NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO CARVE
I won't cry for you
I won't crucify the things you do
I won't cry for you
See (see), when you're gone I'll still be Bloody Mary
(Bloody Mary, Lady Gaga)
Fare
sesso con lei non ti
ha aiutato.
Assolutamente
no.
Non
ti ha aiutato, ti ha rovinato e guarda ora
come sei costretto a raggomitolare i tuoi sentimenti tra pugni e bende
insanguinate.
Tu
credevi che così saresti guarito.
Che
stupido.
Sei
stato tremendamente stupido. Ti sei rovinato con le tue stesse mani. E,
adesso, sei perso e basta.
**************
Non
riesci neanche a distinguere il modo in cui
sono trascorsi i tuoi ultimi mesi. Stai cercando di ricordare, bloccato
nel giardino della scuola ad osservare gli altri ridere e scherzare.
Pensi
che il nuovo anno scolastico era iniziato nella stessa maniera in cui
si era concluso l’anno precedente.
Con
te sulla cima delle scale e Mercoledì lontana, uno
sguardo impossibile da decifrare. Il suo inquietante maggiordomo con
dei bagagli tra le mani e sua madre chinata a sussurrarle delle parole
all’orecchio sinistro.
L’hai
salutata e lei ti ha risposto con un cenno
del mento.
Hai
nascosto la delusione in un calzino bucato,
appallottolandola sotto al letto. Hai ingoiato la bile calda che ti
prosciugava la gola
e ti sei mosso verso il tuo dormitorio senza più voltarti
indietro.
Va
bene così, ti sei detto. Non parliamo dei messaggi di questa
estate, non parliamo delle poesie.
Va benissimo così,
ti sei ripetuto fino
all’inverosimile.
Poi
sei crollato con la faccia contro il cuscino e
hai trattenuto l’urlo che ti stava squarciando le tempie in
miliardi di pezzi.
Ti sei concentrato a respirare. Hai pensato di contare fino ad un
milione,
trattenendo il fiato. Di stringerti la fronte e strizzare le palpebre e
di
strapparti piccoli pezzi di cuore.
Ma
nulla avrebbe funzionato. Sei uscito in
piena notte e ti sei nascosto nel tuo capanno. Lontano dal mondo intero
e con
le ossa verniciate di nero. Ti sei inzuppato le mani di pittura, hai
immerso le
braccia fino ai polsi e poi fino ai gomiti.
Hai
disegnato fino all’alba.
Soltanto
ritratti di lei.
Bianca
ha cercato di aiutarti.
Scalciando
nella tua bolla di disperazione e di
compianto sei riuscito a riconoscere che ti vuole bene e che ha tentato
di
salvarti dai vermi accucciati sul tuo cuore.
Un
pomeriggio ha bussato alla tua porta e ti ha
chiesto di passeggiare con lei.
Ti
ha portato nei boschi e tu hai cercato di
sorridere pur di farla contenta. Lei ti ha chiesto di non fingere, non con lei. E tu
ti sei
sentito rotto, qualcosa deve essersi spezzato. Le ossa delle costole
hanno
ceduto e il tuo sentimento è colato a terra, macchiando
tutte le foglie di
rosso.
Hai
cominciato a piangere senza rendertene conto e
Bianca ti ha stretto le mani, continuando a farti camminare senza mai
asciugare
le tue lacrime.
Una
mattina l’hai trovata in corridoio con la
colazione tra le dita e un chiaro calore sulle labbra.
Ti
ha chiesto di mangiare insieme nel parco e tu
hai acconsentito nonostante il pugno in gola e le linee elettriche che
accartocciavano le tue spalle.
L’hai
seguita sotto il sole e hai riso alle sue
battute anche se non l’ascoltavi del tutto.
Ti
stava raccontando qualcosa quando tu le hai
fatto una domanda stupida.
“Come
faccio a smettere di amarla?”
