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Autore: AMYpond88    26/12/2022    1 recensioni
Raccolta di missing moments Satosugu (o Sugusato?), senza ordine cronologico.
Un po' di fluff, tanto angst
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Respira.
L'ossigeno quasi brucia i suoi polmoni, mentre inspira ed espira, a ritmo frenetico. Il soffio della brezza notturna quasi lo ferisce dove sfiora la sua pelle.
Mani, collo, viso, ogni centimetro lasciato scoperto dalla divisa è come trafitto da mille spilli.
La stoffa invece è ancora intatta, macchiata solo dal sangue delle maledizioni contro cui ha combattuto a Shibuya.
È ancora fresco, pensa, mentre sente la puzza di marcio che solo il sangue di una maledizione può avere, insinuarsi nelle sue narici.
Respira e inspira. Dopo la prigionia, basta così poco per sovrastimolarlo.
Il tempo ha ripreso a scorrere, lo capisce quando il petto si alza e si abbassa più lentamente, quando comincia a fare meno male.
Il primo respiro è stato lancinante, come uno squarcio nella carne.
Dovrebbe richiamare il suo Infinito, ora che sente la sua energia maledetta tornare, ma qualcosa glielo impedisce.
Semplicemente non vuole.
Ora che l'ustione si è trasformata in carezza, ora che ha trovato la forza per capovolgere il palmo ed affondare le dita nell'erba bagnata, vuole sentire.
Non sente nulla da così tanto tempo.
Allunga le dita, sussulta quando sfiora la Soglia dei dannati, prima di rendersi conto che non ne rimane che il feticcio, nient'altro che una scatola vuota, inerme.
Ma chi l'ha tirato fuori?
Apre gli occhi per la prima volta e guarda il cielo al di sopra delle fronde degli alberi.
Un brivido lo attraversa, gelandolo.
Ecco la sua risposta.

Gli astri sono cambiati.
Non che avesse l'abitudine a perdersi a guardarli, non più, almeno negli ultimi anni.
Ricorda sere d'autunno passate con Suguru e Shoko a osservare il cielo sopra Tokyo. Dalla foresta attorno all'Istituto ancora si vedevano le stelle, l'inquinamento luminoso della metropoli abbastanza distante da lasciar spazio a qualche costellazione.
Non è un astronomo, ma è quasi certo che dai suoi anni del liceo al giorno in cui è stato rinchiuso, la loro posizione non deve essere cambiata di molto.
Ora sì. Ora il cielo è diverso.
E l'oscurità è tale, le stelle tanto luminose, da far pensare che non ci siano città nell'arco di chilometri e chilometri.
Lottando contro il torpore delle sue dita, dovuto all'immobilità prolungata o al freddo che aumenta pian piano che la notte si fa più profonda? Non importa, alza una mano verso la sua stessa guancia.
È liscia. Ora che ci pensa, quella mattina si è rasato.
Sussulta in una risata triste, sommessa, ricordando come Suguru lo prendesse in giro ai tempi della scuola.
Lui che a diciassette anni si doveva radere quasi ogni giorno, a differenza sua, che se andava bene aveva bisogno del rasoio una volta ogni due settimane, giusto per portare avanti la sua imbarazzante lotta contro l'innocua e quasi invisibile peluria che sporcava il suo labbro superiore.
Cielo, Shoko stessa, impegnata a litigare con creme depilatorie e cerette, faceva invidia al suo orgoglio ferito, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
A ventotto anni la situazione non era cambiata molto, ma almeno le sue guance dopo una settimana cominciano a pungere.
È passata ben più di una settimana, glielo dicono le stelle sulla sua testa.
Eppure la sua guancia è ancora così liscia. Nè un filo di barba, nè una ruga.
Il pensiero che a questo punto dovrebbe somigliare a Tengen quasi lo fa ridere.
La sensazione della pelle bagnata sotto i suoi polpastrelli lo riporta al presente, mentre la risata si perde in singhiozzi sconnessi.
Ripensa alle parole del parassita e realizza.
Tra cento, mille anni il sigillo si scioglierà da solo

Il giorno lo trova ancora steso sull'erba, perso nella sensazione della sua tecnica che ritorna, del tempo che scorre di nuovo.
Non ha mai smesso, idiota, era fermo solo per te, si ripete, mentre il suo Infinito gli si arrampica addosso e i suoi Sei occhi cercano senza sosta qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa, conosciuta.
Sono passata mille anni, Satoru, ormai l'hai capito, chi pensi di trovare?
Questa volta la voce che rimbomba nella sua testa non è la sua. È forse quella che gli è più familiare, anche più della propria.
È sempre rimasta con lui, risuonando nella sua testa anche durante la prigionia, solo che ora è quasi pietosa e pietosa, la voce di Geto non lo è mai stata.
A volte arrogante, a volte maliziosa, a volte supponente, sempre amata, ma non si è mai trovato a pensare di fargli pietà.
Ride, chiedendosi quanto gli manchi per sfiorare la follia. Ride, perché un morto vecchio di mille anni, a quanto pare ha pena di lui.

