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Autore: Persefone26998    01/01/2023    0 recensioni
"...ci sono più parole in quella lingua fatta di mani e di sguardi di quante potresti mai trovarne scritte su tutti i libri della casa di Denha"
Kavetham nata dalle "cuffie" che Al-Haitham porta e che ispirano l'anima angst che c'è in me; tema: la disabilità in ambito accademico e relazionale... e ovviamente, gli screzi dei nostri amati Casa Vianello
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Piccola nota: questa storia prende inizio a partire da quattro anni prima gli eventi attuali del gioco
 
L’Accademia sembra una miniatura di gesso finemente decorata che si regge su fragili fondamenta di convenzioni, probabilmente se qualcuno gli chiedesse di descriverla non saprebbe trovare altra definizione che vada oltre l’apparente impilarsi di regole implicite e sussurri sottobanco; che a Kaveh l’Accademia non piaccia è forse la cosa che meno la gente si aspetta dal massimo esponente del Kshahrewar, anche se al solo guardare  uno dei suoi disegni è un particolare talmente evidente da sembrare l’elefante nella stanza, ma l’Accademia è quel luogo dove la verità è menzogna e a nessuno piace davvero ammirarla. Non che lui ne avesse mai fatto mistero che la considerazione della sua professione tra quelle mura gli accapponasse la pelle, anche se nell’instante stesso l’ammirazione nei suoi confronti diventava pietà, come se solamente per lui l’idea una vita priva di bellezza senza che questa diventasse grigia fosse ripugnante; accettare le commissioni dell’Accademia, quelle insensate ricerche prive di fantasia che giravano su se stesse lungo sentieri battuti da centinaia di scarpe, o quadrati di mattoni e calce senz’anima dell’ennesimo mercante era come lasciare le padisarah ad appassire sotto il sole cocente del deserto, avrebbe finto a perdere il senso delle sue opere.
Una volta, in un istante della sua vita che forse fatica a ricordare nonostante sia tanto tangibile da tenerlo tra le dita, aveva letto in uno dei tanti libri dei tanti scaffali della Casa di Daeha che non esiste forma di vissuto che non possa non essere espressa attraverso l’abilità delle dita e per il giovane studente di Kshahrewar, nell’acerbezza della sua adolescenza, quelle parole erano sembrate intarsiarsi tra la china dei suoi lavori con la stessa facilità con cui un uomo respira; ad oggi mentre aspetta in silenzio l’ascensore per gli uffici del Mahamata, forse è arrivato alla coscienza di essersi appropriato di quelle parole ricoprendole in un significato che non gli appartiene, ma che tra le sue mani ha la stessa bellezza fragile di un rosone di cristallo.
Sono le otto del mattino, l’Accademia è quasi completamente deserta se non per i pochi studenti che più che appena svegli paiono aver passato la notte insonne chiusi nelle loro tesi; in un tempo non molto lontano, appena due anni prima, Kaveh era stato come loro con quelle occhiaie bluastre sotto agli occhi e l’aria di chi ha sempre visto più caffè che acqua e non prova alcuna nostalgia per quella condizione. Il fatto che si ritrovi ad un orario indegno, con l’umidità della foresta ancora appiccicata alla pelle addormentata è dovuto solo al nuovo Scriba dell’Accademia e ai suoi orari di ricevimento militari; Kaveh non l’ha mai incontrato e può affermare con assoluta certezza che solo un pomposo stacanovista può organizzare appuntamenti a partire dalle otto del mattino.
Alcuni studenti del suo Darshan lo riconoscono, anche alcuni di altri settori dell’Accademia a voler essere del tutto onesti, ma l’aria di nero fastidio che permea da ogni poro del suo corpo e l’avvolge come il suo mantello deve essere abbastanza per far fuggire anche quei pochi che racimolano il coraggio per avvicinarsi; e il mondo deve odiarlo in modo particolare quella mattina perché se neanche a premere freneticamente quel dannato ascensore dà segni di vita, significa solo che l’Accademia dovrebbe rivedere i fondi stabiliti per la manutenzione dell’edificio il prima possibile e che lui è in ritardo, un tremendo ritardo che pare quanto meno ridicolo visto che è lì da quindici minuti buoni.
E, se il suo senso da architetto pizzica bene dietro la nuca, sa già che questo gli costerà caro quando entrerà nell’ufficio del pomposo stacanovista Scriba che prende appuntamenti alle otto del mattino; ovviamente maledire lui, i Saggi, Sumeru City e tutta l’Accademia è assolutamente la cosa giusta da fare.
- Sta cercando di diventare una pianta da arredamento accanto all’ascensore?
Kaveh è un esteta, per lui funzionalità e bellezza camminano l’una accanto all’altra e, come in tanti aspetti della sua vita, i suoi occhi sono il suo primo metro di giudizio nei confronti del mondo anche se a volte a torto della sostanza; e l’uomo di fronte a lui è ciò di più assolutamente appagante per il suo gusto estetico, scultura cesellata dalle mani degli Archon contornata di due occhi verdognoli che sembrano scandagliare le sue espressioni con la stessa solerzia del gatto pronto all’agguato. Conosce Al-Haitham di vista, due occhi del genere non avrebbe mai potuto dimenticarli in tutti gli anni passati ad ammirarli da lontano tra i corridoi dell’Accademia, ma sembrano un abisso visti da così vicino con la voce baritonale dell’altro a rombargli nelle orecchie e la leggera piega delle labbra che fa spuntare una fossetta sulla sua guancia; in due anni da che non si vedevano, si chiede cosa diamine abbia mangiato l’altro per passare dalla sottile figura dei suoi ricordi chinata sui libri, con le ciocche argentee che gli scivolavano davanti agli occhi, all’armadio che ha davanti e lo fa sentire mingherlino come un bambino di fronte all’albero su cui Sumeru City si appollaia.
Non si erano mai parlati seriamente in tutti i loro anni da studenti, escluso qualche saluto e uno o due battibecchi sporadici di cui francamente Kaveh non ricorda neanche i temi anche se è sicuro, con non sa quale certezza, che fossero futili, ma in definitiva conosce così poco di lui e del suo carattere che mentre il suo viso stoico lo guarda in silenzio fatica a sentirsi a suo agio; ma l’aria imbarazzante che cala tra di loro è quasi peggiore della sua incapacità di spostare gli occhi da quei bicipiti torniti che le maniche nere dei guanti tendono solo a esaltare, il mezzo incresparsi del sopracciglio dell’altro così stranamente leggibile nella freddezza che caratterizza le sue espressioni da fargli arrossare le guance.
