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Autore: Orso Scrive    05/01/2023    2 recensioni
È l’Epifania, ma Babbo Natale ha ancora un dono da consegnare...
Genere: Demenziale, Horror, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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SPIEDO ALLA CACCIATORA

 

 

Anche per quest’anno è fatta.

I doni li ho consegnati – ai buoni e anche ai cattivi, soprattutto a loro – Natale è arrivato ed è passato. Le abbuffate sono state fatte, ed è tempo di ricominciare a pensare alla dieta, anche perché i vestiti iniziano davvero ad andarmi un po’ stretti, e ormai la scusa che si siano ristretti in lavatrice non va più bene. Ma, a parte perdere qualche chiletto e diminuire la circonferenza del mio girovita, non ho altro di cui preoccuparmi. Ora non ho più alcun pensiero per la testa per un altro anno. Alla mia età, avere un bel po’ di tempo libero non fa poi così male. Non mi resta che starmene qui in panciolle sulle spiaggia, a godermi la sabbia, il mare, il sole…

Ah, già: e le mie tre elfe. Come se potessi dimenticarmene, eh. Lo so, lo so: sono un gran furbacchione. Ma, come dico sempre, alla mia età bisogna pur concedersi qualche cosina… A proposito, chissà se hanno gradito quei tre completini di intimo sexy che gli ho fatto trovare sotto l’albero…

Sento dei passi venire verso di me. Passi che affondando nella ruvida e dorata sabbia della battigia, mentre l’onda imperitura si infrange a riva. Le mie narici percepiscono il profumo al cocco della crema solare. Ahh, che goduria. Potrei aprire gli occhi e vedere chi sia ad avvicinarsi, ma mi piace provare a indovinare: sarà Red, oppure Blondie, o magari Blacky?

«Nick», mi chiama.

Riconosco subito la voce. È Blacky.

Mi rilasso, preparandomi a quello che sta per farmi… chissà cosa si inventerà, questa volta, per farmi riprendere dalla stanchezza di aver consegnato doni in giro per il mondo. L’anno scorso si è spogliata tutta, si è cosparsa di olio profumato, mi è scivolata addosso e mi ha fatto un massaggio usando tutto il corpo… se anche quest’anno lo rifacesse, non avrei nulla di cui lamentarmi. Anzi. Ma sono sicuro che la fantasia di Blacky sia galoppante, e nemmeno mi posso immaginare che cosa…

«Nick», dice ancora, interrompendo le mie fantasie. «Abbiamo un problema.»

Un problema… brutta parola.

Sollevo un sopracciglio. Blacky è ferma in controluce. La luce calda e avvolgente del sole crea un effetto meraviglioso sul suo corpo sinuoso, con quella pelle color dell’ebano e quelle forme abbondanti e sode che mi mandano in manicomio ogni volta che le vedo. Poi ha indossato il completino di lingerie che le ho regalato e… be’, diciamo che mi aumenta la salivazione, giusto per dirne una.

Solo che Blacky solleva il braccio, attirando la mia attenzione su qualcosa che tiene in mano. La guardo con attenzione, socchiudendo gli occhi nel riverbero dell’Oceano Indiano. Tra le sue dita affusolate c’è una busta. Una busta sigillata.

«Una lettera?» domando.

«Una lettera», conferma Blacky. «Ce l’ha appena recapitata lo gnomo postino. Per via di un disguido, è arrivata al Polo Nord in ritardo… credo che sia perché è partita dall’Italia, e lì il sistema postale fa abbastanza schifo… lui l’ha ricevuta in ritardo ed è subito corso qui per darcela…»

Una letterina inevasa…! Che onta, per Babbo Natale!

All’improvviso mi dimentico della spiaggia, del sole e delle robe che vorrei mi facesse Blacky. Salto in piedi, sistemo in fretta i bermuda che mi si sono arrotolati attorno alle cosce e le strappo la lettera dalle mani. Subito, le mie dita frenetiche rompono la busta ed estraggono il foglio ripiegato che contiene.

