Anime & Manga > Demon Slayer/Kimetsu no Yaiba
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Autore: Princess Kurenai    23/12/2022    0 recensioni
[RenKaza | Rengoku Lives | Found Family]
Riaprì le mani chiuse a pugno, provando a lasciar scivolare via la tensione, e prese infine un profondo respiro.
Il fischio che lo aveva reso sordo fino a quell'istante svanì lentamente, permettendogli di sentire il silenzio della casa spezzato da un nuovo rumore, improvviso e inaspettato.
Akaza si irrigidì e il suo sguardo si puntò subito verso il fusuma che fungeva da ripostiglio della camera, e dal quale erano ormai udibili dei versi soffocati.
Si accostò all’anta scorrevole e, con attenzione, la aprì. Un piccolo ammasso di lenzuola si mosse sotto il suo sguardo - ormai più incuriosito che arrabbiato come qualche momento prima -, e infine un forte pianto iniziò a riempire la stanza.
Un neonato.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hakuji/Akaza, Kyoujurou Rengoku, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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As Soothing As Snow

Capitolo 1
Every cloud has a silver lining


»--•--«


Il tramonto aveva portato con sé i primi fiocchi di neve, annunciando in quel modo l’arrivo dell’inverno.

Ad Akaza piaceva la neve, pur non conoscendone l'esatto il motivo - così come non riusciva a comprendere del tutto il perché gli piacessero anche i fuochi d’artificio -, ma come per ogni cosa della sua esistenza si limitava ad accettarla per concentrarsi sul suo unico obiettivo: allenarsi per diventare più forte.

D’altro canto, oltre che per un'insita soddisfazione e necessità personale, per lui allenarsi era anche l’unico modo per placare la fame e i suoi pensieri che, talvolta, correvano velocissimi e si rivelavano essere troppo fastidiosi per essere controllati o compresi.

Quella notte però, gli risultò sin da subito impossibile riuscire nel suo intento, perché le sue orecchie captarono un qualcosa di molto più irritante delle sue solite domande senza risposta: le urla di una donna.

Un brivido familiare gli attraversò la schiena, distogliendolo dai suoi allenamenti, e quando a quelle urla si aggiunse anche l’odore del sangue, Akaza non poté fare a meno di iniziare a correre con il pensiero, sciocco e insensato, del: “Non farò mai in tempo!”

Non avrebbe fatto in tempo… per che cosa?

Una sensazione di rabbia, mista all’impotenza, lo spinse a correre più rapidamente, aiutandolo al tempo stesso ad ignorare quella domanda che portava con sé innumerevoli e ormai familiari dubbi.

Il demone balzò sui rami di un albero per darsi un'ulteriore spinta, mentre nelle sue orecchie iniziò a crescere un fischio che lo rese sordo a tutto tranne che alle suppliche e ai lamenti della donna.

Gli occhi di Akaza, abituati all’oscurità, scorsero subito una piccola casa al limitare della foresta. Provenivano da lì l’odore del sangue e i gemiti di dolore e paura, e quello lo portò a non esitare nello sfondare con noncuranza una finestra con il suo corpo, interrompendo ciò che stava accadendo all'interno di quelle quattro mura.

Tre occhi verdi, dalla nera pupilla allungata, si posarono sui suoi. Dapprima sorpresi e arrabbiati, e infine spaventati.

«T-terza Luna Crescente!» balbettò il demone, dopo aver notato i kanji che Akaza portava nei suoi occhi.

Aveva la bocca, al cui interno erano visibili dei lunghi canini acuminati, sporca di sangue. Quello stesso liquido gli imbrattava un kimono liso e rovinato, che un tempo doveva essere stato di un tenue verde chiaro.

In mano, il demone stringeva un pallido arto umano, dal quale altro sangue stava sgorgando copioso.

Akaza gli rivolse uno sguardo di disgusto, che si tinse di rabbia nel vedere i corpi che giacevano ai piedi dell’altro demone.