- È guasto
Il modo in cui l’altro lo guarda mentre indica l’ascensore, l’espressione che urla un “ma davvero?” sarcastico che resta ad aleggiare tra di loro, lo irrita come se si fosse gettato in un cespuglio di orticaria e la cosa peggiore è che non può biasimare nessun altro che se stesso per quell’uscita infelice; e il torso tornito di Al-Haitham unito alle quattro ore di sonno che gli pesano in testa e alla mancanza di caffeina in circolo sono un mix assolutamente distraente per il suo cervello stanco.
- Non credo che a osservarlo intensamente si aggiusterà, mi sembra anche di fretta Mr Kaveh
- Devo incontrare lo Scriba, che probabilmente si lamenterà come uno di quei vecchi che girano attorno a qualsiasi cantiere per il mio ritardo... chi diavolo è il sociopatico che prende appuntamento alle otto del mattino?
- Non saprei proprio
È sicuro di starsi immaginando il sogghigno divertito sul volto dell’altro, perché qualunque emozione illumini le iridi dell’altro la riscopre capace a fargli scivolare un brivido di freddo lungo la schiena; e il divertimento non è qualcosa che assocerebbe alla loro conversazione, non quel genere finto sorpreso fatto di braccia incrociate e del modo in cui Al-Haitham piega appena la testa, ma la mancanza di caffè deve essere più grave di quanto aveva pensato o forse è solo la sua linguaccia sciolta che lo fa sprofondare in maniera peggiore, perché il suo senso da architetto pizzica come uno sciame di zanzare dietro la sua nuca e Kaveh non sembra nella forma mentis di ascoltarlo.
- Sicuramente è un vecchio stacanovista noioso, chiuso dietro ad una scrivania e con il naso aguzzo affondato tra i libri
- Davvero?
- Certamente! O sei fuori di senno come i ricercatori nel villaggio di Aaru, oppure devi avere settant’anni come minimo per scegliere di diventare Scriba e chiuderti in quegli uffici polverosi dalle otto del mattino
- Forse è qualcuno che vede le potenzialità di avere accesso alla stragrande maggioranza della conoscenza dell’Accademia?
- O forse è qualcuno che ha deciso di passare la sua vecchiaia a mimetizzarsi con le ragnatele degli archivi
Una risatina; è assurdo come un suono così impercettibile eppure così accattivante sia in grado di farlo sentire sulla punta di uno spillo, come se la realizzazione che non ascoltare il suo istinto avesse bisogno di uno scossone per arrivare al suo cervello. L’altro si china appena su di lui, i centimetri di differenza che li sperano lo fanno sentire quasi a disagio con gli anni in più che si porta sulle spalle, ma da quella distanza il suo profumo di Kalpalata Lotus gli scivola nei polmoni come tabacco aspirato da una pipa; sente il viso in fiamme mentre il sogghigno dell’altro si fa più evidente, un’emozione che crepa la sua maschera di stoicità e che è accentrante per la sua mente quasi quanto il suono della sua voce nelle orecchie, una nenia di miele che pare quasi venire da un altro mondo, cola nell’orecchie quasi volesse addolcire il senso di rabbia che gli risale lungo le dita.
- Il mio ufficio è al secondo piano Mr Kaveh, terza porta a destra... questo vecchio stacanovista noioso dal naso aguzzo si scusa per il proprio ritardo, c’è stato un problema con l’interruzione della strada principale stamattina
Lo sa, ci era incappato anche lui per sbaglio e per un attimo aveva quasi ringraziato l’assurdità dello Scriba senza volto per averlo fatto alzare così presto quella mattina; lo sa come sa che la sua faccia deve essere in fiamme in questo momento e il sorrisino di Al-Haitham, quando si allontana con quegli occhi impossibilmente belli che lo scandagliano dalla testa ai piedi, è la cosa più irritante su cui Kaveh abbia mai posato lo sguardo in barba a tutte le stronzate sull’estetica e l’armonia della bellezza, vorrebbe quasi prenderlo a schiaffi fino a cancellarlo.
- L’aspetto, non faccia più tardi di quanto ha già fatto
Assolutamente irritante.
***
- Quel dannato, farabutto, stupido...
- Hai mai pensato che dovesti imparare a trattenere la tua parlantina davanti agli altri?
- Cyno, sei mio amico o il suo?
- Sono il Generale Mahamatra
- Cyno!
L’albino gli lancia una mezza occhiataccia per dirgli di tenere la voce bassa e non attirare su di loro l’attenzione dell’intero Puspa Café, non più di quanto abbia già fatto possibilmente; accompagnare l’altro non era stata una scelta pensata, almeno non una presa e condivisa dall’albino che si era solo ritrovato Kaveh alle calcagna a sfogare tutta la frustrazione della mattinata, ma se ne era reso conto solo dopo essersi seduto a quel tavolino mezzo nascosto dalle piante decorative del locale e l’altro aveva ordinato a mezza voce fissando gli occhi su un gruppo di studenti all’altro lato. O meglio, su uno specifico studente che difficilmente passerebbe inosservato con quelle orecchie così lunghe e che Kaveh non ammetterà mai ad alta voce di voler carezzare per costatarne la morbidezza.
- Sai che la strategia maniaco inquietante non funziona, vero? Perché non gli offri da bere come qualsiasi persona sana di mente?
- Sono qui per un’indagine, non per interesse
Kaveh vorrebbe seriamente appuntare che le orecchie dell’altro sono rosse in modo imbarazzante, ma allo sguardo serioso che l’altro gli lancia, un modo davvero sottile ed elegante per dirgli di mangiarsi qualsiasi idea stia girando nella sua testa, soppesa sul piatto di una bilancia la possibilità di uscire dal café con più mal di testa di quando vi è entrato perdendo la poca voglia che ha di ribattere; se la storia dell’indagine che probabilmente l’altro ha già ampiamente risolto riesce a farlo dormire su un cuscino di piume, che amico orribile sarebbe nel negare questo conforto a lui e un lauto pranzo a se stesso. Ma quando il cameriere gli porta i loro pranzi, tenendo in mano il vassoio con la schiena tesa come le corde di un setar vicino a Cyno, l’altro non lo nota nemmeno come rischia di rovesciargli il vassoio addosso o il modo repentino in cui si dilegua, troppo impegnato a scrutare ogni modo in cui le orecchie dello studente si contraggono mentre ascolta attento il suo collega; e davvero, Cyno dovrebbe ringraziare di avere un amico così interessato al suo benessere come lui, pronto a eseguire la sua buona azione quotidiana.
- Però, insomma, se volessi andare a parlargli a indagine finita, non penso che qualcuno...
- Mi dicevi sul tuo incontro con lo Scriba?
