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Autore: Musical    26/12/2022    1 recensioni
"Riven?"
"Che cazz—"
"Grazie!"
"... Per cosa?"
"Per esserti fidato di me."

[Ambientato nel mondo di Fate: The Winx Saga]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Musa, Riven
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Passi pesanti si stavano avvicinando, ombre nascoste dalla notte diventavano sempre più numerose e minacciose.
Gli studenti di Alfea osservavano quei mostri diventare sempre più numerosi, i loro cuori tumultuosi si nascondevano dietro uno sguardo pieno di determinazione, dovevano vincere quella battaglia, a tutti i costi.

Alcuni di loro volgevano lo sguardo verso la persona che ritenevano più importante, la loro roccia, la loro fonte d’ispirazione, i loro amici e i loro partner.
Come Terra e Kat che, spalla contro spalla, si sostenevano a vicenda, sapendo e sperando di uscire vittoriose da quella battaglia, per poter continuare a vivere e a sorridere insieme.

C’era chi, pur avendo la persona che considerava più importante a fianco, non era ancora in grado di guardarla dritto negli occhi perché la ferita non era ancora completamente guarita… Aisha sentiva lo sguardo di Grey su di sé, ma non se la sentiva di ricambiarlo…

C’era, poi, chi sentiva il proprio cuore sussultare non appena incontrava uno sguardo lontano e sorridente… Come Flora che, se volgeva lo sguardo lontano, alla sua sinistra, incontrava gli occhi di un ragazzo, Helia, che la emozionavano, e che le facevano sbocciare un sorriso talmente dolce da illuminarle il viso.

C’era chi come Stella, dilaniata dal senso del dovere e dal pianto del suo cuore, che osservava impotente lo sguardo pieno di astio, odio e sofferenza di Beatrix. La sua mente non faceva altro che ripetere quei momenti in cui le due ragazze ridevano, trovando un’improbabile alleata, amica, infatuazione nell’altra. Il suo cuore domandava cosa poteva fare, lei, per far tornare le cose com’erano prima, per salvare Beatrix, rischiando anche d’andare contro sua madre, la Regina di Solaria, se necessario.

C’era chi s’era da poco ritrovato, aveva tanto da discutere, tanto da scusarsi, ma sapeva che non era quello il momento giusto, e quindi aveva rimandato tutto a un dopo indefinito… Bloom e Sky si stringevano la mano, rassicurandosi a vicenda, sancendo la promessa che dopo avrebbero ripreso da dove avevano smesso, avrebbero trovato il modo di sostenersi a vicenda, di non scappare, di esserci l’uno per l’altra… Dopo, appena avrebbero vinto quella maledettissima guerra!

Infine, c’era chi pur essendo fianco a fianco, era immerso nel proprio mondo interiore, nei propri ricordi, nelle proprie promesse, paure, speranze, tanto da non rendersi conto che le stesse emozioni erano provate da chi era vicino a loro.
Musa e Riven stringevano con forza l’elsa delle loro spade, pronti a sguainarle. Riven manteneva lo sguardo fisso verso il nemico, facendo involontariamente un passo in avanti, posizionandosi appena davanti a Musa.

“Mantieni sempre il polso fermo”, disse, certo d’esser ascoltato dalla fata.

Musa fece un mezzo passo in avanti mentre annuiva. Non aveva bisogno di rispondere a parole, qualcosa la faceva esser certa che Riven l’aveva vista.

“Ricordati quello che ci siamo detti.”

Musa ebbe un tentennamento, volgendo lo sguardo ai propri polsi. Nonostante quello che le aveva detto Silva, aveva preferito indossare i braccialetti, così d’aiutarla a tenere libera la mente.
Tuttavia, annuì, sperando in cuor suo di non dover mantenere la promessa.


“Non avevi detto che li usavi solo durante l’allenamento?”

Musa, seduta su un masso, alzò lo sguardo per rivolgerlo a Riven; il ragazzo, da poco arrivato, aveva gli occhi puntati su un preciso particolare, che Musa si sentì obbligata ad abbassare la testa e guardare ciò che aveva catturato l’attenzione di Riven.
S’era talmente abituata a portare quei bracciali inibitori che non faceva più caso a loro.

Musa fece spallucce, sul suo viso si creò una smorfia di accettazione.
“Ho mentito”, disse spavalda, tornando a guardare Riven.

“Wow! Grandioso, insomma…” senza fare troppi complimenti, il ragazzo si sedette vicino a Musa, incurante di lei che si strinse come per proteggersi. “Se oggigiorno non ci si può fidare più neanche delle fate, su chi dobbiamo riporre la nostra fiducia.”

Musa gli lanciò un’occhiata risentita.
“Bloom ha sbagliato a prendere una simile decisione senza parlarne, lasciando solo Sky, ma la capisco.”

Riven non la degnò d’uno sguardo, gli occhi puntati su un albero. Se avesse avuto un qualsiasi potere, in quel momento avrebbe distrutto quell’albero in pochi istanti. L’avrebbe sradicato e bruciato, per poi passare ad un altro, un altro, e un altro ancora, fin’a che non avrebbe dato sfogo a tutta la sua frustrazione e rabbia, fin’a quando Sky non sarebbe tornato ad essere il solito coglione col sorriso perenne in volto.

“Quando io e Sam abbiamo deciso di… Beh… È stato lì che ho iniziato davvero a desiderare di non essere una fata, ma una persona normale.”

Musa arrotolò le maniche per osservare i bracciali, ancora stretti intorno ai suoi polsi. Era dolorosamente bello sentire soltanto i propri pensieri, sapendo di non far del male a nessuno, e di non soffrire più a sua volta.

Riven indurì lo sguardo e la mascella, vedere ogni giorno Sky vagare verso il corridoio dove aveva visto per l’ultima volta Bloom lo stava logorando. Voleva far qualcosa per aiutare quel coglione, aveva provato ad insultarlo, insieme alla rossa, a proporgli una sessione di combattimento, a sfogarsi con Silva… Niente, Sky non aveva alcuna intenzione di tornare come prima. E Bloom era stata una stupida a pensare che, se fosse andata via, tutto si sarebbe sistemato… Che stronzata!

“Vallo a dire alla versione zombie del suo amato principino!”

Musa lo guardò, notando nei suoi occhi una rabbiosa furia che il ragazzo riusciva a malapena trattenere.
Mesi prima, avrebbe agito così come aveva fatto con Sam, alleviando a Riven quel sentimento negativo che lo stava consumando. La rabbia non era mai una buona consigliera.
Tuttavia vedere qualcuno, anche Riven, divorato da simili sentimenti, portava Musa a struggersi per trovare una soluzione, sciogliere quel nodo negativo. Si guardò i bracciali, ricordando come aveva reagito Sam quando aveva saputo la verità, sapendo come Riven la pensava sulle fate della mente.

“Vieni!”

Musa rizzò la testa, colta alla sprovvista, alzando un sopracciglio dubbioso verso Riven, il quale s’era alzato a sua volta.

“Dove?”

“Seguimi.”

“Non finché non mi dai qualche indizio in più.”

“Senti, pixie, qui le cose son tre!” i suoi occhi ardevano ancora di rabbia, mentre Riven cominciò ad elencare. “O faccio fuori quel coglione, così magari lo vedo più vivo di com’è adesso! O raggiungo la rossa e, a costo di tirarla per i capelli, la trascino qui ad Alfea! Oppure, andiamo al campo d’allenamento e ci alleniamo. Non risolvo nulla, ma almeno non penso a come posso distruggere Alfea.”

Musa si ritrovò a sorridere, ormai abituata agli atteggiamenti da gradasso di Riven.
“Tu che chiedi il mio aiuto, quale onore!”

“Non sto chiedendo il tuo aiuto! Senti, è una vittoria per entrambi, no? Tu impari a destreggiarti nelle situazioni difficili, migliori anche nel tener ferma la spada, mentre io mi concentro su altro.”

La fata si mise in piedi, inserendo i libri dentro la borsa.

“E va bene, Spaccatutto!” gli premette il dito contro il petto. “Ma mi devi una birra.”


La battaglia era cominciata. Bloom, insieme a Sky, Aisha e Grey, avevano iniziato a combattere contro quella che avevano conosciuto come la sorella maggiore di Beatrix, Isobel, una fata dell’acqua che era in grado di padroneggiare il ghiaccio.

Più lontano da loro, Flora, Terra e Kat aiutavano Stella a combattere contro Beatrix. Anche se Stella provava più a far ragionare la fata dell’aria.

“Ero distrutta, Bea! Non ho fatto altro che visitare la tua tomba, giorno dopo giorno!”

Kat coprì Stella con lo scudo da una scarica elettrica, mentre Terra e Flora provavano ad immobilizzare Beatrix.

