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Autore: Enchalott    04/01/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un unico fantasma
 
La Selva risuonava di mille voci, sussurri di Spiriti inquieti nella serpeggianti in filamenti lattiginosi tra i tronchi secolari.
Amshula retrocedette verso il capanno, la mano sul petto a placare l’affanno, decisa a rinunciare alla caccia. Gli occhi bruni, dilatati dal terrore, frugarono i recessi: la bruma creava forme indistinte e celava la letalità del pericolo. La schiena urtò contro un ostacolo imprevisto. Sobbalzò, ma le mani che si posarono sui suoi omeri erano concrete.
«Lì dentro non troverai di che sfamarti.»
La regina posò l’arco e abbassò lo sguardo a quello inflessibile di Eskandar.
«N-non li senti?»
«Il mio udito è migliore del tuo. Prendi.»
Ricusò l’arma che le veniva porta.
«Gli Spiriti sono inquieti. Hanno fame.»
«Ne ho anch’io. Ciò che non è aria e ombra risulta commestibile.»
«Non scherzare con le anime della foresta! Hanno divorato più temerari! Non ci tengo a divenire un’offerta sacrificale, voglio rientrare!»
Lui non si mosse. Gli occhi ciclamino scintillavano rabbiosi.
«Ti assicuro che l’unico pericolo è lasciarmi a stomaco vuoto.»
Amshula esitò nell’impasse, domandandosi quale evenienza fosse la meno peggio.
«Non ti intimoriscono poiché sai che non ti toccheranno. Quelli della tua razza non posseggono un’anima da distruggere.»
«Etarmah! Un Khai non ha paura perché esiste in valore e ardimento! Quanto al resto, sarà materia della lezione di stasera! Adesso muoviti!»
Al rifiuto la issò sulle spalle come un pastore con una pecora recalcitrante. Quando la sentì agitarsi, rinforzò la presa.
«Falla finita o ti spezzo un braccio!»
La torva promessa arrestò le rimostranze ma non il tremore: gli cinse il collo, appoggiando la fronte alla sua scapola in cerca di rifugio. La rassegnazione era parte della sua vita, come adattarsi alla volontà altrui per non soccombere.
Il reikan strinse la zanne in un moto di collera.
È talmente semplice averne ragione che provo disgusto!
Eppure la stretta assomigliava a un abbraccio e il respiro che gli sfiorava la nuca era tornato regolare come se la sua presenza le infondesse fiducia. Si domandò quale differenza transitasse tra la passiva tolleranza e lo speranzoso abbandono: nessuna delle due era caratteristica khai, dunque incomprensibile.
Se voglio raggiungere l’obiettivo, devo superare l’avversione per i deboli.
S’inoltrarono nella vegetazione, fagocitati dalla bruma spettrale. Pochi passi e la sentì contrarsi in un nuovo spasmo.
«Ci stanno sfiorando! Avverto le dita gelide! Ti prego, torniamo indietro!»
«È il morso del freddo, non c’è nessun fantasma! Guarda!»
Tese la mano e cristalli di neve si depositarono sul palmo aperto. Amshula schiuse le palpebre e li vide sciogliersi a contatto con il suo calore naturale. La dimostrazione non la persuase: si rattrappì contro di lui, che invece la depositò a terra seccato.
«Non lasciarmi!»
Eskandar le passò l’indice sulla guancia.
«È così che ti toccano?»
«N-no, sono creature impalpabili, incastrate tra due mondi. Non hanno fisicità.»
«Ah guarda, non lo sono anch’io? Un mostro infero che crea illusioni.»
Lei avvampò all’ironia della replica, ma si strinse al suo braccio.
«Non lo so.»
«Trovami uno dei tuoi spettri e rinuncerò alla mia richiesta esaudendo la tua.»
La regina sollevò il capo piccata. Torreggiava minaccioso, la foschia si era incollata alle pelli che indossava e gli aveva inumidito i capelli, ma da lui emanava una vampa calda e rassicurante.