- Quell’idiota, capace solo di criticare qualsiasi cosa vada oltre la sua banalissima e superficialissima conoscenza dell’architettura
- Se vuoi compilare un modulo contro di lui, devi presentarlo formalmente al Matra, lo sai?
- Non voglio presen.... Ehi! Non cambiare discorso
Lo sbuffo seccato dell’albino è impercettibile e probabilmente se Kaveh non mancasse del concetto di spazio personale quando è in fase chaperone, con il corpo proteso il più possibile verso Cyno e un mezzo sorrisino sbilenco nascosto tra la punta delle dita della mano su cui poggia il mento; ma se c’è una cosa che Kaveh ha imparato in tanti anni che conosce Cyno è che far cadere il discorso con l’amico significherebbe non riaprirlo mai più, mentre lui ha tutto l’interesse nel spingere quella briciola di interesse che vede riverberare negli occhi dell’unica persona che conosce che non ne ha mai mostrato per nessuno.
- Sono il Generale Mahamatra e lui è uno studente, sto conducendo un’indagine seria su Mr Tighnari
- Finalmente so come si chiama la musa che ti ha catturato il cuore
- E anche se ci fosse il minimo interesse, cosa che non c’è oltre un livello puramente lavorativo
Il modo in cui l’altro rimarca quella frase gli fa intuire che non ha alcun diritto di replica e, non con una certa soddisfazione di fondo, che ha totalmente centrato il punto.
- Io sono in una posizione di potere nei suoi confroni, potrebbe sentirsi sotto pressione, potrebbe sentirsi a disagio all’idea di dirmi di no, potrebbe forzarsi per paura... potrebbe denunciarmi ai Saggi e io perderei il posto
- Quei vecchi insaccati bigotti!
- Kaveh
Se c’è una sola cosa che ha il potere di zittirlo è il modo basso in cui la lingua di Cyno arrotola il suo nome, una vibrazione sottile che si propaga come una nota tenuta per troppo tempo tra le dita; e Kaveh sa di avere un pessimo carattere, lo sa dal modo in cui alcuni studenti si sono girati a guardarlo alla sua esclamazione, sa anche che però non si rimangerebbe neanche una parola di ciò che dice. Sumeru è la nazione della conoscenza, dove ciò che sei in grado di fare e di apprendere ha più valore delle tue origini, delle tue credenze e delle tue preferenze; o almeno questo è il livello teorico di cui tutti si fregiano, una forma di meritocrazia farlocca atta a imbonire i più fragili, perché di tante cose si può essere certi a Sumeru City tranne che del fatto che l’Accademia non sia estremamente attenta a dove vieni, a ciò in cui credi e di chi ti innamori.
- Te l’ho detto mille volte, mantieni la lingua, se qualcuno ti sentisse parlare così dei Saggi saresti in guai seri
- Credi che mi importi dell’opinione di sei mummie?
- È questo il punto! Anche oggi con lo Scriba hai rischiato, se fosse stata una persona un attimo più rancorosa e poco propensa a darti i giusti consigli... che non capisco onestamente per quale moto di orgoglio ti stai intestardendo a non seguire
Scegliere di sorvolare molto candidamente l’affermazione di Cyno e concentrarsi sullo stufato nel suo piatto è l’unica risposta che Kaveh si sente disposto a dare; perché per quanto abbia passato il suo tempo a lamentarsi e strepitare di quel demone con più addominali che simpatia, nessuna delle parole che erano uscite dalla sua bocca si era rivelata nei fatti sbagliata e ogni sbavatura della sua tesi, ogni punto superfluo per il mondo ma non per se stesso, ogni singolo appunto che andasse al di là della testi preconfezionata solita dell’Accademia era stato respinto dal Grande Saggio Azar senza possibilità di appello. E sarebbe disonesto da parte sua dire che lo Scriba non lo avesse avvertito, appuntando gli angolo fragili della sua partecipazione al bando per la costruzione di una nuova biblioteca a Port Ormos, consigliando uno sviluppo più congeniale a quelli che erano i gusti dell’Accademia; sarebbe ancora più disonesto dire che l’altro avesse capito perché ad ogni correzione che depauperava di bellezza il suo lavoro, Kaveh si fosse alterato fino ad urlare e sbattere la porta del suo ufficio con tutta la rabbia del mondo, l’apparente gentilezza di cui era solito fregiarsi completamente dissipata sotto lo sguardo attento di Mr Al-Haitham.
- Non credo che il Grande Saggio Azar accetterebbe una richiesta così sognante, con tutto rispetto Mr Kaveh, dovrebbe riformularla in un modo più adeguato
- Adeguato, ossia noioso e privo d’anima?
E ci aveva messo un frammento di anima in quel progetto, era il perfetto connubio tra tecnicismo ed estetica, elaborato in modo particolareggiato nei minimi dettagli, vi aveva profuso tutto l’impegno e le conoscenze che erano il suo più grande vanto; Kaveh sapeva perfettamente che non avrebbe accolto il consenso del Grande Saggio e sa che difficilmente vincerà il bando indetto dall’Accademia se mantiene tutto ciò che ha stabilito, che la sua testa è troppo articolata per incesellarsi negli standard di semplicità e funzionalità che sono richiesti. Ma come potrebbe chiamare quelle opere sue se non vi infondesse un pezzo di se stesso? Come potrebbe vivere una vita fatta di geometrie ripetitive e di una funzionalità freddamente ristagnante, senza lasciare che le sue dita imprimano un senso più profondo al sapere accumulato nella memoria? Non può neanche definirla conoscenza quell’insieme di nozioni applicate senza cuore e senza domande, come le tessere rigide di un puzzle.
- Senti Kaveh
Non si era accorto di star fissando il suo piatto con sguardo perso finché Cyno non richiama la sua attenzione, il gruppo di studenti tra cui si trovava l’indagato che si alza dopo aver terminato il loro pranzo; sa che l’amico li seguirà, ma il modo in cui Cyno lo guarda mentre si alza lo fa sentire un bambino recalcitrante.
- Non lo conosco abbastanza, ma mi sembra una persona equilibrata tra tutto lo staff dell’Accademia... prova ad andarci d’accordo, perché qualunque contratto sia interno che esterno che farai passerà per le sue mani prima di arrivare al Saggio Azar
- Va bene
In tutta franchezza, Kaveh sente di non potergli promettere niente.
