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Autore: crazyfred    26/12/2022    2 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Natale per due




BOSTON
 
Finalmente era uscito il sole. Era una coincidenza fortunata perché una partenza in programma durante una tempesta di neve era garanzia di una partenza rimandata. Ed era l’ultima cosa di cui Emma aveva bisogno. Chiuse la valigia dopo aver controllato che tutti i cassetti fossero vuoti, prese il borsone e lo zaino e lasciò l’appartamento. Si tornava in Italia. Non finalmente, non purtroppo: si tornava e basta. Bisognava solo andare avanti ed inventarsi qualcosa di nuovo.
Prima che il taxi arrivasse, però, aveva ancora venti minuti, perfetti per prendere un Caramel Brulée Latte e un biscotto natalizio nella caffetteria dietro l’angolo: era una porcheria tutta americana, ma non poteva dire di essere stata negli Stati Uniti senza aver bevuto ogni giorno uno di quei beveroni bollenti ed extra dolci. E poi avevano il wi-fi gratis: non c’era opzione migliore per stare al caldo e attendere.
Seduta al suo tavolino, con le valigie ben in vista e il caffè fumante nella tazza di cartone da asporto, prese il pc e controllò le ultime mail. L’occhio le cadde sulla cartella delle bozze, dove aveva lasciato una mail della sera prima, 
non inviata .
Ciao Francesco, come stai? Lesse e  cancellò, immediatamente. Ehi! Cancellò pure quello, sostituendolo con qualcosa di più diretto.
 