“Davvero un bel pensiero, Stella!”
La fata si liberò dai rami e fusti che la stavano trattenendo, pronta a colpire Stella con una potente scarica elettrica.
Da quando era tornata in vita, si sentiva molto più forte.
“Vedrò di ricambiare il favore quando succederà a te.”

La ragazza lanciò un fulmine talmente potente che lo scudo di Kat non sarebbe servito per proteggere entrambe; le urla di Terra e Flora giunsero come una melodia alle orecchie di Beatrix.

Stella con le lacrime agli occhi guardò quel fulmine fino all’ultimo istante, trovando ingiusto morire per mano della ragazza di cui s’era innamorata.


“Com’è?”

Musa stava riponendo la spada, quando quella domanda la colse impreparata. La ragazza si voltò alla sua destra, vedendo Riven che stava rimettendo diverse armi dentro lo zaino.

“Com'è, cosa?” gli domandò chinando leggermente la testa.

Riven rimase un secondo in silenzio, come se stesse riflettendo; scosse poi la testa, chiudendo lo zaino.

“Lascia stare.”

Stava per andare via a grandi passi, ma Musa cominciò a correre, finendo per raggiungerlo. Senza rendersene conto, Riven rallentò il passo, cosicché Musa potesse camminare, invece di correre per stare al suo passo.

“Adesso mi hai incuriosito.”

“La curiosità uccise il gatto.”
Musa si ritrovò a ridere, e il cuore di Riven perse un battito nel sentire quel suono. Provò un moto d’orgoglio per essere stato il responsabile di quella risata, così genuina e spensierata. Non riuscì a trattenere un sorriso.

“Eddai,” Musa lo spintonò scherzosamente con la spalla, cercando d’attirare la sua attenzione, “tanto lo sai che non ti lascerò in pace finché non mi dirai quello che stavi pensando.”

“Sai che riesci ad essere fastidiosa anche senza poteri?” la guardò con uno sguardo furbo, le guance cominciarono a dolergli per quanto stava sorridendo.

Musa scrollò le spalle, sorridendo innocente.
“Che vuoi farci, deformazione professionale.”

Nonostante Musa l’avesse detto con una nota divertita, Riven si rabbuiò, riprendendo a camminare. Il ricordo della fata che s’offriva agli scrapers per non avere più i suoi poteri, le urla e le lacrime che aveva versato nel momento in cui le sue amiche avevano ucciso Sebastian… Riven l’aveva vista correre via; aveva fatto un passo in sua direzione, ma s’era bloccato poco dopo. Probabilmente, voleva rimanere sola, così da non poter sentire le emozioni di tutti. Ricordò come quello fu il momento in cui aveva preso la decisione di chiedere a Silva dei bracciali, con la scusa di non voler esser letto da Musa mentre s’allenavano. Il fatto che Silva avesse accettato, credendo alla scusa di Riven, era una piccola soddisfazione per lui.

“Riven?”
Il ragazzo ritornò a galla dall’oceano dei suoi pensieri, voltandosi per vedere Musa con un’espressione preoccupata in volto.
Ancora una volta, il cuore gli si strinse in una morsa soffocante, così provò a rimediare, spingendo un dito in mezzo alle sopracciglia della fata.
“Se continui ad avere quell’espressione, ti verranno le rughe, pixie.”

In tutta risposta, Musa gli schiaffeggiò la spalla, dandogli del coglione. A Riven tornò il sorriso. Non gli dispiaceva essere apostrofato in quel modo da Musa, non se lo guardava con quel fervore che lo induceva a desiderare di —

“FUNZIONA!”

Musa e Riven si voltarono, posando lo sguardo su una coppia seduta sul prato, un ragazzo dai capelli rossi che esultava e una ragazza con uno strano cappello sulla testa. I due erano circondati da strani marchingegni.

“Adesso bisogna creare un oggetto che abbia una struttura microcristallina in grado di non smagnetizzarsi facilmente. Così posso ampliare la gittata dei miei campi magnetici.”

“Inoltre, se Silva mi dà il permesso, vedo di modificare le punte delle frecce con una lega ferromagnetica più reattiva, così puoi tranquillamente modificare la loro polarità e scaraventare o attrarre le persone senza dover star vicino a loro.”

“Dobbiamo metterci subito all’opera!”
La ragazza cominciò a raccogliere i vari cacciavite, fili, chiodi, seguita a ruota dal ragazzo.

“Non si danno pace, quei due nerd.”

Musa tornò a guardare Riven. Il suo sguardo era tornato duro e severo di quando l’aveva visto per la prima volta.
“Sono loro stessi, e vogliono aiutare.”

“Sono dei perdenti, e farebbero meglio a non farsi vedere così tanto in pubblico se non vogliono essere presi di mira dalle teste di cazzo.”

Riven riprese a camminare, questa volta senza aspettare Musa. Quelle due matricole avevano il difetto di fargli tornare alla mente un Riven più giovane, al suo primo anno, un ragazzo timido e senza amici, che si nascondeva nella serra, dove aveva sviluppato la sua passione per le piante. Una voragine nera stava inghiottendo la sua mente, lui non aveva avuto la fortuna di poter mostrare il suo vero io. Nessuno aveva avuto il desiderio di conoscerlo per davvero.

“Se smettessi di essere meno stronzo e più civile, ti accorgeresti che qui nessuno giudica nessuno.”

Riven strinse tra le dita la cinghia dello zaino con tanta forza da far diventare le nocche bianche.
Lui non aveva avuto la stessa fortuna.

Vedendo la sua non risposta, Musa continuò a parlare con più fervore.
“Una persona, una volta, mi consigliò di vivere la mia vita come volevo, fregandomene del pensiero degli altri. Io aggiungo: mostra quello che veramente sei, fai quello che ti rende felice, e comincerai finalmente a vedere che ci sono persone che tengono davvero a te.”


Una luce verde fluorescente, seguita da un rumore metallico, si frappose fra Stella, Kat e il fulmine.
La scarica elettrica collise su un bastone di metallo tenuto in mano da una ragazza dagli occhi verde acqua e un paio di ali fatate verdi a forma di bobine elettriche.

“Come volevasi dimostrare. Ha funzionato, Timmy!”

“Bravissima! Sapevo che ce l’avresti fatta!”

La ragazza guardò soddisfatta il bastone, su cui scorreva tutta la potenza del fulmine che aveva scagliato Beatrix. Si voltò indietro, studiando con occhio critico le condizioni delle due ragazze. Indossava un casco di metallo dal quale uscivano ciuffi di capelli color fucsia.

“Le vostre condizioni fisiche sono stabili?”

“Sì,” le rispose Kat, “bella tuta, comunque, sembri provenire dallo spazio.”

La ragazza abbozzò un sorriso, tornando poi ad osservare Beatrix, la quale era stata bloccata nuovamente da Terra e Flora, con l’aggiunta di Helia.

“Tenetela ferma! Timmy!”

Uno specialista dai capelli rossi e gli occhiali s’apprestò a scoccare una freccia diretta a Beatrix, con Stella che rimase spaventata dalla scena.

“Non fatele del male!”

“Tranquilla! Se i miei calcoli sono corretti, come lo sono nel novantanove virgola nove per cento dei casi, verrà solo messa K.O., il tempo necessario per renderla effettivamente innocua.”

Stella non venne rincuorata dalle parole della ragazza, che continuò a parlare di calcoli, formule e cariche positive e negative… Cose alquanto inutili, lei voleva solo poter riavere Beatrix com’era prima.

“Vai Tecna!”

La fata dai capelli fucsia mosse il bastone, l’aria intorno a lei divenne rarefatta, poi dall’estremità scaturì un improvviso spostamento d’aria. La freccia prese velocità, mentre il fulmine abbandonò il bastone, attratto dalla punta della freccia. Nel giro di pochi istanti, Beatrix venne colpita dal proprio fulmine.


“È libero il posto?”

Riven aprì gli occhi, trovando Musa che gli stava coprendo il sole.
“Non hai delle lezione da seguire, pixie?”

“E tu?”

Lui preferiva rilassarsi su quel masso, piuttosto che seguire un’altra ora straziante di botanica, col nuovo professore.
“Harvey Senior era più divertente prenderlo per il culo.”

Musa prese a ragionare, facendo alzare la testa a Riven: gli venne naturale domandarsi cosa stesse passando in quella testolina.

“Quindi, tradotto per le persone normali, sarebbe… Mi mancano le lezioni del Professor Harvey, vorrei che tornasse ad Alfea.”

Riven richiuse gli occhi, appoggiando nuovamente la testa sullo zaino.
“Tu lo dici.”

“E tu non lo stai negando.”

Riven sbuffò sonoramente, detestava essere letto così in profondità. Che Musa stesse usando i propri poteri? Eppure non aveva notato i suoi occhi diventare viola.

“Indosso i bracciali, per tua informazione”, la ragazza alzò una manica, mostrando l’inibitore magico.

“E se fossero una finzione? Un’illusione?”

