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Autore: elenatmnt    27/12/2022    2 recensioni
What If 3x01 in cui John non ha mai incontrato Mary e ancora si strugge per la morte di Sherlock quando lui ricompare.
Qualcuno che ama è morto e lui non ha potuto fare a meno di impedirlo. Una persona buona, pacata e gentile può mai diventare... un mostro?
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Note di quella che scrive:
Ecco la seconda ed ultima parte, spero tanto che questa storia vi sia piaciuta e mi auguro di aver reso giustizia ai personaggi ;)
Non mi resta che augurarvi buona lettura e ci vediamo molto presto (bolle già qualcos'altro in pentola).

P.S. Non sdegno i commenti, se vi va di lasciarne farete felice questa dilettante scribacchina ;) 

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QUESTO È IL MIO BIGLIETTO

SECONDA PARTE


 
“… E ti prego, c’è ancora una cosa, un ultimo miracolo Sherlock, per me. Non. Essere. Morto. Potresti farlo per me? Voglio che la smetti, smetti questa farsa”.


Ci aveva messo due anni, a quanto pare la farsa era finita.

“Sherlock?”
“Ciao John!”.

La penombra della stanza lo nascondeva bene, ma al di là dell’ombra John riusciva a vedere, riusciva a vederlo seduto sulla poltrona, riusciva a percepire quel sorrisetto soddisfatto di chi aveva fatto uno scherzo ed aveva ottenuto l’effetto desiderato.

“Tu… tu… Tu sei vivo…”.
“Si John. Sono vivo”.

John era un soldato.
Cosa saranno mai le emozioni per un soldato? Qualcosa di assolutamente gestibile, soprattutto per uno come lui. Allora perché diavolo stava soffocando nel proprio respiro?

“N…no. Tu, tu… No, non può essere”.
“John, so che sono saltato fuori dal nulla. Ora ti spiego…” disse con un tono dannatamente semplice, sicuro, fastidioso. Come se l’essersi finto morto fosse stata la cosa più normale del mondo.
“STAI ZITTO!” John sbraitò. “ZITTO!”.

L’ex soldato si avvicinò alla finestra, l’aprì e respirò a pieni polmoni l’aria gelida della notte.

Aria che entra. Aria che esce.

John tremava ed era furioso, incazzato. Ben presto l’istinto di mettere le mani addosso a Sherlock divenne estremamente intrattenibile, una sola mossa falsa e lo avrebbe riempito di botte fino a fargli perdere i sensi.
Richiuse la finestra e nella medesima penombra, senza mai avvicinarsi all’amico ritornato dalla morte, parlò pregando la propria ragione di trattenerlo da qualsiasi azione sconsiderata.

“Ora, Sherlock… voglio sapere… Perché”.
“Avevo tredici possibilità di salvezza davanti a me e…”
“No Sherlock. No. Non voglio sapere come, ho detto che… Voglio. Sapere. Perché”, ogni parola fu scandita con la determinazione del militare che era stato.

Sherlock sospirò.

Pensava che sarebbe stato più facile, credeva che John non reagisse in quel modo e che sarebbe finita a raccontarsi le vicende degli ultimi due anni davanti ad una tazza di tè. Si sbagliava.
Era fin troppo evidente quanto avesse torto.

“Non ti ho detto nulla John perché non volevo coinvolgerti. La catena di Moriarty andava spezzata e per farlo dovevo sparire, dovevo cogliere di sorpresa chiunque ci fosse dietro”.
“Ma perché non dirlo a me?”.
“L’ho fatto per… proteggerti”.
“Proteggermi e da chi? Da te?”

Sherlock tacque.