Il primo, un po’ più distante e vicino alla porta, era quello di un uomo con il collo chiaramente spezzato data la posizione innaturale del capo. Mentre il secondo, che attirò tutte le attenzioni della Terza Luna Crescente, era quello di una giovane donna dai capelli neri che le ricadevano scomposti sul viso. Il kimono azzurro pallido che indossava era insanguinato, e quella macchia rossa aumentava a dismisura partendo dal braccio destro che le era stato strappato.

L’odore del sangue era ancor più forte all’interno della casa.

Era dolce e invitante - era probabile che quella donna fosse una marechi -, ma Akaza non sentì la salivazione aumentare, né l’istinto di affondare i denti su quella carne. Sentì solo il disgusto e l’ira, soprattutto quando il corpo della donna, scosso da dei sobbalzi di dolore, divenne lentamente immobile. Il respiro pesante svanì, lasciando ad Akaza solo l'assordante fischio nelle orecchie e un pesante nodo allo stomaco.

Ancora una volta non era arrivato in tempo.

Strinse i pugni e il suo sguardo lampeggiò colmo di rabbia nel rivolgerlo di nuovo al demone.

«Sparisci dalla mia vista,» sibilò e il demone, privo di qualsivoglia spirito combattivo o di utilità, si mostrò subito terrorizzato all’idea di aver offeso in qualche modo la Terza Luna Crescente.

Bofonchiò infatti delle scuse e saltò all'istante fuori da un buco nel tetto, probabilmente creato in precedenza proprio da quello stesso demone per causare disordine e panico nella famiglia che aveva attaccato.

Akaza rimase fermo sulla sua posizione, occhi improvvisamente chiusi e le mani strette a pugno. Tentò di calmare la cieca furia che aveva iniziato a bruciargli in corpo, portandolo a provare un'assurda sete di vendetta immotivata.

Era una rabbia strana, quasi anomala, che non sembrava avere una vera e propria origine, eppure era lì a farlo tremare. A farlo sentire un fallimento .

Non aveva senso, ma più fissava il cadavere della donna, più quella sensazione cresceva facendogli torcere lo stomaco. Aveva bisogno di sfogarsi, in quel momento più che mai, ma al tempo stesso sentiva di doversi calmare come prima cosa.

Riaprì le mani chiuse a pugno, provando a lasciar scivolare via la tensione, e prese infine un profondo respiro.

Il fischio che lo aveva reso sordo fino a quell'istante svanì lentamente, permettendogli di sentire il silenzio della casa spezzato da un nuovo rumore, improvviso e inaspettato.

Akaza si irrigidì e il suo sguardo si puntò subito verso il fusuma[1] che fungeva da ripostiglio della camera, e dal quale erano ormai udibili dei versi soffocati.

Si accostò all’anta scorrevole e, con attenzione, la aprì. Un piccolo ammasso di lenzuola si mosse sotto il suo sguardo - ormai più incuriosito che arrabbiato come qualche momento prima -, e infine un forte pianto iniziò a riempire la stanza.

Un neonato.

La Terza Luna Crescente storse il naso e si voltò per osservare ancora una volta il cadavere della donna riverso per terra.

Una nuova ondata di rabbia lo investì nel posare lo sguardo sulla donna, ma quello non gli impedì di ricostruire in parte ciò che era accaduto all'interno di quella dimora.

L'attacco del demone e la famiglia che si rinchiudeva in una delle stanze più interne della casa. La donna che nascondeva il bambino per cercare di proteggerlo nell’unico modo che le era venuto in mente, e infine la morte. Akaza però sapeva bene che qualsiasi azione si sarebbe rivelata inutile contro un demone.

Si allontanò di qualche passo, decidendo di ignorare quella creatura che, scalciando, stava continuando a piangere con crescente intensità.

Quello non era affar suo.

Così come in realtà non doveva esserlo l’intervenire per cercare di salvare quella donna , considerò, ma come ogni volta il suo corpo si era mosso senza poterlo fermare, guidato da un bisogno che cullava nel suo essere sin da quando aveva memoria.