Bianca
ha smesso di parlare e ti ha indicato il
bicchiere di latte caldo che ti eri dimenticato sul ciglio della
panchina.
“Non
bisogna saltare la colazione, Xavier. Neanche
per Mercoledì Addams.”
Lo
ha detto con quel suo tono che ti ha sempre
fatto sentire più leggero. Quel tono che - sembrano trascorsi secoli -
ti aveva
attirato verso di lei.
Come
se ogni cosa al mondo potesse essere risolta
- così tutto
facile e tranquillo, perché mai preoccuparsi, non esiste
nulla di
cui aver paura.
Hai
riso con tutto il cuore che ti era rimasto e
Bianca ha riso per la tua risata, avvicinandoti il bicchiere alle
labbra.
E
tu avresti continuato a sorridere del niente e,
forse, a goderti la mattinata. Ma lei
ti ha afferrato con i denti la coda dell’occhio.
Ti
sei voltato di scatto e lì l’hai trovata.
Mercoledì
Addams, dinanzi al portone principale.
Enid al suo fianco e Mano sulla spalla.
Ti
sei bloccato e ti sei chiesto perché.
Perché
mi stai osservando, perché hai un tale
sguardo, perché mi guardi così, perché
alzi il mento in quel mondo, perché stai
stringendo le labbra, perché fai così,
perché, dimmi perché, Mercoledì
perché. Perché non mi parli più.
Hai
anche abbandonato la panchina e fatto un passo
verso di lei, guadagnando solamente la sua schiena come risposta e il
viso
sbigottito di Enid - come guardava la sua amica e come si copriva la
bocca con le
unghie colorate.
Poi
Bianca ha buttato la colazione in un cestino.
Ti ha scosso per il braccio e ti ha accompagnato a lezione senza
nominare nulla
della scena a cui aveva assistito.
Ti
ricordi che una sera Bianca ti ha trascinato
nella biblioteca dei Belladonna e ha cercato di distrarti con ricerche
inesistenti.
Ti
ha fatto leggere milioni di pagine e mostrato
miliardi di dipinti di antiche profezie e ti ha fatto segnare migliaia
di nomi.
Tu hai implorato pietà e lei in maniera giocosa ti ha
colpito la testa con uno
dei tuoi quaderno da disegno. Uno dei ritratti di lei è
sgusciato fuori,
depositandosi a terra. Bianca non l’ha raccolto.
L’ha fissato per qualche
secondo, sospirando soltanto alla fine di qualcosa che ti era sembrato
come un
lungo e tormentoso ragionamento. Ti ha parlato così.
“Dovresti
davvero non saltare la colazione,
Xavier.”
Una
notte ti ha chiesto di poterti accompagnare
nel tuo rifugio. Non eri contento della sua richiesta ma il senso di
colpa e la stanchezza ti hanno costretto ad acconsentire.
Così Bianca ha osservato per ore tutti i ritratti
con cui hai tappezzato il capanno. Tutti
i ritratti di lei. Tutta la sua
musica. Tutte le sue parole taglienti.
Ti
ha abbracciato e tu non hai mosso le braccia
dai tuoi fianchi.
“Si
aggiusterà tutto, Xavier. Te lo prometto.”
Tu
non le hai creduto e hai scelto di nascondere
la fronte contro la sua spalla borbottando qualcosa di
incomprensibile.
Ora
pensi che non avresti mai dovuto dubitare di Bianca. Ora sì
che te ne rendi conto.
La colpa ricade esclusivamente su di te. Tu sei stato altamente stupido.
Nessun
altro.
**********************
“Non
credevo di essere in una commedia
adolescenziale dai dialoghi banali e con una trama ridicola.”
Non
ti eri accorto che lei era entrata nel tuo
rifugio e le sue taglienti parole ti hanno fatto cadere il pennello e
imbrattare di
viola la tela bianca. Ma lei era lì.
Sulla
soglia della porta di legno e con le sue
sopracciglia arcuate e lo sguardo adirato.