Passa ancora qualche ora prima che la fame e sete, soprattutto la sete, si facciano sentire.
Non prova niente al di fuori del nulla in cui quel bastardo l'ha rinchiuso, da troppo tempo per non rischiare di impazzire di gioia per questo.
È un sentimento, No, un istinto, troppo semplice, viscerale, perché la sofferenza per aver perso, aver lasciato indietro, tutto e tutti possa soffocarlo del tutto.
Il dolore comunque non smette mai di pungere, di mordere. Perché che abbiano vinto o perso, come dirlo dopo mille anni? i suoi amici, i suoi studenti sono morti e lui non era lì per proteggerli.
Yaga, Nanami e Shoko.
Hakari, Maki, Toge.
Panda, Yuji, Nobara.
Yuta.
Tsumiki.
Megumi.
Non ha salvato le sue speranze, per inseguire un rimpianto.
Altri mille anni rinchiuso non basterebbero per perdonarsi.
Ma ora ha fame. Ora ha sete.
Ora, dopo mille anni, l'istinto a vivere pulsa nelle sue vene.

Lascia che l'acqua del ruscello gli scorra addosso, lo disseti, mentre la brace dove ha cotto del pesce di fiume si raffredda velocemente, quasi quanto gli avanzi del suo pasto.
Dopo due, massimo tre bocconi, l'istinto a rigettare gli ha preso lo stomaco troppo, troppo feroce perché sì convincesse ad ingoiare un altro morso.
Non se lo sarebbe aspettato, ma a mente fredda gli pare scontato e logico.
Eppure aveva così fame, eppure ha ancora fame.
Pescare è stato facile, molto più di quanto ricordasse ripensando alle ore che Suguru lo obbligava a passare sulla riva del rio che attraversava la foresta attorno all'Istituto, impegnato in uno di quei suoi passatempi di ragazzo di campagna che per Gojo erano la quintessenza della noia.
Forse perché Geto usava la canna da pesca, metodo decisamente meno pratico rispetto all'uso della tecnica, seppur utilizzata da uno stregone decisamente fuori allenamento.
Sforzare i suoi Sei occhi smette presto di essere un'azione mossa dal cieco panico per diventare una mossa logica e finalizzata.
Deve trovare una forma di vita, umana se possibile, non può essere rimasto solo lui.
E infatti le trova.
Umani, nemmeno pochi, a qualche ora di distanza da lui. Maledizioni anche.
Deglitusce a vuoto quando si rende conto che di queste ultime, tante scorrono sotto i suoi piedi, in quelle che altro non sono che le vecchie gallerie della metropolitana di Tokyo.
Sommerse dal tempo, abbandonate dagli anni, casa degli spiriti maledetti.
Il fiato gli si mozza in gola, quando sente una forma di energia maledetta conosciuta, familiare e potentissima.