Comincio a leggerlo.

 

 

Cicicip CICIP,

 

cip ci-ci, twee ci, triiiu trii. Trip? Cicicicip-ci!

 

 

Ah, è scritta nel linguaggio degli uccelli! Per fortuna lo comprendo alla perfezione, come qualsiasi altra lingua dell’Universo, quindi posso tradurlo con estrema facilità.

 

 

Caro Babbo Natale,

 

per noi è un piacere scriverti. Come stai? Speriamo tutto bene!

Qui da noi, come saprai, sono arrivati l’autunno e poi anche l’inverno. Autunno vuol dire giorni grigi, nebbia, foglie che si tingono di mille colori caldi… e inverno significa camini accesi, alberi spogli, neve… ma, purtroppo per noi, queste due parole vogliono dire anche (e soprattutto) “cacciatori”.

Infatti, come ogni anno, si è riaperta la stagione della caccia. Boschi e campi si riempiono di nuovo di quegli zotici vestiti di verde, in mimetica manco stessero andando in guerra, con il fucile in spalla e il cane che gli gironzola attorno. E noi uccellini, sui nostri rami, diventiamo le loro prede. Bersagli a cui quei bruti si divertono a sparare come a un tiro a segno.

Ogni anno, ci chiediamo perché quegli idioti ci sparino. Non siamo ancora stati capaci di trovare una vera risposta. Siamo così carini, dei batuffolini colorati che non fanno niente di male a nessuno. Per di più, con i nostri canti melodiosi, con il nostro dolce zufolare, rallegriamo le giornate, dando al mondo intero quell’intonazione bucolica che, pian piano, sta scomparendo a causa dell’inquinamento, della cementificazione e – in poche parole – dell’idiozia degli esseri umani. Siamo gli ultimi rimasugli di una poesia antichissima, che sussurra nel vento sin da quando se ne ha memoria, e da prima ancora.

Insomma, siamo piccoli e carini. La gente, per istinto, dovrebbe volerci bene, e in effetti sembrerebbe così: le persone, nelle piazze e sui davanzali, sono sempre felici di darci qualche briciola di pane per vederci arrivare a frotte. Molti si affacciano per ascoltare i nostri cinguettii, e dovresti vedere che espressioni beate che hanno. Alcuni fischiettano insieme a noi, altri ci parlano, in molti ci guardano estasiati – e, magari, ci ritraggono o ci fotografano – ammaliati dal nostro piumaggio variopinto.

E però, nonostante tutto, ci sparano. Come se fossimo dei nemici sanguinari, delle bestie da cui difendersi in ogni modo. I cacciatori puntano i loro affari di legno e metallo verso di noi e premono il grilletto. La maggior parte di noi, colpiti, vengono disintegrati, rimane solo qualche piumetta che si disperde nel vento insieme alla puzza della polvere da sparo. Ma quelli che non vengono maciullati, vengono raccolti e portati via. Non tutti, a dire il vero: certi cacciatori si divertono a spararci per poi lasciarci lì, oppure per trasformarci in giocattoli per i loro cani.

Comunque, alcuni di noi, vengono poi infilzati e messi sullo spiedo a cucinare. Dicono che siamo una specialità. Noi non capiamo di preciso che cosa ci sia da mangiare: qualche ossicino con attaccata pochissima carne. Il più delle volte, i pallini di piombo che ci lasciano in corpo sono più grossi di noi. Insomma, capiremmo se fossimo dei bestioni in grado di sfamare tante persone: in quel caso la caccia assumerebbe un altro significato, quello della sopravvivenza. Se si spara a un capriolo, o a un cinghiale, e lo si fa con il consapevole rispetto di una vita che viene data per permettere la sopravvivenza di altre vite, allora la cosa sarebbe sensata. Ma sparare a un uccellino, che non può certo togliere la fame a uno stomaco grande e grosso, che senso ha mai, se non quello di mettere in scena una vera e propria crudeltà?