“Hai idea dell’inferno che ho passato? Mi hai lasciato a piangerti e ti ho pianto ogni fottutissimo giorno della mia vita. Tu… tu non puoi nemmeno immaginare cosa si provi”.
“John…”
“HAI IDEA DI COSA SONO DIVENTATO?”.
“Sei… mio amico”.
“Amico? Sai cos’è l’amicizia? Ne conosci il significato? Amicizia è esserci, è viversi, è contare gli uni sugli altri, è fiducia, è complicità, è rispetto, è…”, si fermò solo per dare un pugno al tavolo, così forte da far staccare via un pezzo di legno.
“Ti odio Sherlock. Ti odio!”.
“John…” no, Sherlock non si aspettava ciò che vedeva, ciò che sentiva.
“Vattene via! Vattene, potrei farti male. Non risponderò delle mie azioni se rimarrai un minuto di più. Vattene”.
“D’accordo John. È giusto”.

Sherlock si alzò lentamente dalla poltrona, i movimenti erano goffi e sconnessi; John era talmente adirato da non averci nemmeno fatto caso. Si avvicinò all’uscita e aveva la mano sul pomello quando il medico parlò.

“È che… sono proprio arrabbiato Sherlock. Sono talmente incazzato e stanco”.

Una giustificazione? Una spiegazione? O semplicemente un pretesto indiretto per non farlo andare via, per non vederlo sparire ancora una volta dalla sua vita. Per fermarlo dalla sua stessa richiesta.

“Lo so John e mi dispiace”.
“Perché sei ricomparso adesso? Perché ora?”.
“Perché ho finito. Ho fermato la catena di Moriarty” disse con il cuore in mano. “Volevo ripresentarmi da te in un altro modo, magari uscendo da un pacco con un fiocco in testa” rise tra sé. “La sorpresa psichedelica è andata a farsi benedire quando mi ha fermato una donna, una seccatura in realtà; mi ha colto di sorpresa alle spalle e mi ha detto di andare con lei. Con cortesia, le ho risposto che prima di tutto dovevo far visita ad un amico molto importante per me e che non sarei mancato a questo incontro per nulla al mondo… L’appuntamento con lei è solo rimandato”.

C’era qualcosa nel discorso di Sherlock che non aveva molto senso per John, lo guardò con un sopracciglio alzato, dubbioso di quelle parole.
“Chi era quella donna?”.
“La conosci bene… John… era… l’Oscura… Signora”.

Pronunciata l’entità di una donna che non esisteva, le gambe di Sherlock cedettero e ben presto si ritrovò riverso al suolo.
“Sherlock!” John gli corse incontro spaventato oltre ogni modo. Sollevandogli la testa e il busto, il soldato si accorse con orrore che Sherlock perdeva sangue dalla schiena. La penombra e l’estrema calma del detective, avevano nascosto la grave ferita agli occhi del medico.

Sangue, troppo sangue.

“John… mi… dispi…”.
“Sshh Sherlock. Non parlare, risparmia le forze”.

Stingendolo al petto e tamponandogli la ferita con le dita si rese conto che il suo amico era stato pugnalato, non era un foro di pallottola, era chiaramente una ferita da pugnale. Con la mano libera John tirò fuori il telefono dalla tasca e chiamò subito un’ambulanza.

“P… pronto? Pronto? Sono il Dottor Watson, mi serve un’ambulanza in Clapham Road 7, ora, è un’emergenza. Ferita d’arma da taglio. Vi prego fate in fretta!”.

Aveva iniziato con una parvenza di professionalità che era andata a farsi fottere mentre guardava l’amico morire una seconda volta. E questa volta, quella vera.

“Resisti Sherlock. Ti prego rimani con me. Non lasciarmi. Sherlock, no non chiudere gli occhi. Guardami”.

Disperato.
Sconfitto.

L’Oscura Signora era arrivata per il suo appuntamento.