Facciamola breve: dammi un consiglio, Francesco Neri, come si inizia una email ad una persona che non si fa sentire da mesi?! Gli orsi in letargo e le acque ghiacciate del lago devono averti tenuto parecchio indaffarato, suppongo...se l’ultimo contatto è stato un pollice all’insu quando ti ho detto che ero atterrata.
Così, diretta al punto, era perfetta, pensò. Andò avanti con la lettura.
Sono giorni che provo a scrivere e cancello e poi riscrivo e poi ricancello e non so nemmeno se poi te la invierò. Anzi, è altamente probabile che non lo farò alla fine, quindi al diavolo la forma e proverò a mettere nero su bianco tutto quello che mi passa per la testa, più per me stessa che per te … Roccia aveva ragione, un lupo non si può addomesticare e a te piace proprio essere un lupo solitario.
Ti starai chiedendo a questo punto perché ti sto scrivendo; presto detto: è arrivata una tormenta di neve che ha coperto tutto di bianco, in 24 ore ne è caduta così tanta da arrivare alle ginocchia. E così d’istinto ho googlato “neve” e “San Candido”. Non lo so perché, forse perché non ho fatto a tempo a vedere il lago ghiacciato e le cime innevate. Quelle foto che ho visto mi hanno levato il fiato. Come si fa a competere? È vero che la neve abbellisce tutto, anche Boston è diventata affascinante, e le luci di Natale fanno il resto, ma chi sta meglio di te?! Spero solo che abbia trovato una soluzione migliore della stufetta per riscaldarti perché ho letto che fa parecchio freddo e lo so che hai la pessima abitudine di coprirti poco. Forse non sarai d’accordo, ma meno male che ci sono Roccia e Huber a badare a te. No, Vincenzo non lo conto…che sotto sotto è un bambino come te. Ti offenderai ma la verità va detta, comandante Neri.
Ora però passiamo alle cose più serie: sono arrabbiata con te. E delusa. Ma soprattutto arrabbiata. Nera. Perché sono d’accordo con te, questa di Boston era una grossa opportunità per la mia carriera, ma questo non significa non sentirsi per mesi. E sei l’ultima persona da cui mi sarei aspettata questo comportamento. Io lo so che non è un buon momento e forse con l’avvicinarsi del Natale è anche peggio, e so che è anche per questo che mi hai incoraggiata a partire. Stare lontani per un po’ avrebbe fatto bene ad entrambi, ma non così. Non ti ho mai chiesto di venire qui a trovarmi, non ci credo neanche se lo vedo che lasci la tua palafitta per venire in una grande città americana, né lo pretendo, ma una mail, una telefonata ogni tanto, quelle sì che me le aspettavo, eccome. Viviamo entrambi nella civiltà, anche se a volte tendi a dimenticarlo. E non lo dico per chissà quale ragione, ma siamo amici, e gli amici questo fanno: si interessano gli uni degli altri. Sia che le cose rimangono sempre uguali, sia che esse cambiano, è bello sapere che puoi contare su di loro. Ed io credevo di poter contare su di te.
Comunque … alla fine se sono qui a scriverti è perché comunque anche se mi fai incazzare da morire alla fine ti voglio bene e lo so che da solo smetti di funzionare. E fa male perché è come se tutti gli sforzi fatti e le promesse e le belle parole ogni volta non servissero a nulla. Ma come tu sei tu anche io sono io e alla fine mi armo di pazienza e ci provo di nuovo, per l’ennesima volta, a tirare fuori quel buono che hai dentro ma ti ostini a nascondere. E quindi faccio per entrambi quello che dovresti fare pure tu: parlare del più e del meno.
Carina Boston, se ti piace il genere, ovviamente. Non posso dire bella o bellissima, perché niente si può dire bello o bellissimo dopo che vedi le nostre montagne o il nostro lago. Che poi è assurdo: io ci ho vissuto per pochi mesi eppure le considero mie come se avessi vissuto lì da sempre. Ma è inutile che te lo dico, perché sicuramente converrai con me che quei posti ti cambiano la vita. Con me lo hanno fatto e credo pure con te, anche se dubito lo ammetteresti ad alta voce.
Nella mia vita di base non è cambiato nulla, anzi, adesso ti faccio ridere: le cose sono anche peggiorate se devo dirla tutta. Ti ricordi quella bomba ad orologeria nella mia testa? Beh è diventata più simile ad una bomba atomica, pensa un po’. Buffo! Trasferirmi qui doveva essere un’opportunità irripetibile e invece … potrei pure non tornare più da qui. Un attimo e zac!
No, questa parte era meglio ometterla se avesse mai inviato quella mail, altrimenti sarebbe stato lui quello che alla fine avrebbe fatto zac e l’ultima cosa che voleva è vederlo fare il melodrammatico preso dai sensi di colpa … - vedi che ti conosco meglio di quanto tu conosci te stesso? - pensò.
Ma si va avanti, come ho sempre fatto: si continua a vivere, a lottare; dovresti conoscermi: aspettare fermi e comodi che arrivi il momento non fa per me.
È solo che a volte, un po’ come questa sera, mi prende un po’ di nostalgia. Mi piacerebbe mollare tutto e tornare sulle Dolomiti, sulla palafitta. Me la immagino lì, ferma sulle acque del lago limpide come uno specchio, così piccola di fronte a quel gigante dormiente che le troneggia di fronte. E mi perdo nei ricordi: ripenso a quel vecchio letto che avevi per terra e su cui mi hai fatto dormire, a quella brandina su cui ti sei sacrificato per me. Ripenso anche alle tue lezioni di cucina … non va così male ora, sai?! Non solo non campo più di panini e pasti caldi della mensa del campus, ma riesco anche a girare una frittata senza romperla. Ok, lo ammetto, con il forno sono ancora una frana, ma sono solo 6 mesi che cucino senza supervisione!
E Argo? Come sta quel cagnolone silenzioso e pacioso? A volte ripenso con nostalgia persino ai giorni di pioggia, quando entrava in palafitta tutto bagnato e puzzolente. Sono strana, lo so e so che lo sai. Ma c’eravamo trovati anche per questo, no? Perché riuscivo a strapparti un sorriso con le mie cretinate quando tu eri giù …
Adesso vado a dormire, sono stanca – più stanca del solito – e domani parto, torno in Italia … non so se ti manderò mai questa mail, non so se ci rivedremo ancora, ma un buon Natale anche solo col pensiero volevo augurartelo.
Emma
In quel momento, guidata esclusivamente dall'istinto, portò le dita sulla tastiera e iniziò a digitare una nota alla fine della lettera.
p.s. è mattina e sono ancora qua!!! Per me è un miracolo, non ridere … e non alzare nemmeno gli occhi al cielo! Sono in una caffetteria di quelle che si vedono nei film americani a prendere un caffè e il sole sta sciogliendo la neve. Ne avrà ancora per molto, ma nel frattempo l'acqua scende decisamente, goccia dopo goccia, dai tetti e dalle grondaie. Io sto aspettando il taxi che mi porterà in aeroporto. Volevo dirti che ho rileggendo a mente fredda quello che ho scritto e anche se è vero che sono incazzata mi sento una stronza perché mi rendo conto che il Natale per te non deve essere facile, tuo figlio probabilmente ti mancherà di più del solito, lo immagino e lo comprendo. Mi farebbe piacere sentirti, ogni giorno nonostante tutto ci spero di ricevere una tua email e sapere che stai bene e anche tu avrai compagnia durante le feste, Vincenzo forse o qualcuno dei tuoi colleghi. Perché posso essere incazzata con te, ma non posso non volerti bene.
 