Caro Babbo Natale, noi ti chiediamo vendetta. Non si può andare avanti così. Noi dovremmo essere degli affarini festosi e allegri, a cui volere bene, ma per colpa di qualche imbecille che si diverte a sparare, diventiamo sempre di meno. I boschi si fanno silenziosi, i giardini delle case non risuonano più dei nostri canti, nelle città il nostro cinguettio non lenisce i brutti rumori delle macchine e dei cantieri interminabili. Tutto perché le loro abominevoli mascelle possano sgranocchiare i nostri ossicini cavi.

Puoi fare qualcosa?

Ormai, non ci resterebbe altro che organizzarci in battaglioni e cominciare ad attaccare. Le aquile e i corvi sarebbero pronti a guidarci in battaglia. Hai presente quel vecchio film di Hitchcock? Ecco, lo potremmo prendere come spunto di base… però, prima di arrivare a una guerra totale, abbiamo pensato che forse tu potresti aiutarci, limitando i danni e punendo solo i veri colpevoli, come soltanto tu sai fare.

Noi confidiamo in te.

 

Pettirosso, Cincia, Regolo, Scricciolo, Ballerina & tutti i figli del Popolo Piumato

 

 

Abbasso la letterina. Le mie dita fremono.

È una richiesta di soccorso… e io non posso ignorarla!

Oltretutto, domani è il sei gennaio: il giorno in cui, per tradizione, si accendono molti spiedi. So ben io, quest’anno, che spiedo speciale preparare.

«Blacky, preparami il vestito! C’è del lavoro da fare!»

 

* * *

 

«Oh-oh-oh!»

Sto volando sulla mia slitta magica. Ferrari, Maserati e le altre renne la trascinano velocissima in questo grigio e fumoso mattino di gennaio. Sugli occhi della gente che cammina per le strade vedo l’aria un po’ depressa di chi, da domani, dovrà ricominciare la vita di ogni giorno. D’altronde, come si dice da queste parti, “l’Epifania tutta le feste si porta via”.

Ma io sono in volo perché c’è ancora una festa da fare!

Ogni tanto, sollevando lo sguardo al cielo, qualcuno mi scorge. Molti pensano a una nuvola, altri non mi notano nemmeno. Qualcuno inarca le sopracciglia, dubbioso. Soltanto i bambini, quelli che ancora credono in me, mi additano, gridano, si agitano. Riconosco le loro espressioni festose. Le ho viste mille altre volte, mi fanno sempre bene al cuore. Però so anche che, nel volgere di pochi anni, quegli stessi bambini che ora mi guardano felici, smetteranno di credere in me. Anche per loro io non sarò altro che una nuvola, uno scherzo della luce… o, forse, nemmeno questo. La maggior parte degli uomini, semplicemente, smette di vedermi.

Non è sempre stato così.

Io, come il popolo di cui faccio parte – ci sono elfi, gnomi, nani, folletti, troll e mostri di vario genere, e tante altre creature che ora non sto qui a elencare – per secoli e millenni ho accompagnato il cammino degli esseri umani. Ho assunto varie forme e varie identità, in base all’epoca. E la gente mi ha sempre festeggiato: sin dal neolitico, sono stati eretti monumenti per onorarmi. E anche prima di allora, quando esistevano civiltà oggi perdute… e anche in altre parti dell’Universo. Ognuno mi vede a modo suo, mi attribuisce tratti caratteristici e nomi differenti: ma sono sempre stato io, sono sempre io e sempre sarò io.

«Oh-oh-oh!»

Poi, però, un brutto giorno, uomini e donne si sono disincantati. Hanno smesso di credere in tutti noi e in ciò che abbiamo sempre rappresentato per le loro coscienze e hanno affidato la propria mente al raziocinio scientifico. Ora magari, grazie alla scienza e al progresso, vivono più a lungo e hanno meno problemi di cui preoccuparsi – o, per meglio dire, ne hanno di così grossi che non se ne preoccupano più – ma io sono convinto che, nel cambio, abbiano perso davvero moltissimo.

