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Autore: Parmandil    01/01/2023    1 recensioni
Tornate con noi ai giorni gloriosi in cui veri uomini con pistole a raggi e splendide donne in abiti succinti affrontavano gli orribili mostri dello spazio esterno! Tornate ai giorni in cui Capitan Proton, difensore della Terra, dominava i cieli!
Per l’equipaggio della Destiny, sperduto nel Multiverso, il ponte ologrammi può costituire una piacevole distrazione. Specialmente se s’indossano i panni di Capitan Proton, l’eroe in bianco e nero ispirato alla Golden Age della fantascienza. Ma tutto cambia quando, visitando lo Spazio Fotonico, il programma olografico sovrascrive la realtà stessa, materializzando meraviglie e pericoli dalle Avventure di Capitan Proton. Stavolta la finzione esce dalle anguste pareti del ponte ologrammi, facendosi realtà, dalla Nave a Razzo fino alla Fortezza del Destino. Seguite l’audace Capitan Proton e il leale Buster Kincaid nella lotta contro il perfido dottor Chaotica e i suoi biechi scagnozzi, per salvare il cosmo e liberare l’incantevole Constance Goodheart. Sempre che Malicia e Demonica, le Signore Gemelle del Male, non abbiano qualcosa in contrario...
Genere: Avventura, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Epilogo:
Data Stellare 2611.142
Luogo: USS Destiny
 
   Ora che era tornata al sicuro sulla Destiny, Giely aveva ripreso il suo lavoro senza perdere tempo. Chiusa nel suo ufficio, nel settore più riposto dell’infermeria, la Vorta proseguiva il meticoloso studio della tecnologia organica degli Undine. Al momento stava esaminando i dati sull’interfaccia neurale della bionave, in cerca della giusta combinazione chimica che le avrebbe permesso di sbloccare i comandi. Tuttavia aveva difficoltà a concentrarsi. Le memorie dell’ultima avventura erano troppo vivide, specialmente ciò che le aveva detto Rivera quand’erano prigionieri di Chaotica. C’era come un turbine di pensieri e sensazioni nuove che si agitavano in lei, e non sapeva se si sarebbero placati.
   La dottoressa stava ancora cercando di concentrarsi quando il cicalino dell’ingresso la costrinse ad abbandonare la lettura. «Avanti» disse, alzando gli occhi dall’oloschermo.
   Guarda caso, fu proprio il Capitano a entrare. «Ciao» esordì, un po’ imbarazzato. «Volevo solo sapere come stai. Da quando siamo tornati a bordo non ho avuto modo di chiedertelo».
   «Sto bene, grazie» rispose la Vorta, senza particolare emozione.
   «Mi fa piacere» disse Rivera, indugiando sulla soglia. «Vedo che ti sei già rimessa al lavoro. Non sei obbligata a farlo... voglio dire, puoi prenderti qualche giorno di riposo» suggerì.
   «Per fare cosa? Giocare con te sul ponte ologrammi?» chiese Giely, con una punta di sarcasmo.
   «Colpito e affondato» ammise l’Umano. «Non credo che ti proporrò mai più nulla del genere. Beh, in ogni caso riguardati. E scusami ancora per quello che ti ho fatto passare. Ci vediamo» borbottò, e fece per lasciare l’ufficio.
   Per un attimo la Vorta restò a guardarlo. Poi, trascinata da un impulso irresistibile, si alzò di scatto. «Aspetta!» esclamò.
   «Sì?» fece il Capitano, voltandosi.
   «Io... ho bisogno di sapere una cosa» mormorò la dottoressa. Aggirò la scrivania, avvicinandosi a Rivera. «Quel che mi hai detto quand’eravamo appesi su quel pozzo... è vero? Sei innamorato di me? O erano solo parole dettate dall’emozione del momento?» chiese, scrutandolo attentamente.
   L’Umano si prese lunghi attimi per rispondere, ma quando lo fece non c’era esitazione in lui. «Ti ho detto la verità, anche se mi ci è voluto fin troppo per rendermene conto. Sì, ti amo da impazzire. Ma dato che mi hai già risposto, non solleverò più l’argomento. Il nostro rapporto resterà professionale, se è ciò che vuoi» promise, sebbene gli piangesse il cuore.
