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Autore: Cladzky    30/12/2022    1 recensioni
[Storia scritta come regalo di Natale a scoppio ritardato per un amico senza il quale avrei smesso di scrivere anni fa, oppure peggio]
Dz, colto nei preparativi per la stagione Noh invernale, cerca di dimenticare la sua condizione. Purtroppo, un buffone recidivo, decide di fargli visita in memoria del loro primo incontro.
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò la mattina prestissimo. C'era molto lavoro da fare, ma non era per quello. Aveva sognato abbastanza. Sempre le stesse immagini davanti gli occhi. Basta. Doveva fare qualcosa. Corse fuori casa che era ancora buio e fu tentato di tornare normale ma non poteva in quelle strade così umane. Anche al largo dell'isola l'avrebbero trovato. Era prigioniero del suo corpo. Se fosse saltata la sua copertura avrebbe buttato un'eternità di adattamento all'aria. Ma perché continuare a vivere in questo modo? Amare l'umanità valeva tanto da vivere come loro? Ridursi al loro stato? Ma perché ne parlava come esseri inferiori? Dentro di sé sentiva il suo potere che lo chiamava, lo implorava di essere usato. Era l'istinto della sua razza, quello di distruggere ogni nemico, ma era talmente astratto questo avversario che provava l'impulso di radere al suolo ciò che vedeva. Forse allora sarebbe stato tutto più tranquillo nella sua testa. Un mondo silenzioso.

"Ehi, tu."

Dz si voltò. Un poliziotto in bici suonava il campanello smontando.

"Serve una mano?" Riprese l'agente.

"No, grazie" Scosse la testa, stralunato. Aveva davvero pensato quelle cose? Di fare del male a tutti? Perché non poteva volergli bene come loro fratelli? Non lo erano. Non lo sarebbero mai stati fintanto che mentiva loro. Ma non poteva dire a nessuno ciò che sapeva. 

"Lo so io di che hai bisogno te, di dormire" Fischiò il poliziotto.

"Mi sono appena svegliato."

"E io ho appena finito il mio turno, eppure abbiamo la stessa espressione. Anzi, sembri invecchiato di mille anni, ragazzo."

L'uomo se ne andò per la sua ronda, mentre Dz rimase lì impalato. Si tastò il viso e lo trovò duro come pietra. Grazie a dio l'uomo non si era accorto che aveva riassunto i suoi connotati originali nel buio.

"Penso troppo" Si disse.


***


Dz non era un nome comune in Giappone e se aveste chiesto a uno dell’isola di pronunciarlo avrebbe detto “Diziru” e di fatto lo chiamavano. A lui non importava, in fondo non esisteva un vero modo corretto per pronunciare il suo nome con l’apparato vocale umano. La sua di lingua era molto simile a quella dei pachipleurosauri, ovverosia morta e sepolta, all’infuori della sua famiglia, di cui non restava poi molto. Lui si asteneva dal correggerli, finché lo credevano un turista anglofono andava tutto bene. 

Era apparso di colpo, privo di documenti, senza soldi o la benché minima conoscenza di come le cose funzionassero nella civiltà umana. Quando era sbarcato sull’isola di Sado non sapeva neppure si chiamasse Sado. Era giunto da nord, dopo aver superato il Pacifico in una nuotata continua con solo mezzo cervello sveglio ed era notte. Pensò allora, tramutato in primate, di appollaiarsi su un albero e dormire già che c’era. Certo che muoversi in giro calpestando rocce, graffiando corteccia e strusciato dalle foglie non era facile con quella pelle tanto delicata addosso. Ma i tempi dei rimpianti erano finiti. Quando si svegliò all’alba raggiunse l’altro capo dell’isola e si rese conto di non essere davvero su Sado, ma su quell’isolotto scogliero che avrebbe poi imparato chiamarsi Futatsu. Calato dalla scogliera, attraversò la bassa marea fino a toccare terra e trovò una spiaggia deserta, con cartelli indecifrabili. Si spostò verso la struttura più vicina, dei bagni pubblici e ci sbirciò dentro timoroso, incapace di capire a cosa servissero quei vasi di porcellana. Era in dubbio se sentirsi sollevato o meno della mancanza di persone. Salì una scalinata di pietra fino a raggiungere i bungalow di un’area campeggio, anche questi deserti, oltre che una stazione di servizio chiusa su cui crescevano rampicanti. Tirò su per una strada asfaltata silenziosa, seguendo dei tralicci di corrente. Tirava un vento gelido fra le fronde e non capiva questa mancanza di esseri viventi. Avrebbe poi imparato che si trattava della bassa stagione.

Trovò qualcosa di più promettente, un hotel basso e largo, dai tetti spioventi rossi e nel parcheggio si trovava un furgoncino bianco. Si affacciò ai vetri impolverati, esplorando i corridoi scuri con lo sguardo, fino a quando altri due occhi non lo guardarono dall’altra parte. Presto una simpatica signora uscì dalla porta e lui le si fece incontro con quel fare gentile che si adopera coi gatti randagi. Di tutta risposta lei presentò il concetto di scopa alla sua testa. Scappato a gambe levate, dovette ammirare come, visti in proporzione, gli esseri umani potessero essere temibili quanto lui. S’imboscò in un bosco tanto in profondità finché non si reputò al sicuro e ragionò su cosa avesse sbagliato, abbeverandosi al primo ruscello che trovò. Forse era il fatto che non parlasse la sua lingua, oppure che la stesse spiando, ancora che non indossasse vestiti. Nel resto della giornata proseguì ad addentrarsi nell’entroterra con circospezione, osservando molti altri animali, dallo scarabeo bronzeo sbucante dalle radici al cervo shika sgambettate lontano fra gli arbusti, fino all’ibis crestato su in cielo, dove la radura lo permetteva. Ma dell’uomo nessuna traccia.