Che anche quest’uomo affascinante e feroce sia un’allucinazione?
Si costrinse a seguirlo, ancorandosi al suo gomito e annaspando nella neve. La nebbia s’infittì, le sagome dei karūgi divennero mostri scolpiti nel legno, i rami lacerti scheletrici tesi a carpirla. Procedette curva per non mostrare lo sgomento e non subire l’ennesima occhiata sarcastica, finché l’intera selva urlò.
Un latrato agghiacciante, rifratto in una sinfonia di versi belluini.
Amshula impietrì e si afflosciò nella coltre bianca in preda al panico.
Eskandar trasalì, ponendosi sulla difensiva. Scrutò i dintorni, inalò l’aria invernale, le dita pronte sul coltello. Esaminò il suolo candido e la volta offuscata dalla caligine opalina. I sensi gli fornirono riscontro negativo.
«Nessun odore o presenza. Puoi rialzarti dal bagno di viltà, Minkari.»
«Gli Spiriti non ne emanano, non puoi individuarli con le tue facoltà! Le nostre armi non li scalfiscono! Prega il tuo dio, il mio non sta ascoltando!»
Il reikan camminò a ritroso e si accosciò difronte a lei con in sorriso beffardo.
«Davvero? Avevo inteso che la somma Azalee fosse misericordiosa. Per quanto concerne il celeste Belker, mi riderebbe in faccia. Non mi resta che scoprire come si uccide uno spirito.»
«Smettila! Davanti alla morte è offensivo comportarsi da miscredente!»
«Miscredente? Io credo che tu stia inanellando una sciocchezza dietro l’altra e che sia più semplice attribuire vigore a una scaramanzia piuttosto che ammettere la codardia.»
Lei lo fissò esterrefatta: superato lo stupore iniziale, non dava segni di cedimento e la squadrava come se fosse la creatura più riprovevole che avesse mai visto.
L’ululato saturò la selva, strappandole un’esclamazione di spavento. Si prese la testa tra le mani e si preparò a trapassare.
«Vengono a sbranarci! Ci puniscono per aver ignorato l’avvertimento!»
«Allora rimani qui e muori.»
Si levò imbracciando l’arco e l’abbandonò nella disperazione, sparendo tra le strie lattescenti di nebbia.
 
«Eskandar! Eskandar, rispondimi!»
La solitudine e il silenzio ovattato pesavano come macigni. Le impronte del Khai nella neve erano l’unico segno tangibile della realtà. I brividi di freddo si confondevano con quelli della paura, le gambe come inarticolate rifiutavano di rispondere.
Se anche mi rialzassi, a che pro? Ho perso l’orientamento, gli Spiriti attendono un movimento. La loro è una caccia crudele, indugiano sulla preda, si nutrono della sua afflizione, sono lenti nel risucchiare le energie vitali. Lui è già passato, si getteranno su di me!
Un altro lamento si levò nell’aria, troncandole i pensieri.
«E-Eskan…»
Il singhiozzo spezzò il nome, seguito da un accesso di pianto. Lacrime copiose le offuscarono la vista, inasprendo il senso di fine, di inadeguatezza, di astio verso se stessa. Osservò il proprio trascorso con l’agonia di un conto alla rovescia e non trovò che dolore, difesa estrema, infinito orrore. Quella che provava in quel momento era una paura diversa, bruciava come fuoco e non aveva l’aspetto dell’acqua torbida da cui si era sempre lasciata inghiottire. Nel silenzio spaventoso della Selva, distinse in sé la rabbia: si mescolava al terrore, lo intaccava sfumandolo in vapore, la faceva sentire viva, la sofferenza acquisiva un sapore inconsueto. Quell’aspro la teneva sveglia, le impediva di vittimizzarsi pur incapace di risolversi e salvarsi.