   «Io... potrei essere stata troppo dura» mormorò Giely, fissando il pavimento. «Sei venuto a salvarmi, rischiando la tua vita, e il massimo che ho saputo fare è stato accusarti. Ma quando poi sono precipitata nell’abisso, è come se tutta la vita mi fosse passata davanti... e l’ho trovata vuota. Se fossi morta allora, sarebbe stata un’esistenza sprecata. Invece mi hai salvata, dandomi un’altra occasione, e quindi... quindi vorrei essere del tutto sincera con te» disse, deglutendo. Tutto in lei tradiva il nervosismo: dondolava il peso da un piede all’altro, si tormentava una ciocca di capelli e fissava qualunque cosa tranne l’interlocutore che aveva davanti.
   «Ti ascolto» garantì Rivera, attento alle sue parole come anche ai suoi gesti.
   «Io... insomma, ci sono alcune cose di me che vorrei spiegarti. Cose che non ho mai detto a nessuno. Povera me, non trovo nemmeno le parole adatte a dirlo. Non so se riuscirò a trovarle. È tutto così nuovo e strano» mormorò la Vorta.
   «Io ti ho parlato a cuore aperto; ti chiedo solo di fare lo stesso, se te la senti» disse gentilmente l’Umano.
   «Ecco... devi sapere che per tutta la vita ho sempre avvertito un vuoto dentro di me» confessò Giely. «Quando servivo il Dominio, credevo che fosse la mancanza di libertà, di prospettive diverse da quelle che altri mi avevano prefissato. Così mi appassionai ai racconti sulla Federazione, a tal punto da fuggire. Abbandonai per sempre il Dominio e ottenni la cittadinanza federale. Però scoprii che quel vuoto nell’animo c’era ancora, anzi, in un certo senso era peggiorato. Ero lontana anni luce dalla mia gente, da tutto ciò che avevo conosciuto fino ad allora. Avevo tradito i miei simili, al punto che non mi avrebbero mai riaccolta. Mi sentivo persino... egoista ad avere abbandonato coloro che mi avevano dato la vita e l’istruzione, spezzando la mia linea genetica per capriccio».
   «Non credo che sia egoismo né capriccio aver sete di libertà» mormorò Rivera. «Ma continua, ti prego».
   La Vorta fece un gran respiro e riprese. «Cercai di sdebitarmi con la società che mi aveva accolta, proseguendo gli studi di medicina e iniziando a esercitare la professione. Speravo che curare gli altri mi avrebbe in qualche modo assolta. Invece continuavo a sentirmi isolata da tutto e da tutti. Ovunque fossi, qualunque cosa facessi, mi pareva d’essere un’estranea capitata lì per caso. Così, quando seppi della Destiny – una nave che avrebbe esplorato il Multiverso – inoltrai la mia candidatura. Speravo che... mah, non so nemmeno io che cosa sperassi di trovare esattamente. Credo che cercassi una sorta d’illuminazione sulla vita, o di rivelazione sul mio posto nel mondo. Povera me, sembro così sciocca a dirlo!» confessò, rattrappendosi per la vergogna.
   «Non c’è niente di sciocco» disse però Rivera. «Quella che mi hai detto è la cosa più... umana che abbia mai sentito, se mi passi il termine. Tutti, prima o poi, ci chiediamo quale sia il nostro posto nel mondo e se non dovremmo fare altro, essere qualcos’altro. Credo che gran parte di chi si arruola nella Flotta Stellare lo faccia per questo».
   Un po’ rincuorata, Giely fece un breve sorriso, che tuttavia non cancellò il suo nervosismo, e riprese. «Beh, come sai, le cose non andarono come previsto. La missione fallì, gli Undine uccisero l’equipaggio e mi catturarono. Poco ci mancò che mi facessero impazzire. Poi siete arrivati voi avventurieri e ci siamo liberati, ma solo al costo di perderci nel Multiverso. È da allora che cerco di rimettere assieme i cocci della mia vita, di dare un senso a tutto. Il lavoro mi distrae, ma... non mi basta» rivelò, accennando all’oloschermo della scrivania, fitto di dati. «Continuo a sentire quel vuoto, a desiderare qualcosa di più. E mi sento egoista per il fatto che non riesco ad accontentarmi, come farebbe qualunque altro Vorta. Mi sembra d’essere un’ingrata, dopo tutto quel che ho già ricevuto, e questo mi fa stare ancora peggio!». La sua voce s’incrinò e la dottoressa, che già fissava il pavimento, girò il viso per nascondere le lacrime che le rigavano le guance.