Quel neonato però era tutt'altro discorso. Non gli importava di lui.

Saltò fuori dalla finestra e con altri lunghi balzi salì su uno degli alberi lì vicini. La neve aveva ormai coperto il vialetto di quella casa e ad Akaza bastò sedersi su un ramo per vedere grossi pezzi di neve cadere verso il terreno.

Stava continuando a nevicare e, probabilmente, avrebbe proseguito per tutta la notte.

La neve gli piaceva ma era fastidioso allenarsi sotto quel tempo, quindi sarebbe stato più logico trovare un riparo, almeno fino alla fine della nevicata. Eppure la Terza Luna Crescente rimase ferma, con le labbra chiuse in una fine linea di disappunto e il naso arricciato in una smorfia.

Quante probabilità c’erano che quel neonato venisse ritrovato? , si chiese senza una reale ragione.

Faceva freddo e il demone che era entrato in quella casa, uccidendo prima l’uomo e poi la donna, aveva distrutto il tetto senza troppi problemi - lui aveva fatto lo stesso con la finestra, ma il danno maggiore era sul tetto.

"Qualcuno arriverà prima o poi ," si disse Akaza lanciando uno sguardo verso il buco sul tetto della casa - stava nevicando anche all’interno dell’abitazione.

Strinse i pugni, mentre alle sue orecchie giungevano ancora i lamenti del neonato.

Era una casetta isolata, estremamente povera, era chiaro che i suoi abitanti non navigassero nell’oro.

Quante persone si sarebbero rese conto dell'assenza di quella famiglia?

"Forse nessuno," considerò.

Perché i poveri non venivano mai notati dagli altri, dalle persone più fortunate e ricche.

Akaza imprecò tra sé e sé, innervosito da quel pensiero e dalla certezza di aver ragione. Quel neonato sarebbe morto lì, come i suoi genitori, perché nessuno sarebbe mai arrivato in tempo per aiutarlo. Nessuno si sarebbe ricordato di lui.

Inoltre, quanti si sarebbero avventurati all'aperto con quella nevicata che prometteva di durare anche tutta la notte? Nessuno.

Era fastidioso e ingiusto , ma dall'altra parte non spettava a lui preoccuparsene. Quella era solo l’inutile vita di un neonato.

Eppure, per quanto fosse pienamente consapevole dei suoi doveri e obblighi, Akaza non riuscì a muoversi dalla sua posizione. Rimase fermo su quell’albero, a torreggiare sulla casetta senza fare nulla: come se fosse realmente indeciso sull’intervenire o meno.

Per fare cosa?

Poteva ucciderlo ed evitargli l’inutile agonia del morire di freddo e fame, sarebbe stato un atto magnanimo perfino per un demone. Tuttavia il solo pensiero di toccare quel neonato, ferirlo o ucciderlo, faceva torcere fastidiosamente lo stomaco di Akaza perché non aveva mai ucciso nessun bambino.

Gli sembrava un atto vile e riprovevole , che gli causava nausea e dolore come quando aveva tentato di ferire delle donne, prima di ricevere il permesso di non ucciderle né divorarle da parte di Muzan.

Aveva tenuto per sé quel dettaglio e, per fortuna, non era mai stato coinvolto in missioni che prevedessero la morte di qualche bambino.

Si mise dritto sul ramo, perfettamente in equilibrio, poi ancor prima di poter continuare a ragionare per convincersi a lasciare quel luogo, i suoi piedi si mossero da soli portandolo a saltare di nuovo verso la casa, attraversando il buco sul tetto creato dall’altro demone.

Una leggera coltre di neve si era già formata sul pavimento, e per quanto Akaza non potesse essere disturbato dal freddo, non poté non notare l’aria gelida che si respirava all’interno di quelle quattro mura.

Il pianto del neonato era ancora forte e poteva vederne le manine chiuse a pugno agitarsi verso l’alto.

Aveva dei polmoni niente male, e da come stava strillando era chiaro che stesse cercando di attirare l’attenzione con il suo pianto. Sembrava voler combattere per sopravvivere, pur non possedendo alcun spirito combattivo.