***
Nonostante tutto, quattro giorni dopo si trova a bussare di nuovo alla porta dello Scriba con il bozzetto del suo progetto corretto, anche se può dire che non ha seguito pedissequamente nessuno dei consigli dell’altro, ma li ha decisamente rielaborati a modo suo; non che non ci avesse provato a scrivere un paper adeguato agli standard dell’Accademia, aveva passato giorni a revisionarlo più volte ma alla fine ogni singola parola di quel documento preconfezionato gli sembrava una stilettata in petto, avrebbe davvero preferito perdere la possibilità di affermarsi al bando indetto dal suo Darshan che presentare un qualcosa di così poco suo. Quindi è perfettamente consapevole che una volta attraversata la porta di quell’ufficio si sarebbe dovuto sorbire l’ennesimo elenco di critiche, ma almeno anche nel fallimento imminente avrebbe potuto dire di averci provato secondo le sue regole.
Eppure, gli ci vuole una buona dose di coraggio per bussare e non deludere se stesso più di quanto abbia già fatto riscrivendo d’accapo tutta quella serie di documenti, molto più di quanto chiunque si aspetterebbe da lui; batte tre colpi secchi sulla porta e resta semplicemente ad aspettare, dritto in piedi con quella cartella rossa tra le braccia che attualmente è il suo più grande tesoro, e il tempo sembra dilatarsi all’infinito tra le linee incurvate del legno della porta. Membri del Mahamata gli sfilano accanto in un incessante ticchettio di passi, alcuni occhieggiano la sua figura con una strana curiosità, c’è quasi una luce di pena nei loro occhi; altri sono divertiti, non nascondono il ridacchiare trattenuto a stento tra le labbra serrate e lo scrutano come se gli fosse nata una seconda testa mentre aspetta invano davanti alla porta.
Resta lì per minuti, può quasi contare i ticchettii dell’orologio appeso alla parete, aspetta in silenzio e comincia a ponderare che debba essere proprio sfortunato per aver beccato l’unico giorno in cui lo Scriba non è nel suo ufficio; si crogiola così tanto nella sua malasorte, che la realizzazione dell’impossibilità di una tale coincidenza lo colpisce quasi allo stomaco quando vede Panah correre in fondo al corridoio verso l’ufficio del Grande Saggio: aveva chiesto all’altro se lo Scriba fosse nel suo ufficio prima di arrampicarsi lungo le scalinate dell’Accademia e l’uomo gli aveva annuito, mormorando qualcosa che nel fracasso della casa di Daena non era riuscito a sentire mentre si avventurava ai piani di sopra.
E per quanto sia colpa anche della sua disattenzione se si ritrova nella posizione dello stoccafisso davanti alla porta dello Scriba, la sua irritazione verso quest’ultimo cresce in modo esponenziale, tanto che quando bussa di nuovo con tutta l’irritazione del mondo è sicuro che lo abbia sentito anche Lesser Lord Kusanali rinchiusa nel suo Santuario; ma non lo Scriba a quanto pare, dato che Kaveh si ritrova ad essere nuovamente ignorato e, in un impeto di irritazione, apre la porta in barba a qualsiasi buona maniera gli sia stata mai insegnata.
La testa di Al-Haitham china su una pila di documenti, gli spinge il sangue al cervello per qualche istante, conscio che l’altro l’ha volutamente ignorato di proposito e neanche adesso, dopo che è entrato come una bestia da trasporto sbattendo malamente i suoi preziosi documenti sul ripiano di legno del tavolo, l’altro pare propenso a dargli retta; è solo quando nella foga del momento spinge la sedia davanti alla scrivania e questa colpisce il ripiano, propagando le vibrazioni fino alla mano di Al-Haitham, che l’altro si degna di alzare lo sguardo su di lui, due occhi così simili ad una fonte nel deserto e così pieni di confusione che Kaveh deve giurare a se stesso che non basterà così poco a distrarlo, perché Al-Haitham ha esaurito ogni briciola della sua pazienza senza neanche aprire bocca e neanche il modo gentile in cui i capelli gli si incastrano tra le ciglia può raffreddare la rabbia che sente.
- Sono davanti alla tua porta da mezz’ora! Sei un sadico che si diverte a ignorare la gente o sei semplicemente sordo?
E no, quegli occhi non devono assolutamente distrarlo perché quando si colorano di divertimento mentre Al-Haitham appoggia il viso sul palmo della mancina, guardandolo dall’alto in basso come se trovasse esilarante qualsiasi parola esca dalla sua bocca, Kaveh prova l’irrefrenabile voglia di strapparglieli o almeno di stringergli le mani al collo.
- Felice che lo Scriba trovi tutto questo di suo piacimento... ora potrebbe gentilmente ritornare serio per un secondo e smetterla con questi suoi dispetti da bambino?
L’altro gli fa un leggero cenno con le spalle, come a dirgli di continuare tranquillamente con qualsiasi fossero le motivazioni che l’hanno spinto nel suo ufficio quella mattina; e con la stessa repentinità con cui è esploso, se la fa quasi scivolare di dosso la sua irritazione i mentre guarda le orecchie scoperte dell’altro come se fossero un concetto astratto di trigonometria. 
Al-Haitham ha delle orecchie davvero piccole e con un daith sul sinistro che mai avrebbe associato a una persona come lui e che è perennemente nascosto dalle sue cuffie; non è un pensiero particolarmente profondo né coerente con la frustrazione che sente appiccicata ad ogni centimetro della sua pelle, ma non riesce a non soffermarsi su un qualcosa di così curioso sempre celato dietro le cuffie che l’altro indossa perennemente: sono orecchie piccole e rosate, la sinistra ha un daith e i suoi lobi sembrano grandi poco più dell’unghia di un pollice, appena nascoste dietro ciuffi di capelli argentati  che accarezzano la conchiglia.
I dettagli sono sempre qualcosa che colpisce i suoi occhi come la risacca delle onde sulla battigia, non saprebbe definire perché la sua mente si fissa su particolari tanto insignificanti fino a perdersi nei meandri di se stessa; e davvero, non c’è nulla di particolare nella figura di Al-Haitham e nelle sue orecchie, non tanto da soffermarvisi per più di pochi secondi per qualsiasi persona normale. Eppure per Kaveh hanno una certa forma di mistero nel loro essere sempre rinchiuse dietro gli auricolari che l’altro porta, Al-Haitham sembra quasi assumere la delicatezza dei petali di un fiore di loto a guardarlo così, con la testa inclinata e poggiata sul palmo, gli occhi verdi fissi nei suoi e le ciocche che gli danzano sulla pelle morbida dei lobi ad ogni micromovimento del suo corpo.
E forse si è fermato in quel particolare insignificante per troppo fino a perdersi dietro la sua mente che si assorbe nei particolari delle cose, perché l’altro alza il sopracciglio come a chiedergli che fine abbia fatto tutta la verve con cui è entrato nel suo ufficio e Kaveh può giurare di non essere mai arrossito tanto in vita sua; si schiarisce la voce e china il viso sui suoi progetti, per nascondersi all’imbarazzo che spesso la sua capacità di concentrazione gli causa. Non si accorge di come l’altro sembri a disagio mentre cerca di guardarlo quando comincia a parlare.