“Mercoledì.”
Il
suo nome come un sospiro che lei allontana
con un movimento risoluto della mano. Una mosca da schiacciare tra due
polpastrelli, senza pensarci un secondo.
“Pensi
che le mie giornate siano altamente tediose
e che abbia bisogno di te e Bianca al fine di conferire
elettricità alla mia esistenza?”
Ti
sei sentito scosso e hai raddrizzato la schiena
per smetterla di sentirti tanto impotente dinanzi al suo cospetto.
“Non
so di cosa tu stia parlando.”
Hai
fatto un passo avanti e lei ha aggiustato lo
zaino sulle sue spalle. Ha gettato il suo sguardo risoluto lungo tutte
le
pareti e notato i quadri nascosti da panni e gli angoli scoperti. Senza
battere
ciglio e senza mai scomporsi.
“Ti
illumino. La tua fidanzata Bianca pensa di
essere altamente intelligente e suppone di essere un eroina il cui
unico scopo nella vita sarebbe di proteggerti.
Si presenta da me e pronuncia vuote minacce al solo scopo di condurmi
qui, da
te, a chiederti cosa desideri tanto ardentemente dirmi.”
Ha
pronunciato ardentemente
con una sfumatura di
derisione che ti costringe a serrare i denti e contenere
l’acido risalito nella tua bocca e sulla tua lingua.
“Sei
tu che minacci. E nessuna minaccia potrebbe
mai spaventarti.”
L’hai
vista muovere il capo in un segno di assenso
e il suo sguardo trasformarsi, reso brillante da una luce di trionfo e
soddisfazione.
“Concordo.
Per questo motivo ti avviso che
dovresti ringraziare Enid. La tua ragazza ha ancora entrambi gli occhi
esclusivamente grazie al suo misericordioso intervento.”
“Non
è la mia ragazza.”
Una
frase che blocca il suo flusso di parole
come redini tirate con forza contro il muso di un cavallo ritroso.
“Non
è realmente di mio interesse.”
Un
battito di troppo. Una pausa stonata. Qualcosa
che ti spezza ancora altre costole e poi più
giù la base dello sterno.
“E
perché sei qui? Perché stai facendo esattamente
come Bianca ti ha ordinato?”
Lei
muove qualche passo verso di te e i suoi
occhi neri ti inghiotiscono. Dei sacchi di carbone in cui crollare a
testa bassa e da cui farsi bruciare con prepotenza.
Le
sue pupille sembrano sempre così enormi.
“Dopo
che Bianca è stata accompagnata in
infermeria sono stata scossa da un moto di curiosità. Oltre
che dal desiderio
di dirti personalmente le sue condizioni.”
“Che
cosa hai fatto? Mercoledì, io non so come
definirti, che cosa hai fatto?”
Hai
sentito un moto di intensa preoccupazione
pervaderti le membra e lei ti ha bloccato il passaggio muovendo un
altro passo
contro la tua direzione - contro
di te e la tua ansia nei confronti di Bianca.
“Rilassati.
Cavaliere dalla scintillante armatura.”
Di
nuovo quel tono di scherno. Nel modo in cui ha
pronunciato cavaliere e
poi armatura.
Gli
altri avrebbe sentito soltanto il suo usuale
modo di parlare monocorde. Niente altro. Tu hai percepito la sottile
derisione
che riesce a reciderti le coronarie in un intricato intreccio di
farfalle e
bruchi.
Dolore
e sempre dolore.
Hai
guardato le sue labbra e notato che
soddisfazione si celava dietro ai suoi denti.
Si
sente bene - felice e
tronfia delle sue azioni
e della sua vendetta.
“Dovresti
ascoltarmi meglio. Come ti ho già detto
sei costretto a ringraziare Enid. Bianca ha soltanto qualche
graffio.”
Non
ha trattenuto il sorriso alle parole qualche
graffio e tu hai sentito tutto il sottobosco dei tuoi
sentimenti esplodere.
