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Autore: Challenger    03/01/2023    0 recensioni
Un amore tradito per viverne un altro creduto perfetto. Ma sarà davvero così?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dopo lo scontro con Matteo, avevo preso l’abitudine di controllare ogni dieci minuti netti entrambi i profili social di Giordano e Thomás. Ne ero ossessionato, mi nutrivo dei loro post, soprattutto delle loro foto insieme. In un certo qual modo ero diventato anch’io parte della loro storia. La mia presenza nelle loro vite era costante, anche se loro non lo sapevano. Giordano e Thomás erano diventati la mia droga, non potevo più vivere senza di loro, erano l’unica cosa che ancora mi teneva in vita su questa terra. Studiavo le loro foto, fin nei minimi dettagli, facevo le ore piccole per spiare tutti i loro movimenti e parlavo in continuazione da solo mentre ripensavo a loro due seduti al bar a bere un caffè, Thomás che rideva fragorosamente e batteva una mano sul tavolo per il troppo ridere, Giordano che sorrideva per quell’atteggiamento infantile, probabilmente Thomás lo stava prendendo in giro, e lui stava allo scherzo. Mi piaceva guardarli, mi ricordavano la mia vita passata, la mia vita insieme a Giordano, la vita che mi mancava e che avevo distrutto solo per un capriccio passeggero. Un giorno, mentre da lontano osservavo il piercing di Thomás, mi domandavo se lui conoscesse il passato di Giordano. Gli aveva raccontato della madre morta a causa della droga? O del padre in carcere per omicidio? Provavo ad immaginare Giordano con il volto contrito mentre parlava a Thomás della casa famiglia in cui aveva vissuto per un lungo periodo, del responsabile della struttura che lo aveva privato della sua infanzia, della sua dignità di bambino. Vedevo Thomás tentare di consolarlo e Giordano scoppiare in un pianto infinito, intrappolato dentro un attacco d’ansia che non riusciva a controllare. Thomás, che succhiava il suo piercing, quasi fosse un biberon — era ancora troppo giovane per capire certe cose —, era a conoscenza del fatto che il suo "paparino", dopo essere fuggito dalla casa famiglia, per sopravvivere era stato costretto a spacciare droga e prostituirsi? Thomás “il bambino” sapeva che solo la testardaggine del poliziotto che lo aveva arrestato per furto aveva rimesso sulla strada giusta Giordano? Che lo aveva convinto che lui meritava di più, e che avrebbe dovuto abbandonare quello stile di vita malsano per non finire come i suoi genitori? Thomás sapeva tutto questo? I pensieri furono interrotti dal sorriso gentile di Giordano. Era stato proprio quel sorriso a farmi innamorare di lui. Avevo conosciuto Giordano ad uno dei suoi concerti: una coppia di carissimi amici mi aveva invitato una sera a teatro, ed è stato lì la prima volta che vidi quel sorriso triste e malinconico accompagnato dalla dolce sfumatura della gentilezza. Mi innamorai dal primo istante, mi aveva folgorato.    Mi piaceva ricordare i momenti in cui gli accarezzavo le labbra e gli dicevo che lo amavo, e lo sguardo innamorato di lui. Ora quello sguardo era solo per Thomás. Thomás aveva allungato la mano per intrecciare le sue dita con quelle di Giordano, gli sussurrava qualcosa di intimo, qualcosa che solo loro conoscevano. "Giordano, girati”, pensai mentre ero a pochi metri da loro. Ma lui non lo fece, era attratto dalla risata del suo "bimbo". All’improvviso, Thomás si alzò sulle punte, gli buttò le braccia al collo e lo fece barcollare per il gesto inaspettato; Giordano rise. Era la prima volta che lo sentivo ridere da quando c’eravamo lasciati. E a me mancava la sua risata modulata, la delicatezza dei suoi gesti, mi mancava lui. Dopo diversi mesi di spionaggio, presi una decisione drastica: non potendo più continuare a soffrire nel vederli insieme, decisi di lasciarli andare. Dovevo disintossicarmi dalla loro felicità. Una fredda sera di dicembre, mentre ritornavo a casa da lavoro, mi imbattei in un uomo alto vestito di nero. Sentivo i suoi passi dietro di me, avevo paura che mi aggredisse per rubarmi i pochi soldi che avevo nel portafogli, quindi tentai di intrufolarmi nel primo locale aperto, ma l’uomo mi afferrò saldamente un gomito prima che entrassi.  Stavo per gridare aiuto, se non fosse che nella figura massiccia di lui, riconobbi i lineamenti di Giordano. «Mi hai fatto prendere uno spavento!» lo rimbrottai. Il cuore andava a mille! Non parlavo con lui da quando aveva portato Thomás nel mio studio. «Volevo raggiungerti prima che mi sfuggissi» disse, impassibile. Respirai a fondo. Poi chiesi: «come mai da queste parti?». «Posso offrirti un caffè?». Acconsentii. Una volta accomodati nell’angolo più buio del bar, rimanemmo ancora un po’ in silenzio. Non sapevo cosa volesse da me, o del perché fosse venuto a cercarmi. Seduto immobile sulla sedia, lo guardavo. Lui scrocchiava le dita: stava per avere un attacco d’ansia, iniziava sempre così. "Cosa devo fare? Dovrei aiutarlo?”, mi domandavo, senza però rendermi conto che le mie mani e la mia bocca già lo stavano facendo. La mia