Musa alzò gli occhi al cielo, sorridendo esasperata.
“In generale, le fate della mente possono farlo, ma non io, essendo un’empatica. Ma, anche se potessi farlo, non mi giocherei la tua fiducia per uno stupido scherzo del genere.”

Riven sorrise, prima di cogliere un determinato particolare che lo destabilizzò. Alzò nuovamente la testa, incredulo questa volta, gli occhi spalancati e un brivido che gli corse lungo la schiena, come se qualcosa che teneva nascosto fosse stato scoperto.
“Chi ti ha detto che mi fido di te?”

“Per favore, non diresti a nessuno che ti manca il Professor Harvey. E, semmai dovesse succedere, faresti sparire il cadavere del povero malcapitato che ti ha sentito dire una cosa del genere.”

Inaspettatamente, Riven si mise a ridere di cuore, già: probabilmente avrebbe agito in quel modo.
“Vedo che mi conosci bene.”
Eppure, non riuscì a nascondere una nota triste nella voce. Tutti si soffermavano a conoscere il Riven attaccabrighe, quello che amava cacciarsi nei guai, quello che prendeva sempre la colpa di tutto… Mai una volta che volevano andare oltre.
Mai una volta che volevano imparare a conoscere il vero Riven.

Musa fece spallucce, aggiustandosi poi lo zaino.
“Sai com’è. Dopo cinque ore d’allenamento, ogni giorno… Non puoi pensare che non ti conosca… Almeno un pochino.”

Se questo era quello che la gente credeva, perché desiderava ancora far parte di qualcosa?
“Non dovevi accomodarti?” domandò scontroso. Per quanto la consapevolezza di non poter essere mai conosciuto per davvero lo stava ferendo, non voleva che quella fata se ne andasse.

D’altra parte, Musa posò la borsa ai piedi di un albero vicino e si sedette accanto a Riven, osservando i polsi.
Le sue dita, da prima intrecciate, iniziarono a sfiorare i bracciali, li toccò e li strinse forte, sentendo le punte penetrarle la pelle. Incurvò la schiena in avanti, mordendosi il labbro inferiore. Non voleva tornare ad essere una fata della mente. Non voleva perdersi in mezzo alle emozioni altrui. Voleva essere libera.

“Coraggio, parla.”

Alla frase di Riven, Musa si voltò indietro, trovando quegli occhi verdi a scrutarla, come se stessero provando a leggerle i pensieri.
Sistemò le spalle, mentre la sua espressione divenne più battagliera.
“Hai intenzione di leggermi la mente?!”

“Ah ha!” Riven le puntò un dito contro, rimettendosi seduto per affrontare meglio quell’adorabile battibecco; si avvicinò in maniera spropositata al volto di Musa, sorridendo cospiratorio. “Vedi che anche tu non sopporti essere messa sotto una lente d’ingrandimento? Pronta per essere scrutata nei minimi particolari?”

Musa scacciò in malo modo quell’indice accusatorio, puntando lo sguardo altrove.
“E va bene, non piace neanche a me. Contento adesso?”

Riven sorrise soddisfatto, adorando quel cipiglio scontroso di Musa.
“Certo! Ma ti assicuro che, semmai potessi, non vorrei entrare nella tua mente, ti conosco già fin troppo.”

Musa alzò un sopracciglio, trovando divertente quell’insinuazione che sembrava una sfida.
“Ah sì? E cosa te lo fa pensare?”

“Beh, fatina, dopo cinque ore trascorse ogni giorno ad allenarci… Non puoi pretendere che non ti conosca affatto.”

Musa, colta in flagrante, sentendosi ripetere la sua stessa frase, abbassò lo sguardo e sorrise colpevole. Questa volta se l’era cercata.

“Quindi, adesso, dici al tuo caro amichetto Riven cos’è successo.”
Il tono che aveva usato era sarcastico, non si sentiva il tipo adatto a queste confessioni, ma se Musa era venuta da lui, evidentemente riguardava qualcosa che non poteva raccontare a nessun altro.
E non gli dispiacque quella sorta di complicità fatta di segreti e promesse che i due avevano instaurato, creando una sorta di mini-mondo in cui nessun altro poteva entrare.

Musa tornò a guardarlo, il suo sorriso divenne più triste; si sistemò meglio, portando una gamba sulla roccia in modo da essere di fronte a Riven. Chinò leggermente la testa, sfregando il palmo della mano sul pantalone. Era giusto che Riven sapesse, da lei, invece che venire a sapere da altri.

Il cuore di Riven cominciò a battere furiosamente: se Musa s’era voltata in quel modo, la cosa era alquanto seria. Si voltò a sua volta, in trepida attesa, sentendo il bisogno di grattarsi la nuca. Da quando aveva iniziato a far caldo?

Musa prese un profondo respiro.
“Silva mi ha detto che sarebbe il caso di tornare ad usare il mio potere… Anche durante i nostri allenamenti.”

La mano di Riven rimase a mezz’aria. Non pensò a quella piccola punta di delusione che gli punse il cuore, bensì alla doccia fredda che l’aveva travolto. Se Musa usava i poteri, significava che…

“E allora? Opponiti!”

La ragazza scosse leggermente la testa, desiderava ardentemente poterlo fare, ma la situazione in cui si trovava Alfea non era delle migliori, sembrava peggiorare di mese in mese.
“Beatrix e le sue sorelle hanno radunato molte streghe del sangue.”
L’idea di tornare ad usare i suoi poteri la spaventava; sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto affrontare il problema, ma fosse dipeso da lei non avrebbe più utilizzato i poteri, neanche una volta.

Un paio di mani le strinsero le spalle che avevano cominciato a tremare, Musa alzò la testa e, tra le lacrime, vide il volto preoccupato di Riven.
“Ascolta. Non sei la sola fata della mente, qui ad Alfea. Silva non può costringerti, nessuno può farlo.”

“Una delle sorelle è una fata della mente, Riven. Se dovesse succedere qualcosa a qualcuno, io—”

“Hey, lo so che la situazione non è delle migliori. Tutti noi lo sappiamo. Ma una persona saggia mi disse che dovevo fare quello che mi rendeva davvero felice, e se non usare—”

“Riven, lo so. È per questo che sono venuta a parlarti.”

Le braccia dello specialista s’irrigidirono, mentre la sua espressione si fece ancora più seria. Dopo un momento di silenzio, annuì, volendola incoraggiare a parlare.

Musa chiuse gli occhi per prendere un attimo fiato, prima di tornare a guardare il ragazzo negli occhi. Nel momento in cui fissò Riven, una consapevolezza le diede la forza di parlare. Aveva paura, tantissima, ma sapeva che era la cosa giusta da fare.

“Ho deciso di togliermi i bracciali. Non indossarli più, se non quando la vita quotidiana diventa troppo chiassosa e incontrollabile. Ciò significa che anche durante i nostri allenamenti non li indosserò. Volevo dirtelo, prima che fosse Silva a fartelo sapere. Perciò,” sorrise, per quanto l’idea di riutilizzare i poteri non la entusiasmasse, “hai tempo per pensarci e, nel caso non accettassi, chiederò a Silva d’avere un altro partner, dicendogli che non andiamo molto d’accordo.”
Ora che l’aveva detto, si sentì più leggera, nonostante l’idea di perdere un buon compagno d’allenamenti la rattristiva. Ma non avrebbe mai rivelato a Silva che Riven si sentiva a disagio nell’essere letto, proprio come Riven non aveva detto ad anima viva che Musa detestava i suoi poteri.

Riven rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo dalla fata, le mani tornarono al loro posto, la mascella stretta per non proferir parola. Doveva andare immediatamente.

Il vento s’era alzato, il sole era nascosto dalle nuvole, non volendo vedere Riven che, senza rispondere, si mise in piedi, raccolse lo zaino da terra e marciò via, deciso di raggiungere al più presto la sua destinazione, lasciando sola Musa.

La ragazza, una volta che Riven era andato via, sospirò. Sapeva che il ragazzo aveva tutto il diritto di non accettare, ma non s’aspettava di ricevere silenzio, anche al posto di un no.
Va bene, si disse per farsi coraggio, mentre stava raccogliendo lo zaino, sarebbe andata a parlare con Silva per chiedere di cambiare partner.


Destra, sinistra, schiva, proteggi, attacca, ruota, affonda, occhio alle spalle!
Questo stava pensando Riven, mentre si stava destreggiando tra gli innumerevoli attacchi dei mostri.

Non gli dispiaceva trovarsi in una situazione simile, in cui poteva mostrare d’essere degno, meritevole, il migliore tra gli Specialisti. Era da tempo che aspettava una simile occasione!

Non trattenne il sorriso soddisfatto che gli stava nascendo sul volto, mano a mano che attaccava bruciati e altri mostri. Si dimenticò di dare un’occhiata a Musa, l’aveva completamente dimenticata. L’unica cosa a cui pensava era avere altri mostri da attaccare. Ne voleva ancora. Ancora. Ancora!

