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Autore: Dakota Blood    24/12/2022    0 recensioni
Cosa succede quando una ragazza giovanissima come Savannah Smith, diciassettenne da sempre isolata dal resto del mondo tanto da sentirsi una Hikikomori, incontra un ragazzo affascinante e per di più famoso in tutto il mondo come Max Denver?
Una storia che nasce dal buio e affronta la luce, con tutto il dolore che ne consegue, perchè è vero che a volte le cicatrici sono dolorose, ma il sangue che scorre lento può essere di gran lunga peggiore.
-Tu non vuoi fuggire, Sav, tu vuoi restare.
Lo guardai con occhi smarriti, colmi di pianto. Non volevo restare, non volevo andare. Ma dovevo proteggermi...
-Io non capisco Max. Io dovrei odiare ciò che sei.
-Sh, tu non mi odierai MAI.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ero vuota, non avevo né anima né sangue. Avevo solo un corpo che avanzava lento, tra tutta quella folla insulsa. E quegli esseri che tutto il mondo definiva umani, io non li reputavo tali, per niente. Erano alieni, anzi molto peggiori, erano talmente estranei al mio dolore, che mi davano fastidio.  

I loro occhi, le loro risate, i sorrisi forzati, gli abiti borghesi, quelle camminate troppo veloci, come se volessero per forza bruciare le tappe e mangiare il tempo, per non parlare dei discorsi assurdi, tutto di loro mi faceva vomitare. 

Ed io ero talmente empia, mi era stato succhiato via il nettare della vita, ero talmente stanca da non poterne più.  

Fu allora che lo vidi, seduto di fronte a me. Solo che mentre io lo guardavo, lui non vedeva me direttamente, era un po’ come se stesse osservando ciò che si nascondeva dietro me stessa, come se di me ancora ci fosse qualcosa di buono. 

Era il ragazzo più bello che avessi mai visto, i suoi capelli avevano una tonalità rossa e nera, erano tinti ovviamente, ma non era solo questo che li rendeva belli, no, era anche il modo in cui li toccava, come profumavano da quella debita distanza. Oppure io immaginavo che avessero un buon odore, ma comunque quando si alzò, la scia del suo profumo fu reale, come se mi avesse baciato a occhi chiusi in sogno. 

Non sapevo nulla di lui, a parte che era stupendo, che non poteva essere mio e che sicuramente era fidanzato. 

Infatti, come volevasi dimostrare, dopo cinque minuti spuntò una ragazza bionda, con un giubbotto di pelle rosa e con le borchie, tanto simile a lui nello stile ma allo stesso tempo diversa, più borghese se vogliamo affermare la verità. 

Lui la guardò nello stesso modo in cui io non ero mai stata guardata da nessuno, specialmente da qualcuno come lui. 

La guardò come il marinaio fissa la luna, con un misto di soddisfazione e protezione, ma anche timore di perdere ciò che di più caro si ha al mondo. 

Abbassai lo sguardo e mi toccai i capelli. Non solo i miei capelli non mi piacevano, erano grassi e poi non riuscivo mai a renderli lisci in una sola passata, ma in più non amavo proprio il mio colore castano. 

Li avrei potuti tingere, certo, ma a diciassette anni non potevo decidere su me stessa, perché i miei genitori mi avrebbero criticato se avessi vissuto come volevo io sotto il loro tetto. Avrei voluto due piercing sulle labbra e un tatuaggio o tre, ma non potevo. 

Mi sentivo sola, ero depressa e smarrita, e solo la musica mi salvava, assieme alla lettura. 

Passavo intere giornate chiusa in camera come una Hikikomori, per non dover guardare il buio della mia vita. 

Me ne stavo sempre in quel punto, in un angolo, sul letto oppure al computer, o con il cellulare tra le mani.  

Il cellulare che non squillava mai perché non avevo amiche, amici o parenti. 