Ogni
insetto carnivoro gettarsi via dai rami delle
tue costole e riversarsi sotto pelle e poi fuori. Tra i tuoi piedi e
l’aria che
non respiri.
“Io
sono senza parole.”
Lo
sforzo delle tue uniche sillabe completamente
vano. Lei non si era accorta della pittura che continuava a colare
dalle tue
unghie e non si accorge del dolore martellante racchiuso nel tuo petto.
Del
mio cuore è rimasta soltanto la cenere di un
carboncino masticato.
“Io
sono perplessa. In questa stanza ci sono
almeno nove miei ritratti e sembra il rifugio di un maniaco.”
Cenere
sputata dalla testa di un bruco
imprigionato nella tela di un ragno.
“Sei
nella mia testa. È l’unico modo per
dimenticarti.”
Una
tela dura e appiccicosa. Impossibile da
recidere e da spezzare. Una prigione - una tomba.
“E
funziona?”
Un
altro passo verso di lei e un altro laccio
d’acciaio intorno al tuo cuore.
Non
hai risposto. Non credevi lei volesse
realmente una risposta.
Il
silenzio ha cominciato ad allungarsi e
nell’assenza dei rumori tu hai ritrovato il tuo respiro. E
gli odori della
vernice e il tatto del tessuto ruvido della tela vicino a te e il suono
dei
fischi del vento.
E
la vista di lei. Le braccia incrociate dinanzi
al suo petto con i muscoli contratti in una lotta invisibile. Il
graffio sulla
fronte e il sangue fresco sulla tempia. La frangia in disordine. Le
palpebre
mai abbassate e le labbra arcuate nell’attesa.
“Forse
dovrei chiederti cosa ne pensa Bianca. Dato
il suo interesse.”
Così
all’improvviso hai visto e sei rimasto
folgorato.
“Tu
sei gelosa.”
Dentro
la tua testa si riversano una serie di fotogrammi. Ogni
immagine di lei che ti mostra soltanto le sue spalle, la schiena
rigida. Il
modo in cui lo sguardo si è indurito ogni giorno di
più. Il silenzio delle sue
labbra schiuse in espressioni di lieve rabbia e incredulità.
Così come
è adesso.
Ti
osserva con disgusto e solleva il mento verso
l’alto con infinito sdegno.
E
tu non la lasci parlare.
Perché
tu stai comprendendo qualcosa che si era
annidato in un crocicchio della tua mente e che eri certo fosse
scomparso.
“Quella
mattina. Tu hai visto me e Bianca ridere
insieme e te ne sei andata, non mi hai dato modo di parlare, sei andata
via e
basta. Tu eri gelosa. Tu sei
gelosa.”
Ogni
nuovo respiro è un passo in avanti e ti
ritrovi estremamente vicino a lei.
Non
c’è più nulla a separarvi.
La
distanza di un sospiro e sfioreresti il suo
corpo. Mercoledì non si smuove - comprendi che potrebbe farlo.
Senza
compiere un passo indietro, potrebbe
muoversi di lato e fuggire da una tale vicinanza. E non lo fa.
Rimane
lì a guardarti con quegli immensi occhi
neri che non ti mettono in soggezione - non lo hanno mai fatto -
e che
semplicemente ti squarciano il petto.
Gli
angoli della bocca ostinatamente abbassati
mentre incrocia le braccia e ti combatte con frecce grondanti veleno.
“Conclusione
errata e fuori contesto.”
E
con archi di violino letali, simili ad un incrocio di
lame bronzee e spilloni d’argento.
“Tu
non vuoi che Bianca sia la mia ragazza. Tu sei
arrabbiata perché credi che lo sia.”
Lei
immergerebbe i denti nel tuo cuore e ne
sputerebbe i bocconi marci sui tuoi piedi.
“La
pateticità della tua vita sentimentale non mi
tange.”