Notò che veniva attaccato solo da mostri, mentre vedeva streghe del sangue che attaccavano gli altri specialisti. Cosa significava, che le streghe del sangue erano troppo spaventate dalla sua bravura da girargli alla larga?

Riparò un colpo alle spalle, per voltarsi e sguainare la spada contro un essere nero pece, il cui sangue andò a macchiargli il viso. Tutto qui quello che sapevano fare Beatrix e le sue sorelline? Non erano poi così potenti, come avevano fatto credere.

Una melliflua risata femminile attirò l’attenzione del ragazzo, che improvvisamente si rese conto d’essere circondato da diversi cadaveri, lui solo era l’unico ad essere in piedi.

“Ma bravo!” disse una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi ambrati, mentre s’avvicinava a Riven, battendo le mani e con un falso sorriso sul volto. “Beatrix aveva accennato che eri diverso dagli altri. Ma non pensavo fino a questo punto.”

Riven serrò la presa, mettendosi in posizione.
“Mi spiace, tesoro. Non sono interessato alla mercanzia.”

La ragazza, in tutta tranquillità, si scostò una ciocca di capelli, continuando a sorridere.
“Tranquillo, nemmeno io.”

I suoi occhi divennero improvvisamente viola e Riven si trovò paralizzato.
La sua visione divenne sempre meno nitida, avvertiva una forza estranea e indesiderata che cercava di penetrare la sua mente. Il ragazzo provò a combattere l’intrusione, ma non riusciva ad opporsi. Quelle emozioni negative avevano indebolito la sua volontà, era diventato vulnerabile, alla mercé di quella maledetta fata.

“I khumba sono esseri molto particolari”, la ragazza si chinò ad accarezzare il cadavere nero pece dell’ultimo mostro che Riven aveva ucciso. “L’odore del loro sangue sprigiona pensieri oscuri, rivelando la vera natura di chi li uccide. Per le persone normali, ce ne vogliono almeno sette, prima di vederli cadere. Con te, non è servito neanche il suo sangue per tirar fuori la tua vera natura.”

Riven non poté muovere le labbra, né il corpo. Avvertì una fitta alla testa farsi sempre più pressante, mentre vari ricordi venivano alla sua mente contro la sua volontà, facendogli rivivere momenti poco piacevoli della sua vita.

“Hai un alto livello d’energia negativa. Sarà divertente!”

Nella sua mente, Riven si ritrovò davanti uno specchio che inizialmente rifletteva la sua immagine, per cominciare poi a mutare: gli occhi triplicarono, i denti divennero affilati, la pelle divenne squamosa e viscida. Riven avvertì qualcosa colargli dalla bocca, s’asciugò con una mano, ma notò che quella era diventata scheletrica e con gli artigli al posto delle unghie. Tornò a guardarsi allo specchio e vide che dalla bocca gli uscivano vermi neri e sangue putrefatto. Un mostro! Era un mostro!

Provò ad urlare, ma al posto della voce gli uscì un urlo disumano e sinistro.

“Questo è quello che sei, Riven”, la voce di quella ragazza gli sussurrò con una voce calda e sensuale. “Sei un essere infido e spregevole, nessuno vuole avere a che fare con uno come te. Per questo tutti scappano, per questo tutti ti abbandonano. Anche tua madre lo notò. Hai fatto scappare tua madre, come fai scappare tutti quanti. La colpa è solo tua!”

Riven provò a non ascoltare, ma quella voce rimbombava prepotentemente. Voleva credere che lui non era in quel modo, che anche se lo fosse stato stava facendo il possibile per essere migliore! Ma i ricordi di tutte le persone che l’avevano lasciato indietro l’opprimevano, schiacciandolo sotto il loro peso.

Nel mondo reale, la ragazza s’avvicinò al corpo inerme di Riven con un pugnale; si chinò e gli accarezzò una guancia.
“Che peccato! Speravo di divertirmi di più.”

Una singola lacrima solcò la guancia del ragazzo.


“Come funziona.”

Musa alzò la testa, vedendo Riven che s’era seduto al suo tavolo, davanti a lei. La ragazza riprese a mangiare, togliendosi le cuffie. Nel momento in cui non si concentrò più sulla musica, milioni di emozioni, di Riven e degli altri studenti in mensa, la travolsero, ma la fata provò a resistere all’impulso di ascoltarle. Doveva allenarsi anche a quello se voleva combattere.

“Buongiorno anche a te.”
Strinse la forchetta, doveva resistere.

“Come funziona.”

La ragazza tornò a guardare Riven, era serio in volto. Poteva sentire la sua coltre d’ostinazione che tentava di coprire ogni emozione ad ogni costo. Musa provò a concentrarsi su quella coltre, ma le altre emozioni del ragazzo la distraevano dai suoi propositi. Decise di parlare nella speranza che, distogliendo l’attenzione e concentrandosi su altro, non provasse la tentazione di leggergli dentro.
“Cosa?”

“Il tuo potere.”

Musa strinse le labbra ed abbassò lo sguardo. Le tornò in mente quando, una settimana prima, era andata a parlare con Silva per comunicargli di voler cambiare partner. Ma Silva aveva risposto che già Riven gli aveva parlato, senza dirle per quale motivo, liquidandola subito.
Come mai Riven era così interessato adesso?

“Non credevo che la cosa ti interessasse.”

“SMETTILA, MUSA!”
Il pugno che Riven sbatté sul tavolo ebbe l’effetto di far voltare tutti, che iniziarono a fare domande, curiosi e increduli. Erano abituati a vedere un Riven che, con le sue battute, faceva irritare gli altri, non l’avevano mai visto preso durante una discussione. A maggior ragione, che fosse Musa quella capace di fargli perdere le staffe.
Musa chiuse gli occhi, cercando di non concentrarsi sulle emozioni degli altri presenti, cercò di concentrarsi sulle proprie, quando avvertì una fiamma di rabbia sovrastare la coltre d’indifferenza di Riven, mista alle catene della frustrazione e al fumo nero dell’apprensione. Tra le fiamme si dimenava un esile filo rosa, che la ragazza non riuscì a decifrare in tempo: per abitudine, aveva alzato lo sguardo e Riven s’era accorto che i suoi occhi erano cambiati.

“Esci dalla mia testa!”

Adesso quel filo era tramutato in un ramo pieno di spine ostili.
“Lo farei, se potessi! Ma non dipende solo da me!”

“E da chi altro? Tu hai i poteri!”

“Dalla fonte!”

I mormorii aumentarono, il fischio stridente della curiosità divenne insopportabile, Musa strinse forte gli occhi e tentò di concentrarsi per non sentire nessun altro che non fosse sé stessa, poteva farcela, doveva farcela!

Riven, vedendola in quella situazione, s’appoggiò allo schienale della sedia, provando a calmarsi; una voce troppo vicina alle sue orecchie gli fece girare la testa e finalmente vide il gruppetto di spettatori che s’era radunato per vederli. Questo era troppo, pensò a denti stretti.
“Beh, cosa c’è? Non avete un cazzo da fare se non ficcare il naso nelle faccende degli altri?!”

Gli studenti di Alfea lanciarono occhiate offese e risentite a Riven, ma il ragazzo non ci badò tanto: tornò a guardare Musa, che stava stringendo i pugni. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, doveva calmarsi, doveva calmarsi… Ora Musa leggeva nuovamente i sentimenti altrui, e sapeva che non era una passeggiata, il minimo che lui poteva fare era mantenere un minimo di controllo.

“Che intendi?”

Musa riaprì con calma gli occhi, la curiosità degli altri era scemata e Riven… La fiamma rabbiosa era ancora presente, troppo forte per essere spenta, ma abbastanza debole da non catturare completamente la sua attenzione.

“Più… Più forte è il segnale, più mi risulta difficile non ascoltarlo.”

“Come una radio.”

Musa annuì, la fiamma si stava spegnendo.

“E per quanto riguarda il…” Riven gesticolò con le mani, facendo movimenti strani intorno alla sua testa. “L’aiutare lo specialista a non farsi catturare dalle altre fate della mente o dalle streghe del sangue? Come funziona?”

Musa tornò a guardarlo negli occhi, cominciando ad intuire il motivo per cui Riven voleva sapere.
“Riven, non sei costretto.”

“Neanche tu, se per questo.”

“Io voglio aiutare, in tutti i modi! Se devo combattere con la spada, va bene, sono pronta! Ma non voglio pensare che a qualcuno di voi possa succedere qualcosa per una mia negligenza! Se questo significa dover soffrire ascoltando le emozioni di tutti, allora accetto!”