   «Le persone egoiste e ingrate non si pongono minimamente il problema d’esserlo. Danno per scontato di avere diritto a prendersi tutto ciò che vogliono, senza lasciare niente agli altri. Tu non sei così. E non lo dico per consolarti o per compiacerti; lo dico perché ci credo fermamente» dichiarò Rivera.
   Giely tirò su col naso e cercò di asciugarsi le guance. «A furia di pensarci, negli ultimi tempi ho cominciato a credere che a mancarmi non sia tanto la libertà, quanto... quanto...» mormorò, senza riuscire a terminare il discorso.
   «L’amore?» indovinò il Capitano.
   «Sì, ecco» annuì vigorosamente la dottoressa. «Però noi Vorta non siamo fatti per amare. Io non ho mai amato e non sono mai stata amata in vita mia. Non so nemmeno come si faccia a tenere in piedi una relazione. Però so che è un campo minato, che si può restare feriti in tutti i modi possibili. Ci vuol niente perché l’amore si dissolva come una bolla di sapone, lasciando solo amarezza e delusione e un senso d’inadeguatezza. Questo l’ho ben visto! E così non ho mai fatto la prima mossa, per timore d’essere rifiutata, o peggio ancora d’essere accolta e poi rifiutata. E nessuno ha mai fatto la prima mossa con me, prima... che la facessi tu» confessò. «Sei il primo che mi abbia detto seriamente d’amarmi, e non immagini quanto la cosa mi terrorizzi. Perché se non amo posso sempre illudermi che l’amore esista, mentre se amo e poi la cosa va male, avrò la certezza che è solo una favola e che niente colmerà mai il mio vuoto. Ecco perché, quando ti sei dichiarato, ho dovuto per forza rispondere di no. Ora penserai che sono una creatura patetica... forse una psicopatica...» disse, tormentandosi la ciocca fin quasi a strapparsela.
   «Non penso niente del genere» disse però Rivera. «Penso solo che tu abbia un disperato bisogno d’amore; ma sei stata già profondamente ferita dalla vita, e quindi temi di subire altre ferite. Questo lo capisco, del resto anch’io ho passato i miei guai. I miei genitori furono uccisi nella Guerra Civile e io stesso fui schiavo per tre anni, prima della liberazione. Poi, quando finalmente ero nella Flotta Stellare e le cose sembravano indirizzarsi al meglio, un assurdo incidente con l’armeria mi fece espellere. Così dovetti cercare impiego presso i mercanti indipendenti, solo per trovarmi incastrato con questa banda di ricercati. Tutte le mie speranze, i miei progetti di vita si sono ridotti in cenere. E quando infine sono diventato Capitano, ci siamo smarriti nel Multiverso; vale a dire che i vantaggi del comando sono annullati e resta solo la responsabilità di riportare tutti a casa. Diamine, mi sono ridotto a giocare a Capitan Proton sul ponte ologrammi perché solo lì avevo la certezza del lieto fine! Come vedi, anch’io vivo nel costante terrore d’essere inadeguato» sospirò. «Suppongo che l’unica differenza sia il modo in cui ho reagito».
   «Ti riferisci alle tue innumerevoli conquiste amorose?» chiese Giely con una strana occhiata, tra il critico e il divertito.
   «Oh, beh... si fa quel che si può...» borbottò Rivera, imbarazzato. «Comunque, se vuoi sapere la verità, le mie relazioni sono state brevi. Ti confesso... e non l’ho mai detto a nessuno... che sono sempre stato mollato, mai il contrario».
   «E questo non ha distrutto la tua fiducia nell’amore?» chiese la Vorta.