Akaza si accostò di nuovo al ripostiglio per osservare più da vicino il neonato. Era avvolto da delle coperte ma poteva chiaramente intravedere una piccola veste arancione avvolgergli il corpo.

Aveva il volto rubicondo per il pianto e corti capelli neri come la notte. Non era un esperto di bambini, men che meno umani, ma di certo aveva più di qualche settimana di vita. In ogni caso, non aveva niente di speciale: era un neonato normalissimo. Akaza però non riuscì più a distogliere lo sguardo da quel corpicino.

Tentò di allungare una mano, sfiorando il pugno del neonato, sobbalzando quando la manina di questo si strinse istintivamente attorno ad un suo dito, stringendolo forte senza smettere di piangere.

«Sembra che tu non voglia morire, uh?» domandò a vuoto, conscio del fatto che non avrebbe mai ricevuto una risposta.

Sospirò. Si stava mettendo nei guai, in una situazione che non sarebbe stato in grado di gestire, perché stava realmente considerando di salvare quella minuscola vita.

Se avesse preso con sé il neonato, che cosa sarebbe successo in seguito?

Poteva lasciarlo in qualche altra casa, sperando che lo prendessero? Era possibile, ma rischioso. Nessuno faceva niente senza un tornaconto, e prendere una nuova bocca da sfamare come quella? Impossibile.

A cosa sarebbe servito salvarlo in quel momento, se alla fine le sue sorti sarebbero state le stesse?

Portarlo con sé era altrettanto fuori discussione. Non aveva né una dimora né le abilità per prendersi cura di un bambino. Per non parlare del fatto che era un demone, il quarto più forte al mondo, e per quello non poteva accollarsi quella seccatura.

Cercò di liberare il dito dalla presa del bambino che, continuando a piangere, sembrò non volerlo lasciare. Era difficile essere delicati, una mossa sbagliata e quel corpicino si sarebbe distrutto nelle sue mani.

Strinse le labbra in un’altra smorfia e, con un po’ di fatica, riuscì ad allontanare la mano con l’aiuto dell’altra.

Il tempo stava scorrendo inesorabile e se per un demone quel gelo non era fastidioso né mortale, per quel neonato poteva realmente essere fatale, e Akaza aveva sentito quanto fossero diventate fredde le sue piccole manine.

«Che cosa ne faccio di te?» chiese ancora nella solitudine di quella casa.

Tentare la fortuna con una qualche famiglia ben abbiente? Escluse quasi subito quell'ipotesi. Non si fidava delle persone ricche, era un qualcosa che Akaza sentiva ribollire nel sangue.

Doveva però essere onesto: non si fidava di nessuno .

Ricchi o poveri, umani o demoni. Si fidava, il più delle volte, solo di se stesso e quello lo stava rapidamente portando alla conclusione che non avrebbe mai trovato un luogo nel quale lasciare quel neonato che aveva ormai le ore contate.

Dove poteva portarlo? Da chi?

Aveva bisogno di qualcuno talmente buono da anteporre il benessere altrui al proprio, che non avrebbe mai lasciato un bambino in mezzo alla strada e che anzi: si sarebbe fatto in quattro per accudirlo.

Akaza non conosceva nessun umano del genere e, ovviamente, escludeva tutti i membri delle Lune Demoniache - il bambino non sarebbe neanche mai arrivato vivo all’interno del Castello dell’Infinito.

Quel pensiero però lo portò a fermarsi per un momento.

In realtà conosceva un umano , seppur non amichevole nei suoi confronti. Una persona che aveva attirato la sua attenzione per il suo spirito combattivo e per la sua sciocca ossessione sul proteggere i più deboli.

Akaza era certo che, se si fosse trovato davanti quel neonato, Rengoku Kyojuro lo avrebbe preso con sé senza troppe domande, perché Kyojuro era una persona buona .