Ecco perché quando lo vidi, rimasi a bocca aperta, perché nessuno mi aveva dimostrato che si può amare seppur platonicamente comunque per davvero. 

Lui e lei si abbracciarono, io non osai muovermi, ma strinsi i pugni fino a farmi male, perché non dovevo guardarli eppure continuavo a farlo e a prendermi le colpe del perché fossi sempre sola. 

Erano più belli di alcune statue viste in giardini bellissimi, erano il sole e la luna assieme, ed io li avrei oscurati con la mia invadenza, ne ero certa, perciò quando a un certo punto lui mi guardò aggrottando le sopracciglia, io distolsi lo sguardo velocemente e lo puntai sulle mie scarpe bianche. 

Lui rise e la sua ragazza lo imitò. Perché a diciassette anni tutto sembra essere la fine del mondo quando il ragazzo che ti piace e che hai appena visto ti ride in faccia assieme alla sua fidanzata? 

Misi la testa ancora più giù, come uno struzzo, dopodiché mi alzai e m’incamminai verso l’uscita del centro commerciale, ma le porte scorrevoli non si aprirono per niente.  

-Merda. 

Imprecai, sentendomi arrossire e avvampare come un’idiota.  

Lui si avvicinò, i suoi occhi erano verdi come il mare quando è molto agitato, non potevo accertarmi che lei non mi sentisse ma più che altro me ne fregai totalmente, a tal punto che accorciai quella poca distanza tra me e lui e gli parlai non proprio a bassa voce. 

-Potreste almeno evitare di ridere di me, no? La tua ragazza non è per niente educata. 

Lui rise di nuovo, stavolta si contorceva e si toccava la pancia, mentre mi puntava il dito contro. 

-In realtà, è la mia ex ormai da tre anni. Io sono single, e comunque piacere, Max Denver. 

Max Denver, io avevo già sentito quel nome da qualche altra parte, ma non sapevo dove. Come avrei fatto a intuire che quel ragazzo era il cantante di una band nota in tutto il mondo se la mia vita in diciassette anni era stata una vera merda in tutti i sensi? 

Solo dopo averlo guardato bene e aver visto la sua collana con il lucchetto piccolo argentato capii tutto: cantava nella band americana: “A Ghost Story”, un gruppo pazzerello che avevo sempre rifiutato di ascoltare solo perché il cantante mi stava antipatico nonostante fosse molto carino e affascinante. 

La band era rock ma mischiava anche il suono del pop.  

-Max Denver, io mi chiamo Savannah Smith. È un piacere conoscerti, credimi.  

-Allora, vogliamo andare sì o no? 

L’ex di Max mi guardò malissimo, come avesse visto un insetto orribile, dopodiché mi squadrò dalla testa ai piedi e tossì nel pugno della sua mano. 

-Ho detto A N D I A M O? 

Max sorrise e mi guardò in modo tenero, per questo mi sciolsi un pochino e subito dopo caddi dalle nuvole letteralmente quando alcune ragazze gli si fiondarono addosso.  

Volevano un suo autografo, la sua attenzione, mentre lui le liquidava facilmente schivandole e non tenendo conto del fatto che loro stessero morendo a causa sua. 

-Che stronzo che sei Max Denver. 

-Sarà anche uno stronzo, ma a letto è una vera bomba. 

Deglutii, perché la biondina che era la sua ex mi aveva appena dato uno schiaffo talmente forte moralmente parlando, che al suo posto io non avrei mai avuto il suo stesso coraggio. 

Se io ero davvero una Hikikomori da sempre, beh lei comunque restava pur sempre una vera stronza.  

 

 

 

                                                                                        *** 

 

Una volta uscita dal centro commerciale, vidi in lontananza Max prendere il tram e decisi di seguirlo, non potevo far finta che i suoi occhi verdi non mi avessero trafitto nell’intimo del mio cuore, perciò allungai il passo e salii sul mezzo, cercandolo come una matta, in più approfittai del fatto che la sua ex stranamente non era più nei paraggi. 