mano abbracciava le sue, la mia bocca diceva “guardami. Concentrati, Giordano, fa’ respiri profondi”. Lo vidi riprendere un po’ di colore sul viso pallido. Mi rilassai anche io. Prese un sorso d’acqua e schiarì la voce. «Grazie» disse. Aspettò altri cinque minuti prima di parlare ancora. «Ho saputo che Matteo è in missione, e che ha lasciato qui la moglie incinta». Quelle parole mi colsero alla sprovvista; feci una smorfia di disgusto nel ripensare a quell’individuo. «Già, è proprio così». Mi fissò, poi disse: «tu stai bene?». Alzai le spalle: «sì». La cameriera servì due tazze di caffè nerissimo, la ringraziai. «Perché ti interessa?» chiesi, irritato. Scosse la testa: «volevo solo sapere come stessi. Tutto qua». «È successo mesi fa. Va tutto benissimo» risposi. Ancora non capivo il perché di tanta curiosità. Glielo chiesi e lui mi disse che era preoccupato, aveva pensato spesso di passare in studio per parlarne, ma non lo aveva mai fatto perché non sapeva se mi avrebbe fatto piacere o meno che si interessasse ancora a me. «E tu? Come va con Thomás?». «Ci siamo lasciati». Spalancai gli occhi; eppure erano così felici insieme! Gli chiesi spiegazioni. «Thomás voleva unirsi al gruppo degli ambientalisti e girare il mondo per protestare contro le petroliere che stanno avvelenando la Terra. Sai, è ancora molto giovane, e i giovani si fanno prendere facilmente dall’entusiasmo, così l’ho lasciato andare. Se è questo quello che vuole, chi sono io per impedirglielo, giusto?» sorrise forzatamente. Gli si leggeva in faccia che l’abbandono di Thomás lo aveva ferito. «Mi dispiace, davvero» dissi, prendendolo per mano. «È cambiato tutto da quel like che hai lasciato sotto la nostra foto insieme» disse, per poi spiegare meglio: «avevo intuito che le cose tra te e Matteo andavano male, e che volevi attirare la mia attenzione. Altrimenti non lo avresti mai messo». Sorrise. Ecco… ecco perché lo amavo, lui mi conosceva meglio di me stesso.  Continuò: «ci sei riuscito. Ho lasciato andare Thomás proprio per questo». Ci scambiammo uno sguardo penetrante. «Credevo amassi Thomás» dissi con voce strozzata. Scosse ancora la testa e sulla bocca spuntò un mezzo sorriso malizioso. «Io amo te, ho amato sempre e soltanto te. Anche quando mi hai tradito, ti ho amato. Ho scelto di stare con Thomás perché era la persona più diametralmente opposta a te. Non potevo stare con qualcuno che somigliasse anche solo un po’ a te, che mi ricordasse anche una sola cosa tua» confessò seriamente. Rimasi totalmente basito, non sapevo cosa rispondere. Balbettai qualche parola confusa prima di dire: «credevo foste felici insieme…». «Lo eravamo, ma era solo una relazione passeggiera, lo sapevamo entrambi. Ci siamo fatti compagnia per il tempo necessario». «Ma tu l’hai portato in tournée con te e…» non finii la frase, poiché mi interruppe.  «È vero, l’ho fatto, ma questo non significa niente». Mi guardava impassibile, non faceva trasparire nulla. «Non dirmi che quando eravate a casa tua, e suonavi per lui, anche quello non significa nulla, perché non ti crederei. La musica è la tua vita, e tu hai portato Thomás con te, non può non significare nulla. Non sono un ragazzino, non dirmi bugie per farmi stare meglio» dissi, alterato.  «Io non ho mai detto che suonavo per lui. Ho concesso a Thomás di venire ai miei concerti, ma non ho mai suonato per lui. Io suono solo per te, Francesco, dovresti saperlo. Suonare è il mio mestiere, ma la mia musica è solo per te» i suoi profondi occhi scuri mi avevano catturato e trasportato nella loro orbita, Giordano aveva sempre avuto il potere di affascinare chiunque, quindi proseguì: «e poi Thomás non è mai stato a casa mia. Quella è casa tua e di nessun altro. Né Thomás né altri hanno mai messo piede in casa nostra».  Mi mancava il respiro, ora ero io ad avere un attacco d’ansia. «Non ti credo» dissi quasi svenendo sul tavolino. Stavo per rovesciare i due caffè, che erano rimasti lì, ancora nelle tazze, ormai ghiacciati. «È la verità. Te l’ho detto: io ho sempre amato te, e nessuno avrebbe mai dovuto contaminare il tuo ricordo». «Giordano, io…». «Quello che avevo da dirti, l’ho detto, perciò è ora che me ne vada. Stammi bene, Francesco». Si alzò dalla sedia e buttò sul tavolino cinque euro. Prese il cappotto e andò via. Io ero rimasto seduto, come paralizzato. L’uomo di cui ero innamorato mi aveva appena detto che non aveva mai smesso di amarmi, ed io lo stavo lasciando andare, per la seconda volta.  Come se mi fossi appena risvegliato da un profondo coma, balzai in piedi e corsi fuori per andare a riprendermi l’uomo della mia vita. «Giordano!» gridai, lui non si voltò. Camminava con le spalle curve e la testa bassa. Con un veloce scatto, lo raggiunsi. Una volta di fronte a lui, esordii: «Giordano, ti amo». Non dissi “ti prego, perdonami” o “aspetta, riproviamoci” o “mi dispiace per ciò che ti ho fatto”, no, nulla di tutto ciò, non serviva, perché lui sapeva, Giordano sapeva cosa gli stavo dicendo. Mi baciò e fummo di nuovo una cosa sola.
   
 
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