Ti
lascerebbe al freddo con l’addome tagliuzzato e
mezzo scomposto.
“Non
dovresti essere gelosa. Sai cosa provo per
te.”
Siete
talmente tanto vicini che le tue labbra
glielo dicono contro la sua fronte e lei non si sposta e tu senti delle
immense
vertigini che ti smuovono lo stomaco in onde di calore insopportabile.
Talmente
tanto calde che ti formicola il ventre e ti stringe l’addome.
E
Mercoledì ha sempre quel suo sguardo impossibile
da descrivere - e ti
osserva e ti osserva e non ha smesso mai di osservarti da
quando si è buttata dentro il rifugio e ha rovesciato ogni
cosa che credevi di
aver capito di te e di lei e di voi due insieme.
“La
gelosia è il sentimento dei deboli. Non tocca
la mia persona.”
Troppo
vicino a lei.
Da
lontano forse non lo avresti notato o forse sì
- perché tu
guardi sempre i suoi occhi, ti ha incastrato lì, tra due
linee
marroni che percorrono le sue iridi, ti ha richiuso lì
dentro e mai più potrai
essere libero.
Così
tu ti rendi conto della nota stonata.
Che
all’improvviso - un
secondo o forse l’eternità
racchiusa dentro un millesimo di secondo - i suoi occhi
sono stati nascosti
dalle palpebre.
Un
battito di ciglia.
Ha
perso la concentrazione. Qualcosa
l’ha turbata.
Qualcosa è crollato e si è aperto uno spiraglio e
hai visto. Hai visto cosa la
sta turbando realmente.
Sei
arrabbiata. Non vorresti provare tutto questo
e sei arrabbiata. Mi odi, tu vorresti odiarmi e mi odi. Mi detesti. Sei
sempre arrabbiata, mi guardi e provi una tale rabbia. Non vorresti
provare nulla e mi odi. Mi odi e sei gelosa, lo sei
davvero, e mi odi, mi odi talmente tanto.
Mercoledì
sospira più forte e senti il suo respiro
sulla giugulare e ti rendi conto che basta, va bene, cedi le armi. Va
bene così - che
abbia fine questa tortura, amarla ti sta uccidendo, allora che sia
fatta la sua volontà, dille addio.
“Va
bene. Basta.”
Le
tue mani si muovono da sole.
Le
tue mani proseguono i tuoi pensieri e sono
parole che continui a ripeterti in testa e di cui non sei consapevole
se non
quando è troppo tardi. Le tue mani si chiudono intorno alle
sue guance e
sollevano il suo viso.
E
la tua schiena.
Così
spontaneo abbassarla per raggiungerla e lì ti
blocchi. Le tue labbra sulle sue e ti fermi, ne senti il sapore.
Sei
bloccato in un bacio a stampo e senti il
ghiaccio scorrere in tutte le tue vene fino a gelarti il cuore. Sai che
devi
allontanarti - ti stai
allontanando, hai baciato il tuo incubo e devi lasciarlo andare,
immolandoti sull'altare - ma lei si aggrappa al tuo collo
e tu
ricadi giù. Un respiro fuori dall’acqua e un
secondo dopo l’intero oceano nel tuo sterno.
Mercoledì
ti sta baciando.
Le
sue dita tra i tuoi capelli della nuca.
Il
suo naso contro il tuo.
Le
labbra già schiuse e la lingua che ti sfiora i
denti.
E
tu sei perduto, tu sei la vittima sacrificale, tu sei il sacerdote
profano.
Il
ghiaccio si scioglie tutto in un calore
intollerabile. Le tue labbra si schiudono ad accogliere le sue e non ti
controlli più.
Le
tue mani sono scese dal viso al collo e dal
collo alle spalle e dalle spalle ai fianchi. La stringi. La baci e non
le
concedi mai aria. Segui un ritmo che ti sta soffocando e non riesci a
fermarti
- non puoi o ti senti
morire, senti solo che la desideri, che ti sei consumato nel desiderio
di possederla in ogni modo possibile e adesso pensi soltanto che
vorresti entrare dentro di lei e smetterla di soffrire.