Gridò con tutto il fiato che le restava e si stupì di possederne tanto, chiamò il demone con l’imperiosità di una regina e non con la remissività di una prigioniera.
Aprì gli occhi ed era lì. Aveva un cervo in spalla e la squadrava dall’alto in basso in un misto di fierezza e divertimento.
Divertimento, non irrisione.
Gli arti risposero per incanto, scattò in piedi e lo abbracciò, avvinghiandosi alla sua pelliccia, ignorando il sangue fresco che la imbrattava.
«Non sono uno spettro, smettila.»
Il demone scaraventò a terra l’animale ucciso e la scostò. Strinse le palpebre, esaminando le tracce livide sul suo volto.
La foresta emise il suo ululato, infliggendole un sussulto.
«Ti hanno lasciato passare? Persino gli antichi Spiriti ti rispettano?»
«La stima non si acquisisce per nascita. Ma in questo caso non c’è nulla contro cui combattere, se trascuro la tua paura. Tu sei il tuo unico fantasma.»
Le strinse il polso, strappandola all’immobilità e rimboccando il sentiero per cui si era dileguato. Le vestigia nella neve tracciavano un percorso azzurrino distinguibile tra le radici semisepolte delle querce.
«Dove mi stai portando!?»
«A conoscere ciò che ti spaventa.»
Lei si arrestò, ma lo strattone impietoso la fece avanzare, il dolore all’avambraccio la costrinse a pareggiare le falcate decise. Il cuore della foresta si spalancò davanti a loro con sublime minaccia.
«Vuoi barattare la mia anima con la tua salvezza?»
«Se lo pensassi davvero, ti opporresti.»
«Non posso avere ragione di te. Sei un Khai!»
Il giovane l’osservò in tralice, avanzando con l’arco di traverso sulla schiena. Il respiro della regina si condensava in volute bianche, mimetizzandosi con il paesaggio.
«Non ho parlato di confronto fisico.»
«Di cosa allora?»
«Mh. È tanto esiguo l’amore che porti a tuo figlio? O lo ostenti come un’egida?»
«Pretendi di conoscere i miei sentimenti di madre!?»
«Non me ne importa meno. Se fossero sinceri, non mi avresti permesso di scaricarti nella radura alla mercé dei tuoi presunti esseri maligni. Avresti lottato per il tuo sangue anziché piangere te stessa.»
L’osservazione la abbatté. Si rese conto che un’imbelle capitolazione l’avrebbe resa una spergiura, mentre l’atto di soccombere in piedi avrebbe dato un senso alla sua vita e a quella di Shaeta.
Non posso aiutarlo a parole e buone intenzioni. Il demone è nel giusto.
«Se io perissi, intercederesti per mio figlio anche senza antidoto?»
«Sì. In ragione del tuo estremo valore.»
Amshula si osservò dal suo punto di vista e ripugnò se stessa. La strana fiducia nei suoi confronti aumentò.
«Tu hai generato un erede?»
«Non mi risulta.»
«Hai scelto una donna a tal fine?»
«Ho sposato la battaglia.»
«Oh, i Khai convolano a nozze?»
Eskandar sbuffò, irritato dall’interrogatorio e dai sottintesi poco garbati.
«Pensi che ci accoppiamo a caso come muusi
Lei non comprese il riferimento alla fauna del suo mondo ma arrossì, ricordando la carica erotica del suo corpo sotto le pellicce e il tocco sensuale delle sue dita.
«N-non intendevo offenderti.»
«Ehn. Estirperò queste idee bacate. Ora guarda.»
Avevano raggiunto una zona impenetrabile, dove le piante secolari erano conficcate una accanto all’altra e quasi ostruivano il passaggio. I tronchi poderosi si ergevano a brevi intervalli, assorbendo la poca luce, le cortecce nodose si spalancavano in cavità buie simili a fauci digrignanti. I rami contorti schioccavano in un attrito legnaceo ad ogni bava di vento, lunghi tralci pendevano dalla vegetazione ustionata dal gelo, strofinandosi in suoni sordi.