Il giorno seguente si prospettò il problema della fame. Fintanto che era un rettile gigantesco poteva nutrirsi di poveri calamari giganti degli abissi come i capodogli, se non i capodogli stessi, ma ora come poteva procacciarsi il cibo con un corpo del genere? Provò a prendere al volo una povera mantide e la buttò giù in un boccone. Lui non era ancora abituato all’idea di masticare e la mantide non lo era all’idea di morire ancora tutta intera e quella scappò facendosi sputare a mò di fendenti all’ugola. Corso a calmarsi i dolori al fiume Jorenbo fece uno strano incontro. Sollevando gli occhi dai flutti, vide che dall’altra parte del fosso ci stava un gruppo di signori in saio nero, con calati in testa dei grossi cappelli di vinimi a forma di ciotola rovesciata e con un capofila brandente un grosso bastone pieno di sonagli. Temendo che quell’anziano l’avrebbe riempito di botte come successo con il suo ultimo incontro uomo a uomo, se ne stette sull’altra riva, seduto su un masso muschioso a studiarli e quelli studiavano lui di risposta. Se ne stettero così per un po'. Infine, con ampi gesti, gli fecero cenno di qualcosa. Non sapeva se lo stessero scacciando via o meno, dunque provò ad avanzare e quelli parvero sorridere. Scalò la parete terrosa e quelli gli fecero spazio a semicerchio. Rimase un attimo a scrutarli ora che ne aveva l'occasione e li guardò dritti nel viso, notando ogni differenza somatica, dal più giovane al più vecchio, dal più bianco al più scuro, dal naso sporgente a quello schiacciato. Il capo della brigata abbassò il suo torso per poi rialzarlo. Così fece quello immediatamente al suo fianco e via tutti gli altri di seguito. Alla fine lo fece anche lui e loro sembravano contenti. Ripresero il cammino nella foresta e gli fecero gli stessi cenni di prima per farsi seguire.

Fu così che, senza saperlo ancora, entrò a far parte dell'organizzazione monastica locale, di ritorno da una loro piccola escursione al santuario buddhista di Komyobutsuji. Così almeno s’immaginava che fosse andata. Dovettero uscire dalla foresta che era diventata notte, con il silenzio ancora più fitto e le luci del monastero spente, attraversavano l’arco di legno ed entravano nel cortile Kumano. Se lo vedeva davanti che gli davano un takuhatsugasa, un bel vestito da adepto e proseguiva a vivere con loro imparando la lingua e come diavolo funzionasse il mondo in cui era capitato. Magari gli davano anche un soprannome, come Kintarō essendo un buon selvaggio. Un essere antico come lui doveva avere una velocità di apprendimento elevata. E da lì in poi, una volta avuta sufficiente comprensione di come vivere da solo, avrebbe ringraziato e partito per cercare un lavoro. Che lavoro? Boh. Magari in nero per conto di Chikao Tanaka, con l’età serviva qualcuno ad aiutare sul peschereccio. O ancora dietro il bancone di quel barista… ricordava il nome? No, non lo ricordava. Però qualcosa doveva pur farlo anche adesso. Non era possibile che a fare il babysitter per Akio potesse fruttargli abbastanza da pagare ogni tassa. Pagava le tasse? Un mutuo? Onestamente non si ricordava di aver visto casa sua durante quella vecchia visita. Quante domande che gli rimanevano e tutte le risposte che si era dato da solo potevano benissimo essere false.

“Hai voglia di fare congetture ancora a lungo?” Lo interruppe Mark. Cladzky scosse la testa.

“Scusa, ragionare ad alta voce mi aiuta a concentrare" Replicò il ragazzo, socchiudendo gli occhi quando la stella sfolgorò come un’esplosione dietro la circonferenza del pianeta. Si tirò giù la visiera e riportò ambo le mani sulla cloche per iniziare l’entrata nell’orbita.

“È così dura riprendere a guidare dopo così tanto tempo?” Squillò il computer che ronzava sotto i comandi. Il pilota spense i motori e verificò l’altimetro, cominciando la caduta orbitale.

“Me lo ricordavo più divertente” Spense il riciclo dell’aria. Fra poco avrebbe potuto pressurizzare quella dell’atmosfera “Una settimana solo in tua compagnia non l’augurerei a nessuno.”

“Una settimana non è poi così lunga se pensi che ci siamo fatti un migliaio di anni luce da Gamma Capricorni.”

“Saremmo arrivati più in fretta se non fossimo così in sovraccarico” Il ragazzo adocchiò i misuratori della stiva e si compiacque che, anche in fase di bruciatura all’ingresso, i valori di temperatura rimanevano quasi allo zero Celsius.

“Sei tu che insisti a trasportare la merce su questo trabiccolo monoposto. È già tanto che siamo partiti.”

“Ti ricordo che il trabiccolo sei tu. Potrei mai rinunciare a te?”

“Mi spezzerebbe il cuore se ce l’avessi.”

“Ma dove lo trovi un altro pilota come me?”

“È questo il bello. Da nessuna parte.”

“Sai, ero sicuro avessi detto che mi amavi una volta.”

“Tranquillo, sono cose che si dicono senza pensare.”

“Che potresti benissimo stare senza di me?”

“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.”

“Dio, a forza di starmene chiuso qui dentro a parlarti è un miracolo che non sia impazzito” Rise, osservando il luccichio dell’acqua dietro le nubi.

“Forse lo sei già” Mark 0, agendo da assistente di volo, inclinò maggiormente il muso del velivolo verso l’alto e disconnesse l’aria condizionata “Nelle ultime ore parlavi da solo ancora in merito a quella vecchia storia.”

“Certa gente ti segna Mark” Virò a dritta per buscare una corrente d’aria favorevole “Non posso fare a meno di chiedermi da dove venga.”

“Credo lui si ponga lo stesso interrogativo” Mark gli fece prendere quota per evitare una perturbazione.

“Dici davvero?” Scese piuttosto in picchiata per recuperare lo spazio necessario all’atterraggio in aeroporto.

“Certo, nel bene e nel male tu sei un essere da antologia. L’aveva detto anche lui, no?”

“Per essere un umano sono davvero eccezionale. Sì, qualcosa di simile” Accese la radio per entrare in contatto con la torre di controllo.

“E tu che complimenti gli hai fatto?”

“Ora come ora non mi viene in mente.”

“Tipico da parte tua”

“Sicuramente qualcosa gli ho detto. Magari dei complimenti sulla sua tinta perfetta.”

“Solo tu puoi parlare di messe in piega con un mostro inenarrabile.”

“Dz non è un mostro, è un… kaiju credo avesse detto.”

“Che si traduce in mostro inenarrabile” Lo spazio porto era in vista davanti a loro. Una lunghissima pista posta su piloni sommersi “Anche se Dz non è proprio il nome che uno si aspetterebbe per qualcosa come lui.”

“Aveva detto che si chiamava Donatozilla” Rammentò Cladzky, proseguendo lungo la pista.

“Credi che si chiamino tutti Zilla nella sua famiglia? Magari sua sorella è Robertazilla.”

“Ammetto che anch’io mi aspettavo un nome migliore.”

“Qualcosa di bello come Cladzky, vero? Sputi un dente a pronunciarlo.”