Riven rimase impietrito, notando lo sguardo fiero e determinato della ragazza. Il suo cuore venne inondato da un misto d’ammirazione, paura e invidia. Gli sembrò d’esser tornato indietro di qualche mese, quando aveva visto la stessa ragazza con le lacrime agli occhi, pronta a rinunciare per sempre ai suoi poteri. Così tanto coraggio in una fata così piccola di statura… Gli altri meritavano prendere esempio da lei.
Gli venne in mente quando era andato a parlare con Silva, urlandogli contro che sarebbe stato uno spreco usare Musa come fata, nonostante la sua bravura, solo perché destinata a quel ruolo, s’era preso persino la colpa di essere un egoista per non volere che Musa gli entrasse nella testa e leggergli la mente. Cosa vera, ma tra l’esporre la sua paura e rivelare il vero motivo per cui Musa voleva indossare i bracciali aveva preferito la prima.
“Sei sicura di quello che stai facendo?”

Il tono del ragazzo era calmo, pacato, come se stesse parlando ad un animale impaurito. Musa si strinse i polsi, ricordando come lì erano presenti i bracciali. Si disse che era la cosa giusta da fare, che avrebbe sofferto, ma che avrebbe potuto salvare gli altri.
Annuì sorridente.

Riven si dichiarò completamente sconfitto dall’ostinazione di quella fata, per l’ennesima volta. Odiava perdere. Nonostante ciò, sorrise, fiero ed orgoglioso, alzando le mani in segno di resa.


La ragazza si trovò a gemere per l’improvviso dolore alla mano, che fece cadere il pugnale. Qualcuno le aveva lanciato un bracciale inibitore, ferendola.

Alzò lo sguardo e vide Musa con una spada in mano e un secondo bracciale nell’altra. La fata aveva i capelli spettinati, sangue nero sul volto e sui vestiti; ma erano gli occhi viola, tendenti al magenta, a catturare maggiormente la sua attenzione.

“Ma guarda! Una fata della mente che combatte come uno specialista.”
Si mise a ridere.

“Lascialo. Stare.”

“Altrimenti? Hai intenzione di uccidermi?”

Musa rinsaldò la presa dell’elsa, mettendosi in posizione di combattimento. Se parte di lei era concentrata a percepire le proprie emozioni, e non quelle degli altri, dall’altra stava tentando di raggiungere la mente di Riven.
Non era semplice, ma doveva farlo.

“No, ma posso fare di peggio.”

La ragazza si mise a ridere falsamente, guardando poi Musa, pronta ad accettare il combattimento.
“Vediamo.”
I suoi occhi tornarono viola e fece scomparire il corpo di Riven; al suo posto apparirono mille sue copie che circondarono l’area, riprese a ridere.
“Facciamo un gioco, ti va?”

Musa stava guardando a destra e manca per individuare Riven, dov’era, doveva aiutarlo!

“Se riesci a colpirmi, ti dirò dove ho nascosto il suo corpo. Se al terzo fallimento non mi avrai trovato, il tuo ragazzo si perde nell’oblio della sua mente, senza che tu possa aiutarlo per farlo tornare indietro.”

Musa tornò a guardare la ragazza, la rabbia cominciò ad emergere e l’istinto la spinse ad ampliare quel sentimento. Doveva salvare Riven, e quella… Strega, voleva farle perdere tempo?!

“Tic, tac…” ripetevano le copie, alcune delle quali si misero a ridere. “Il tempo scorre inesorabile, faresti meglio a muoverti, fatina.”

Infastidita, Musa scattò in avanti, lanciando un fendente alla prima copia che le si presentò davanti, nella speranza che fosse quella reale. Ahimè, la copia sparì, lasciando dietro di sé un urlo disumano.
Musa non si demoralizzò, aveva altre due possibilità, poteva farcela.

“Mancata,” la canzonò l’altra fata della mente, “avanti, prova ancora. O vuoi per caso arrenderti?”

Musa prese la spada con entrambe le mani, si voltò alla sua sinistra; consapevole che non si sarebbe mai arresa, con un urlo rabbioso caricò un colpo che avrebbe di certo colpito la ragazza… Peccato che anche quella si rivelò una copia.
La fata guardò il suolo spaurita, le era rimasta una sola possibilità, poi non avrebbe più riavuto Riven. Contemporaneamente, il dolore e le urla degli altri cominciarono a riempirle la mente, facendole perdere la consapevolezza di sé. La paura degli altri divenne la sua, ampliata dalla voce dell’altra fata.

“Fa male perdere le persone a cui tieni, non è vero? Prima tua madre, poi il tuo primo ragazzetto, la tua amica Bloom, adesso Riven… Non ti rendi conto che sei troppo debole, Musa? Hanno provato tutti a fartelo capire, eppure ti ostini ancora. Ma devi accettare la realtà, non puoi fare niente per loro, sei solo una nullità.”

Musa cadde in ginocchio, portandosi un pugno davanti la bocca. Non era possibile trovare la vera fata in mezzo a tutte quelle copie, non poteva farcela, era impossibile. Aveva fallito, aveva deluso tutti, aveva perso.

La risata dell’altra ragazza s’affievolì, lasciando a Musa il tempo di ricordare.


“Colore preferito.”

Musa parò l’attacco di Riven.

“Di tutte le domande che avevi a disposizione, hai scelto proprio questa?”

I due girarono su sé stessi, facendo scontrare le spade a mezz’aria.

“Allora mi dirai cosa è successo con Terra, perché non andate d’accordo?”

Riven dovette indietreggiare per evitare il calcio di Musa.
“Rosso e viola. Alla tua destra.”

Musa fece finta di parare un attacco, prima di concentrarsi nuovamente su Riven. Era una delle prime volte che s’allenavano senza che lei portasse i bracciali, aveva bisogno di fare pratica.

“E Terra?”
Un muro ostile di spine s’erse tra lei e Riven, segno che non era un argomento che il ragazzo voleva affrontare. Musa abbassò appena la guardia, mentre i suoi occhi cambiavano colore. Riven ebbe l’impulso di attaccarla, ma non si mosse, pur sapendo che nessun nemico sarebbe stato altrettanto altruista.

“Avevi promesso!” la reguardì, puntandole la spada. “E Silva ti ha detto di non usare i poteri.”

“Allora calmati, ti ho fatto solo una domanda.”

Riven prese un respiro e s’allontanò un secondo; quando la raggiunse, Musa notò che le spine si stavano smussando. La sua mente tornò libera e i due poterono riprendere ad allenarsi. Silva era stato chiaro a riguardo: Musa doveva abituarsi a sentire le emozioni degli altri mentre combatteva, senza distrazioni. Riven optò per provare prima da soli, nella speranza di aiutarla; era un modo anche per lui ad abituarsi a farsi leggere. Se volevano combattere come partner, quella era l’unica soluzione.

“Come percepisci le emozioni? Le vedi, le avverti, senti i miei pensieri?”

“Diciamo che —” schivò un attacco, “può variare. Se è individuale, riesco a vedere immagini allegoriche del sentimento. Oppure a sentire una melodia. Se è collettivo, sono tanti segnali che si sovrappongono.”

“E lì ti perdi.”

La fata annuì, cercando di parare l’attacco diretto di Riven, ma fece un passo falso e si ritrovò con la punta della lama alla gola.
Dopo un attimo di stasi, Musa scostò l’arma, riprendendo a combattere.

“Cos’hai contro Tecna e Timmy?”
Avvertì il sibilo di un serpente, verde come l’invidia, che avvolse con le sue spire il corpo del ragazzo.

Riven parò un colpo, passando subito al contrattacco. Attacco dopo attacco, la stava spingendo verso il bordo del campo.
“Sempre cose profonde devi chiedere?”

“Non posso continuare a domandarti cosa preferisci, ho finito le idee.”

“No, ne manca ancora una.”

“Ah sì?” Musa stava per dare un calcio, pronta ad eseguire poi un fendente. “E quale?”

Lo specialista evitò il calcio entrando nello spazio vitale di Musa; parò la spada alzando il braccio della ragazza, cercando di farle perdere l’equilibrio. Ma non calcolò l’istinto che entrambi ebbero in contemporanea per non farla cadere dal bordo.

Musa ancorò la gamba alla vita di Riven, mentre con la mano libera s’aggrappò al suo collo; Riven, invece, avvolse la schiena di Musa col braccio, stringendola a sé. I due si fissarono con un’espressione spaventata in volto, il fiato sospeso, non proferirono parola per alcuni secondi.

Alla fine, Riven le sorrise divertito, pronto a prenderla in giro.
“Davvero credevi che ti avrei lasciata cadere?”

Musa sorrise impacciata, chiedendogli scusa con lo sguardo.
“Per un istante l’ho pensato.”

Riven roteò gli occhi, senza smettere di sorridere.
“Che malfidata che sei.”

Musa si mise a ridere e, forse, fu proprio il suono cristallino della sua risata a convincere Riven a prendere un’importante decisione. Il cuore batteva come impazzito. Stava facendo la cosa giusta? Se ne sarebbe pentito? Mille dubbi lo stavano affliggendo, ma prese a parlare comunque, nella speranza di non fare una cazzata.