Amshula contemplò lo spettacolo austero con una fitta d’ansia: aveva l’aspetto di una creatura viva e incuteva reverenziale timore. Sui tronchi spiccavano scalfitture prodotte da mano umana, simboli apotropaici tracciati per contenere il male.
«È la bocca degli inferi! Gli dèi ci preservino!»
«Sono i tuoi spiriti.»
«Li hai visti? Essi dimorano qui, nel ventre della selva? Andiamo via, ti scongiuro!»
Il guerriero l’attirò a sé, poi le chiuse le braccia intorno ai fianchi e la bloccò.
«Guai se ti muovi.»
Il vento s’incuneò tra le fronde, la foresta emise il sospiro di un mostro al risveglio.
«Eskandar! No!»
«Come chiamate lo strumento a canne suonato durante le cerimonie?»
«Organo» replicò sbigottita, arrovellandosi sull’assurdo cambio di argomento.
La Selva fu investita da una violenta folata. Il latrato esplose improvviso, facendole venire la pelle d’oca. Gridò più di sorpresa che di terrore, affondando il viso nel petto del demone.
«Chi abitava qui non gradiva visite» sogghignò lui «Un trucco efficace, che sfrutta le cavità naturali e fa leva sulle vostre sciocche credenze. Se ti degni di osservare, puoi distinguere i buchi scavati dagli inquilini di un tempo.»
La donna sbirciò incerta, realizzando che alcune aperture erano state realizzate a colpi d’ascia.
«Tu… come?»
«Se qualcosa intende ucciderti non ti avvisa. Quanto agli avvertimenti, non fanno che accrescere il mio desiderio di ignorarli.»
«Questo è un luogo sacro. Calpestarlo è sacrilego.»
Eskandar appoggiò la mano al tronco più vicino e rise spavaldo.
«L’unica empietà sarebbe lasciare il cervo ai lupi. Sono vicini, fiutano il sangue.»
Amshula gli credette nonostante il silenzio tombale. Annuì e lo tallonò sul percorso inverso. Lui recuperò la carcassa e per rientrare scelse una strada diversa.
Aggirarono la radura e costeggiarono un tratto del fiume congelato. Il sole iniziò la parabola discendente, illividendo il biancore della neve. Le pupille verticali del reikan si estesero a occupare il ciclamino dell’iride.
«Rallenta! È pericoloso!» lo redarguì Amshula.
«Al momento la visione notturna non mi crea problemi.»
«Non è questione di doti, l’ambiente non ti è familiare. È zona di caccia, potremmo incappare in una trappola.»
Lui alzò le spalle e proseguì. I richiami dei lupi si fecero prossimi. Contò i dardi a disposizione e armò l’arco per non farsi cogliere impreparato.
Dietro di lui la regina spinse lo sguardo in cerca di particolari che la ragguagliassero sulla distanza dal rifugio. Non riconobbe il posto, ma l’attenzione venne catturata dai graffi verticali che scortecciavano i karūgi. Sembravano artigliate d’orso o di lince nera, ma la memoria la invitò a diffidare.
Mio padre segnava i tronchi per attirare i maschi dominanti. Loro si avvicinavano per annusare la presenza di un rivale e per mascherarla con il loro odore, invece…
«Eskandar!»
Colmò la distanza che li separava, inciampando e rialzandosi per afferrarlo. Usò tutte le energie disponibili, riuscì a sbilanciarlo grazie al peso aggiuntivo del cervo.
Lui imprecò, puntellandosi su un ginocchio.
«Che diavolo credi di fare!?»
Amshula gli volò tra le braccia, ansimando per la tensione. Lo strinse, gli appoggiò le dita sulle labbra, avvertì sui polpastrelli le zanne snudate.
«N-non… non adirarti! Là!»