“Hai sentito quelli all’anagrafe, hanno detto che per cambiarlo di nuovo serve una motivazione valida stavolta” Fermò il velivolo.

“Non farsi ridere dietro sembra un’ottima motivazione.”

“E allora la prossima volta vieni con me che ti porto da un elettrauto e ti faccio riprogrammare come Er Monnezza.”

Cladzky si sganciò dal sedile e aprì la fusoliera, venendo accolto dal sole australe di Kepler 22. Scese con due balzi giù per la fiancata del disco e venne incontro le autorità spazioportuali. Mark lo seguì, sotto forma della sua unità mobile. Aprirono la stiva refrigerata, ben meno stretta della cabina di pilotaggio, venendo accolti da una ventata gelida. Ora li aspettava un lungo scarico per i cinquantamila litri d’estathé per tutti i baretti della contea.


***


“Ehi, Akio” Dz si sporse dal ciglio del teatro, agitando il martello “Fa freddo, eh?”

“Che fai là sopra?” Alzò gli occhi il bambino da sotto il berretto. Dz si sedette sulla linea di colmo.

“Do una mano a risistemare il tetto per l’inverno” Indicò la guaina impermeabile sopra cui avrebbero poi dovuto montare le tegole.

“Sta venendo bene” Si complimentò il più basso, osservando il palco in assi di cedro.

“Devi vedere che bel pino hanno dipinto per lo sfondo” Riprese a battere i chiodi per stendere il sottostrato.

“Finalmente ne abbiamo anche noi uno” Fece per riprendere a camminare.

“Quest’anno quando cominciano le ferie invernali?” Tirò fuori un chiodo storto adoperando la penna dello strumento.

“Dal 24 dicembre siamo liberi. Dicono che ci lasciano festeggiare il Natale” Saltellò sul posto.

“Non sapevo festeggiaste il Natale” Si riagganciò il martello al cinturone.

“Neppure io, ma è sempre bello quando la scuola finisce prima.”

“Con la prossima circolare magari vi danno anche i pantaloni lunghi” Prese a stendere la malta.

“Magari” Rabbrividì un momento nella sua uniforme e già se ne andava incontro a un suo gruppo di amici poco più avanti. Dz continuò la sua opera e stese la prima tegola in argilla scura. In tutta la sua vita aveva atteso ad ogni singolo teatro Noh dell’isola di Sado e voleva che anche quello del suo quartiere fosse sullo stesso piano del più antico di tutti. La sua memoria andava a sfumare un momento, chiedendosi se fosse già presente quando edificarono il primo. Sicuramente era nato, ma c’era di persona? Era passato tanto tempo che quasi se l’era dimenticato. Ne aveva viste di cose nella sua vita e nessuno avrebbe potuto immaginare cosa avesse passato, benché molti suoi amici avessero tirato a idnovinare ma andava bene così. E poi anche lui non aveva visto tutto. Infatti non aveva mai assistito alla fondazione dell’ultimo teatro Noh, e sperava di non assistervi. C’erano ancora tante cose da imparare. Tanto per cominciare non ne aveva mai costruito uno in quei settecento anni che esisteva la pratica. Non che lo costruisse da solo, c’era tutta la comunità dietro. Ed era bello sapere di farne parte. Eppure, in quelle notti troppo silenziose, ogni tanto ci pensava a quanto fosse un impostore.

“Dz” Lo richiamò una voce più in basso. Quasi scivolò giù dalla fiancata per la sorpresa. Guardò in fondo la scala e vide la signora Kadenokōji, in veste da imbianchino, con delle latte sotto braccio “Scusa, ti ho spaventato?”

“No, ho solo dormito male” Si grattò la testa e quasi stava per spalmarsi la malta sul viso prima che se ne rendesse conto “Non preparavate il nihonshu oggi?”

“Infatti, abbiamo messo il riso in saccarificazione” Dz annuì. L’aveva aiutata giusto l’anno scorso e ancora non gli era chiaro come funzionasse il procedimento. Lei continuò “Hai finito con la guaina?”

“Sì, stavo iniziando a posizionare le kawara.”

“Lascia fare, hanno detto che domani viene una nevicata mostruosa” Gli fece cenno di scendere e così fece. Questa gli diede latta e pennello “Dobbiamo stendere la resina sul legno.”

“È tutto di legno” Guardò la struttura dall’alto in basso.

“In due ci metteremo la metà del tempo.”

Dz mescolò il pelo nella miscela e stirò la prima pennellata sul primo pilastro. Per fortuna c’era sempre qualcosa con cui distrarsi.


***


    Guardate verso la costellazione del Cigno. Immaginate ora di giocare a bocce. Anche lanciando tutte le sfere nella stessa direzione, queste giungeranno sempre a una distanza diversa da voi. Le stelle funzionano così. Corpi che sembrano brillare l'uno accanto all'altro, sono in realtà posti ad un intervallo infinitamente grande. Questo era il caso di Kepler 22, nana gialla isolata da ogni altro sistema, e la sua unica compagna era quel pianeta terroso chiamato, con molta fantasia, "Kepler 22 b". Non fu così per molto tempo non appena qualcuno scoprì come adoperare la massa negativa per creare un cunicolo spazio-temporale e colonizzare quel pianeta in tempo zero, non prima però che qualcuno partisse per la trasbordata di 620 anni luce con una navicella tradizionale e in animazione sospesa, con arrivo previsto, a velocità dimezzata rispetto ai fotoni, entro 1240 anni, salvo imprevisti. Qualcuno pensò di andarlo a recuperare ora che la missione era inutile, ma considerarono molto più divertente farlo sbarcare dopo più di un millennio e fargli una sorpresa. L’umorismo umano fu presto temuto in tutto l’universo.

    "Kepler 22 b" divenne una simpatica meta turistica per surfisti, essendo coperto quasi interamente da oceani. Non fu trovata alcuna forma di vita, almeno fino a quando qualche natante non sparì sott'acqua afferrato da chele gommose estremamente lunghe. Nonostante ciò il turismo non diminuì. Dava un senso di emozione sapere che potevi essere divorato da entità invisibili degli abissi da un momento all'altro. Come la gente che non riesce a stare lontana dall'Area 51 o dall'invadere i campi da calcio, pur sapendo che in ambo i casi sussiste l'annichilimento molecolare immantinente e perentorio.

    C’era chi preferiva restare in spiaggia, spiagge bianche come neve, di origine organica. Questo era il caso di Cladzky, che se ne stava spaparanzato in una deserta la mattina presto.

    “Ci voleva una bella vacanza, vero Mark?” Poggiò il mento sulle mani intrecciate il ragazzo, rigirando il ventre sulla sdraio.