“Sono geloso di loro.”

Musa smise di ridere e tornò seria, senza distogliere lo sguardo da Riven, chiedendogli con gli occhi di elaborare meglio quello che aveva appena detto.

“Tecna, Timmy, anche un po’ Terra… Sono stati accettati senza problemi. Sono dei perdenti e sono stati comunque accettati. Io ero come loro al primo anno, un totale nerd, un perdente, Sky mi ha preso sotto la sua ala e sono stato comunque criticato. Sono cambiato, ho fatto il possibile per non essere più quello di prima, ma il risultato non è cambiato. Perché loro sì ed io no?”

Musa non seppe rispondergli. Aveva la netta sensazione che c’era altro sotto, ma non volle affondare il dito nella piaga, sapeva che certi argomenti non erano facili d’affrontare.

Vedendo l’espressione della fata, così piena di commiserazione, pietà e pena, Riven indurì lo sguardo e lo distolse, perché gli dava fastidio essere guardato in quel modo.
“Quindi, al diavolo tutto! Fanculo il mondo… E fanculo loro.”

“Riven?”

“Cosa?!”

Lo specialista avvertì il pollice di Musa accarezzargli la base della nuca, leggero e delicato, calmandolo. Sapendo che Musa poteva infondere qualsiasi emozione che desiderava, tornò a guardarla, e ciò che vide lo sorprese.
La fata non aveva gli occhi viola, erano lucidi e tristi. Perché sembrava che stesse sul punto di mettersi a piangere?

“Grazie.”

Quella conversazione lo stava portando sempre più su un terreno a lui sconosciuto.

“Per cosa?”

“Per esserti fidato di me.”

Riven avvertì un pizzicore agli occhi, abbassò le palpebre e si lasciò coccolare dal pollice della ragazza. Era una sensazione piacevole.

Musa osservò il ragazzo, così stranamente mansueto e tranquillo. Non stava usando la sua magia, era solo concentrata sull’accarezzargli la base del collo. Aveva avuto il sospetto che Riven non fosse lo stronzo che voleva far vedere, nel momento in cui le avevano raccontato che l’aveva riportata ad Alfea tra le braccia, invece che sulle spalle come lui aveva asserito; nel momento che l’aveva tolta dalle attenzioni di Terra per non vederla fare quegli esercizi di respirazione; nel momento in cui s’era seduto accanto a lei, coprendole le gambe con gli zaini per non far vedere a nessuno che era incastrata nel terreno. Aveva cominciato a conoscerlo per il ragazzo che era davvero, un ragazzo che a modo suo si preoccupava degli altri, e che probabilmente aveva preferito costruirsi un’immagine da stronzo menefreghista piuttosto che affermare di esser rimasto ferito per alcuni atteggiamenti.

“Il passato non si può cambiare,” iniziò a sussurrare, “ma non è mai troppo tardi per farsi davvero conoscere e accettare. Nessuno merita di stare solo, Riven, neanche tu.”

Riven sbuffò divertito, riaprendo gli occhi per guardarla. Era stupendamente pericolosa con quello sguardo fiero e battagliero, infondeva coraggio e speranza anche ai codardi come lui.
“Dici così solo per finta commiserazione.”

“No! È perché se ti lasciassi conoscere anche dagli altri, capirebbero che…”
Musa distolse lo sguardo, le gote arrossate, cercando di non guardare ulteriormente quegli occhi verdi che sembravano bramosi di conoscere, di sapere, nella speranza di veder riconosciuto il proprio valore; scrollò le spalle, continuando a non guardarlo.
“Beh… Insomma, non sei male, dopotutto.”

“Ah! Non sono male?”

“No.”

“Occhio, fatina”, Riven le sorrise diabolico. “Posso sempre farti cadere.”

“Rettifico! Sei uno stronzo coglione!”

Riven si mise a ridere, col cuore che gli scoppiava di gioia, seguito a ruota da Musa. Dio, quanto l’amava.

Improvvisamente, Musa si sentì avvolta da un resistente filo rosa, ma per sua fortuna Riven non se ne accorse, perché entrambi si resero conto dell’equivoca posizione in cui si trovavano ancora, a bordo campo.


Colta di sorpresa, Musa spalancò gli occhi. Come quel giorno, avvertì un filo rosa che cercava disperato d’attirare la sua attenzione. Il cuore le mancò un battito, mentre la consapevolezza la fece commuovere.

Riven.

Stava facendo quello che gli aveva detto, l’aveva ascoltata.

S’asciugò un occhio, sorridendo. Infilzando la spada nel terreno, si rialzò, non prestando più attenzione alle risate di quella fata. Con calma si voltò, non distogliendo gli occhi viola dalla sua avversaria. Le ciglia aggrottate, la mascella serrata, le mani che stringevano forte la spada e il bracciale. Gliel’avrebbe fatta pagare.

“Cosa pensi di fare, fatina? Trafiggere tutte le mie copie?”

Musa non si scompose, ignorò le illusioni che quella fata stava creando, vedendo finalmente il corpo di Riven, a terra dietro la fata.

Con un balzo, corse verso la loro direzione, ostacolando qualsiasi tentativo di farsi controllare la mente. Era completamente concentrata su quel filo rosa.

L’altra fata schivava abilmente i suoi attacchi, venendo aiutata da alcuni mostri con l’intento di distrarre Musa dal suo intento. Si difese con la spada dagli artigli e dalle zanne dei mostri, spingendo la sua avversaria verso un punto preciso del campo.

“Pensi che questo basti a salvarlo? Ci vuole ben altro.”

“Lo so”, aiutandosi con la spada, lanciò della terra agli occhi della ragazza.
Approfittando del momento, Musa la colpì allo stomaco con una gomitata, facendola cadere a terra. Recuperò poi il bracciale che aveva lanciato inizialmente, ormai a pochi passi da lei. In tutta fretta, glieli mise ai polsi, bloccandole così i poteri.
“Ma questi possono aiutare.”

Una volta bloccatole i poteri, Musa sciolse i nastri con cui teneva legati i capelli e legò polsi e caviglie della fata, chiudendole ogni via di fuga.

“Ormai è bloccato nella sua mente, non può più essere liberato.”

“Vedremo!”

Musa la lasciò per andare da Riven; s’inginocchiò al suo capezzale, alzandogli poi il busto. Lo specialista fissava il vuoto, ma respirava.

“Riven?” Musa provò a chiamarlo, ma vedendo che non riceveva risposta, provò a cercare le sue emozioni, in mezzo a tutte quelle degli altri. “Andiamo, l’hai fatto una volta, puoi riuscirci anche questa volta.”

Gli accarezzò la guancia, chiamandolo ancora. Provò ad entrargli nella mente con la forza, ma venne respinta. Tutte le emozioni che provava Riven erano paura, disperazione, rabbia, solitudine, sensi di colpa.

Ad un tratto, la fata rivide finalmente quel filo rosa che prese ad avvolgerle delicatamente il polso. Sorrise e, mentre posò la fronte su quella di Riven, afferrò mentalmente quel filo, chiudendo gli occhi per concentrarsi ed entrare.

“Guidami, coraggio. Ce la possiamo fare.”

Quello che vide, però, la spaventò.


In un turbinio di ricordi, Riven stava rivivendo tutti i momenti peggiori della sua vita. Insieme ad essi, si fondevano ricordi distorti, in cui era lui a rovinare, ferire, persino uccidere diverse persone.

Si vide strangolare la madre, trapassare il corpo di Sky, decapitare questa o quella persona.
“Vedi, Riven? Se non fossero andati via, avrebbero fatto quella fine.”
Il ragazzo voleva rispondere che non era vero, che non avrebbe mai ucciso le persone a lui care, ma gli uscì un ringhio sinistro.

“Sei un mostro, Riven! Ormai tutti l’hanno capito.”

Rivide il momento in cui Terra lo stava per strangolare con le piante, dopo che lui aveva detto una battuta di troppo.

“Meriti questo e molto altro!”

La goccia che fece traboccare il vaso fu però quando Riven rivide il momento in cui aveva trovato Musa pronta a perdere i suoi poteri. Vide una sua copia guidare gli scrapers verso la ragazza, sorridendo diabolico nel vederla soffrire e gemere dal dolore. Fu quando la pugnalò all’addome che cominciò ad urlare, sentendo finalmente la propria voce.

“Riven?”

Il ragazzo, ancora con le sembianze di un mostro, si voltò e vide una Musa che non apparteneva ai suoi ricordi e che teneva stretto in mano un filo rosa.
Seguì con lo sguardo quel filo, trovandolo legato al suo polso sinistro.

“Ferirai anche lei, fino ad ucciderla! Sei solo capace di seminare dolore e distruzione!”

