Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: mxrsgxrl    02/01/2023    0 recensioni
Risotto Nero non aveva nulla a cui aggrapparsi. Non aveva motivo di andare avanti con la vita, le sue azioni e i suoi sbagli lo tormentavano. Dopo il piú grave lutto della sua vita era rimasto da solo. Se non fosse stato per lei, Stella, l'amata sorella adottiva, e i suoi uomini, si sarebbe perso per sempre. Ora che lei, la sua seconda chance, è scomparsa, farà di tutto pur di poterla riabbracciare. Dovrà muoversi in un mondo di degrado e gola, d'altronde è questa Passione alla fin fine. E questa è la vita che si è scelto
(Ho modificato un po' la trama di Vento Aureo e il carattere di certi personaggi ai fini di trama, buona lettura!)
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Ghiaccio, Nuovo personaggio, Prosciutto, Risotto Nero
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Luglio 1987, Sicilia, in un paesino vicino a Catania

Erano gli inizi di luglio del 1987 quando la vita di Risotto Nero, 14 anni, cambiò radicalmente.
In realtà non era la prima volta che a quel ragazzo tanto strano e spaventoso venisse ribaltata la vita come un calzino, ma sarebbe ingiusto dire che “tanto ci era abituato”.

Quel giorno era iniziato come tanti altri. Lui e sua cugina, Candela, erano usciti di casa con l’intenzione di andare al mare. Candela era allegra come al solito, quando Risotto si era svegliato la mattina verso le 8:00 lei era già a correre da una parte all’altra della stanza a preparare le loro borse con al loro interno creme, asciugamani, cambi eccetera. Risotto, stropicciandosi gli occhi, si chiedeva in primo luogo da dove venisse fuori tutta quell’energia di prima mattina, e in secondo luogo cosa ci trovasse di così esaltante nel fare qualcosa di così consueto come andare al mare. D’altronde erano di Catania (o almeno di provincia), avevano il mare letteralmente sotto casa e ci andavano d’estate quasi ogni giorno. Il fatto è che lei, Candela Nero, 13 anni, trovava sempre un motivo per essere felice e festeggiare, seppur la vita non le avesse riservato neanche a lei tanta fortuna.

Dopo essersi preparati ed aver fatto colazione, Risotto e Candela uscirono di casa e percorsero quella dozzina di metri di stradina che li avrebbe condotti alla spiaggia. Solo Candela aveva salutato i suoi zii.

- Sai, Ri, secondo me hai problemi alla pelle, - disse Candela di punto e bianco fermandosi a guardare il cugino.

Risotto sorrise – Ma lo sai che sono anemico, è ovvio che sia pallido

- Sì sì lo so, è per questo che insisto sempre a portarti al mare, così ti abbronzi e prendi colore

Risotto riflesse un attimo.

Che ironia, faccio “nero” di cognome ma sono bianco come un cadavere”. Pensò.

- A cosa stai pensando? - Candela gli passò la mano davanti alla faccia vedendolo imbambolato.

- Pensavo che è inutile spiattellarmi ogni singolo giorno sotto il sole, perché, vedi? Non cambia nulla. Piuttosto, perché non vai al mare con le tue amiche? Non posso mica starti sempre appresso, ti prenderanno in giro.

- Nah, loro adesso sono al nord dai loro parenti, e poi mi piace stare con te.

Risotto scosse leggermente la testa, continuando a sorridere. Ripensò al fatto che sua cugina era praticamente da sempre stata la sua unica compagnia, e che senza di lei sarebbe stato solo come un cane. Oltre che probabilmente con diversi problemi mentali.

Nel mentre avevano ripreso a camminare. Avevano lasciato il centro abitato del loro paesino e adesso si trovavano in prossimità della spiaggia, bastava solamente attraversare i pedoni e sarebbero arrivati a destinazione.

Quel giorno era molto caldo, più del normale. Ai telegiornali avevano annunciato per tempo che quella sarebbe stata un’estate torbida oltre l’immaginabile, ma Risotto non ci aveva fatto caso. In fondo, dicevano cose di quel tipo praticamente ogni anno. Risotto odiava il caldo; il suo corpo non lo poteva reggere a causa della sua malattia che lo rendeva molto più debole, e già la sua statura non aiutava. Proprio in quel momento si sentiva già girare la testa. Si appoggiò leggermente alla cugina, che gli si voltò sorridendo.

- Andiamo a prenderci un gelato! - gli disse.

Risotto annuì. Sì, un gelato, era proprio quello che gli serviva. E poi un bel bagno nel mare, al diavolo la congestione.
Il chiosco dei gelati si trovava proprio oltre l’attraversamento, giusto un paio di metri davanti a loro.

- Chi arriva ultimo paga! - strillò Candela, buttandosi senza preavviso verso la strada.

- Ehi, aspetta!

Risotto, colto alla sprovvista, si precipitò verso la cugina. Non gli interessava pagare lui o meno, semplicemente l’impulsività di Candela lo seccava.

Successe tutto in un attimo.