Tremava. La sua improvvisa tensione lo persuase. Il guerriero seguì con gli occhi l’indice teso: non c’era che neve compatta priva di tracce.
«Sono stanco delle tue sciocchezze!»
«No! Guarda!»
La donna raccattò una pietra e la scagliò pochi metri avanti. Impattò con un tonfo sordo e per un istante non accadde nulla. Poi il suolo franò su se stesso, rivelando una buca profonda, dalla quale sporgevano spessi apici uncinati.
Il reikan sgranò gli occhi: un’esecuzione capitale fatta di cannicci e punte di metallo. Simulò l’indifferenza cui era addestrato, ma il cuore accelerò i battiti.
Per l’Arco infallibile, se non mi avesse fermato…
«È una botola per orsi. Quella ammazza anche te, razza di caparbio arrogante! Da lì non usciresti neppure se sfoggiassi le ali!»
«Volo solo con il mio vradak
«È tutto quello che hai da dire!?»
«I lupi sono vicini» nicchiò lui tirandola su per un braccio «Ce ne sono altre?»
«Non lo so, inizia a diventare buio per me.»
Lui annuì nonostante il rimprovero. Le avrebbe chiesto dopo come distinguerle.
 
Il rumore dell’uscio che si richiudeva suonò come una benedizione. Il capanno aveva mantenuto il tepore e le braci rosseggiavano nel focolare con allegra persistenza.
Amshula le attizzò, sporgendo le mani intirizzite per scaldarsi. Il colpo pesante sul pavimento annunciò che il demone aveva scaricato la preda e che si accingeva a scuoiarla. Non aveva proferito parola da quando avevano superato l’insidia.
L’odore della carne selvatica invase la stanza, ma non la nauseò. Era assuefatta a quella ritualità: se i calcoli erano esatti, convivevano da almeno tre mesi, spartiva con lui ogni istante, ogni contrasto, ogni pensiero. Non poteva affermare di conoscerlo, tuttavia si era avvicinata al suo modo di ragionare e tante asprezze non le parevano più assurde. Immaginava il senso di quel silenzio.
«I tagli sui tronchi» mormorò senza voltarsi «Un inganno per le fiere, un codice per i cacciatori. Non potevi saperlo.»
Lui smise di scorticare la preda e piantò il coltello nell’assito.
«Perché sono anch’io una bestia?»
La voce vibrava di sdegno. Percepiva il suo sguardo incandescente sulla schiena.
«Perché non sei Minkari. Avresti mostrato una minima gratitudine in tal caso.»
«Ti è tutto dovuto, eh? Non hai mai sputato un grazie, non aspettarti un trattamento diverso.»
«Grazie per cosa!?»
Lui ringhiò un’imprecazione. Il pavimento gemette sotto i suoi passi. Si era liberato del mantello, dalla casacca di pelle trapelava la muscolatura del torace.
«Per averti posta a tu per tu con le tue sciocche paure.»
«Sarebbe il tuo insegnamento?»
«Il primo.»
Non le permise di domandare altro. Le afferrò la mano e se la pose sul petto.
«Non sono un rifiuto degli inferi. Respiro e sanguino, il mio cuore pulsa come il tuo. Patisco la fame, il freddo e sono mortale, l’hai constatato di persona. Ho desideri e obiettivi umani, sono solo più determinato a raggiungerli.»
Nonostante il palese disagio, le dita di lei continuarono a premergli la pelle.
«Tu non piangi, non hai paura né pietà, non provi amore!»
«Discendo dai daamakha, è il mio retaggio. Il tuo sta all’opposto, ma non ti giudico una creatura abietta in base ad esso.»
«Mi rinfacci che sono debole, irresoluta, insignificante! Persino il tuo silenzio esprime disprezzo! Credi che non me ne sia accorta?»
La mano di Eskandar premette più forte sulla sua. Il battito affiorò dai pettorali caldi.