Quando tocca terra dopo essersi teletrasportato, lo fa con le ginocchia.
Gli occhi sbarrati, fissi su quei due bocconi di pesce che il suo corpo non è riuscito a trattenere.
Questo non lo stupisce. A colpirlo invece è quello che vede alzando gli occhi e guardando di fronte a lui.
Dove sorgeva Tokyo, tra i monconi in rovina degli ultimi palazzi rimasti, uomini, donne e bambini si muovono, vivono, in quella che pare una ricostruzione storica dell'era Heian.
Sono in un fottuto film, ecco cosa pensa.
A quanto pare hanno perso. Deve essere andata così se il Giappone è tornato nel medioevo.
Una parte di lui pensa che forse non è andata tanto male, almeno ricordando quel documentario che Shoko lo aveva obbligato a vedere qualche sera prima.
Cioè, mille anni e qualche sera prima.
Quello con il tizio che diceva che nel futuro, il mondo sarebbe stato abitato solo da scarafaggi.
Si ricorda come Ieiri, bicchiere di vino in mano, avesse trovato l'idea un sacco buffa. A lui aveva fatto abbastanza schifo, se le era immaginate come tante maledizioni.
Invece, a quanto pare, la natura ha ripreso il suo vantaggio dopo lo sfacelo dell'umanità, ma anche quest'ultima, alla fine, è ripartita.
Segue la scia dell'energia maledetta che lo ha condotto lì.
Così potente, che per i suoi occhi è quasi l'equivalente di una pista di atterraggio illuminata, con tanto di segnaletica.
Quasi si sente trascinare, finché non è davanti ad un vecchio ingresso della metro. Se ne riconoscono a stento i vecchi tratti, tra scheletri di edicole e biglietterie, vecchie insegne abbandonate a terra e cavi elettrici penzolanti da cui gocciola umidità... dopo mille anni Shinjuko ha preso l'aspetto di una grotta.
Al suo interno, un'ombra bianca che conosce.
Alza lo sguardo sull'unico occhio rosso e viola che lo fissa dell'oscurità.
Il ruggito che lo accoglie se lo aspetta, ma gli ghiaccia comunque il sangue, dopotutto è capibile, considerato chi ha davanti.
"Le donne possono essere spaventose", canticchia tra sè e sè.
L'energia della maledizione esplode, investe e ricopre ogni centimetro di quel posto, si scontra con il suo Infinito e... lo riconosce.
L'urlo della creatura si spegne, l'oscurità si ritira come la marea.
La maledizione svanisce, al suo posto torna la bambina undicenne dai capelli scuri, appollaiata nel suo vestitino azzurro su quello che ad un primo sguardo pare essere un masso, ma che altro non è che un tornello della stazione coperto di muschi, polvere e sporco.
Le gambe non toccano terra, mentre dondolano al ritmo della filastrocca cantata dalla ragazzina.
Gojo sorride.
"Ciao Rika... "

"Pensavo ti avesse liberato... "
"Lo ha fatto", ribadisce lei.
"E allora perché sei ancora qui?", chiede curioso.
"Aspetto... "
"Chi?". Domanda stupida, conosce la risposta.
"Yuta!"
"E lui ora... ", incoraggia lui con un gesto della mano.
Rika fa un cenno di assenso, sorridendo allegra, come se stesse per svelare un segreto, gli occhi vispi e i capelli che danzano attorno al bel viso.
Satoru sbatte gli occhi confuso, poi si concentra. Forse ha capito...
Può sentirlo, anche se flebile, per poco più di un secondo. Sorride anche lui.
L'energia maledetta è la stessa, come la tecnica, già scritta in quella piccola creatura che ora è lì, chiara come il sole.
"Una bambina... una bambina che sta per nascere". L'anima di Yuta, che trova una nuova casa. Una nuova vita.
Rika fa un piccolo risolino, mentre si guarda le scarpine rosse.
"Yuta aveva gli occhi tristi, quando raccontava quello che tu gli avevi detto una volta..."
"Che l'amore è la maledizione più complessa di tutte", ricorda, prima di concludere con amarezza, "e a quanto pare avevo ragione".
"Ma non è solo questo, l'amore è una promessa...", corregge la bambina, con il tono paziente di chi spiega qualcosa di estremamente semplice ad un ascoltatore troppo stupido per capire.
"La sua anima ritroverà la mia, e se non sarà così, la mia cercherà la sua. In ogni vita..."
"Tu proteggerai sempre Yuta", conclude per lei.

"E tu? Hai un'anima da proteggere?"

E in quel momento lo nota per la prima volta. È un istante, ma impossibile da ignorare.
Incisa in uno spirito troppo gentile, troppe volte ferito, fiuta una tecnica maledetta claustrofobica, nera come la pece, come le maledizioni che ingoiava, inconfondibile, un incubo per chiunque non sia lui.
Perché per lui è appena un soffio. Una virgola, un sussurro che sfiora la sua mente, la sua anima, leggero come l'ala di una libellula sulla pelle.
Appena percettibile, ma ora che può sentire, ora che lo sa, è come tornare a casa.
Come appoggiare la fronte tra quelle scapole chiare, addormentarsi con il naso affondato tra le ciocche corvine dei suoi capelli.
In quante vite si sono inseguiti? In quante incontrati solo per lasciarsi?
In qualcuna sono stati felici? Sono stati insieme?
Sicuramente, in tutte si sono amati. Ora ne è certo.
Capisce presto che non è nemmeno questa la volta in cui saranno finalmente insieme.
Suguru Geto non è ancora nato in questa vita, ma non importa.
Sorride, scuotendo la testa.
Incontrare l'anima gemella due volte in una stessa vita, anche se è durata mille anni, sarebbe troppo, troppo anche per chi ha ricevuto come dono dal cielo i Sei occhi e l'Infinito.
Ora però sa che la sua anima troverà sempre quella di Suguru, come quella di Rika troverà sempre quella di Yuta.
Quindi capisce cosa deve fare: aspettare.