- Ho riscritto la tesi per il bando ponendo dei piccoli aggiustamenti alla mia perfetta creazione precedente... effettivamente alcuni punti andavano smorzati per non risultare troppo eccessiva per le specifiche del bando, ma onestamente non vedo il senso nell’eliminare tutti i punti più artistici del mio progetto, tanto varrebbe che i saggi riempissero una stanza vuota di librerie a quel punto... però ammetto che una linea più pulita e con meno fronzoli risulti migliore per dare un senso di eleganza, anche se credo che lo stile architettonico di Sumeru City non si adatti per niente alla costruzione di una biblioteca a Port Ormos, motivo per cui...
È solo quando alza il volto per guardare l’altro per spiegare l’idea dietro il suo progetto che si rende conto di come Al-Haitham sembri seduto su un rovo di spine, lo sguardo lavato di tutto il divertimento e indurito dai lineamenti irrigiditisi dell’altro; lo guarda in un silenzio tanto teso che potrebbe tagliarlo con un coltello da burro e resterebbe comunque troppo denso nell’aria, Al-Haitham deglutisce in modo sonoro prima di prendere un foglio dalla sua scrivania e scarabocchiarci qualcosa in una calligrafia perfettamente lineare e ordinata che non potrebbe non essere associata lui. È solo quando glielo fa scivolare di fronte che Kaveh si accorge che l’altro non ha pronunciato una parola da quando è entrato nella stanza, quasi come se gli fosse davvero bastato il diverso modo che la luce ha di infrangersi nei suoi occhi ad ogni emozione per sentire le sue parole.
Scusami, potresti guardarmi negli occhi quando parli?
- Seriamente? Stai facendo storie per questa stupidaggine di galateo? Non ti sembra di essere un po’ troppo pignolo, Mr Scriba?
Alla malora il lei, è talmente furioso per quella pretesa senza senso che se uscirà da quella stanza sulle sue gambe e non trascinato fuori dal Matra sarà miracolo di Lesser Lord Kusanali e della defunta Lord Rukkadevatha assieme; e neanche la sua coscienza, quella che ha la stessa voce di Cyno ed è chiaro segno della sua discesa nella follia, è in grado di arginare il senso di frustrazione che prova a parlare con quell’uomo tanto enigmatico da affascinarlo quanto deteriorante per la sua materia grigia in ogni azione che compie. Al-Haitham sembra il ritratto dell’indecisione mentre lo guarda, anche se ad occhio esterno il suo viso parrebbe una lastra di qualche lingua indecifrabile persa nei meandri del tempo, apre la bocca solo per richiuderla qualche secondo dopo rigirandosi distrattamente la punta del suo calamaio tra le dita.
- Cos’è il gatto ti ha mangiato la lingua? O hai perso momentaneamente la voce?
Gli ci vuole tutta la sua pazienza per non strapparsi i capelli quando l’altro annuisce con le spalle rigide per quanto sono contratte, sposta solo per pochi istanti gli occhi dai suoi per riportarli subito su di lui e studiarlo attento in attesa di qualsiasi cosa abbia ancora da dire; ma la voce di Cyno – della sua coscienza – lo rimbrotta aspramente per il suo caratteraccio e l’ultima cosa di cui Kaveh ha bisogno in quel momento è di passare il resto della sua giornata divorato dai sensi di colpa.
- Va bene! Ho riscritto meglio la tesi per il bando del mio darshan... no, non ho eliminato nessun elemento che io ritengo essenziale per quanto superfluo... e no, non ho intenzione di modificarlo ulteriormente, preferisco perderlo questo progetto che vedere il mio nome su qualsiasi orribile idea abbia il consiglio dei Saggi!
Al-Haitham fa soltanto un cenno del capo prima di prendere i suoi documenti e leggerli; sposta gli occhi per l’ufficio dell’altro pur di non perdersi nelle vertigini dei suoi capelli e non scadere nuovamente nell’imbarazzo, l’ordine maniacale della sua scrivania che non si riflette per nulla nel modo in cui decine e decine di tomi sono sparsi per la stanza, temi e argomenti diversi impilati in colonne disordinate che forse solo per la mente dell’altro devono avere un senso. E pensa che sia davvero strano come il silenzio con l’altro possa passare dall’irritazione, al macigno per finire in quel calmo rimestio dei pensieri dove solo il movimento che la carta fa sotto le dita dello Scriba interrompe la quiete; è strano eppure Kaveh non sente di volercisi soffermare davvero più di tanto, è semplicemente il normale svolgersi degli eventi a cui non va forzata una direzione, non quando gli sembra così mortalmente facile essere meno una maschera di cera di fronte ad Al-Haitham.
Un lavoro decisamente migliore, ma non so dirti come il Saggio Azar lo valuterà
Legge distrattamente il foglietto che l’altro gli lascia scivolare davanti, storcendo appena il naso al modo in cui l’altro ha tenuto a rimarcare quel decisamente sulla carta; per ora Cyno dovrà farsi bastare il suo autocontrollo che tiene la testa dello Scriba ancora attaccata al collo.
***
La casa di Daena pullula sempre di troppi studenti e troppi ricercatori, ma quella mattina in particolare quando Kaveh vi mette piede sembra più vivace del solito; non che non se lo aspettasse che in periodo di esami quel luogo diventi popolato di una marea di studenti con troppe occhiaie e troppo caffè in corpo, era stato al loro posto tante volte durante il suo corso di studi, ma la quantità di ricercatori ufficiali dell’Accademia radunata attorno a uno dei tavoli della biblioteca gli fa chiedere cosa ci sia in pentola quel giorno da far sobbollire anche chi esami non ne ha da un po’. I risultati del bando del suo darshan sono usciti la settimana scorsa e, come prevedibile, il suo progetto era stato considerato troppo visionario e dispendioso per i fondi del Kshahrewar; senza contare che il suo Saggio l’aveva redarguito sulla poca pragmaticità della struttura cupoliforme in vetro temperato che aveva disegnato per il soffitto senza vedere, secondo il suo modesto parere, il vantaggio che essa avrebbe rappresentato per lo studio dell’astronomia al di là del semplice fattore estetico.