Be’, fatti loro.

Le mie narici percepiscono un odorino. Il fumo che si sparge da un camino porta con sé il profumo della carne arrostita allo spiedo. Pollo, lombo, coniglio, lonza… ma niente uccellini. In questa casa hanno capito come si sta al mondo. Passo oltre.

In lontananza, vedo rosseggiare un falò. Il fumo grigio si solleva in una nube verso il cielo e viene disperso dalla brezza di gennaio. È un buriel dell’Epifania. Da queste parti, in questo giorno, è antica tradizione accendere fuochi: si brucia la vecchia, si usa dire. La gente potrà anche essersi razionalizzata e tutto quanto, ma certe antiche usanze sono rimaste salde e intramontabili, perché sono radicate troppo a fondo negli animi degli esseri umani. È un pensiero confortante.

Da una casupola nel bosco, sento provenire voci stridule e risa. Lì dentro, qualcuno ha già cominciato a dare fondo al bottiglione del lambrusco. E mi sa tanto che non hanno aspettato il dolce e il caffè, per stappare la grappa. Uomini e donne che cantano, ridono e danzano insieme in allegria, in preda ai fumi dell’alcol. A me però non interessa ciò che si beve, ma ciò che si mangia. Però, a giudicare dall’assenza di qualsivoglia odore – se cerco di non fare caso al puzzo di alcol e di uva fermentata – direi che, in questa casupola, si stia bevendo e basta, e che a nessuno interessi più di tanto il mangiare. Mi piacerebbe fermarmi insieme a loro, sono certo che ci sia da divertirsi… ma ho una missione da compiere.

«Forza, ragazze», dico alle mie renne. «Vi ho fatto il pieno di roba buona, fatemi vedere cosa sapete fare!»

Subito, accelerano, fendendo l’aria e trascinandomi lontano alla velocità di un missile. I miei occhi continuano a scrutare la terra, le narici fanno attenzione a captare ogni più minuto segnale.

Di nuovo, mi arriva puzzo di fumo misto a carne. E, questa volta, percepisco chiaramente un odorino selvatico, bruciacchiato… uccellini!

Uccellini allo spiedo!

Giro le redini e do di piglio. Ferrari e le altre renne capiscono al volo. Mettono il turbo, mentre viaggio come un fulmine verso la mia prossima meta. I miei occhi rossi scintillano, sinistri e pericolosi.

«Sto arrivando! Oh-oh-oh!»

Atterro con precisione davanti alla porta della cascina, che sorge solitaria in mezzo a campi spogli e fangosi, non ancora arati. È una vecchia casa colonica in pietra. Un immane fico cresce accanto alla fossa del letame, da cui salgono effluvi assai poco gradevoli.

Smonto dalla slitta e, pregustando il banchetto, mi avvicino alla soglia. L’uscio è chiuso, per tenere fuori il freddo ed eventuali estranei non invitati. Poveri illusi. Come se bastasse così poco a fermarmi. Da dentro giungono le voci festose dei commensali, il tintinnare delle posate, lo sgranocchiare delle mandibole… ma, tra un attimo, saranno le mie mandibole a mettersi in moto!

Spalanco la porta con un calcio.

Qualcuno per lo spavento sussulta, altri strillano. Un tizio si rovescia addosso il bicchiere. La confusione dura pochi istanti. Cala un silenzio di tomba. Tutti gli sguardi si puntano su di me, mentre mi accendo con calma una sigaretta.

Noto che sono tutti quanti cacciatori. Cacciatori di uccellini, intendo dire. Gente dalla mente deviata. Maschi e femmine. Brutti ceffi, di cui il mondo può e deve fare a meno. Anche perché vi assicuro che, tra pochissimo, il mondo farà davvero a meno, di tutti loro.

«Ehi, panzone!» grufola uno, una specie di cinghiale, grasso, setoso e puzzolente. «Chi sei?! Chi ti ha invitato?! Questa è una riunione privata del club “Amici della Caccia al Pettirosso”!»