Il suo cellulare squillò. Era il servizio taxi. Uno sguardo fuori dal finestrone e l’auto gialla era lì fuori ad aspettarla. Era destino, ormai era chiaro: quella mail non doveva partire. Spense il pc infilandolo nella borsa e, dopo essersi imbacuccata per bene, uscì dalla caffetteria. “Where to, Miss?” “To the airport please, the International Terminal”
 
 

SAN CANDIDO

A fine giornata, un secondo lavoro attendeva il forestale. Per rientrare in casa, doveva spalare la neve che l’ultima nevicata aveva accumulato sul pontile, accendere la stufa e, mentre aspettava che la casa fosse sufficientemente calda per togliere la giacca, controllare che il peso della neve non avesse fatto danni al tetto. Incombenze stagionali a parte, le cose procedevano come sempre, lente, quasi immutabili nella loro routine quotidiana e a Francesco andava benissimo così, lo trovava rassicurante. Se era vero che usava l’adrenalina e il pericolo per annebbiare il cervello come fossero una droga, per dimenticare il macigno che aveva dentro, seppur brevemente, d’altro canto c’erano cose che non voleva assolutamente dimenticare e una vita solitaria e abitudinaria era la migliore alleata per raggiungere il suo obiettivo.
Terminate le ispezioni quotidiane, Francesco dismise finalmente la divisa e fece partire lo scaldabagno, per ritemprarsi con una doccia calda prima di preparare qualcosa da mettere sotto i denti per cena. Come al suo solito, senza troppo impegno, avrebbe aperto una scatoletta di legumi e tagliato qualche strisciolina di speck per farne una zuppa e abbrustolito sulla stufa un po’ di pane che era rimasto dal giorno prima. Era capace eccome di cucinare, ma quando non si divide il pasto con nessuno non si ha granché voglia né fantasia di complicarsi la vita. A causa della tormenta, non era potuto scendere in paese a lavare la biancheria nella lavanderia a gettoni e così fu costretto a prendere degli asciugamani puliti da uno degli scatoloni in cui teneva in ordine le sue cose, seppure poche. Chissà, magari in primavera si sarebbe deciso e finalmente avrebbe comprato un armadio vero e proprio. I suoi amici glielo ripetevano in continuazione che non poteva vivere come un cavernicolo, ma per lui faceva davvero poca differenza: gran parte della giornata la trascorreva in caserma e l'importante, dopo il lavoro, era avere dell'acqua calda e un posto caldo e asciutto. Alla luce fioca delle lampade da campeggio che illuminavano la palafitta, tirò fuori un telo da bagno e un asciugamano troppo morbidi e troppo candidi per essere suoi. Per un attimo pensò che fossero di Livia e gli venne un nodo in gola, ma poi notò, sull’etichetta con le istruzioni per il lavaggio, una E scritta con il pennarello indelebile. Emma…doveva averli dimenticati da lui quando aveva lasciato la palafitta ed erano finiti in mezzo alle sue cose. Emma … il magone nel frattempo si era trasformato in batticuore … chissà cosa stava facendo in quel momento, se era ancora negli Stati Uniti, se ogni tanto pensava ancora a lui. Come poteva? pensò, erano mesi che non si sentivano, o meglio che lui non si era fatto vivo con lei, nonostante glielo avesse promesso, e se provava a capire perché non lo avesse fatto non sapeva darsi una vera risposta. Eppure c’erano tante cose da raccontare: Vincenzo che presto sarebbe diventato papà, i lavori di ristrutturazione della foresteria, quelli a casa di Vincenzo, del suo incontro con Adriana e Isabella … se solo le avesse conosciute, di sicuro sarebbero andate d’accordo …
Andò sotto la doccia e sperò di riuscire a lavare via quel pensiero deleterio dalla sua testa, ma Emma era come un tarlo: una volta che si faceva strada nei suoi pensieri, era difficile rimuoverla. E capì anche perché non l’aveva mai contattata, né con una email, né con un messaggio, figurarsi con una chiamata: perché con lei non era in grado di mantenere la distanza di sicurezza, non riusciva a non preoccuparsi. Far finta che non esistesse era pressoché impossibile, ma era la soluzione migliore. E probabilmente lei lo stava odiando, se mai si fossero rivisti come minimo che gli avrebbe vomitato addosso tutta la tua rabbia – e se lo sarebbe meritato – ma forse alla fine era la cosa più giusta da fare e lo avrebbe ringraziato persino.
Non era cattiveria, perché ci aveva davvero provato a darsi una chance, ci aveva provato anche ad aprire l’email e a scriverle ma non era andato più in là della data o di Ciao Emma, come va?, ma per quanto per lui stare accanto alle persone ed aiutarle fosse qualcosa di più di una vocazione, quasi una droga, aveva imparato che non ci voleva nulla a rimanere coinvolti e farsi male; c’erano troppi fantasmi nella sua vita, troppi brutti ricordi che non sapeva scrollare di dosso e probabilmente non era nemmeno interessato a farlo, e non poteva permettersi che facessero parte né della vita degli altri né che lei, in particolare, diventasse uno di quei fantasmi. Ed era consapevole che, a un occhio esterno, potesse suonare come una contraddizione, ma c’erano dei giorni in cui un piccolo dettaglio come quell’asciugamano la faceva tornare a galla e la sua forza di volontà nel tenerla lontana era più debole e il ricordo tuo sorriso più forte. Quello era uno di quei giorni.
Terminata la doccia, messo qualcosa di pulito addosso, prese il telefono dalla tasca della giacca … d’istinto, senza pensare. Scorse la rubrica e si fermò sul numero di Emma. Adesso la chiamo, almeno per farle gli auguri, come va va, pensò, e se non risponde vuol dire che non è destino. Ma se non avesse risposto, se fosse stata irraggiungibile, avrebbe lasciato traccia di sé e lei avrebbe potuto richiamare e non voleva correre il rischio di doverla affrontare in un momento diverso, quando fosse stato più lucido. Spense il telefono nella speranza di rimuovere ogni tentazione e, risoluto, si mise a preparare la cena.
 