***


“Shock ipovolemico?”.
“Si, proprio così. La ferita non ha leso organi vitali, ma ha perso molto sangue. Troppo”.
“Gli avete somministrato soluzioni cristalloidi? Avete monitorato…”.
“Abbiamo fatto tutto il possibile” lo interruppe prima che fosso travolto da un attacco di panico.
“Somministrategli altre sacche di sangue”.
“Non ne abbiamo a sufficienza”.
“Prendetele da altri ospedali, allora”.
“Conosce bene la politica morale dell’ospedale, dottor Watson. In quanto ex dipendente accanito di sostanze stupefacenti, gli altri ospedali non sono disposti a… collaborare”.
“Questa è barbaria!”
“No, è il codice morale che conosce fin troppo bene. Mi dispiace”.
“Prendetene ancora da me, allora”.
“Lo sa che non è possibile. Vuole farselo venire lei uno shock ipovolemico?”.
“Maledizione! Il mio amico sta morendo”.
“Lo so e me ne rammarico profondamente. Tuttavia, se supera la notte forse avrà ancora una possibilità. Ma, da dottore a dottore, non voglio darle falese speranze. Mi dispiace dottor Watson, non ci resta che pregare”.

Pregare.

John rimase da solo, impotente a guardare il suo migliore amico morire per la seconda volta. Gli si sedette accanto e, in un gesto puro, gli strinse delicatamente la mano. Era come se in quel semplice gesto, John lo tenesse avvinghiato alla vita, e mai lo avrebbe lasciato andare via.

“Sherlock, non farmi questo. Sarebbe troppo. Ti supplico, non… non morire di nuovo. Non lo sopporterei. Sei già morto una volta e ho toccato il fondo, sono affogato nello squallore della disperazione e non posso… non posso farcela da solo. Lo capisci vero?”

Si era portato la mano di Sherlock sulla guancia.

“Rispondimi ti prego. Parlami”.

John poteva chiamare Mycroft, quell’uomo avrebbe smosso mari e monti pur di salvare suo fratello, il problema maggiore era che non c’era tempo. Sherlock non ne aveva più.
I suoni delle lancette dell’orologio parevano il conto alla rovescia della sua vita.

Era nelle domande senza risposta, era nella solitudine, era nel rivangare dei ricordi che a John venne un’idea. Un’idea che racchiudeva l’ultima possibilità.
Si alzò immediatamente, controllò nei cassetti dell’attrezzatura medica di avere ciò che gli occorreva, e sì. La speranza non si riduceva ad una preghiera, la speranza era fatta di azione.

Con vigore, John chiuse la porta a chiave. Calcolò velocemente i tempi di reazione; nella peggiore delle ipotesi avrebbe avuto dieci minuti, nella migliore almeno il doppio.
Appoggiò tutto ciò che gli occorreva sul tavolino medico accanto al letto, si legò un laccio emostatico al braccio più vicino Sherlock, si diede due colpetti per far sollevare la vena, scelta la zona di inserimento John la disinfettò accuratamente prima di inserirsi l’ago.

Gemette lievemente.
Poi sottopose Sherlock alla stessa procedura.

Non avrebbe guardato il suo amico morire, se c’era qualcosa, anche la più assurda che avrebbe potuto fare, John l’avrebbe fatta.
Ed eccolo deciso a privarsi di tutta la quantità necessaria di sangue per di salvarlo.

“Tra poco starai meglio Sherlock. Andrà tutto bene. Ci penso io a te” disse sedendosi calmo accanto al suo amico. Nuovamente gli strinse la mano.

Nell’attesa di qualsiasi cosa sarebbe accaduto da lì a pochi minuti successivi, gli occhi di John si posarono sulla cartella clinica di Sherlock, c’erano dei fogli e una penna…

Passò qualche minuto senza che nessuno si accorgesse dell’accaduto, fu un’infermiera a scoprire il gesto apparentemente sconsiderato del Dottor Watson.
“Dottore che sta facendo? Apra la porta”.
“Dottor Watson non lo faccia”.

Un gruppo di medici, infermieri e agenti della sicurezza si erano avvicinati alla porta col tentativo di forzarla, tutti lo guardavano dalla parete di vetro e con volti sconvolti lo supplicavano di smetterla.
John guardava la moltitudine di gente agitata, sentiva le urla delle loro suppliche, incassava le minacce eppure non si mosse da quella sedia. Il suo posto nel mondo era in quella stanza accanto a Sherlock e salvarlo… Strapparlo dalle mani di Dio.

John sorrise.