«Non sono difetti minkari, bensì tuoi. Superabili, qualora lo desiderassi. Ma non ci provi, è questo che detesto. Se penso al tuo Danyal o agli altri che mi si oppongono, non leggo timore, indecisione o manchevolezza.»
Il paragone la fece sentire peggio. Sapeva di non valere un decimo di loro e di non meritare di sopravvivere a chi si era sacrificato per il regno, ma se la sua vita fosse servita a preservare quella di Shaeta allora si sarebbe riscattata.
«La tua superficialità mi offende!  Non sei mio padre o il mio mentore!»
Lui inspirò, infondendosi una razione aggiuntiva di pazienza. Catturò anche l’altra mano e se l’appoggiò sul diaframma.
«Toccami, non sono un inganno. Tocca il mio viso, il mio corpo finché non ne sarai convinta. Cerca in me una prova inconfutabile, non mi opporrò.»
Amshula avvampò ma non si ritrasse. Le dita salirono a sfiorargli le labbra. Esitò.
«Mi hai visto nudo, non credo al tuo imbarazzo» affermò drastico «Mi hai guardato considerandomi merce e non persona. Ora compi l’inverso.»
Sfilò la casacca, i tatuaggi emersero nella penombra, l’ultima fasciatura gli cingeva la vita poco sopra l’orlo dei pantaloni. Lei trattenne il fiato.
«N-non è necessario.»
«Menzogne. Avverto la diffidenza, ne sei colma.»
«Tu mi leggi dentro, mi spaventi! Come quando distingui le cose nelle tenebre!»
Lui abbassò le palpebre. Le ciglia disegnarono ombre lievi sugli zigomi alti. Appariva indifeso, ma non esisteva nulla di altrettanto letale.
«Fandonie. Ti percepisco, regina. Dimmi cosa cerchi.»
«Hai parlato di desideri umani. Quali sono?»
Lo sguardo del guerriero tornò a lei, terribilmente sincero.
«Salvare un amico.»
Non era la risposta che Amshula attendeva, quella che voleva. Avvertì un intenso dispiacere. Per la prima volta non si arrese, insistette vincendo la ritrosia.
«E poi?»
Il demone scosse il capo e si scostò.
«Mi sono sbagliato. Non sei pronta a incontrare te stessa, solo a fuggire.»
Lei provò una fitta di panico. Lo trattenne, gli allacciò le braccia al collo e si alzò sulle punte dei piedi. Percepì nello stomaco uno sfarfallio mai sperimentato.
«Baciami, anche se è fuori luogo. È l’unico modo per…»
«Taci, se vuoi che lo faccia a modo.»
Un istante e le labbra si unirono alle sue, un istante e si schiusero, le lingue si toccarono, si cercarono avide. Un istante e la issò tra le braccia, le mani di lei gli allentarono i lacci, le vesti femminili si sparsero sul pavimento consunto. Un istante e il giaciglio accolse i corpi avvinghiati, gli ansiti accaldati, ogni brama inespressa.
Eskandar la penetrò con il vigore dell’astinenza, lei gemette di piacere, accompagnò i suoi movimenti senza provare repulsione o timore. Lo accarezzò, sentì la sua pelle incresparsi in risposta, le membra fremere al tocco audace, il respiro accelerare nel climax.
«Sei… oh, sei…»
Deflagrò nel suo abbraccio, le dita intrecciate alle sue, accrescendone la frenesia passionale, spronandolo a liberarsi nell’estasi. Ogni remora, ogni paura spazzata via dal più crudele degli individui, da un nemico acerrimo, dall’unico uomo che aveva desiderato e che non le aveva imposto le sue voglie.
Era adagiato su di lei, gli occhi allungati scintillavano di un appagamento puramente umano, la bocca quasi sfiorava la sua in un sorriso affilato.
«Seconda lezione» esalò fissandola con intensità.
   
 
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