  
 
 
 
Un anno dopo
 
Era giorno da qualche ora ormai, ma il cielo plumbeo lasciava ancora strascichi notturni e poca voglia di svegliarsi sia alla natura che agli abitanti delle sparute abitazioni; così, complice anche il freddo tagliente, tutto taceva sulle rive del lago. E poi era la mattina di Natale, era diritto di tutti prendersela con comodo.
La neve aveva raggiunto l’alberello che era stato addobbato sul terrazzo con delle decorazioni in legno e qualche fiocchetto rosso: non era molto grande, ma era vero e profumato e finite le feste sarebbe tornato al suo posto tra i suoi simili nel bosco, a crescere grande e forte. In casa, dove gli spazi risicati non avevano permesso grandi decorazioni, una ghirlanda decorava la finestra e di fianco alla stufa, in mancanza di un vero camino – un sacco di iuta pieno di regali, decorato come se provenisse direttamente da Polo Nord e il suo mittente fosse davvero Babbo Natale.
Era tutto pronto per quel giorno di Natale, speciale ed unico per tanti motivi, ma nessuno dei due padroni di casa sembrava essere particolarmente in ansia, nemmeno all’idea di avere un ospite speciale a pranzo, il piccolo Leo, li impensieriva. Emma dormiva ancora, avvolta dal caldo piumone. Francesco, invece, pur sveglio, preparava la colazione con molta calma e attenzione: anche quel gesto, pur così piccolo e banale, aveva il sapore di una coccola e il valore di un regalo ben più prezioso. Nemmeno per loro che vivevano la loro vita in una specie di bolla lontano dal caos della città era facile ritagliarsi un momento di pausa e sedersi al mattino per una colazione che fosse qualcosa di più di un caffè e una fetta biscottata. Era già tanto per uno come lui, che fino a poco tempo prima a malapena si concedeva un caffè a colazione, ma sapeva di poter fare di più e, 
soprattutto, Emma lo meritava. Accese il fuoco nella stufa, perché la stanza non fosse troppo fredda, apparecchiò il piccolo tavolino di fianco alla stufa come fosse l’angolino di un bar durante le Feste e passò nel cucinino.
Ben presto l’aroma di caffè misto al profumo caldo e avvolgente del burro di malga fuso si diffusero, favoriti dal calore che saliva dalla stufa, per tutta la stanza, arrivando fin sotto le lenzuola, dove Emma ancora dormiva beata. Ma anche lei, un po’ per fame, un po’ perché la notte aveva ormai fatto il suo corso, finì per arrendersi alla casa che prendeva vita.
“Francesco…” bisbigliò, ancora assonnata, cercando il marito nel letto vuoto a metà. L’uomo sbucò dal piccolo angolo cucina, con i pantaloni della tuta, la maglietta e un canovaccio sulle spalle, sorridendo dolcemente “Fröhe Weihnachten” le disse, dolcemente, quasi in soffio. Gli diceva che doveva applicarsi di più col suo tedesco e così, per dispetto e per gioco, lui ogni tanto se ne usciva con qualche parola o frase.  “Fröhe Weihnachten” rispose la donna, stiracchiandosi goffamente. Sembrava quasi una bambina, un piccolo esserino docile e fragile e poteva sembrarlo alle volte, ancora così magra e pallida, ma nascondeva una forza di volontà più grande delle montagne che circondavano la casetta sul lago. “Che stai combinando?” domandò alzandosi e raggiungendolo ai fornelli, con addosso solo la giacchina del suo pigiama di raso leggerissimo, troppo poco abbottonata per non distrarlo. Alzandosi leggermente sulla punta dei piedi gli stampò un bacio sulla guancia, ma con le mani si era intrufolata sotto alla t-shirt, come se nulla fosse. Oltre ad essere forte e docile allo stesso tempo, Emma sapeva essere anche una donna estremamente sensuale: forse lei non se ne rendeva nemmeno conto, ma Francesco, al contrario ne era pienamente consapevole e i suoi occhi e le sue mani indugiavano fin troppo spesso su quelle gambe lunghissime e su quel seno florido.
“Starei cercando di non bruciare la colazione” disse, sornione e divertito, versando un mestolo di pastella nel padellino “quindi se gentilmente ti accomodi” “E con questo cosa vorresti insinuare, sentiamo … ricominciamo con la solita storia, per caso?” “Niente affatto amore mio, ma se gironzoli intorno a me per altri 5 minuti conciata così, finisce che riprendiamo il discorso di questa notte senza spegnere i fornelli e brucio tutto” “Mmmm non sarebbe un’idea malvagia, ma magari a stomaco pieno. Non vogliamo sprecare tutto questo ben di Dio” “A Natale poi…” “Sia mai…”
Emma andò a tavola sedendo però scomposta come piaceva a lei e come – lo sapeva oppure no faceva poca differenza – mandava su di giri suo marito, con le gambe in bella mostra. Francesco, a quello spettacolo, fu costretto a concentrarsi ancora più attentamente su quello che stava facendo. Accese la radiolina che aveva nel cucinino e ringraziò che le uniche frequenze disponibili fossero in lingua tedesca: avrebbe dovuto impiegare il doppio dell’attenzione.