Non ricordava nemmeno l’ultima in cui il suo viso apparisse sereno e gentile. E nonostante tutto, andava bene così. Sherlock era ancora vivo e lo sarebbe stato ancora per molto tempo.
Non ci fece nemmeno caso quando tutto intorno divenne ovattato, sfocato, senza alcun odore.
Ad un certo punto, qualcuno lo scosse per le spalle.
 
Chi era e quando era arrivato? Non gliene fregava niente. La vita si spense, tutto divenne buio e in quel buio, la pace.
Nel buio, lei. L’Oscura Signora.

“Pren…di…me…”.


***


Il mondo gira abbastanza in fretta, specialmente dopo essersi risvegliati da un sonno lungo tre giorni.
La poca luce filtrata dalle finestre gli bruciava gli occhi e l’odore nauseante di litri di dopobarba gli facevano venire la nausea.
Un odore che Sherlock conosceva fin troppo bene.

“My…croft…”.
“Ben tornato fratello”.
Il detective non rispose subito, preferì mettere a fuoco la vista e recuperare l’uso di tutti i sensi prima di continuare una qualsiasi conversazione con suo fratello.
“Dove…”.
“Sei a Baker Street. Ho preferito riportarti in un luogo familiare per affrontare la tua convalescenza”.
“E… da quando preferisci riportarmi in un posto che amo, piuttosto che farmi legare mani e piedi ad un letto d’ospedale contro la mia volontà?”.
“Non essere assurdo Sherly”.
“Non chiamarmi così”.
“Cosa è successo?”.
“Non ricordi niente?”
“Non molto”.
“Hai fatto fuori l’ultimo anello mancante della catena di Moriarty, ma questi ti ha pugnalato prima che tu ponessi fine alla sua vita. E piuttosto che correre in ospedale, hai preferito fare a modo tuo (da incosciente s’intende) e sei corso da John. Incurante del fatto che stavi perdendo un’eccessiva quantità di sangue; sei quasi morto, sei andato in shock ipovolemico”.
“Interessante. Si aggiunge alla mia lista di mancati strambi trapassi… Dov’è John?”.

Il volto di Mycroft cambiò completamente mimica, non era da lui far trapelare la benché minima espressione; mai nessun sentimento filtrava dai lineamenti risoluti dell’uomo con l’ombrello. Qualche volta le cose cambiano. Sherlock poteva anche fingere di non essersene accorto, ma non era così.
“Sherly…”.
“È la seconda volta che mi chiami in questo modo, nonostante la mia elementare richiesta di non farlo. C’è qualche motivazione nostalgica che ti riporta al mio nomignolo fraterno?”.
“Ecco…”.
“No non mi interessa” affermò non curante. “Dov’è John?”.
Mycroft si alzò dalla sedia per dirigersi più lontano, come se fare qualche passo distante dal fratello minore, lo salvasse da ciò che stava per dire.
“Sherlock…”.
“Trovo al quanto disturbante il tuo titubare. Trovo irritante dovermi ripetere. Trovo sospettoso il tuo temporeggiare. Ora Mycroft, potresti gentilmente rispondere ad una semplice domanda? Te la ripeterò una terza e ultima volta. Dov’è John?”.

Mycroft sparò a zero.

“John non c’è più”.

Il tempo si fermò.

“Come prego?”.
“Hai sentito perfettamente Sherlock. John non c’è più!”.
“È uno scherzo vero? Che cosa significa?”

Sherlock non si sconvolse più di tanto, era assolutamente convinto che fosse tutta una farsa, una stupida farsa inscenata da John per vendicarsi.

“Sherlock… eri spacciato. John si è sacrificato per salvarti. Si è chiuso nella stanza d’ospedale con te e ti ha donato tutto il suo sangue. Se sei vivo, è grazie a lui”.
“Non credo ad una sola parola”.
“Non devi credere a me. Credi a lui”.

Mycroft gli porse un biglietto, si voltò con la discrezione di un perfetto inglese e con passi lenti uscì dalla stanza.
Sherlock rimase solo.