La Terza Luna Crescente non riuscì ad impedire ad un sorriso di formarsi sulle sue labbra, un po’ eccitato all’idea di rivedere da vicino il Pilastro della Fiamma dopo quelle settimane.

Aveva spiato da lontano la sua lenta riabilitazione, sperando di poterlo sfidare di nuovo, e per un momento pensò seriamente di sfruttare quell’occasione per combattere ancora contro Kyojuro.

Il pianto del neonato però lo riportò alla realtà: prima di tutto doveva occuparsi di lui.

«Sei fortunato. Vivrai sicuramente per parecchio altro tempo,» commentò quasi allegro, allungando le braccia per coprire meglio il corpicino nel bambino. Lo prese poi in braccio, nel modo più delicato possibile. Si sentiva non poco impacciato, ma istintivamente strinse al petto quel fagottino, dondolando un po’ con il corpo per calmarlo.

Non servì a granché, forse perché il neonato avvertiva la sua tensione e per quel motivo non era possibile calmarlo. Inoltre, i bambini e gli anziani spesso erano i più recettivi quando si trattava di avvertire la presenza dei demoni. Era probabile che provasse un timore radicato nelle profondità del suo essere sin da quella tenera età.

«Almeno hai un po’ di cervello,» parlò ancora, continuando però a cullarlo goffamente.

Lo osservò con occhio critico per qualche momento. Non era certo fosse abbastanza coperto per affrontare il gelo esterno. La coperta che lo avvolgeva era morbida e calda ma non sarebbe bastata per proteggerlo dalla neve. Per non parlare del fatto che tenendolo vicino a sé, Akaza sapeva che il suo corpo non avrebbe mai emesso un calore abbastanza piacevole e rassicurante per un essere umano.

In quelle condizioni non poteva realmente proteggerlo, e sarebbe morto ancor prima di arrivare da Kyojuro.

Quel bambino si stava rivelando un continuo problema, ma ormai Akaza aveva preso la sua decisione e non intendeva tirarsi indietro.

Si mosse nella camera e, tenendo con un solo braccio il neonato, iniziò ad aprire le varie cassettiere alla ricerca di qualcosa di utile per il viaggio all’esterno - era notte e nevicava, aveva bisogno di qualcosa di davvero pesante.

Le sue ricerche lo portarono a trovare un haori maschile in cotone pesante e delle altre coperte. Erano le uniche cose utili che aveva trovato in quella breve ricerca, e con un po’ di difficoltà tentò di indossare l’indumento per evitare che il bambino fosse a diretto contatto con la sua pelle.

Il pianto nel neonato, con quel continuo movimento, si era infine calmato, e abbassando lo sguardo Akaza notò che il piccolo si era finalmente addormentato con i pugni vicini al viso arrossato e rotondo. Dei grossi lacrimoni erano appesi sulle sue folte ciglia scure e le labbra erano socchiuse in un respiro regolare e quasi rassicurante - era ancora vivo, quello era un buon segno.

Con le altre coperte che aveva trovato, Akaza avvolse il neonato e tentò di creare un supporto per trasportare il piccolo sul suo petto. Si trovò non poco in difficoltà, ma alla fine riuscì nel suo intento.

Il neonato dormiva appoggiato al suo petto, protetto da due coperte, compresa quella utilizzata come supporto per il trasporto, e dal pesante haori in cotone. Era pronto, e anche abbastanza ridicolo, per lasciare la casa.

Era impacciato, per nulla abituato a indossare tutti quegli strati di abiti, e soprattutto al dover prestare attenzione a un esserino così piccolo e fragile. Cercò comunque di non dare troppo peso al vestiario, e dopo essere uscito dalla finestra, lanciò un'occhiata al cielo coperto dalle nubi cariche di neve, per poter intuire quanto tempo avesse ancora a disposizione prima dell’alba.

Correndo alla massima velocità avrebbe raggiunto la dimora dei Rengoku in meno di un'ora, ma non poteva permettersi una corsa sfrenata, quindi… un'ora e mezza forse? Al massimo due.

Aveva abbastanza tempo?