    “Noi robot non abbiamo bisogno di una vacanza” Sbuffò il rover parcheggiato ai suoi piedi. I suoi pannelli solari brillavano tanto sotto il sole che dovette distogliere la sua vista, togliersi gli occhiali da sole e strofinarsi gli occhi, sbadigliando dalla stanchezza.

    “Possibile non ci sia niente che ti faccia stare bene?” Guardò il cielo talmente limpido da essere verde.

    “Un lavoro ben fatto mi fa stare molto bene”

    “Oh, non hai sentimenti” Si scrocchiò la schiena sporgendo fuori dal bordo e lasciando che la gravità gliela piegasse, avvicinando i capelli alla rena “Credevo che voi intelligenze artificiali ragionaste come noi.”

    “È diverso. Io non ho nervi. Non posso sentire quanto fa caldo. Posso misurare la temperatura, ma è ben diverso. Potrò aver bisogno di far lavorare di più il mio circuito di raffreddamento, ma è finita lì. Per me non comporta niente a livello di sensazioni, è solo stress per tutto il lavoro che devo svolgere. Quando svolgo un lavoro vuol dire che non ci devo pensare. E quando non penso sto molto bene.”

    “D’accordo, scusa, mi devo ancora abituare all’idea” Si tirò su e si coricò d’un lato. Stava cercando la posizione giusta ormai da un paio d’ore “Allora senti questa: Qual è l’ape più difficile da digerire?”

    “Cosa?”

    “La peperonata” Si mise gli occhiali da sole con un sorrisetto da idiota.

    “Che brutto giorno per avere l’udito” Fu il mesto lamento vibrato della sua laringe elettronica.

    “Speravo che almeno le battute funzionassero a tirarti su l’umore. Sei proprio senza cuore.”

    “Le battute devono essere ben fatte, come questa.”

    “Quale?” Provò a chiedere, prima che il suo sole fosse oscurato da un viso pesciforme. Il ragazzo si tolse gli occhiali e si vide davanti un nativo del sistema Delphini che lo squadrava coi suoi occhi neri da squalo. Al suo contrario aveva dei vestiti addosso, vestiti da bagnino. Evidentemente la spiaggia per nudisti prevedeva comunque un’uniforme. Ci fu un silenzio interrotto solo dall’infrangere delle onde.

    “C’è qualche problema agente?” Lo scrutò strizzando le palpebre. Quello indicò un cartello lì accanto con le sue mani palmate, ma Cladzky non sapeva leggerlo. Mark lo aveva precedentemente assicurato trattarsi solo del dress code per la località, ovvero niente. Il tizio gorgogliò.

    “Non sai leggere?”

    “Neanche una parola.”

    “Allora copriti con l’asciugamano e vattene, stai dando un indecoroso spettacolo.”

    “Ma come, questa non è…?”

    “No, quelle sono due miglie più in là.”

    “Ah” Esclamò, alzandosi seduto e guardando come, senza che se ne accorgesse, il resto della spiaggia fosse stato occupato da brigate di amici, famiglie e pure scolaresche in gita, che lo guardavano storto all’unisono nella loro superiorità conferitagli dal costume da bagno. Diede  a sua volta un’occhiataccia a Mark 0, che se ne stava innocentemente immobile. Scusandosi con garbo si alzò, caricò l’asciugamano in spalla e nell’altra la sdraio tascabile, dirigendosi verso il parcheggio, scavalcando un signore steso con l’asciugamano a terra. “Giuro che ti rottamo, Mark.”

    “Copri quello schifo” Si lamentò un Galileiano coprendosi per primo, almeno gli occhi, tutti e sei.

    “Per te non sarebbe abbastanza” Sbuffò il castano alla figura legnosa.

    “Ai miei tempi si aveva rispetto della pubblica decenza” Agitò un pugno cheratinoso il Mi-go Plutoniano.

    “I tuoi tempi sono passati ma tu rimani ancora a romperci i coglioni” Lo saltò l’umano.

    “Tutti uguali voi Terrestri” Sputò un Evroniano.

    “Come se foste variegati voialtri” Superò un gruppo di cinque loro cloni. Infine raggiunse il suo disco. Si guardò le spalle “Resti qui, Mark?”

    “Credevo mi volessi rottamare.”

    “Non fare l’imbecille e vieni, prima che cambi idea.”

    “Come sei generoso” Ciò detto fece rombare il motore e il cingolato della sua unità mobile partì, sollevando un polverone di sabbia bianca dietro di sé peggiore d’una cortina fumogena, per la gioia dei presenti che presero a tossire e piangere. Infine raggiunse il suo compagno umano “Non sei arrabbiato?”

“Nah” Scosse la testa, chinandosi a carezzargli l’antenna come fosse una testolina “Lo sai che apprezzo gli scherzi. Però a questo giro guidi te.”

 “Cosa faresti senza di me?” Si piegò sotto la circonferenza del disco e si agganciò perfettamente alla base, scomparendo come se fosse sempre stato un pezzo del velivolo. I fanali del TFO si accesero ora che Mark era tornato nel suo sistema. Cladzky si girò un’ultima volta verso il bagnino.

    “Scusate ancora” Agitò la mano.

    “Ma vattene a morì ammazzato, anfame, pure a Natale ce devi avvelenà lo spirito!” Sputò il nativo di Delphini dal suo sfiatatoio in mezzo a tutto il polverone.

    “Che cosa ha detto?” Chiese Cladzky al suo compare cibernetico, mentre scalava la scaletta che sporgeva dalla fiancata del velivolo.

    “Di andare a morire ammazzati” Squillò dalle casse della console Mark 0, così contento di avere assunto nuovamente la sua forma originaria.

    “E fin qua c’ero arrivato” Si buttò dal bordo della carlinga, atterrando sul sedile in piedi e abbracciando lo schienale con aria pensosa “Però ha detto anche che era un giorno speciale, no?”

    “Oh, siamo nel periodo natalizio” Mark chiuse la fusoliera e lui dovette abbassarsi per non rimanere incastrato coi capelli.

    “Macchè, davvero?” Stralunò il ragazzo, scendendo e poggiando la sdraio compattata in uno dei vani portaoggetti sotto il cruscotto, stendendo l’asciugamano sopra una barra che correva lungo il soffitto dell’abitacolo come una metropolitana. A questo infatti si afferrò non appena sentì un senso di vuoto dato dal decollo verticale. Il cielo fuori diventava più chiaro “Come ho fatto a dimenticarlo?”