Ma Kaveh tutte quelle cose le aveva già messe in conto e sarebbe stato un disilluso a credere che gli eventi avrebbero potuto prendere una piega diversa; per questo motivo non riesce a comprendere la ragione di tanto fermento nella casa di Daena quella mattina, non con le borse per i progetti già perfettamente assegnate e con la sospensione delle attività didattiche in vista degli esami di metà semestre. Scandaglia l’ambiente circostante in cerca di qualche volto familiare a cui chiedere delucidazioni, i suoi propositi di consultare la sezione dedicata all’edilizia del deserto ai tempi del King Deshert completamente sfumata nel rimbombo delle voci nell’ambiente; vede le ciocche castane di Pharez e il cappello della divisa degli studenti piantato sulla testa prima di sentire la sua voce accanto a sé, fingendo che non sia quasi macchiettistico il fatto che abbia perso tempo a scandagliare la stanza invece di guardare subito alla sua destra, e vi gli si accosta.
- Pharez
- Senior Kaveh! C’è qualcosa in cui posso assisterla?
- Non c’è bisogno di essere così zelanti Pharez, rilassa le spalle, volevo solo chiederti il perché di tutto questo baccano
Il giovane lancia un’occhiata al suo collega come se ci fosse qualcosa che verrebbe violato ancora di più a parlarne, un’aura di sacralità che gli pizzica dietro la nuca perché potrebbe essere qualcosa di tanto grave quanto un problema ingigantito dal continuo mormorio della stanza; perché del circolo che si è formato attorno a quel tavolo conosce solo la metà delle persone e ha la certezza che abbiano la tendenza a far sembrare un granello di sabbia grande quanto una duna nel deserto.
- Ecco... a quanto pare potrebbe esserci stato un plagio riguardo le lauree dello scorso anno
- Un plagio?
Pharez si china verso di lui, guardandosi attorno come se non volesse essere scoperto a spettegolare da qualcuno del Matra, cosa di cui Kaveh non si sente di dargliene torto.
- A quanto sembra, alcuni membri dell’Haravatat lo scorso anno pare abbiano presentato delle tesi copiate da manuali della sezione sui testi pre-cataclisma, quella che era tecnicamente chiusa per ristrutturazioni fino a una settimana fa
- Il Matra sta indagando Senior Kaveh, revisionando tutte le tesi presentate negli ultimi dodici mesi
- Io Senior Kaveh sono sicuro che...
Guarda il gruppo degli studenti che parlano l’uno sopra l’altro, rigurgitando una serie di informazioni miste a opinioni personali che gli percuotono le tempie come se volessero infilarsi a forza nella sua testa; non avrebbe mai potuto immaginare che grave errore sarebbe stato chiedere a un gruppo di studenti con più voglia di spettegolare che venire al nodo del pettine, perché contrariamente a ciò che possa far intendere la sua fama, Kaveh è forse la persona meno avvezza ai giri di parole che esista e tutte quelle mezze informazioni senza una vera direzione reale al nocciolo del problema servono solo a fargli venire mal di testa.
- E poi lo Scriba mette un’agitazione addosso...
- Al-Haitham?
Non sa se è il modo stupito in cui pronuncia il nome dell’altro ad attirare l’attenzione su di sé, come se gli altri non sapessero esattamente di chi stia parlando e non fossero in grado di associare il nome di Al-Haitham alla figura dello Scriba dell’Accademia, o se sia il suo rinnovato interesse per la faccenda dopo essersi estraniato da quel accavallarsi d voci; sa solo che il modo confuso in cui lo guardano non fa che acuire la sensazione di mal di testa.
- Non lo sa, Mr Kaveh? È stato lo Scriba ad accorgersi del plagio e riportarlo al Matra
La presenza di Khaldun sembra congelare per un istante la conversazione tra gli studenti, alcuni cominciano silenziosamente a dileguarsi e Kaveh non può fargliene torto; il ricercatore del Vahumana non è qualcuno che tiene particolarmente in simpatia, forse perché due teste calde come loro non possono fare altro che scontrarsi nella loro visione completamente agli antipodi del significato di conoscenza posta ad utilizzo dell’essere umano, forse perché Kaveh odia gli spettegoli e ha una pessima propensione verso tutto ciò che è insinuazione e non fatto ragionevole. Non che qualcuno potrebbe mai definirlo una persona guidata dalla pura e fredda logica, non con la sua passione per la conoscenza che può diventare forma d’arte nelle sue mani, non con la sua incapacità di non soffermarsi sui particolari come se solo nella delicatezza dei petali di una paradisarah si celasse il segreto dell’architettura; quindi Kaveh non si definirebbe mai un tipo razionale, ma le voci suadenti di pettegolezzi le odia ugualmente con ferocia.
- Stranamente si è insediato da poco e ha già trovato vari errori di sistema nell’amministrazione
Non chiamerei errori di sistema un plagio deciso ed eseguito coscientemente da qualcuno
- Si è impelagato in compiti che non gli spetterebbero con la scusa di oliare la macchina dell’Accademia
Un non vecchio stacanovista col naso non tanto aguzzo che fa il suo lavoro? Davvero sospetto
- Sembra quasi che voglia dimostrare a tutti i costi che merita il suo posto a costo che qualcun altro ci rimetta, non crede Mr Kaveh?
- Vuole continuare a parlare per sotterfugi o ha intenzione di dire esattamente cosa pensa, Mr Khaldun? Non ho tutto questo tempo da perdere dietro piani complottisti, se c’è stato un plagio spetta a qualsiasi persona di buon senso denunciarlo e al Matra stabilirlo
No, quell’uomo non gli piace per niente, è forse una delle poche persone su Teyvat capaci di far inacidire tanto la sua voce dal fastidio e spogliarlo di qualsiasi forma di cortesia in due battute; soprattutto con la consapevolezza che per tre quarti sia l’invidia a parlare. Conosce Khaldun dai tempi dell’Accademia e sa perfettamente quanto la sua aspirazione sia sempre stata nel prendere un posto nel Mahamata, sa anche che a scommettere che una persona così attaccabrighe e poco dedita all’attenzione avrebbe perso il concorso per diventare Scriba ha fatto l’affare più facile della sua vita, l’alcol che Hassim gli ha dovuto pagare è stato il più buono della sua esistenza; e per quanto non possa dire di conoscere Al-Haitham oltre il bell’aspetto e il modo irritante che ha di stuzzicarlo mantenendo quella sua espressione stoica, è sicuro che il suo posto all’Accademia se lo sia meritato più di quella lingua velenosa che si trova davanti.