Probabilmente sì, almeno era quello che il suo corpo, ormai abituato a fuggire dal sole, gli stava suggerendo, ma non aveva comunque tempo da perdere.

Con un braccio attorno al neonato addormentato, la Terza Luna Crescente iniziò a correre a velocità sostenuta, cercando di evitare sobbalzi troppo violenti.

Parecchie volte in quell’ultimo mese e mezzo aveva già percorso quella strada. In realtà i primi tempi si era diretto verso quella che aveva scoperto essere la dimora del Pilastro degli Insetti, e che fungeva da nosocomio per i Cacciatori, e solo dopo qualche settimana le sue attenzioni si erano spostate verso l'abitazione dei Rengoku, quando a Kyojuro era stato finalmente concesso di continuare la riabilitazione a casa sua.

In entrambi i casi, Akaza si era sempre tenuto lontano da Kyojuro, limitandosi ad osservarlo da lontano e a scoprire le strane dinamiche domestiche della famiglia del Pilastro della Fiamma quando questo era stato dimesso.

La prima cosa che aveva notato era stata la somiglianza tra tutti i membri della famiglia, che sembrava tuttavia limitata solo all’aspetto fisico. Mentre Kyojuro era una fiamma in grado di illuminare a giorno ogni stanza, quella del fratello minore era pressoché inesistente. Poi vi era il padre, che possedeva un notevole spirito combattivo, Akaza non poteva ignorarlo, ma era instabile e soffocato dall’alcol - la Luna Crescente non aveva bisogno di trascorrere le ore diurne nascosto nelle vicinanze della casa per sapere che quell'uomo consumava alcolici regolarmente.

Lo trovava riprovevole e privo di onore, e soprattutto cieco dinanzi alla perfezione e al talento del figlio maggiore. Infatti una notte, Akaza si era addirittura dovuto trattenere dall’entrare con forza in quella casa proprio a causa dell’atteggiamento del padre nei confronti di Kyojuro.

Il Pilastro stava cenando con suo fratello quando l'uomo li aveva raggiunti. Il demone era nascosto abbastanza lontano dalla casa, e per quello non poteva sbirciare al suo interno, ma le sue orecchie erano abbastanza sensibili da poter percepire ciò che stava accadendo.

C'era stato il rumore di un piatto rotto, Kyojuro che si scusava riguardo al fatto di doversi ancora abituare alla perdita dell'occhio sinistro, e l'uomo gli aveva rivolto delle parole aspre e crudeli che avevano messo a dura prova il controllo di Akaza.

Solo per non spezzare quella routine quasi giornaliera il demone era riuscito a restare in disparte, celando la sua presenza senza incorrere in incontri spiacevoli… forse complice anche il fatto che durante le sue visite non aveva mai avuto istinti omicidi o maligni, ma solo curiosità.

Akaza era però quasi certo che Kyojuro si fosse reso conto di essere spiato, ma non ne aveva fatto parola con nessuno né aveva cercato di agire. Era probabile che lo stesse studiando, esattamente come stava facendo la Luna Crescente nei suoi confronti.

In ogni caso quella tregua era sicuramente destinata a finire quella notte. Perché Akaza non aveva altro modo se non introdursi nella dimora dei Rengoku per consegnare quel neonato a Kyojuro.

Abbassò di nuovo lo sguardo sul fagottino che portava appeso al petto - sorretto sempre da un suo braccio. Le guance erano leggermente più pallide e stava continuando a dormire, il cuore batteva un po’ velocemente - doveva preoccuparsi o era normale nei bambini?

Strinse le labbra, e puntando di nuovo gli occhi davanti a sé cercò di aumentare un poco la sua andatura senza però svegliarlo.

Kyojuro avrebbe sicuramente saputo cosa fare. Non sapeva se avesse o meno avuto esperienze con i neonati, ma Akaza dava per scontato che una persona grandiosa come Kyojuro sarebbe riuscita a cavarsela anche in quella situazione, così come era riuscito a sopravvivere a lui d’altro canto.