Io non mi lascio intimidire certo da un tipo del genere. Ne ho visti, di brutti ceffi, nel corso della mia esistenza. Io esistevo da prima che il primo uomo comparisse in Africa, quindi… lascio trarre a voi le conclusioni.

«Oh-oh-oh!» rido. «Buon Natale!»

Uno di loro fa a tempo a dire soltanto: «Ma se siamo all’Epifania…»

Mi avvento.

La mattanza comincia.

 

* * *

 

Risalgo sulla slitta. Prima di partire, mi prendo un attimo per accendermi un’altra sigaretta.

Il mio vestito è tutto macchiato, adesso, ma c’è un motivo per cui ho scelto un abito rosso: così il sangue non si nota subito. Però mi è rimasto appiccicato addosso l’odore dello spiedo. Dovrò chiedere a Red di lavarmelo. Già mi immagino le scenate che farà, dirà che lei non è una serva e tutto il resto. Le solite robe. Ma tanto, poi, so come fare a calmarla: basta allargarle un pochino e con gentilezza le gambe, avvicinare la bocca a un determinato punto, tirare fuori la lingua e… e il resto non ve lo dico, perché ci sono i bambini che leggono.

Mi volto a guardare la casa. È silenziosa, ora. Muta come una tomba. Fino a un attimo fa, non lo è stata per niente. Hanno gridato parecchio, i cacciatori. Non sembravano molto felici. Forse nessuno lo sarebbe stato, nel trovarsi uno spiedo appuntito conficcato nel culo e che ti esce dalla bocca. Probabilmente anche quelli che ho fatto ripieni – gli ho aperto la pancia e gliel’ho riempita con un po’ tutto quello che mi capitava sottomano, compresi i loro occhi e le loro lingue, dopo avergliele opportunamente strappate – hanno avuto di che lamentarsi. Ma tant’è. E, probabilmente, non sono stati molto contenti nemmeno di essere stati messi a cuocere a fuoco lento… ancora vivi. Ma non posso mica rimediare, adesso. Posso fare tante cose, ma non tutte. Ormai è andata così.

Però sfrigolavano mica male. Il grasso che colava era una delizia. E il profumo, lo confesso, mi ha messo l’acquolina in bocca. Anche perché molti di loro avevano già bevuto parecchio vino, quindi erano anche aromatizzati mica da ridere.

«Spiedo alla cacciatora», commento.

Se un giorno dovessi restare senza lavoro, potrei reinventarmi cuoco. Magari farai successo, chi può dirlo. Potrei persino aprire un ristorante: “Da Nick, cucina casalinga”. Di certo con le mie ricette, semplici ma sfiziose, contribuirei non poco a ovviare al problema del sovraffollamento mondiale. E sono certo che Blacky, Blondie e Red mi darebbero una mano in cucina e a servire in sala.

Prendetemi in considerazione.

In ogni caso, da adesso in poi, i cacciatori di uccellini sono avvertiti: c’è qui Babbo Natale. Sapete che cosa vi aspetta. Prendetevela con quelli grossi come voi, invece di sparare contro quelle creature indifese. Vediamo se, nel trovarvi a tu per tu con me, sarete ancora dei gradassi oppure se striscerete come dei vermi.

Bene. Anche per stavolta, il mio dovere l’ho fatto. Pur se in ritardo, ho consegnato anche l’ultimo dono.

Adesso è davvero tempo di tornarmene sulla spiaggia e di restarmene in panciolle fino al prossimo Natale. Le mie tre elfe mi aspettano e io, sinceramente, non vedo l’ora di sdraiarmi là, bello tranquillo, e di farmi fare robe da loro, e di farne io a loro… robe che non posso ripetere qui, perché – come dico sempre – magari ci sono dei bambini che stanno leggendo.

«Oh-oh-oh!»

La slitta, trainata da Ferrari e dalle altre renne, si alza in volo e se ne schizza via come un fulmine.

 

 
   
 
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