    “Hai perso la cognizione del tempo” Spiegò, mentre l'accelerazione aumentava “Il tempo terrestre non ha più significato per te.”

    “Già” Meditò su quella settimana passata sotto la luce di mille soli e mille fusi orari. Come poteva tenere sott’occhio l’orbita terrestre in particolare? “Ma festeggiano il Natale su Kepler 22?” 

    “È la magia del Natale” Rise Mark, facendo slittare il sedile indietro, rivelando una vasca vuota “È talmente consumistico da consumare ogni sistema.”

La vasca prese a riempirsi dal fondo con la loro quasi intera scorta d’acqua. Cladzky ci aggiunse una monoporzione di bagnoschiuma fruttato in compresse. Di norma, in un’utilitaria come la sua, progettata per brevi viaggi con una persona sola, non erano previste vasche da bagno nel loro corredo essenziale, ma Cladzky era abbastanza tirchio da prendersi un disco del genere per il suo lavoro da fattorino intergalattico e al contempo abbastanza schizzinoso da pretendere di farsene istallare una in nero da un tipo incontrato nello spazioporto di Napoli. Non era grande, ma riusciva a starci comodamente seduto anche a gambe dritte. Frattanto, con una delicatezza meccanica tale da non far strabordare neanche uno schizzo d’acqua, Mark 0 lo stava portando fuori dall’atmosfera. Il cielo si faceva scuro.

“Chissà che fanno sulla terra” S’immerse il ragazzo con tale violenza da vanificare la cura del computer.

“Potremmo farci un salto” Propose quest’ultimo, programmando già la rotta e proiettandola sul parabrezza in grafici verdi.

“Non arriveremmo mai in tempo” Spremette le bolle fra le sue dita il castano.

“La gente festeggia il Natale sempre troppo presto” Puntualizzò la macchina, adoperando il suo audio surround per far girare la testa al ragazzo, dove stava un obsoleto calendario di carta “Guarda qui. Secondo il tempo coordinato universale è ancora il 22 dicembre.”

“Anche per gli altri fusi orari?” Si insaponò i capelli.

“Beh, per New York è ancora la sera del 21, a Tokyo è già pomeriggio.”

“Tokyo, dici?” Si grattò il mento, pensoso. Dopo un po’ sentì uno strofinio sulla schiena. Voltandosi vide un grezzo braccio meccanico con una spugna in mano “E piantala!”

Gliela strappò e il meccanismo si ritrasse nel tettuccio da dove era sbucato.

“Scusa, ti vedevo catatonico” Giunse dappertutto la voce di Mark.

“Sì, mi ero perso a ricordare quel tipo strambo che abbiamo incontrato al largo dell’arcipelago Giapponese” Roteò gli occhi in tutte le direzioni, strofinandosi una gamba stesa fuori dall’acqua.

“Ancora lui.”

“Non riesco a farne a meno, era tanto cordiale!”

Quell’incivile poteva anche evitare di ammaccarmi la carrozzeria.

“Quando gli hai parlato eri molto più cordiale.”

“Beh, bisogna essere cordiali con chi ti può schiacciare con un mignolo.”

“Ti ricordi com’ero depresso all’epoca?”  S’inabissò fino al naso.

“Non me lo ricordare. Eri insopportabile, sempre con le tue manie di persecuzione.”

“Ora sono io la persecuzione di tutti” Non potè fare a meno di ridere “Senti, ce lo possiamo permettere un viaggio del genere?”

“Dopo l’ultima consegna di Estathé per rifornire metà dei baretti sempre aperti di Kepler possiamo anche prenderci qualche giorno di ferie.”

“Allora possiamo partire” Prese a sciacquarsi il capo.

“Velocità smodata?” Ormai erano fuori dalla stratosfera. La gravità artificiale era già in funzione.

“No, credo di dovermi fermare per fare un po’ di compere, magari lungo il settore commerciale dell’Acquario” Uscì dall’acqua, rimuovendo il tappo.

“Trappist-1?” Chiese un po’ stupito Mark “Sei proprio in foga di grandi spese.”

“Beh, siamo pur sempre a Natale” Riprese l’asciugamano, mentre la vasca andava svuotandosi per essere filtrata e riciclata “Quanto impiegheremmo per arrivare sulla terra comprendendo questa disgressione?”

“Dipende anche da quanto ti fermerai per le compere” Mark rimise la cabina di pilotaggio com’era prima, riposizionando il sedile al suo posto. Cladzky ci si sedette sopra con un blocco per appunti e penna.

“Mettiamo il caso che io abbia già la lista dei regali” Prese a scrivere, mentre sopra la sua testa calavano delle articolazioni artificiali che terminavano in un pettine e asciugacapelli per mettergli meccanicamente apposto i suoi ciuffi ribelli.

“Qualora ci sbrigassimo e ci mettessi massimo un’ora per prendere tutto, potremmo dire che, facendo una bella curva, arriveremmo comunque in giornata” Finì di calcolare la macchina, facendo già rotta per il sesto pianeta del sistema Acquatico “Ora rimane solo da appuntare la destinazione precisa.”

“L’ultima volta siamo capitati nell’isola di Sado, se non sbaglio.”

“Vuoi tornare lì?”

“Gli rendiamo pan per focaccia.”

“Nel senso che a questo giro lo ammacco io?”

“Pensavo più di fargli una sorpresa per ringraziarlo.”

“Oh, anch’io volevo fargli una sorpresa per ringraziarlo.”

“Lo so io che sorpresa vuoi fargli” Chiuse gli occhi rilassato.

“Finito, come ti sembra?" Chiese Mark, rimuovendo gli utensili e facendo scendere uno specchio. Il castano diede un'occhiata ai suoi capelli. Si vide con un bel caschetto castano.

“Sembro uscito da un educandato” Rise, coprendosi la bocca. Detto fatto, Mark gli legò per bellezza un fiocco in testa. Se lo strappò subito “Sono adorabile, ma non esagerare. Ora senti, ecco i negozi da vedere, dovremmo farcela, no?”

“Beh” Studiò il blocchetto che Cladzky gli stava schiacciando contro la telecamera interna del velivolo “Economicamente sì, ma una volta finito il salto proseguiremo con benzina tradizionale e non ne abbiamo molta. Dovremo fare rotta per il distributore di Delta Persei, prima.”

“Ah no, quei maledetti se ne approfittano troppo di essere gli unici al crocevia” S’impuntò rivestendosi con la sua classica tuta bianca “Hanno dei prezzi passabile per rapina a mano armata.”