Dalla strada, che sembrava praticamente vuota, comparve come dal nulla una jeep verde militare. Candela se ne rese conto e cercò di scansarsi, ma senza successo. L’auto la prese in pieno, scaraventandola sopra il cofano per poi, senza fermarsi, lasciarla rotolare colpendo il ciglio.

Risotto si sentì come se stesse per vomitare, o svenire, o entrambe le cose.

- Candela!

Si precipitò verso la cugina, con lui diversi passanti.

Candela era ridotta ad una maschera di sangue. Il suo braccio destro, come il suo stomaco e il suo fianco, erano irrimediabilmente rotti. Dalle sue ferite sgorgavano litri di sangue e anche la sua bocca non la smetteva di sanguinare. Risotto la girò a pancia in su e cercò di scuoterla per farle riprendere conoscenza. Ma i suoi occhi erano come incollati. Risotto cercò di apriglieli ma non ci riuscì. Continuava a piangere, gridando il suo nome, per poco non si soffocò lui stesso.

I testimoni non tardarono a chiamare l’ambulanza. Per quelle che sembrarono ore tutti cercarono di prestare primo soccorso alla ragazzina, arrivando anche ad allontanare Risotto che dopo essere passato da una fase di isteria si pietrificò, come se le sue batterie interne si fossero esaurite. Era ovvio, anche quando i medici arrivarono. Candela era morta sul colpo.

 

Quello che accadde di seguito, in futuro, a Risotto parve come un sogno di cui lui stesso aveva dimenticato delle parti.

Le chiamate agli zii, il riconoscimento del corpo, la sua testimonianza ai carabinieri, le condoglianze ricevute, il funerale, le amiche di Candela che piangevano… Tutto ciò nella sua mente appariva come sbiadito, qualcosa che lui stesso non voleva ricordare. Voleva cancellare quel giorno come si cancella con la gomma una parola su un foglio, fare finta che non fosse successo niente, fare finta che l’amata cugina fosse ancora lì.

Ma dentro di se sapeva che non era possibile. Candela era morta. Era stata investita da un pirata della strada ed era morta sul colpo. Era così. Questa era la verità.

I ricordi chiari di Risotto ripresero la sera del 20 Luglio 1987. Era l’ora di cena, e lui e i suoi zii stavano mangiando ognuno al loro posto, in religioso silenzio. Da quando era morta Candela in quella casa vi era un profondo vuoto, oltre che ad un mutismo generale quasi assordante. Le tensioni, già alte, erano triplicate. Nessuno parlava con nessuno, tranne se strettamente necessario. Nessuno aveva voglia di dire niente, e a nessuno interessava più niente. Quella sera, però, fu lo zio di Risotto a rompere il silenzio.

- Cristo, - esordì colpendo il tavolo con un pugno – perché tutte le sfighe del mondo devono accadere a me?

Risotto e sua zia alzarono lo sguardo verso di lui. Lo zio scosse la testa.

- Prima quel coglione di mio fratello mi lascia da crescere suo figlio che è più storto di lui, e poi la mia unica figlia muore bambina. E tutto questo perché qualcuno non c’ha avuto cazzi di starle dietro

La zia riabbassò lo sguardo e tornò a mangiare la sua minestra. Come al solito non le interessava cosa dicesse il marito. Ma a Risotto sì.

- Quante volte te lo devo dire, - esordì con un tono misto di dolore e rabbia – che la colpa era in primis del guidatore? Lo hanno detto, era ubriaco! E poi Candela aveva rallentato arrivata alle strisce, è stato lui a colpirla

- E tutto ciò si sarebbe evitato se tu in primis le avessi detto di non correre verso la strada. - rispose lo zio, facendogli palesemente il verso.

Risotto cominciò a tremare.

- Lo sai anche tu che Candela fa sempre di testa sua, non sarebbe servito a niente dirle di non farlo, avrebbe corso lo stesso.

- Faceva sempre di testa sua.

Risotto non ci vide più. Si alzò in piedi di scatto, facendo cadere la sedia dietro di lui con un tonfo. Sua zia sussultò, non si aspettava quella reazione. Lo zio non mutò espressione.

- Maledetto bastardo! Come ti permetti di parlare così?! Tua figlia è MORTA e te parli come se non te ne fottesse niente! So che per te è troppo difficile essere una persona decente, ma ti rendi conto della faccia da culo che ti ritrovi? Se fossi morto tu-

Risotto non fece in tempo a finire la frase che lo zio lo colpì con un pugno sul naso. Fece qualche passo all’indietro per poi cadere sul pavimento. Il naso prese a colargli, e cercando di ignorare il dolore se lo toccò per vedere se fosse rotto. Non lo era, ma ci era andato vicino.

- Ora basta, basta! Per Dio… - Per la prima volta la zia aprì bocca e si spostò a destra verso il marito, ma lui le fece cenno di rimanere ferma. Per tutto il tempo non aveva smesso di fissare il nipote.

Risotto rivolse alla zia uno sguardo carico di disgusto.