Le persone erano tante e quando lo riconobbero, urlarono il suo nome come forsennate. 

Alcune ragazzine disperate si misero a piangere quando lui non le degnò nemmeno di uno sguardo, e non capivo come mai si muovesse libero senza bodyguard. 

Era famosissimo, cazzo.  

Ed io, per una volta che mi muovevo di casa dopo dieci mesi di solitudine e vuoto dentro l’anima, lo avevo incontrato sulla mia via. 

Inghiottii a vuoto quando mi resi conto che mi aveva visto, perché iniziò a sorridermi e ad avvicinarsi pericolosamente, per poi parlarmi all’orecchio, mordendosi un labbro. 

Le sue labbra erano grosse, e presumevo morbidissime, calde e languide.  

Baciarlo sarebbe stato il biglietto per il paradiso. 

-Scendiamo, adesso! 

Il tram si fermò e finimmo a terra, per poco non caddi sul marciapiede rischiando di rovinare pericolosamente, ma lui mi afferrò per mano e la sua stretta fu liberatoria e armoniosa. 

Lo guardai e sorrisi. 

-Stai attenta a non innamorarti di me perché non sono il classico bravo ragazzo, non devi fidarti di me. Sono uno da una notte e via, preferisco l’avventura, sai?  

Abbassai la testa e mi sentii morire. 

Ero rossa?  

Molto probabilmente stavo impazzendo per colpa della vergogna che stavo provando in quel momento, ma non potevo esimermi dal non provare qualcosa. 

-Credo che tu ed io dovremmo andare via da qui, stanno arrivando dalle parti del Grant, mi darebbe fastidio se ti punissero a causa mia. 

Ridacchiò e il viso iniziò quasi a splendere come se fosse trasfigurato. Un angelo ribelle, forse. 

Qualunque cosa fosse, in quel momento io sentivo di appartenergli. 

-Punissero? Perché dovrebbero farlo? 

-Beh, tutte vorrebbero essere te adesso. E tutte desidererebbero avere la tua mano nella mia, oppure un bacio come questo. 

Mi zittì togliendomi il respiro, totalmente. 

Il suo bacio fu intenso, caldo e languido, per niente volgare. Le labbra erano proprio come le vedevo e come immaginavo il loro tocco sulle mie più sottili e non allenate a quel tipo di strasporto emotivo e passionale. 

Un bacio assurdo. 

Aprii gli occhi e respirai, mentre lui rise togliendomi le mani dal viso. Mi aveva incorniciato il volto con le sue dita perfette, inanellate e dalle unghie smaltate di nero in stile punk. 

Il suo odore buono, il suo bacio, le carezze e quel perdermi dentro i suoi occhi erano già sinonimo di pace e lui non lo sapeva. 

Le ragazze che ci videro rimasero senza parole e un paparazzo ci fotografò. 

Non potevo credere a ciò che mi stava capitando. Poteva essere un sogno, e invece era la realtà, io non potevo chiedere di meglio e ciò che mi stava accadendo era tutto ciò che le persone in questo pianeta avrebbero desiderato senza troppi giri di parole: un tocco di fortuna. 

Se prima di quel giorno nella mia vita c’era stato solo un vuoto incolmabile, adesso quella stessa empietà si stava pian piano riempiendo di gioia. 

 

L’unica cosa che non avevo capito o che non volevo accettare era che di lì a pochi mesi la mia vita sarebbe cambiata come sangue che scorre lento su una ferita già aperta.  

Non avrei potuto disinfettare quel dolore d’amore, perché c’ero già dentro fino al collo, proprio come accade con la solitudine. 

 

 

Angolo autrice: 

 

La storia è stata scritta da me medesima ispirandomi alla figura (che adoro incredibilmente tanto), del cantante e musicista Yungblud.  

Se vi ha fatto piacere il primo capitolo, per favore lasciate pure un commento. Grazie e buone feste. 

 

Dakota.  

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

   
 
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