   «Mah, forse più in me stesso che non nell’amore in sé» ammise Rivera. «La mia ultima storia è finita nel peggiore dei modi, al punto che stavo per rassegnarmi. Solo in questi ultimi giorni, dopo averti messa in pericolo col mio stupido gioco, ho compreso quanto mi stai a cuore. Non mi perdonerò mai per averti quasi fatta uccidere da quei buffoni in calzamaglia».
   «Non mi hai messa volontariamente in pericolo, però sei giunto volontariamente in mio soccorso. È questo che conta» disse la dottoressa, con un breve sorriso. «Non ti porto rancore, anzi! Ti ricambierei, se... se ne fossi capace» disse, tornando a intristirsi. Cercò di tornare alla scrivania, per riprendere il lavoro.
   «Aspetta, questa ho bisogno di capirla!» disse Rivera, inseguendola. «Al di là dei timori, provi anche tu qualcosa? Non parlo di un generico bisogno d’amore, ma di quello indirizzato precisamente a una persona. Io ti ho dichiarato il mio. Tu mi ricambi oppure no?» insisté.
   Giely si bloccò. Muovendosi lentamente e a scatti, lottando contro se stessa, tornò a girarsi verso Rivera e alzò gli occhi violetti su di lui. «Io provo... qualcosa di profondo per te» disse con immensa fatica. «Non so se sia amore, perché non ho mai conosciuto l’amore prima. Però quando sono con te mi sento più viva e... quel vuoto che mi ha attanagliata per tutta la vita scompare» rivelò. Il suo viso, solitamente di un pallore cadaverico, si tinse improvvisamente di un vivo rossore.
   «Beh, dalle mie parti questo si chiama amore» sorrise il Capitano. Con gesto lento, per non agitarla, le carezzò un lato della testa. Giely chiuse gli occhi e lo lasciò fare, ma solo finché col suo gesto le scostò i capelli, mettendo in vista l’orecchio zigrinato da Vorta. Allora la dottoressa s’irrigidì e cercò di coprirlo con le ciocche, palesando la propria insicurezza.
   «Ehi, ehi!» fece l’Umano, abbracciandola. «Non devi vergognarti di ciò che sei. Caramba, vorrei che tu ti volessi bene quanto te ne voglio io, e ti accettassi come ti accetto io. Vedi, quando si ama una persona la si accetta così com’è, senza cercare di stravolgerla. Altrimenti non si amerebbe quella persona, ma qualcos’altro. Io ti amo così come sei, ti accetto così come sei» ribadì.
   «Anche con le mie buffe orecchie da Vorta?» sussurrò Giely, mentre altre lacrime le bagnavano il volto; ma queste non erano di dolore.
   «Certo, anche con le tue orecchie da Vorta e gli occhioni da Vorta!» confermò Rivera. Sentendola rilassarsi tra le sue braccia, si azzardò a fare un gesto più intimo. Le prese il viso tra le mani, asciugandole le lacrime. Giely continuò a lasciarlo fare. Poco alla volta si calmò, arrivando a ricambiare l’abbraccio, dapprima con esitazione, poi con forza sorprendente.
   «Allora, te la senti di provare?» chiese l’Umano.
   «Me la sento, sì!» confermò la Vorta, annuendo vigorosamente. Sarà stata la sua immaginazione, ma le pareva di sentire gli antichi cromosomi dei Vorta, disattivati ma mai espunti dal DNA, che si riattivavano. Ormoni mai prodotti prima le invasero il flusso sanguigno, riempiendola di desiderio, tanto che le sue pupille si dilatarono. «Ma se non funziona...?» aggiunse, ancora minata dal terrore dell’inadeguatezza e del rifiuto.
   «Se non funziona ci comporteremo da persone adulte e responsabili, lasciandoci senza rancori e recriminazioni. Ma spero davvero che funzioni» disse il Capitano, continuando a carezzarla.
   «Io pure» ammise Giely, le guance accalorate. «E ora baciami, Capitan Proton... i cattivi sono sconfitti e Constance è qui con te...» sussurrò in tono seducente. Quando le loro labbra si toccarono, pensò che era valsa la pena di sopportare quella disavventura, in cambio di ciò che aveva ottenuto: l’occasione d’essere la prima Vorta ad amare dopo migliaia di anni.
 
 
FINE

 
   
 
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