*

Si stanno fissando da un po'. Arrampicata sul ramo, sembrerebbe in tutto e per tutto una rana, se non fosse per il becco, il guscio da tartaruga sulla schiena e la posa quasi eretta.
Verde è verde, questo è certo. Come lo è o almeno ne è quasi sicuro, che tra i bambini del villaggio solo lui la possa vedere.
Non gli fa paura, ma vuole guardarla da più vicino.
Si fissa i piedi, la mamma dice che lo fa sempre quando è indeciso, poi alza lo sguardo.
L'albero non sembra alto, e comunque gli pare abbastanza semplice da scalare, almeno per uno come lui. È abbastanza mingherlino per la sua età ed è agile.
Si avvicina, senza perdere di vista la strana rana. Afferra un ramo che pare abbastanza resistente da reggere il suo peso, anche se con le dita magre riesce a cingerne la circonferenza.
Lo testa un paio di volte, dondolando, poi scatta.
Uno, due, tre rami. I ciuffi di capelli neri che gli sfiorano il viso e il cuore che batte a mille, mentre si arrampica tra le fronde.
Arriva ad un palmo dalla strana creatura
Non vuole ferirla, ma è curioso. Vuole solo sfiorare la strana pelle verde coperta di squame, vedere se davvero è come quella di una rana.
Non vuole farle male, davvero, ma quando avvicina la mano, qualcosa cambia.
La bestiola ha paura, lo scruta con occhi pieni di terrore, troppo debole per ribellarsi, mentre viene come risucchiata verso di lui.
Anche lui ora è spaventato, non vuole che questo succeda, ma non può che guardarla mentre si riduce ad una piccola sfera nera, venata di oro.
È bella, sta nella sua mano, ma lui può sentire la tristezza della sua piccola preda pulsare nella sua testa, la sua paura far tremare la sua presa.
Quasi non se ne accorge, quando perde l'equilibrio.
Chiude gli occhi, aspettando il tonfo. Tonfo che non arriva.
Quando tocca terra lo fa con delicatezza, come se qualcuno lo poggiasse.
Come se un velo, una coperta, lo avesse accolto, sostenuto e sorretto.
È conosciuto, familiare e straordinario allo stesso tempo. Infinito.
Rimane un istante disteso sull'erba ad occhi chiusi, i palmi delle mani ad accarezzare le zolle umide.
Quando apre gli occhi, non c'è nessuno.
Solo la strana rana, che lo fissa con ancora un po' di paura negli occhi tondi e giganti.
Chissà chi si aspettava di vedere...
Scatta seduto, quando alle sue spalle sente un rumore di foglie calpestate, facile da confondere con lo screpitio del vento tra i rami
Una figura si allontana. Tra il verde, l'oro e l'arancio del bosco, fa tempo a distinguere una testa di capelli bianchi, un sorriso stanco, uno sguardo azzurro.
Anziano, giovane? Non lo saprebbe dire.
Quando salta in piedi, quasi sente le gambe più lunghe, le braccia più forti, il cuore che batte come mai prima.
Vorrebbe correre, ma è un attimo, prima che si renda conto che non saprebbe chi inseguire.
Che lui è solo un bambino.
Gli viene da piangere, sembra nostalgia.





Quanto vuoi far soffrire Gojo? SI.
Avevo parlato di pezzi leggeri, vero? Ops...sarà lo spirito del Natale.
Prima di tutto, voglio scusarmi con chiunque segua una fede che preveda la reincarnazione, per l'evidente banalizzazione e massacro perpetrato dalla sottoscritta di un tema così importante.
Fatta questa premessa, l'influenza di questa storia, primo di una serie di What if che vorrei inserire nella raccolta (e qui direi che è chiaro di quale si tratti, ovvero Gojo che se ne resta nel suo cubetto fino a che reggono i sigilli), viene da... Doctor Who.
In particolare, parliamo di due puntate: Death in heaven, da cui ho preso pari pari la citazione "Love is a promise" e Heaven sent, entrambi dell'era Capaldi.
La bestiolina con cui si confronta New Getino è ispirata a quella disegnata da Benjamin Lacombe nella sua raccolta di Yokai.

Detto questo,
Un abbraccio
   
 
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