Non poté non ripensare al loro scontro e a come la testardaggine del Pilastro della Fiamma lo avesse portato a sopravvivere… o meglio: a spingere Akaza a non sferrargli un colpo fatale.

Kyojuro non doveva morire. Doveva diventare un demone, e Akaza sapeva di poterlo convincere in un modo nell'altro. Sarebbe stato uno spreco di talento ucciderlo in quel momento.

Per quel motivo dopo aver assistito all'ultimo attacco del Pilastro - Akaza tremava per eccitazione anche solo al semplice ricordo -, la Luna Crescente aveva trattenuto l'istinto di affondare la mano nella debole carne umana di Kyojuro, preferendo invece rompere la spada del Pilastro per lasciarlo disarmato.

Lo aveva colpito poi con un calcio in pieno stomaco per mettere distanza tra di loro, e alla fine erano stati i primi raggi del sole a far concludere del tutto quello scontro.

Quella sua sciocca presa di posizione lo aveva portato a ricevere una dolorosa punizione da parte del suo padrone, ma alla fin fine Akaza non si era pentito.

Kyojuro, per quanto provato per le ferite riportate, era riuscito a guarire e stava ricevendo delle cure più che adeguate per poter riprendere il suo lavoro di Pilastro. Era per davvero una persona fuori dal comune e non ‘priva di talento’ come sembrava sostenere il padre.

Presto l’orizzonte innevato smise di mostrargli degli alberi per aprirsi sulla familiare zona nella quale si trovava la dimora dei Rengoku. Akaza rallentò il passo e in pochi minuti raggiunse la sua meta.

L’eccitazione lo portò a tremare e a sorridere in modo quasi stupido.

Tentò ugualmente di calmarsi per non agitare le persone più sensibili - o lo stesso Pilastro - con la sua presenza e, con estrema attenzione, saltò oltre il muro della proprietà dei Rengoku per poter raggiungere la stanza di Kyojuro.

Si sarebbe voluto dire sorpreso quando, in procinto di raggiungere l’ engawa[2] della casa, vide il riflesso di una katana… ma in realtà era proprio quello che si aspettava da Kyojuro.

Era ovvio che lo avrebbe percepito. I suoi sensi erano affinati dall’allenamento, attenti e pronti a tutto, non erano soffocati dall’alcol come quelli del padre.

Sorrise tra sé e sé, e salendo finalmente sull' engawa con un piccolo salto, si voltò per fronteggiare il Pilastro.

«Kyojuro~»

«Hai finalmente deciso di mostrarti, demone ,» sibilò il Pilastro della Fiamma, e Akaza inclinò il capo di lato, le labbra sempre piegate in un sorrisetto.

I suoi occhi percorsero il corpo del Cacciatore, studiandone l'aspetto con malcelata curiosità. In fondo lo aveva spiato solo da lontano, e quella era la prima volta che si trovava di nuovo faccia a faccia con lui.

Kyojuro indossava la sua veste da notte, che cadeva leggermente aperta sul petto - erano visibili le fasciature che il fratello lo aiutava a cambiare ogni sera, prima di ritirarsi per dormire. Si reggeva in piedi normalmente, ma il suo respiro non era regolare come il loro primo incontro. Sembrava avesse difficoltà a controllarlo, forse a causa delle ferite interne ancora in via di guarigione.

Quello però non stava impedendo al Pilastro della Fiamma di tenere fermamente in mano la propria nichirin appena riforgiata, con l’unico occhio sano che lampeggiava in un turbinio di sentimenti che andavano dalla rabbia al timore .

Kyojuro aveva paura , notò all'improvviso la Luna Crescente.

Era comprensibile , concesse Akaza subito dopo, senza poter nascondere un pizzico di delusione. Fino a quel momento aveva quasi idealizzato la forza e il coraggio del Pilastro , si era quasi convinto che Kyojuro non avesse paura di lui e che non temesse neanche la morte.

Si era sbagliato?