- Ipocrita di merda, perché dovresti intervenire ora?

Lo zio andò verso di lui e prese a prenderlo a calci nella cassa toracica. Risotto dopo i primi colpi si rannicchiò istintivamente, cercando una posizione dove lo zio non potesse colpirlo al petto. Si rendeva perfettamente conto che le cose si stessero mettendo male, ma non si pentiva affatto di aver detto quelle cose.

- Caro, smettila! - inveiva inutilmente la zia.

- Vattene! Se non hai nulla di carino da dirmi allora vattene via! E se ti vedo ancora ti faccio il culo, hai capito, stronzo ingrato?

Risotto tossì sangue. Gli girava leggermente la testa a causa delle botte, ma non stava per svenire. Infondo, ci era abituato. Dopo aver sentito quelle parole si sentì come rinsavire. Prese la palla al balzo.

- D’accordo, me ne vado

Non alzò neanche lo sguardo, non voleva dare ulteriore spazio a quelle due persone che disgraziatamente hanno avuto l’onere di crescerlo. Si alzò e si diresse verso la porta d’ingresso e una volta uscito si mise a correre più veloce che poteva. Sentiva come se non stesse toccando il terreno.

Continuò a correre per le campagne intorno al suo paesino per un po’, finché non si ritrovò in una valletta poco distante da un’altra cittadina. Il paesaggio al calar di sera si stava imbrunendo, e tutto intorno a lui vi erano solo alberi e arbusti. Si sedette su una roccia e si mise la testa tra le mani.

Che cosa sta succedendo? Dove mi trovo? Candela, dove sei?”

I suoi pensieri presero a vagare senza un nesso logico. Dentro di sé Risotto voleva sorridere a se stesso, illudersi per l’ennesima volta che quello fosse tutto un incubo. I colpi dello zio sembrava stessero per farlo delirare, tutt’intorno a se vedeva chiazze colorate che gli appannavano la vista, le sue orecchie presero a fischiare accompagnate da un improvviso mal di testa.

Voleva piangere, voleva urlare, voleva buttare fuori tutta la rabbia e la disperazione che aveva dentro. Aprì la bocca e diede fiato. Un pianto echeggiò nell’aria. Risotto per un momento si stupì che dalla sua bocca stesse uscendo un urlo così acuto. Sembrava quasi quello di un bambino, anzi di un neonato. Gli ci volle un po’ per capire che quello non era il suo pianto, ma il latrato di un effettivo bambino nelle vicinanze.

Risotto si alzò in piedi tendendo bene le orecchie. Si chiese se si stesse inventando tutto, ma non era così. Vicino a lui ci stava veramente un neonato che piangeva. Si guardò intorno, e alla fine riuscì a localizzare da dove proveniva il pianto: un cespuglio lì vicino. Vi si avvicinò, e si accorse che il neonato era appoggiato dietro l’arbusto. Era piuttosto confuso, che cosa ci faceva un bambino lì? A maggior ragione perché era molto piccolo, al massimo qualche giorno di vita.

Il bambino era avvolto in una semplice copertina celeste, aveva un ciuffo di capelli blu elettrico e teneva gli occhi rigorosamente serrati.

Ah, ma certo, un altro bambino abbandonato dai genitori…” Dopo aver formulato questo pensiero Risotto si scosse leggermente, poi si decise a prendere in braccio il neonato. Da un piccolo spostamento della coperta si rese conto che era una femmina. Cominciò a cullarla al meglio che poteva, sussurrando frasine per farla calmare. Incredibilmente, dopo un po’ funzionò.

- Poverina, sei rimasta da sola? Sai, ti capisco, anche io sono da solo – Risotto un po’ si stupì di averlo detto. Nonostante avesse trovato quella bambina non più di dieci minuti prima, sentiva con lei una strana e improvvisa connessione. Ripensò al se stesso bambino, abbandonato dai propri genitori per il suo aspetto e condannato ad una vita di emarginazione e solitudine, dove, a parte per la cugina, non aveva mai conosciuto affetto.

Anche quella bambina sarebbe potuta finire come lui? Chi poteva dirlo. Di certo se lui non fosse passato proprio di lì lei sarebbe morta di stenti o mangiata da qualche animale. Oppure, se fosse stata trovata da qualcuno, sarebbe stata sicuramente messa in un orfanotrofio dove non vi era la possibilità certa che venisse adottata.

Risotto scosse la testa. L’avrebbe tenuta lui. L’avrebbe protetta con tutto se stesso, voleva dare un senso a quell’incontro, voleva che quella bambina fosse felice. Voleva una seconda chance nella vita.

Alzò gli occhi al cielo. Non si era neanche accorto che era calato il buio. Sopra di lui si ergeva un meraviglioso cielo stellato, vastissimo. Non aveva mai visto una cosa del genere. Era meraviglioso. Una lacrima gli scese dall’occhio, e tornò a guardare la bambina.

- Stella… Sì, Stella. Ti… chiamerai così…

Portandosi la bambina al petto, finalmente, pianse.

   
 
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