Da un vassoietto sul tavolo, pieno di biscottini natalizi, Emma prese una stellina alla cannella, sgranocchiandola distrattamente; ancora vagamente appisolata, impiegò un po’ a fare mente locale. “Aspetta un momento" si fermò, il biscotto a mezz'aria e squadrando il resto del tavolo "ma queste tazze? E i piattini?” “Buon Natale, amore” disse Francesco, gongolando soddisfatto ma senza staccare gli occhi dai fornelli.
Se c’era una cosa che Francesco amava di quel piccolo angolo di paradiso dove aveva il privilegio di vivere, era la possibilità di vivere in maniera estremamente frugale, senza alcuna forma di superfluo. Ma quello era il suo stile di vivere e non voleva imporlo ad Emma, sebbene lei sembrava condividerlo e adattarsi bene alla prospettiva di vivere con poco…o per meglio dire quasi nulla. “Vorrei che tu sentissi a casa qui” confessò, girando il pancake nel padellino. “Che stai dicendo? Perché non dovrei sentirmi a casa?” “No cioè…quello che voglio dire è che…vivere qui…non è una casa…nemmeno un servizio di piatti abbiamo. E volevo regalarti qualcosa che facesse più casa” “Ascoltami bene” gli disse, alzandosi e andando verso di lui; gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla dritto negli occhi. In passato, spesso le era toccato farlo perché lui rifiutava di affrontarla, quasi avesse timore di farsi leggere dentro da lei, ora era solo un piccolo gesto tutto loro, parte della loro routine di coppia, ma non lo davano mai per scontato “Non ho bisogno di nulla che mi faccia sentire in una casa”
Quando era tornata dall’ospedale, dopo l’intervento, aveva trovato la palafitta messa a nuovo, e dopo le nozze aveva ultimato persino la sistemazione della cucina. Ora avevano dei fornelli veri, un forno, un bagno decente e persino una lavasciuga nello sgabuzzino del retro. È vero, piatti e bicchieri erano spaiati e non ne avevano spazio per avere ospiti d’inverno, quando non potevano usare il tavolo sul terrazzo
 (Leo non faceva testo, era talmente piccolo), ma non aveva bisogno di alcun oggetto materiale che le desse una vita diversa da quella che aveva e che aveva scelto. Aveva detto sì, l’aveva detto davanti all’officiante e davanti a dei testimoni che forse avevano versato qualche lacrima di troppo per i suoi gusti ma l’avevano sentita chiaro e tondo.
“Sei tu la mia casa”
Lei non aveva molte cose di proprietà e la sua famiglia era quella che si era scelta e non quella che le era toccata per nascita: non c’era da stupirsi se la sua casa non era fatta di mura, di mobili e soprammobili, ma di affetti. Home is where your heart is, si dice in inglese: casa è dove è il tuo cuore, e per lei lo era davvero.
“E tu la mia” mise in chiaro lui, arrossendo mentre sorrideva placido. Sì, sotto quella pelle olivastra e naturalmente abbronzata, si scorgeva uno stralcio di rossore sulle guance. “E sai quando l’ho capito?” aggiunse. “Quando?” domandò lei, curiosa. “La prima volta che sei rimasta a dormire qui, quando ancora non stavamo insieme, quando sono tornato in palafitta dopo la passeggiata di Argo e avevi fatto il caffè”
Emma se la ricordava bene quella mattina, svegliarsi immersi nel silenzio più totale, al profumo del legno delle assi della casetta, e quello spettacolo della natura circostante a darle il buon giorno. E si ricordava anche lo sguardo di Francesco, la sua espressione sorpresa e riconoscente per una semplice tazzina di caffè. Era da un po’ che nessuno lo faceva, le aveva detto. Cosa? Preparargli un caffè? No, prendersi cura di lui.
“Io che ero ossessionato dall’idea di preoccuparmi per gli altri non avevo nessuno che si preoccupasse per me e quella mattina ho scoperto quanto è bello tornare a casa e trovare qualcuno ad aspettarti, qualcuno che ti faccia trovare anche solo un goccio di caffè caldo”
Sua moglie, Livia, non lavorava, aveva scelto di occuparsi di Marco mentre lui era via - non avevano problemi economici, se lo potevano permettere – ma ad esclusione della gioia di rivedere suo figlio, Francesco non aveva mai provato quella tenerezza quando rientrava a casa e c’era Livia ad aspettarlo. Era tutto dovuto, scontato.
“C’è mancato poco che mandassimo tutto in malora…” “Pochissimo” confermò lei, sospirando “ma siamo qua. È quello che conta”
Mentre le loro labbra si avvicinavano, teneramente, un odore di bruciato salì dai fornelli. “Ecco qua! Che ti avevo detto…vatti a sedere immediatamente, Giorgi, sei una guastafeste!” “E va beh, dai che sarà mai…” ridacchiò lei, prendendo un barattolo 
da uno dei pensili “quante storie...non c'è niente che un po' di Nutella non possa risolvere”