Non ne era certo, perché l’ira che vedeva ardere nello sguardo del Pilastro raccontava una storia del tutto diversa. Forse temeva che facesse del male a qualcuno in quella casa?

Akaza aprì bocca quasi per informarlo che non era sua intenzione attaccare gli abitanti di quel luogo, ma rimase muto quando notò la sorpresa balenare nell’occhio del Pilastro quando questo posò lo sguardo su ciò che il demone portava appeso al petto - e forse anche il modo nel quale si era vestito, sicuramente anomalo e stupido.

Kyojuro non abbassò la sua posizione di guardia, mostrandosi però ulteriormente sospettoso e spaventato al tempo stesso.

«Cosa… che cosa hai in braccio, demone?» domandò.

Il Pilastro aveva già una risposta, Akaza poteva intuirlo attraverso il suo tono di voce.

«Non riconosci neanche un neonato della tua stessa specie? Mi sorprendi, Kyojuro,» rispose, sciogliendo il supporto creato con la coperta per tenere il neonato più saldamente tra le braccia.

La rabbia e la paura crebbero d’intensità nell’iride fiammeggiante del Pilastro, e la sua presa sulla katana si fece molto più salda.

«Lascialo immediatamente! Non ti permetterò di ucciderlo!» ruggì, senza curarsi di tenere un tono di voce basso.

Akaza fece una smorfia disgustata, soprattutto quando il neonato - sobbalzando a causa dell’esclamazione irosa di Kyojuro - si svegliò e iniziò a piangere con tutta la forza che aveva nei polmoni.

«Non ho fatto tutta questa fatica per portarlo qui da te solo per ucciderlo,» esclamò Akaza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Inoltre… non mi nutro di bambini. E neanche di donne, se questo ti può aiutare a dormire la notte.»

Kyojuro non riuscì a rispondere, ma il suo occhio era ancora fisso sul demone e sul neonato che piangeva.

«Che cosa significa?» riuscì a dire con un pizzico di confusione nella voce, rimanendo immobile. Sembrava però pronto a scattare in avanti, forse stava calcolando i rischi dell'usare una qualche forma della sua Respirazione per cercare di strappargli il bambino dalle braccia.

Sembrava pronto a tutto pur di salvarlo.

Per un momento il demone fu quasi tentato dal lasciarglielo fare, incuriosito dalla forza di Kyojuro anche in quelle condizioni, ma al tempo stesso sapeva di non essere lì per combattere.

«Quello che vuoi che significhi,» Akaza scrollò le spalle, inginocchiandosi per posare con estrema cura il fagottino sull' engawa .

Stava nevicando anche lì, e un po’ lo preoccupava l’idea di lasciarlo per terra… ma era certo che Kyojuro sarebbe corso in suo aiuto in meno di un minuto.

Il viso del neonato era di nuovo rubicondo e le grosse lacrime scorrevano sul suo viso paffuto. Lo osservò per un momento per mettere a tacere dubbi, desideri e incertezze, poi si alzò in piedi, puntando lo sguardo su Kyojuro ancora fermo a pochi metri da lui.

All’interno della casa iniziarono a sentirsi dei rumori, era probabile gli abitanti si stessero svegliando a causa del pianto del bambino, e quello mise un po’ di fretta al demone, che non aveva alcuna intenzione di incrociare il padre del Pilastro.

«Te lo affido, Kyojuro,» disse solamente, e con un balzo si allontanò nella notte, permettendosi però di lanciare un ultimo sguardo alle sue spalle. Vide il Pilastro rinfoderare la sua katana e correre a soccorrere il neonato piangente.

Aveva fatto la scelta giusta. Sapeva che Kyojuro lo avrebbe protetto fino alla morte se necessario.


NOTE:
Fusuma:porte scorrevoli all'interno delle abitazioni giapponesi. Oltre a separare gli ambienti, i fusuma fanno anche da ante per armadi a muro e cabine armadio. In questo modo si crea uniformità tra porte e mobilio.[torna su]
Engawa: veranda giapponese di assi di legno che dà sul giardino.[torna su]
   
 
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