fronte? Possibile?

“Cazzo, Noam, cosa sai che io non so? Pretendi di essere aiutato parlando per enigmi?”

Noam si paralizzò sul posto, stordito dalla sua reazione, ma non era quello il momento per preoccuparsi di aver urtato la sua sensibilità.

“Segùr temeva…” incespicòSegùr mi aveva messo in guardia sul fatto che Lant potesse essere nel mirino del terrorismo.”

“E come faceva ad avere questa informazione?” incalzò Adrian “Da quali fonti l’ha ricevuta?”

“Non lo so. Mi disse solo che, per evitare il rischio, avremmo dovuto perdere le elezioni! Andiamo a veder cosa succede, Adrian. Ti prego! Se accade qualcosa a Lant è colpa mia!”

“Colpa mia, colpa tua, le solite stronzate, Noam! Se c’è un pericolo, qualsiasi pericolo, non puoi chiedermi di portatici in mezzo!”

Gli occhi di Noam si spalancarono. Dio, quanto sembrava perso e indifeso, rispetto a poche ore prima.

“Allora, vacci tu, Adrian.” pronunciò quelle parole come se gli fossero costate tutto il fiato che aveva “So che ti sto chiedendo di correre un rischio, e lo odio, ma tu sei preparato ad affrontarlo, Lant no.” non gli lasciò il tempo di ribattere, anticipò la sua reazione “Sì, lo so che tu sei qui per proteggere me, ma qui ci sono anche decine di poliziotti, le transenne, le telecamere. Sono al sicuro. Vai a vedere che succede. Ti prego.”

Quante volte aveva già detto “Ti prego” in quei minuti?

Quante volte, da quanto si conoscevano?

Almeno ogni volta che aveva ignorato un rischio, almeno ogni volta che si era lasciato ferire da qualcosa o qualcuno, almeno ogni volta che aveva voluto costringerlo a non dirgli di no.

Non dirgli di no.

“Non ti muovere di un passo.” disse “Nemmeno se qualcuno te lo chiede. Nemmeno se ricevi telefonate che ti spingerebbero a farlo. Anzi, non rispondere proprio al telefono, che è meglio. Giura.”

Alle dieci, Adrian attraversò le transenne a ritroso.

L’antico orologio del campanile emise il suo suono metallico da carillon.

 

***

 

L’auto sobbalzava sui sampietrini delle vie del centro di Mòrask, mentre la mente di Adrian sobbalzava tra una congettura e l’altra.

Perché Segùr temeva un attentato e perché lo aveva detto a Noam, anziché a lui? La scorta di Lant ne era a conoscenza? Cosa era accaduto ai suoi colleghi? E perché, di fronte ad un sospetto del genere, Segùr aveva insistito per mandare Noam a Mòrask? Pensava forse che la sua presenza potesse distogliere l’attenzione da Màrna? Sapeva qualcosa a proposito del passato di Noam e si era fatto l’idea che il Fronte non avrebbe agito contro di lui? Era una spiegazione plausibile.

Ma il Fronte era fatto di tante anime, era pieno di teste calde e di imprevedibili: Thièl glielo aveva detto.

Non aveva ancora pensato, prima di allora, che gli sarebbe davvero servito quel numero, che avrebbe dovuto chiedergli aiuto. Ma se non ne sapeva qualcosa lui, chi altri?

Thièl non lasciò fare al telefono nemmeno il secondo squillo.

“Problemi?” esordì.

“Qualcuno.”

“Non da parte nostra.” fu rapido a asserire.

“Allora vorrei scoprire da parte di chi.”

“Spiega.”

Adrian gli raccontò ogni cosa, mentre continuava a guidare verso casa di Màrna.

“Ok. Ho capito.” la voce di Thièl era calma ma autorevole, non aveva il tono strafottente che ricordava dalla loro prima ed ultima conversazione: doveva essere abituato a telefonate come quella “Ti sto mandando l’accesso alle telecamere di sorveglianza della filiale 2 della Banca Centrale di Mòrask, che sta a 50 metri dall’edificio in cui abita il professore, e a quella della gioielleria Dànask, sull’altro lato della strada. Incrociando le immagini dovresti avere una buona visuale.”

Dalla rapidità della sua reazione, Adrian sospettò che avesse preparato quel piano da tempo.

“Da luogo in cui mi trovo non posso intervenire, ma mi procuro un contatto sul posto.”

Alle dieci e sette minuti, Adrian accostò sul ciglio della strada e seguì i link inviati da Thièl: dalla telecamera della Banca si vedeva bene un buon tratto di strada. La via era piuttosto popolata, per essere domenica mattina, e le immagini non erano abbastanza fuoco da distinguere un atteggiamento corporeo da un altro, un’intenzione da un’altra, una persona da un’altra.

Non, almeno, se quelle persone fossero state tutti degli sconosciuti: ma non era così.

Le mani di Adrian serrarono il piccolo schermo del telefono: con le dita incerte catturò un fotogramma, lo ingrandì, e all’improvviso si rese conto nella terribile trappola in cui era caduto.

L’individuo appostato davanti ad una vetrina di moda, a due passi dal portone di casa del professore, era Vìrnosz, il suo ex collega, l’uomo dello staff di Òraviy!

Come in una tragica epifania, ad Adrian fu tutto chiaro: Noam rifiuta la tangente di Òravy, Segùr viene incaricato dal padre di indurlo a perdere le elezioni per toglierselo dai piedi, Noam rimane fermo sulla sua posizione e anzi, la sfida ai tre Boss fa schizzare Màrna in testa ai sondaggi, Segùr allora convince Noam ad andare a Mòrask con il ricatto emotivo che il professore possa essere in pericolo, Vìrnosz spaventa Màrna, che naturalmente contatta Noam, il quale, essendo già in stato di allerta, prega Adrian di andare in soccorso del collega… E lui, maledizione, per l’ennesima volta lo aveva accontentato, Segùr lo sapeva benissimo. Le sue dannate previsioni.

Alle dieci e nove minuti l’auto di Adrian stava sfrecciando pericolosamente per la strada a ritroso.

Bucò un semaforo rosso, ignorò una precedenza, qualcuno gli imprecò dietro.

Adrian non sentiva niente.

  
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