“Non vorrai chiamare un carroattrezzi nei pressi di Vega?”

“No, facciamo marcia indietro” Piazzò il dito sulla mappa proiettata sul vetro, indicando il pianeta che stavano ora lasciando “Noi ora siamo a Kepler 22. Mi è tornato giusto in mente che siamo nel fortunato periodo in cui l'ellisse del sistema intorno la Via Lattea lo porta vicino alla nebulosa di Yeaworth. E tu sai cosa c’è laggiù?

“Il distributore di Cronenberg” Ragionò non convinto il computer “Ma non ha certo dei prezzi inferiori a Delta Persei.”

“Non per me” Si allacciò le cinture il ragazzo “Gli ho fatto un paio di favori e mi ha promesso che il prossimo pieno sarà in omaggio.”

“Oh, la prossima volta che ti arrestano giuro che mi metto in proprio.”

“E ne saresti anche capace, vecchio cammello” S’infilò il casco “Ecco la rotta, Mark. Facciamo un salto a massa negativa in direzione di Yeaworth. Se non ci sono state variazioni la distanza da qui sarà di pressappoco cinque anni luce. Fatto il pieno di carburante torniamo indietro con un altro salto di settecento anni luce fino ai centri commerciali disseminati per i pianeti di Trappist-1. Considerato il traffico e la breve distanza sarebbe impossibile proseguire a balzi, quindi via di motori luce. Fatti gli acquisti necessari via di nuovo verso Terra, che dovrebbero essere 40 anni luce, no?”

“Trentanove e mezzo in questo periodo.”

“Vabbe, siamo lì.”

“Certo, così finiamo su Cerere.”

“Bando alle ciance, siamo pronti?”

“Pronti.”


***


“Oh!” Si pose i pugni sui fianchi Dz. Il sole già calava ch’era metà pomeriggio. La resina era stata stesa. Le tegole posizionate. Ancora poco e sarebbe stato perfetto “Sarà un bello spettacolo.”

“Lo decideranno i tu” Incrociò le braccia la signora Kadenokōji, sulla sua salopette del tutto imbrattata “Dipenderà dagli attori.”

“È una sensazione” Fece spallucce Dz “Forse perché il teatro è venuto tanto bene mi fa sperare.”

“È un po’ piccolo rispetto agli altri.”

“Beh, gli dà un che di adorabile. Come le raganelle o i gattini.”

“Oh, Dz, come farei senza la tua positività?” Scosse i lunghi capelli la donna, prima di recuperare tutte le latte vuote e relativi pennelli “Dovrei tornare a vedere come va il riso. Tu Don?”

“Magari faccio un salto al carretto di Nagai. Mi sta giusto venendo un po’ di fame.”

“Te lo sei meritato Dz” Fece per andare via, prima di voltarsi “Dimenticavo di pagarti.”

“Avevate detto che lo avreste fatto a fine lavori” Puntualizzò lui “Manca ancora la vernice, lo sfondo, le tende…”

“Non fare complimenti” Si portò tutto su un braccio per tirare fuori delle banconote e porgendogliele “Il tuo l’hai fatto ormai.”

“Grazie infinite” Non se lo fece ripetere due volte e s’inchinò con più formalità del solito “Ma lavorerei per il teatro Noh anche se pagassi io.”

“Avevo sentito che ti piacesse tanto.”

“Non mi perdo uno spettacolo da…” Quasi si lasciò sfuggire quella sua scappatella durante il la restaurazione Meiji “Da quando sono arrivato.”

“Sai che non mi ricordo quando è successo?” Inclinò il capo la donna, levando le pupille al cielo. Dz mandò giù un groppo di saliva.

"All'inizio evitavo di farmi vedere in giro, sai? Mi sentivo sempre un turista qua in mezzo.”

“Oh, non ci pensare più” Tirò indietro la testa in un moto d’abbraccio impedito dal materiale che trasportava. Dz fu grato che non fosse tornata sull’argomento “Non sei un giapponese ma ci piace la tua presenza.”

“Io vorrei andare oltre” Arrossì un attimo, distogliendo lo sguardo “Mi piacerebbe recitare nel teatro Noh.”

“Oh” Rimase un attimo sorpresa “Dovresti parlarne con il maestro Gogatsu?”

“Sì, l’ho fatto, ma…” Si morse il labbro “Dice che rovinerei la tradizione.”

“Capisco cosa intende” Alzò le sopracciglia imbarazzata “Proverò a parlargli. In quanto investitirice dovrà pur farmi questa eccezione.”

“Oh, ve ne sarei grato!”

“Mi basterebbe vederti felice,Dz.”

Si separarono. Scese al porto e lungo la banchina, diretto allo yatai di ramen del signor Nagai. Osservò un poco le acque calmissime. Era sempre più dura resistere allo stimolo, ma doveva. Superò le barche che ondeggiavano come steli mossi dal vento e girò l’angolo di terrapieno. S’imbattè di nuovo in Akio.

“Torni a casa?” Si fermò prima di sbattergli contro.

“Degli amici mi hanno invitato al parchetto” Si fermò pur correndo sul posto “Lo puoi dire tu alla mamma?”

“Va bene, ma gli devo dire con chi stai.”

“Norisuke e Tobio, ricordi?”

“Ricordo che l’anno scorso ti avevano rubato la cartella.”

“Sono cresciuti, ora sono più maturi.”

“Hanno dieci anni.”

“Appunto, prima ne avevano nove” E corse via di nuovo.

Dz si fece nota di passare dalla signora Kimura più tardi. Quanta pazienza doveva avere quella donna. Quanta pazienza ci voleva per crescere un figlio. Quanto strano era essere figli. Uno stato a metà fra il servilismo e la padronanza, sempre con la paura di cadere in squilibrio fra l’uno e l’altra. Forse era per questo che aveva tagliato tutto per evitare di sbagliare. E casomai avesse avuto un qualunque bisogno? Già lui si sentiva solo, figurarsi quel povero titano di suo padre. Continuò a pensare, anche buttando giù la sua scodella al bancone, sotto le tende della bancarella mobile di Nagai.


***


“Eccoci qui” Rallentarono fino a quando la realtà non tornò visibile a occhio nudo e terminarono il loro balzo. Ecco il pianeta Terra, di fronte a loro la Terra del Fuoco. Sorvolarono i monti dell’Antartide, superarono la Tasmania e il deserto Vittoria dell’Australia. Non lasciatevi ingannare dalla secca descrizione, coi motori tradizionali ci volle molto più di quanto suonasse. Tenendosi a quota undicimila metri per evitare la maggior parte degli apparecchi, prese a discutere con il suo compare elettronico “Speriamo sia ancora lì.”