Ciao Sherlock, se stai leggendo questo biglietto significa che sono morto.
Ho provato a fare del mio meglio, a voltare pagina, a ricominciare a vivere; ma non ci sono riuscito. La verità è che sono un vigliacco e senza di te non ero niente. Non fare il mio stesso errore, vivi.
Goditi la vita in ogni piccolo dettaglio che sai cogliere, gioisci delle piccole cose, perché è in esse che risiede la felicità.
Come vedi, questo è il mio biglietto. È così che fanno le persone, giusto?
Addio Sherlock.
JW.

Oblio. Vuoto. Morte.

Sherlock rimase immobile. Muoveva le labbra ma non usciva suono, in realtà tremavano; voleva piangere ma non uscivano lacrime; cercava aria e non ne entrava nei suoi polmoni.
Le mani si strinsero sgualcendo le ultime parole di lui.

Lui, John.

“JOHN!” si sgolò tale ad un demone dell’inferno.

Il viso si contorse in rughe rabbiose, gli occhi si riempirono di sangue, le vene del collo pulsavano impetuose, il viso divampò come fuoco ardente. Le mani strinsero le lenzuola, così forte da sbiancarsi le nocche.

Urlava, imprecava, sbatteva.

E poco gli importava di essere caduto sul pavimento e di essersi riaperto la ferita, lui chiamava John.
Mycroft gli corse incontro, bloccandolo per le braccia, lo strinse per fermarlo.
Grida.

“Sherlock fermati”.

Non lo ascoltava, sbraitava e basta.

“Ti stai facendo male”.

Al diavolo il dolore.

Il maggiore degli Holmes bloccò Sherlock a terra e lo lasciò dimenarsi come una bestia per tutto il tempo di cui necessitava. A poco a poco finirono le forze, finì la voce, finì lo strazio. Arreso al suolo, sotto la presa salda di Mycroft, Sherlock scoppiò in lacrime e mai nella sua vita si sarebbe aspettato l’impossibile che diventava realtà. Mycroft lo sollevò e lo strinse tra le braccia.

“Si così da bravo. Respira” lo calmava accarezzandogli i capelli.
“Non è vero… Jo..hn…” singhiozzava.
“Calmati, respira”.
“Myc…”.
“Sherly, non ti abbandonerò. Sono stato chiaro? Non sei solo fratello mio”.

Il detective non rispose, quelle parole gli lavarono l’anima, ma era troppo sporca di disperazione per farla tornare linda. Affondando il viso nel petto di Mycroft, Sherlock pronunciò una preghiera, una supplica che conosceva a memoria, incisa a fuoco nel suo cuore da due lunghi anni.

“… ti prego, un ultimo miracolo John, per me. Non. Essere. Morto. Potresti farlo per me? Voglio che la smetti, smetti questa farsa…”.


***


Sherlock era impegnato a scrutare attraverso il suo microscopio, erano piegato sull’oggetto da almeno cinque minuti, osservando ogni minimo dettaglio dell’immagine ingrandita.

“Del tè Sherlock?”.
“Con del latte”.
“Non sono la sua governante”.
“E qualche biscotto”
“Non sono la sua governante!”

La signora Hudson non sarebbe cambiata mai, la sua premura e il suo chiacchiericcio inutile erano parte di quelle piccole gioie della vita, della quale Sherlock non si sarebbe privato.
Il campanello della porta suonò insistentemente un paio di volte prima che la Hudson decidesse di andare ad aprire.

“Sherlock caro, ci sono visite”.
“Dica a chiunque sia che non ci sono” disse senza togliere gli occhi dal microscopio.
“Ma è già qui”.
“Se è un cliente gli dica che non accetto casi idioti quali: tradimenti, spetti sumeri nel frigorifero e il gatto della vicina ha ucciso il mio pappagallo”.

La signora Hudson non rispose più.

“Il caso dell’uomo che torna dall’aldilà lo accetteresti?”.

Quella voce. La sua voce.
Lui.
 
“John?!”
 
“Sherlock!”.

 
***
 
FINE.
   
 
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