- Dico che menomato com’è deve a forza dimostrare di meritarsi il suo ruolo, il Grande Saggio Azar ha certamente occhio per le persone di bell’aspetto, ma un bel viso non compensa la mancanza di udito
È come un clic nel suo cervello quell’ultima frase, fa scattare un meccanismo che fa apparire tutto sensato e lo fa sentire davvero poco sveglio per essersi perso nei dettagli fino a non cogliere l’insieme; sente le sue guance colorarsi dall’imbarazzo ripercorrendo la sua ultima visita nell’ufficio di Al-Haitham, il suo commento infelice sulla sordità e tutta l’irritazione che aveva riversato sull’altro credendo che lo stesse prendendo in giro. E dopo l’imbarazzo, è la rabbia quella che si propaga ogni fibra del suo corpo, di quella che è in parte rivolta alla sua stupidità e in parte al sorrisino sarcastico di Al-Haitham che di essere chiaro con lui non sembra averne proprio voglia; rabbia contro l’uomo che gli sta di fronte e che ha un’aria da galletto irritante e rende l’aria tesa di disagio, Pharez e i pochi altri compagni rimasti che spostano gli occhi sgranati tra loro e paiono indecisi se intervenire nella sequela di idiozie abiliste che escono dalla bocca di Khaldun, che delle difficoltà degli altri pare sempre divertirsi a farne un’arma e incendia quel poco di cortesia che Kaveh riesce a trattenere a stento tra i denti quando l’altro parla.
- Per questo scavare nei segretucci dei ricercatori dell’Accademia deve essere funzionale per...
- Mr Khaldun, le hanno mai detto che non ha bisogno di diventare giallo dall’invidia per dimostrare di essere parte del Vahumana?
- Come?
- Ha sentito benissimo, ma se ha difficoltà con l’udito posso ripeterglielo
Le guance del castano si colorano come le braci di un falò, lo sguardo che sembra dirgli chiaramente che non si aspettava di essere rimbrottato come un bambino, ma Kaveh francamente di pazienza ne ha sempre avuta poca e ancor meno di gentilezza verso qualsiasi forma di discriminazione mascherata da opinione; vede con la coda dell’occhio Pharez cerca di fargli un cenno come per dirgli qualcosa e se l’altro non rispondesse a tono poco dopo, forse si ritroverebbe a dargli retta, ma nessuno è in grado di fargli salire il sangue al cervello come Khaldun.
- Non provo nessuna invidia, era solo per esporre i miei dubbi sui metodi dello Scriba
- Ah sì? Strano, forse sono le luci che filtrano dalle finestre a dare un colorito giallognolo alla sua pelle... non che questo sia una giustificazione per ogni scempiaggine che sta vomitando dalla bocca, dato che più che di metodi mi sembra abbastanza evidente che stia insinuando che Al-Haitham, la persona contro cui lei ha perso per il posto da Scriba, utilizzi la sua posizione per abusare del suo potere
- Mr Kaveh!
- Mr? Cos’è, riesce a portare rispetto agli altri solo quando le fanno notare quanto parlare solo per dare fiato ai polmoni dimostri che persona spiacevole lei sia? Mi creda, per quanto lo Scriba sia uno stakanovista pomposo e insostenibile, c’è una sola persona qui che ha bisogno di buttare giù gli altri per sopperire alle sue mancanze... e non è Al-Haitham
Silenzio; è solo questo che segue alla sua replica piccata e, forse, a un volume un po’ troppo udibile dalle persone circostanti per essere considerata una conversazione privata. Khaldun è talmente rosso in viso che ad un occhio esterno parrebbe sul punto di svenire, guarda dritto verso di lui come se desiderasse che la terra potesse aprirsi sotto i suoi piedi e Kaveh non sente di essere un uomo triviale nel provare un’immensa soddisfazione per questa faccenda; finché non vede Pharaz indicare dietro di lui in modo molto meno sottile di quanto abbia cercato di fare negli ultimi dieci minuti e l’oggetto della loro discussione si palesa dietro di lui in tutta la sua pomposa interezza.
Al-Haitham è poggiato allo scaffale della biblioteca alle sue spalle, la testa appena piegata gli fa scivolare i ciuffi argentei davanti agli occhi ma questi non coprono la luce divertita che vede nel suo sguardo; ad un occhio superficiale l’altro sembra quasi fissarlo sempre con la stessa espressione quasi vuota di emozioni, ma è appena l’accenno di un sorriso sulle labbra e quella maledetta fossetta a tradirlo, la posa rilassata, il modo in cui le sue pupille sembrano ridere divertite mentre l’irritazione nei suoi confronti torna a far bruciare ogni centimetro della sua pelle. E fingerà che l’altro non sia bello anche con quello sguardo che per il mondo esterno sembra un testo scritto in una lingua perduta nei meandri del tempo, perché a farsi scivolare di dosso anche solo un briciolo di rabbia Kaveh sente che potrebbe quasi assuefarsi alla voglia di vedere il fuoco divamparvi dentro.
- Tu!
- Oh continua pure, mi stavo davvero divertendo
- Tranquillo, adesso è il tuo turno razza di asino. Cammina!
L’altro si lascia trascinare docile verso l’uscita della casa di Daena, la pelle del suo braccio è bollente anche sotto gli strati di stoffa che ci sono tra di loro e l’esatto pizzicore che producono in quel momento sulle dita Kaveh se lo ricorderà per tutta la vita, anche se ancora non lo sa; per ora vuole solamente mettere in chiaro al mondo quanto sia infuriato.
- Ah, e per la cronaca Khaldun... neanche un bell’aspetto potrebbe salvarti dall’inefficienza e dal pessimo carattere che ti ritrovi, ecco perché non hai vinto il posto da Scriba
***
- Perché non me l’hai detto? Ti diverte mettermi in imbarazzo?
L’aria nei giardini dell’Accademia ha quel freddo pungente che solo l’umidità del primo mattino può dare, è appena un pinzarsi sui tratti scoperti della sua pelle e rende solo più evidente la differenza di temperatura tra lui e Al-Haitham; Al-Haitham che gli sta di fronte sempre con quella luce divertita nello sguardo e le braccia incrociate che accentuano solo di più i suoi bicipiti, Al-Haitham che non pare per nulla scosso dal modo in cui il viso di Kaveh rosso di rabbia attiri su di loro gli occhi dei pochi studenti che passano silenziosamente nell’area, Al-Haitham che ha le sue piccole orecchie rosate coperte dalle cuffie e che non gli ha detto di quanto ne avesse bisogno per sentire.
- In tutta onestà, non avevo idea che non lo sapessi fino all’altro giorno, non ho mai fatto niente per nasconderlo e le persone in Accademia ne hanno sempre parlato
- Non tengo un giornale di pettegolezzi, se me ne avessi informato...
- Prima che tu dica qualsiasi cosa, ti assicuro che non ho bisogno né di pietà né di essere trattato con i guanti di velluto... sono sordo, non incapace
- Il motivo per cui userei guanti di velluto sarebbe per strozzatrici senza lasciare nessuna traccia del mio crimine!