“Credi si sia spostato?”

“Magari fa come i dinosauri. Migra verso sud nelle stagioni fredde.”

“Ho segnato la costa sopra cui ci aveva accolti” Proiettò la posizione in fondo al parabrezza.

“Anche così sarà quasi impossibile trovarlo. L’ultima volta avvenne per puro caso.”

“Mi sono fatto la teoria che abbia sentito la distorsione causata dai nostri motori a massa negativa. Credo si orienti come le balene. Potremmo provare ad accenderli per attirarlo.”

“No, dev’essere una sorpresa."

“Come conti di pescarlo in ottocentocinquanta chilometri quadrati d’isola?”

“Ho l’attrezzo giusto” Sogghignò, abbandonando i comandi. Subito Mark entrò come pilota automatico. Cladzky tirò fuori quella che pareva un carillon.

"È un regalo per lui?"

"Non proprio, ma è comunque a sorpresa. Il nostro caro amico aveva detto che era figlio di Godzilla, no? E io non ti avevo forse detto di elaborare ogni singolo verso registrato di quel gigante?"

"E l'ho fatto. Ormai tutti hanno un telefono, ho avuto l'imbarazzo della scelta con tutti questi avvistamenti."

"Molto bene. Ora bisogna solo caricare tutto su quest'affare usa e getta."

"Certo che vendono di tutto su "Trappist-1."

"Prepara il raggio traente, Mark."

"Oh, adoro i rapimenti alieni."


***


"Ragazzo, la giovinezza svanisce presto" Lo avvisò il signor Nagai, accendendo una lanterna.

"Lo spero" Si pulì la bocca il ragazzo dai capelli blu "L'esperienza potrebbe chiarirmi le idee."

"Allora senti la mia di esperienza. Trovati una ragazza."

"Ma non me lo posso permettere."

"Ma come, un esotico bello come te, con quegli occhi chiari e quel nasone caucasico…"

"Ho afferrato il concetto" Rise, alzandosi e versando la somma dovuta "Prometto che ci penserò."

"Non ti capisco. Avrai mica fatto voto di castità, tu?"

"Una specie" Giocherellando con la ciotola e osservando il suo riflesso sul fondo, solo come sempre "Ora devo correre. A presto."

Appena uscito dalle tende del carretto sentì il freddo acuito dalla bollente zuppa xhe aveva trangugiato. Ma c'era anche un ronzio nell'aria. Dopo gli ultimi incontri con la Monarch non poteva trasformarsi per verificare ogni anomalia. Forse era proprio un loro strumento che vibrava. D'improvviso si spense. Scosse la testa e rimandò l'investigazione a dopo. Doveva raggiungere la signora Kimura.


***


"Va che belle bestie!" Si complimentò da solo il signor Chikao per gli sgombri che vedeva tirare su nella rete. Si faceva buio e a lui non piaceva lavorare di notte, specie con quel clima. Fece per accendersi una sigaretta di trionfo prima di finire sbalzato in avanti quando la sua barca, con uno schianto, fu spostata avanti di vari metri. Rotolando sul ponte e rialzandosi aggrappato all'impavesata, si assicurò che gli argani fossero intatti, ma la sigaretta era rovinata a terra. Che brutta giornata. Qualunque cosa lo avesse colpito, a giudicare da come la nave rullava come una matriosca, doveva aver preso la chiglia. Si sporse a poppa e lì, nell'acqua scura, intravide un'ombra gialla e piatta gigantesca muoversi lentamente e sparire sotto il pelo dell'acqua. Mai una volta che potesse pescare in pace. Quantomeno aveva un'altra storia da raccontare in paese.


***


"Pronto Mark?"

"Siamo a distanza di tiro."

"Sincronizziamo gli orologi."

"Già fatto" Uno dei bracci di Mark scese a porgergli il suo. Cladzky se lo assicurò.

"Pronti al conto alla rovescia" Alzò la mano fissando le lancette scorrere.

"Spara e basta."

"Siluro uno, fuori!"

"Il tubo di lancio è inceppato" Mark accese le luci di emergenza, tingendo di rosso l'ambiente calato nella penombra.

"Cosa?"

"Scherzavo. Ma eri così teatrale che ho aggiunto del mio."

"Spara e basta."

"Vedi che da fastidio? Siluro uno fuori" Alla conferma di Mark il tubo di lancio sul muso del velivolo immerso si spalancò e tosto seguì un vorticare di bolle alla partenza della torpedine.

"Bene, tutto procede secondo i piani" Si compiacque il pilota osservando sullo schermo il missile proseguire fino a riva.


***


"Grazie Dz" Sospirò la signora Kimura appoggiandosi alla cornice della porta di casa "Mi stavo giusto preoccupando per lui."

"Mi scusi, sarei dovuto venire prima" Si grattò la nuca il ragazzo all'uscio.

"Non accusarti, è tipico suo avvisare all'ultimo. Grazie ancora."

Chiuse la porta e Dz, indugiando un momento lì davanti, sbuffò fra sé e riprese la strada di casa. Sulla via incrociò la signora Kadenokōji insieme al consorte.

"Come è va la saccarizzazione?" Chiese già che c'era.

"Non me ne parlare" Esclamò il marito che ci era stato dietro tutto il giorno "La temperatura e l'umidità si è mantenuta costante. Se continua così uscirà un bel liquore."

"Ehi, Dz" Intervenne illuminata in viso la donna "Ho parlato con il maestro."

"Davvero? E che ha detto?" Alzò lo sguardo, stordito da quello che poteva sentire.

"Dice che per lo spettacolo successivo ha un ruolo libero."

"Ah, grazie" Si sforzò di sorridere. Era diventato bravo a farlo "Non pensavo l'avrebbe fatto per me."