Le
attiri i fianchi contro i tuoi e le tue dita si
insinuano ai lati della gonna, sotto, abbassandola leggermente. Senti
la pelle
dell’inguine con il pollice e poi le ossa sporgenti e
lì perdi un gemito
gutturale sulla sua lingua, assaporando il modo in cui lei risponde ad
ogni tuo gesto e sospiro. Che
la Musa abbia pietà del suo mendicante, e poi
capisci di star delirando e che la stai stringendo tanto forte da
lasciarle dei lividi.
Le tue dita scendono ancora e le liberi le labbra -
gonfie, lei ansima, non
pensavi l’avresti mai vista così.
La
gonna a terra e le tue mani tra le sue cosce.
Lei spinge il suo ventre contro i tuoi polpastrelli e tu capisci che
dovresti fermarla, che
le tue dita la stanno già esplorando e che tra pochi secondi
la prenderai lì, sul pavimento sporco e i panni macchiati di
vernice, e non va bene, è troppo tutto insieme.
Il silenzio sulla loro estate, le sue spalle
voltate, la
sua gelosia, il bacio e tu che non sei pronto. Non dopo averla
desiderata tanto a lungo.
E
chi fermerà te?
Come
potresti fermarti con lei?
I
respiri di Mercoledì sono pesanti e dentro di te
scorrono troppi desideri e troppe emozioni. Mercoledì ti
bacia l’angolo della
bocca e tu stai peggio. Mercoledì ti afferra le mani che hai
allontanato da lei e le pone nuovamente tra le
sue gambe - il calore ti
bagna le dita - e tu scegli di fermarti. Non così, non
dovrebbe essere così.
Mi
sta uccidendo. Baciarla e non baciarla.
Toccarla e non toccarla. Mi uccide comunque.
Sussurri
un ‘no’ che gela entrambi.
Poni
la tua fronte contro la sua e sai che lei
vorrebbe picchiarti - non
vuole neanche guardarti in faccia - e volta il viso
di lato lasciandoti solo la sua tempia a cui appoggiarti.
Ripeti
‘no’ e lei compie un passo indietro quasi
inciampando nella sua gonna e tu la segui stringendole le spalle.
“No.
Non così.”
Le
baci la tempia e lei si irrigidisce ancora di
più. Mezza nuda tra le tue braccia senza mai tremare.
“Questa
sera. Questa sera presentati al mio
dormitorio. Avremo tutta la notte. Avremo un letto.”
Dimmi
che per te è
importante come lo è per me. Per favore. Per favore non
farmi sentire usato.
“Seriamente,
Xavier?”
“È
importante per me.”
Si
volta. E ti osserva. Ma tu adesso non riesci a
sostenere il suo sguardo perché sei troppo esposto. Le baci
le palpebre e le
ciglia e lo fai con estrema dolcezza anche se sai che lei potrebbe
sentirsi
nauseata da questi tuoi gesti. Ma ti senti spezzato in più
punti e non sai bene
come reggerti in piedi senza più sentire la sua pelle e il
suo calore tra le
dita. Senza i suoi gemiti nelle orecchie e il suo corpo a modellare il
tuo.
Ti
amo, vorresti
dirle.
Ti
amo e mi stai uccidendo. Mi sta uccidendo
amarti.
Ti
scongiuro, liberami.
Mercoledì.
Lasci la sua pelle, lasci il suo corpo e ti
condanni.
“Io
ti aspetterò.”
Angolo autrice
Sono soddisfatta? Ma certo che no, altrimenti non sarei Cress Morlet. Spero tantissimo di ricevere le vostre opinioni, ne ho davvero bisogno. Mi sono perdutamente innamorata di loro e tanto altro deve accadere. Seguitemi, se volete. E, soprattutto, buon anno nuovo!