Riven urlò a quella voce di fare silenzio, lui non avrebbe mai fatto nulla di simile.

“Riven?”

Tornò a guardare la fata, in preda alla paura, intimandola a non avvicinarsi, altrimenti le avrebbe fatto del male.

“Riven, ricordi quello che ci siamo detti?” Musa fece un passo verso di lui. “Devi fidarti, Riven. Di me, e soprattutto di te stesso.”

“Non meriti di stare in mezzo alle persone! Non meriti di essere felice! Le persone fanno bene a lasciarti solo!”

“Non dare ascolto a quello che sta dicendo! Hai dimostrato di tenere a noi. Eri preoccupato per Sky, hai discusso con Silva perché sapevi che non volevo usare i miei poteri, hai fatto capire ad Helia che Flora aveva una cotta per lui. Hai preso a pugni uno specialista per difendere Timmy! Non sei la persona che pensi di essere. Ti prego!”

Il ragazzo notò le lacrime di Musa, quando un filo rosa attirò la sua attenzione. Lo guardò curioso, domandandosi da dove provenisse. Lo seguì con lo sguardo e vide che era legato al polso sinistro di Musa; provò l’istinto di prenderlo, ma era ancora titubante.

“Fidati, Riven.”

Riven guardò la ragazza, dalla gola rimbombò un guaito pieno di tristezza e paura. E se le avesse fatto male? Proprio come aveva fatto in passato con altre persone. Non voleva riservare lo stesso trattamento a Musa.

Musa gli sorrise.
“Il solo fatto che ti stai preoccupando di simili cose dimostra che non sei il mostro che immagini di essere.”
Allargò le braccia, attendendo.
“Coraggio.”

Quella fata, così dannatamente testarda e meravigliosamente coraggiosa, non meritava di soffrire. Sarebbe riuscito a non farle del male?
Il filo rosa s’agitò alle sue zampe posteriori, Riven s’inginocchiò, raccogliendolo delicatamente con gli artigli.

Musa vide Riven, ritornato ragazzo, correrle incontro ed abbracciarla con tutte le forze, affondando la testa sul suo incavo del collo.
Musa lo strinse forte, mentre notava che la presenza intrusiva stava svanendo, insieme alla voce insistente e a quelle immagini distruttive.
“Ce l’abbiamo fatta,” sussurrò.

Poi, tutto si fece bianco. L’ultima cosa che Riven vide fu il volto sorridente di Musa.


Sbatté le palpebre un paio di volte, mentre le urla della battaglia tornarono a circondarlo.
La vista smise d’essere offuscata e la prima cosa che vide fu un paio di occhi viola che lo stavano osservando in trepida attesa.

“Musa?”

La fata annuì, felice che ce l’avevano fatta.

“Hai delle ali da libellula, dietro la schiena.”

“Sì,” scoppiò a ridere, “sono apparse poco fa per la prima volta.”

Riven provò a sedersi, tastando la testa.
“Dov’è quella strega?”

Musa indicò l’altra fata della mente, alle sue spalle, col pollice.

“Opera tua?”

“Mh mh!”

“Caspita… E mi hai aiutato?”

Musa gli lanciò un’occhiata furba.
“Davvero credevi che ti avrei lasciato solo in quella situazione? In preda a quel controllo mentale?”

Alchè Riven si mise a ridere, accarezzando il mento di Musa. Stava bene tra le sue braccia. Stava sempre bene in presenza della fata.
“Beh, cominciavo a perdere le speranze.”

Musa alzò gli occhi al cielo, sorridendo fintamente esasperata.
“Scemo.”
D’istinto lo abbracciò, entusiasta di sentire le braccia ricambiarla delicatamente, come se avessero avuto paura di spezzarla. Era tornato! Riven era tornato da lei!

L’abbraccio non durò molto, perché Riven s’accorse di un mostro che stava per attaccare Musa alle spalle; lo specialista scansò immediatamente la fata da sé, gettò della terra al mostro e, una volta recuperata la spada, affondò la lama tra le sue carni. Non avrebbe permesso ad anima viva di avvicinarsi a lei.



Erano trascorse due settimane dalla fine della battaglia.
Beatrix, insieme alle sorelle, era stata portata in una prigione di massima sicurezza per scontare la pena di aver attaccato Solaria.

Stella aveva provato in tutti i modi per trovare una soluzione alternativa, in modo da poter vedere Beatrix e ricostruire giorno dopo giorno il rapporto che aveva con lei. Ma la regina era stata irremovibile.
Per ripicca, la fata pretese di poterla andare a trovare ogni volta che poteva, senza richieste firmate, facendo valere il suo ruolo di principessa e futura regina.
Stella, pur mantenendo intatta la sua immagine, era ancora scossa dalla discussione che aveva avuto con la madre. Ma, con l’aiuto delle ragazze, stava progettando un modo per poter incontrare Beatrix. E poterle parlare. In cuor suo, sapeva che Beatrix era rimasta la stessa ragazza arguta e simpatica, con cui aveva trascorso dei pomeriggi meravigliosi.

Bloom e Sky erano andati via da alcuni giorni. Bloom aveva avvertito le ragazze, dicendo loro che sarebbero andati sulla Terra.

Aisha, dopo la battaglia, cominciò a rivolgere nuovamente la parola a Grey, dichiarando fin da subito che non era pronta per una relazione. Dopo aver affermato che i suoi sentimenti per Aisha non erano cambiati, Grey accettò la condizione di rimanere come amico, nella speranza di poterle far capire che di lui ci si poteva fidare.

Terra aveva avuto la possibilità di poter riabbracciare il padre e il fratello, approfittando di far ufficialmente conoscere loro la sua ragazza Kat.

Tecna e Timmy, gli ultimi due arrivati del gruppo, erano sempre intenti a fare delle migliorie per Alfea. Flora, nel vederli sempre insieme e così affiatati, aveva ingenuamente affermato che erano una bellissima coppia, da grande romantica che era. I due ragazzi avevano sorriso e, nonostante la loro ammissione d’avere un profondo legame l’uno con l’altra, avevano tranquillamente asserito che non si sentivano a proprio agio nel fare quello che facevano le altre coppie. Preferivano trascorrere il tempo immersi nelle invenzioni, complimentandosi ed incoraggiandosi a vicenda.

Flora, ogni mattina, riceveva una lettera contenente una poesia o un dipinto. Una volta ammirata l’opera d’arte, si dirigeva verso la finestra, puntando lo sguardo su una finestra in particolare. Ogni mattina, la ragazza faceva nascere in un vaso un fiore unico, che Helia immortalava in un disegno. Era il loro modo per augurare all’altro il buongiorno.

“L’amore è nell’aria”, annunciò, lanciando un bacio ad Helia.

“Veramente, nell’aria sono presenti ossigeno, anidride carbonica, vapore acqueo e—”

“Lascia stare, Tecna, Flora è sempre così di prima mattina.”

“Ma come, sono l’unica a sapere che oggi sarà una giornata speciale?”

“Di prima mattina? Sì.”

“Stella, tu sei un caso a parte.”

“Sapete dov’è Musa?”

“È uscita presto, pensavo l’avessi vista, dato che a quell’ora di solito vai a nuotare. Ha detto che si sarebbe allenata con Riven. O almeno, è quello che ho capito, visto che non smetteva di sorridere e di dire che era in ritardo.”

“Farebbero meglio a darci un taglio! Se nessuno dei due parla entro questa sera, giuro che vado lì e parlo io per loro!”

“Non ti preoccupare, Stella, ho detto che oggi sarebbe stata una giornata speciale.”

Flora tornò a guardare fuori dalla finestra, volgendo lo sguardo verso i campi di allenamento, augurandogli buona fortuna.


Calcio, parata, guardia alta, schiva, attacca.
Questo, insieme ad altri comandi, si stava ripetendo Musa, rimanendo concentrata sull’obiettivo.

Ad essere distratto, invece, era Riven. Combatteva, ogni tanto dava del filo da torcere a Musa, ma sembrava concentrato su altro. Con la testa altrove.

“Hai un impegno, dopo?” Musa gli domandò tra un colpo di spada e l’altro.

Riven si fermò, dopo aver bloccato il suo attacco.
“No. Perché?”

La ragazza fece spallucce, riprendendo a combattere.
“Sei strano oggi.”

Gli occhi verdi di Riven s’allargarono per lo stupore.
“In che senso strano?”

“Più strano del solito, ecco. L’allenamento improvviso di stamattina, nessuna battuta, non mi hai rimproverato neanche una volta quando sbagliavo, e ne ho fatti di errori. O è successo qualcosa, oppure entro stasera succederà qualcosa.”

Riven s’impietrì, parando all’ultimo istante il colpo di Musa.
“Vedi? Sei strano!”

“Sono sorpreso nel sapere che adori le mie battute!”

“Non ho detto che le adoro. Ma non è da te non farle.”