Altre parole di cortesia e riprese il suo cammino a capo chino, guardando i ciottoli della strada. Era la risposta del maestro ogni volta. Che ci avrebbe pensato. Osservò in lontananza le luci del peschereccio di Chikao che tornava in porto. Gli piaceva sempre vedere il suo battello attraccare, ma stavolta qualcosa lo distrasse. Un rumore flebile ma che nel silenzio della sera sembrava la voce più forte di tutte. Qualcosa di ritmico, di acuto, di variabile. Una musica. Non proprio, era un canto. Non un canto umano, non erano versi fattibili da uno di loro, era qualcosa che avrebbe potuto cantare lui tranquillamente. Ma non era la sua voce, né quella di suo padre. Qualcosa di simile a lui ma diverso da lui. Corse senza pensare a nient'altro che quella voce. Da dove veniva? No, stava diventando più lontana. Fece marcia indietro e stavolta la sentì meglio. Corse indietro fino al porto, lo superò, e poi la spiaggia, ma ancora non c'era. Proseguì fino a una scogliera rocciosa, si buttò in acqua e quasi riassunse la sua forma originaria nel nuotare furiosamente per aggirare l'ostacolo. Giunse al versante opposto del promontorio e lì stava quella riva deserta, inospitale e irraggiungibile per le sporgenze rocciose che la circondavano, da divenire la sua base di partenza preferita per le sue escursioni da kaiju. Lì proveniva il suono, al centro di quella baia, fra la sabbia. Non era possibile, dove stava il titano? Forse era ancora più simile a lui, trasformato in forma umanoide. Il canto si faceva più forte. Era un canto strano a sentirlo, non stonato, ma di una felicità sforzata. Inciampò e cadde in avanti, lasciandosi dietro la sirena. Qualcosa sporgeva dalla sabbia e prese a scavare. Qualcosa di duro venne fuori. Una forma cilindrica metallica e pesante. Non ci capiva nulla. Il canto non smetteva e veniva da là dentro. Non era un suo simile. Era una trappola alzò gli occhi e si vide addosso un faro puntato dal cielo. Presto gli mancò il terreno sotto i piedi. Provò ad abbracciarsi al cilindro. Prima che potesse realizzare cosa stesse succedendo e urlare fu dissolto nell'aria.


***


"Contatto riuscito!" Squillò Mark.

"Il nostro ospite sarà riassemblato in tre, due, uno…" Scoccò il timer sulla porticina e l'aprì. Dz si ritrovò compresso in uno sgabuzzino in cui ci stava a malapena e davanti a lui si apriva l'abitacolo di uno strano velivolo. Aveva ancora le mani tese davanti a sé nel futile atto di stringere il siluro canterino. Cladzky gli saltò davanti "Sorpresa!"

"Tu…" Balbettò sconcertato il ragazzo dai capelli blu, indicando il castano.

"Proprio io, Cladzky!" Gli strinse il dito con il proprio "E tu sei Dz, il fortunato di stasera."

"Cosa diavolo…" Non fece in tempo a protestare che il pilota lo trascinò fuori.

"Su, esci dalla camera di trasferimento!" Lo incitò con voce allegra, per poi mettergli un braccio sulle spalle "Ne è passato di tempo, eh?"

"Si può sapere che cosa…" Ma il braccio di qualcun altro, molto più meccanico e inorganico, gli pose una tazza di cioccolata calda in mano, per poi sparire da dov'era venuto.

"Farti un bel regalo di Natale, ecco cosa!" Lo fece accomodare con insistenza sul sedile da pilota e indicò il parabrezza da cui si vedeva ormai la luna piena "Faremo un bel viaggio noi due."

"Frena, io non…" Ma di nuovo venne ammutolito quando l'altro gli pose un cappello natalizio in testa.

"Lo so che sei uno che non vuole gli si facciano regali, ma io insisto."

"Vuoi lasciarmi parlare?"

"Prima finisci la cioccolata che si fredda."

Dz guardò la tazza fumante, decorata con piccoli dinosauri colorati. La bevve d'un sorso e masticò pure il recipiente. Cladzky lo guardò storto, appoggiato allo schienale.

"Ehi" Protestò il pilota "Non era un regalo quello. Ora mi devi 99 centesimi."

"Ti do anche gli interessi" Aggrottò la fronte prima di saltargli addosso e buttarlo a terra, cercando di strozzarlo. Il viso di Cladzky si fece rosso e sudava, cercando di disincastrarsi.

"Ma che ti ho fatto?" Biascicò appena, con la testa poggiata al cruscotto.

"Mi hai rapito, mi hai smolecolarizzato, mi hai teso una trappola, ho creduto di morire. Non potevi mandare mandare una cartolina?" Mostrò i denti dall'ira.

"Volevo farti una sorpresa…"

"Bella sorpresa, prendermi nel mezzo della giornata mentre stavo facendo qualsiasi altra cosa."

"Okay, ora basta" Ammonì il Mark 0 dalle casse "Non è stata una bella idea ma credo che ormai l'abbia capito."

"Aspetta, credo che se lo strizzo come un dentifricio gli faccio andare l'ossigeno al cervello" Assottigliò  gli occhi, stringendo un po' di più fino a sbiancargli la pelle della gola. La sua di pelle stava invece accendendosi di blu. Avrebbe proseguito se non fosse stato strozzato a sua volta da un artiglio metallico sceso dal tettuccio. Per la sorpresa mollò il collo di Cladzky che ricadde a terra sgomento, mentre lui veniva issato in piedi dal computer di bordo. La sua mutazione fu arrestata "Mollami!"

"Ti avevo avvertito" Scandì bene la voce onnipresente "Non ti sembra di essere un po' ipocrita?"

"Di che stai parlando?" Lottò per strapparsi quella chela da dietro il collo.

"Beh, quando ci siamo incontrati la prima volta…" Si rialzò in piedi il castano, massaggiandosi la carotide "Sei stato tu a farmi la sorpresa."

"Poverino, era così spaventato" Si commosse il computer "Credeva di morire."

"Ma io…" Una botta sorda giunse in testa al kaiju per opera di un secondo braccio.

"E questo è per la schicchera dell'ultima volta" Sentenziò Mark.

"Eddai, lascialo andare" Ordinò Cladzky e la macchina eseguì, non prima di aver rimesso in testa all'ospite il cappellino rosso e bianco caduto nella collutazione "Senti, non ci ho pensato su, come mio solito e…"

"No, scusa me" Dz si afferrò alla sbarra di ferro che correva sul tettuccio. Si strinse il naso fra le dita "Ma quel richiamo che hai usato…"

"Spero non sia offensivo nella tua lingua."

"No, è che… Mi ha dato false speranze" Gli si fecero un attimo gli occhi lucidi.

"Oh" Fu tutto quello che riuscì a dire l'altro.

"Non potevi saperlo e poi…" Si guardò attorno, tirando su col naso e guardando con interesse la strumentazione,  passandoci un dito sopra "Hai fatto tutta questa strada per me?"

"Volevo augurarti buon Natale" Cercò di sorridere "Dato che non mi hai detto il tuo compleanno."

"Forse non sono poi così solo" E lo tirò a sé per un bell'abbraccio stringente dal calore atomico e sincero. Fuori dall'abitacolo cominciava a nevicare.

   
 
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