 

Salve a tutti! Da queste parti è un po' che torno, ma per il momento questo è l'angolo delle occasioni speciali. Permettetemi innanzi tutto di farsi un augurio di buon Natale, anche se è passato e di un buon anno che verrà! 
Questo capitolo si snoda in due momenti diversi e in due posti diversi (a cui il titolo) come avrete di certo notato. Nella prima parte siamo a metà tra la quarta e la quinta stagione, quando Emma è a Boston. Poi ci spostiamo un anno dopo, dopo la fine della quinta stagione quando i nostri piccioncini hanno coronato il loro amore (e nella mia storia ovviamente Emma è anche guarita dalla sua malattia). Per me è stata una nuova avventura perché non mi ero mai avventurata così indietro con questi due personaggi. Devo ammettere che mi hanno dato un bel po' di filo da torcere, ma spero che il risultato sia convincente e in linea con quello che ci ha fatti innamorare di loro (che è ben lontano da quello che spesso hanno raccontato nella serie, almeno per quanto mi riguarda).
Rinnovo i miei auguri e spero stiate seguendo, o vogliate seguire anche la mia altra "serie", Contro Ogni Ragionevole Previsione. Per tutti gli aggiornamenti e gli avvisi sapete dove trovarmi. A presto,
Fred ^_^
 
   
 
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