“Non è da me?” gli venne da sorridere. “E cosa sarebbe da me?”

Musa fece una piroetta, pronta ad attaccare.
“Questo.”

Riven le bloccò il polso, per poi colpirla, ma si ritrovò anche lui con il polso stretto dalla presa di Musa.

“Cercare di cambiare discorso quando non ti piace l’argomento.”

I due si guardarono negli occhi, Riven intento a non far trapelare alcuna emozione e Musa concentrata nel non leggergli la mente. Per entrambi risultava faticoso, ma per il bene dell’altro avrebbero continuato a farlo.
“Se ti sei cacciato in qualche guaio, posso darti una mano ad uscirne.”

Riven sorrise, avvicinandosi al volto della ragazza.
“Tu che vuoi aiutarmi… Certo che sei proprio una crocerossina.”

“Guarda che non lo faccio solo per puro altruismo. Se ti cacci nei guai, e ti confinano in camera, allora addio ai nostri allenamenti.”

“Ti mancherebbero così tanto?”

Musa scrollò le spalle, sorridente, rivolgendo a Riven uno sguardo luminoso.
“Ormai mi ci sono abituata.”

Riven sorrise di rimando, inumidendo istintivamente le labbra: l’avrebbe baciata all’istante, lì, in mezzo al campo, incurante degli sguardi altrui, con il clangore delle spade che cadevano a terra e il corpo di quella fata premuto contro il suo. Si chiese da quanto tempo desiderava farlo, e non riuscì a darsi una risposta. Forse quando gli aveva letto dentro, senza il suo permesso, insolente e pericolosa. Forse quando l’aveva vista esporsi agli scrapers, fiera e disperata. Forse quando gli aveva raccontato del suo odio per essere una fata della mente, intrappolata nel terreno, indifesa e tormentata. Forse quando aveva fatto il possibile per dimostrare che lei poteva combattere, che avrebbe fatto tutto quanto era necessario per avere qualcuno che le insegnasse a combattere, orgogliosa e testarda. Forse quando l’aveva ascoltato e non l’aveva giudicato, pronta a tendergli una mano perché era certa che lui avesse un animo buono, sensibile e comprensiva.

Guardandola profondamente negli occhi, le si avvicinò, prima di vedere Musa allontanarsi, stringendo tra le dita la base del naso, tenendo stretti gli occhi. La paura avvolse il ragazzo, mentre l’idea di essere rifiutato stava prendendo piede nella sua testa, tanto che—

“NO!” Musa gli puntò un dito, lanciandogli una veloce occhiata, prima di richiudere gli occhi. “Non credere minimamente che sia per quello!”

“Cosa, di che diavolo stai… Musa.”

“Lo so!” lo guardò esasperata con gli occhi ancora viola, rossa in volto. “Non sono riuscita a trattenermi, le tue emozioni erano troppo forti e— La smetti di ridere?!”

Riven non l’ascoltò, piuttosto le cinse la vita, sfidandola con lo sguardo.
“E perché dovrei? In fondo, è divertente vederti frustrata. Potrebbe essere un’ottima idea usare le mie emozioni per distratti durante l’allenamento… Sai, non c’avevo mai pensato!”

“Tappati la bocca, Riven!”

Gli occhi furiosi di Musa non smettevano di essere viola, ma contrariamente a quello che lo specialista credeva non gli dava per niente fastidio.
“Costringimi, fatina!”

Musa gli afferrò il colletto della divisa e fece collidere le loro labbra.

Riven avvertì i propri sentimenti intensificarsi, mentre Musa aveva lasciato cadere la spada per accarezzargli il volto. Non che ce ne fosse bisogno, avrebbe fatto qualunque pazzia per quella fata.

Musa non riuscì a smettere di avvertire quei fili rosa legati ai loro polsi avvolgere entrambi, legandosi, ingarbugliandosi, creando nodi che non si sarebbero sciolti facilmente.
Non sapeva da quando era nato quel sentimento… Ma poco le importò dare una data precisa, perché era stato qualcosa che s’era costruito giorno dopo giorno, conoscendosi, imparando a fidarsi l’uno dell’altra, sostenendosi a vicenda e guardandosi le spalle.

I due si allontanarono giusto il necessario per riprendere fiato. Gli occhi di Musa erano tornati normali.

“Però! Se avessi saputo che le fate della mente baciavano così bene, non avrei aspettato così tanto per farlo.”

“Di tutto quello che potevi dire, questa è la prima cosa che ti è venuta in mente?”

“No, è la seconda. La prima era troppo imbarazzante per dirla ad alta voce.”

Musa si mise a ridere, prima di essere guidata dalla mano di Riven per riprendere il bacio, un po’ più delicato questa volta, ma non meno importante.


“Come mai volevi sapere come posso salvare gli specialisti dal controllo mentale?”

“Beh, come tuo partner ho il dovere d’informarmi come funzionano i tuoi poteri, e il diritto di sapere a cosa vado incontro. Stiamo pur sempre parlando di fate della mente, vincitrici del Premio Fate più spaventose mai esistite! Ne ho una proprio qui davanti a me, che accetta di soffrire pur di salvare il mondo!”

Musa lo colpì con un calcio sullo stinco, facendo gemere il ragazzo; ma entrambi si misero a ridere, dimenticando di trovarsi in mensa, osservati dagli altri studenti.

“Se è per liberarti da qualsiasi controllo, posso entrare con la forza nella tua mente, vedendomela da sola con chi ti vuole controllare, ma t’indebolirei ancora di più, mentre cerchi di liberarti da loro e da me. La cosa migliore sarebbe appellarsi ad un’emozione, una positiva, focalizzarsi su quella. Attirata da quell’emozione, è come se fossi tu stesso a farmi entrare nella tua mente. Una volta dentro, amplierei l’emozione che provi e cacceresti la presenza che ti vuole controllare.” Musa incrociò le braccia sul tavolo, abbassando gli occhi per guardare altrove. “Questa è la strada più semplice e meno traumatica.”

“Traumatica?”

La ragazza annuì. “Stiamo parlando di emozioni. Nel momento di pericolo e stress, le persone reagiscono in maniera diversa. Più opponi resistenza, anche a me che ti voglio aiutare, più sarà difficile liberarti.”

“E un modo per non ostacolare la tua entrata quale sarebbe?”

Riven vide l’occhiata dubbiosa della ragazza, sembrò pensarci sul rivelargli la verità oppure no. Magari si stava domandando perché desiderasse così tanto rimanere suo partner. In quel caso, Riven avrebbe risposto che nessuno sarebbe stato un perfetto insegnante per Musa, in grado di farla allenare a dovere, senza farsi intimorire che fosse una ragazza. Nella realtà, la consapevolezza che nessuno era in grado di poterle guardare le spalle lo stava logorando. Entrambi conoscevano il modo in cui combatteva l’altro, sapevano prevedere le loro mosse e coordinarsi di conseguenza.

Musa allungò una mano, con il palmo rivolto verso l’alto, come se volesse essere presa. Come se volesse essere una possibilità per Riven di riscattarsi.
“Dobbiamo fidarci l’uno dell’altra.”

Riven la guardò incerto. Poteva davvero farlo? Permettere ad una fata della mente d’entrare nei suoi pensieri? Farsi davvero conoscere per quello che era? Fidarsi? Musa s’era fidata, confidandogli l’avversione per il proprio potere. Poteva anche lui riporre fiducia in lei?
E se poi avesse combinato qualcosa e deluderla, lei avrebbe mantenuto segreti i dubbi e le paure che celava nel cuore? O li avrebbe usati a suo vantaggio, ridicolizzandolo davanti a tutti o approfittandone per avere dei favori in cambio?
Poteva accettare, ma doveva essere cauto.

Le prese la mano, così piccola, fredda e delicata rispetto alla sua piena di graffi, cicatrici e calli.

“Promettimi che, ad esclusione di quando Silva te lo ordinerà, durante gli allenamenti, entrerai nella mia testa solo quando è strettamente necessario.”

Musa aprì la bocca, probabilmente per ribattere, ma Riven l’anticipò.

“Ed io ti prometto che cercherò di tenere a freno i miei stati d’animo, e di cacciare quelli troppo rumorosi, così tu non ti dovrai sentire in colpa per essere una pericolosissima fata della mente.”

Musa gli sorrise grata. “Hai davvero voglia di rimanere il partner di una fata pericolosa come me, eh?”

“Beh, pixie, non posso permettere che tu vada a spifferare a tutti il mio amore segreto per il Professor Harvey, rovinando la mia immagine che, per tua informazione, ho così faticosamente costruito. In qualche modo devo tenerti d’occhio.”

La risata di Musa ebbe l’effetto di contagiare Riven, mentre entrambi stringevano la mano, sancendo un patto di cui solo loro conoscevano l’esistenza.

“Sei un coglione.”

“Lo so, anche questo fa parte del mio smisurato fascino.”

   
 
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