- Sono serio, non voglio un trattamento di favore
E per una volta Kaveh può dire che non ci sia nessun sotterfugio nelle parole dell’altro; Al-Haitham lo guarda come se volesse imprimergli nel cervello quell’informazione cosicché non si azzardi mai a mostrare pietà nei suoi confronti. Kaveh pensa che per lui debba esserci un punto di frattura nell’atteggiamento che gli altri hanno verso di te, un momento in cui la gentilezza e l’apprensione del prossimo si trasformi in oppressione, come se nel credere che Al-Haitham non sappia gestire se stesso gli si facesse un torto maggiore di qualsiasi parola di disprezzo possa uscire dalla bocca di gente come Khaldun; ma Kaveh non ha mai voluto essere la mamma chioccia che avvolge le ali attorno al pulcino sfortunato, per quanto la sua natura prodiga per gli altri lo metta spesso in una situazione simile, soprattutto non vuole esserlo per Al-Haitham perché si sentirebbe di compiere un crimine a considerarlo meno che capace di bilanciare la propria disabilità.
- E dovresti anche evitare di impelagarti in discussioni futili con altri membri dell’Accademia, davvero non mi serve un cavaliere in armatura
- Khaldun dà troppo fiato alla bocca, al di là di chi sia l’oggetto della discussione non aspettarti mai di vedermi tollerante di fronte a certe stronzate
Ma non riuscirebbe mai a chinare la testa in silenzio neanche se l’altro glielo chiedesse, perché sente che a stare zitti di fronte alle ingiustizie si spiana la strada perché si propaghino come un morbo; non gli importa neanche che l’altro capisca a pieno quella semplice ammissione di se stesso, perché se si ritrovasse a ripetere quella stessa mattinata ancora e ancora, anche con cento Khaldun a sussurrargli nelle orecchie, non cambierebbe una sola virgola di ciò che ha fatto e forse direbbe anche cose peggiori. E questo vuole che Al-Haitham lo comprenda, vuole vederlo nei suoi occhi che non accetterebbe di mozzarsi l’anima neanche se ne andasse di qualsiasi rapporto potrebbero costruire, perché sono gli esseri umani a rendere il mondo un posto ingiusto e, per quanto Kaveh non si riterrebbe mai il salvatore della patria, non accetterebbe neanche di essere una goccia silenziosa in quell’acqua paludosa.
- Non è una questione di trattarti come la principessa nella torre da salvare, se tu me ne avessi informato quando hai capito che non lo sapevo, non avrei sprecato mezz’ora delle nostre vite a rendere inefficiente il lavoro a entrambi
E questo Al-Haitham lo capisce, anche se è un rompicapo troppo difficile da maneggiare per Kaveh, riesce a sviscerarne solo la metà e neanche davvero a pieno; però, per quanto non saprebbe neanche spiegare perché gli sembri così semplice capire quelle sottigliezze del carattere dell’altro anche quando sono tanto diversi da sembrare due mondi in collisione, perché sente che di Al-Haitham in generale spesso si ritrova a capire ben poco, sa che l’altro in qualche modo ha afferrato il significato che tendergli la mano abbia per lui. Perché quando quella luce di divertimento ritorna nei suoi occhi, Kaveh sente di aver centrato il punto.
- Per una volta potresti avere ragione
- Certo che ce l’ho, testa quadra! Non è pietà cercare di renderti le nostre interazioni più facili, è il bare minimum del rispetto umano
Sta tutto lì, nel rispetto che si palesa non nel chiudere sotto una campana di vetro la persona, ma nel cercare di livellare quelle piccolezze che rendano più leggere le sue spalle; perché se è vero che dalle migliori intenzioni nascono i più cattivi presagi, è anche vero che se si ha davvero a cuore il benessere di qualcun altro è se stessi che bisogna cercare di livellare alle altrui esigenze e, modestamente, di questo Kaveh si sente particolarmente capace e non gli importa di risultare irritante a metterlo in chiaro.
- Bene, ora dato che per colpa tua c’è stato questo equivoco...
- Potevi arrivarci tranquillamente unendo i puntini, penso lo insegnino da bambini
- E dato che per colpa tua, abbiamo sprecato più tempo del dovuto e io mi sono comportato in modo a dir poco imbarazzante, offrimi il pranzo e non ne parliamo più
 - Stai cercando di scroccare da mangiare o cosa?
Non che questo renda Al-Haitham meno irritante alle sue orecchie, soprattutto perché non dovrebbe essere legale sembrare così imperturbabili anche nelle minime espressioni somatiche che passano sul viso dell’altro.
- Sto cercando di permetterti di riparare al tuo comportamento davvero infantile
- Non dovrebbe partire direttamente da me l’offerta in quel caso?
- Grazie, ma vorrei mangiare prima di dovermi appoggiare a un bastone per camminare
Al-Haitham non dice niente per minuti che paiono ore, sembra ripercorrere ogni parola della loro conversazione nella sua mente per decidere se credere o meno alla sua buonafede, probabilmente ha fatto il passo più lungo della gamba con quella sua pretesa che non è altro che la maschera di quelle scuse che sente di dovergli, ma non potrebbe dargli senza scatenare fastidio nei suoi confronti; per questo Kaveh in realtà non può dire che non si sarebbe aspettato che l’altro gli scivolasse accanto in silenzio per rientrare nell’edificio dell’Accademia, sarebbe stato come aspettarsi che le fondamenta di gesso dell’Accademia crollassero su se stesse fino a scoprirne le ossa, probabilmente non sarebbe in character per l’altro fidarsi così facilmente delle parole di uno sconosciuto.
La verità, tuttavia, è che forse Al-Haitham è un libro molto meno aperto di quello che credeva, soprattutto quando lo richiama e Kaveh si ferma a osservarlo mentre è girato per tre quarti verso di lui e indica la strada che si vede dall’alto dei giardini; il suo viso sembra ancora più ammantato della bellezza di una notte trapuntata di stelle con la luce dei vetri decorati che vi riflette decine di sfumature, ma questo non è un pensiero su cui Kaveh vuole soffermarsi per troppo tempo.
- Alla taverna di Lambada fanno un ottimo biryani, ma se resti lì impalato difficilmente troveremo posto
Per quanto la cosa lo irriti, deve dare ragione a Cyno: in qualche modo potrebbero riuscire a incastrarsi tra di loro.
 
Angolino del disagio
Ricordate che questa storia è scritta prima di un approfondimento di Kaveh nell’arco narrativo di Sumeru, mi prendo delle libertà stilistiche sul suo carattere.
I personaggi terziari citati sono tutti npc di Genshin, mi sono permessa di prendere in prestito i loro nomi come prestanome per l’appunto.
Buon Anno!
Alla prossima,
Покa
  
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