Meowth si era
finalmente addormentato, dopo aver parlato – straparlato – fino a sentire i
propri occhi chiudersi davanti alle fiamme guizzanti del fuoco da campo. Lo
spiazzo che stava accogliendo lui, James e Jessie lasciava poco spazio
all’immaginazione, ma quella era la vita che si erano scelti: lavorare alle
dipendenze di Giovanni si era rivelato più complesso di quanto avevano sperato,
ma non avrebbero potuto fare altro… non Jessie, almeno. Il ricordo di Miyamoto,
la sua vera madre, era l’unica cosa che le era rimasta addosso e il motivo
recondito per cui aveva fatto di tutto per poter essere reclutata dal Team
Rocket. Aveva bisogno di soldi, di tanti soldi per poter partire per le Ande
alla sua ricerca, ritrovarla, riabbracciarla e riprendere una vita decente
lontana da tutto ciò che il gruppo era costretto a fare. Scorribande, furti,
sequestri per un piano superiore di arricchimento del Team criminale
cominciavano a pesarle, in fondo. Non si sarebbe arresa, però, questo mai,
perché non l’avrebbe voluto Miyamoto, perché non se lo sarebbe mai perdonato
lei stessa. Deludere Giovanni sarebbe stato terribile, ma ancor più trascinare
nella vergogna anche James l’avrebbe fatta sentire una fallita: sbagliava, si rialzava, tornava a lottare per
una dignità che si teneva stretta al petto e che inizialmente non credeva
nemmeno di avere.
Voltò il capo in direzione del compagno di squadra, osservandolo dormire
beatamente: come invidiava il suo riposo facile, il volto disteso nel sonno,
quel sorriso pacifico di chi sapeva d’aver trovato un posto nel mondo… lo
invidiava e lo odiava in un certo senso, perché lei il suo posto non se lo
sentiva cucito addosso come avrebbe voluto, anzi. Se lo sentiva largo, come non
le fosse calzato a pennello una sola volta.
Pensando a quanto fosse inutile perdere tempo e spenderlo in pensieri troppo
pesanti da sopportare, si raggomitolò nel sacco a pelo accoccolandosi,
stringendo le braccia al petto alla ricerca di un calore che non sarebbe
arrivato tanto facilmente. Il buio li inghiottì, e soltanto il bubolare di
qualche Hoothoot accompagnò la notte senza stelle che
avvolse il trio nella propria morsa.
James tendeva ad addormentarsi sempre prima di tutti, ma non quella sera, non
dopo il colloquio con le alte sfere del gruppo di ricerca del Team Rocket. Certo,
perché Giovanni non si sarebbe mai sporcato ad abbassarsi a parlare con lui
quel mattino. Per quanto fosse abituato a ricevere ordini, talvolta insulti o
rimproveri, rimpianse d’aver risposto alla chiamata il giorno prima, in cui
venne convocato al loro Quartier Generale, diviso dai suoi compagni e ricevuto
da solo all’interno del laboratorio principale in privata sede.
Deviò tutte le domande di Jessie, non si lasciò scappare nulla e il solito
buonumore che lo contraddistingueva finì divorato in quella mezzora. Lo avevano
masticato e risputato senza pietà, non avevano edulcorato assolutamente nulla.
Se avesse saputo... Avesse potuto evitare, si sarebbe sentito molto più leggero.
E invece eccolo lì, a qualche ora dalla notizia sganciata con una tale
freddezza da gelargli ancora le ossa, a osservare la volta celeste con
rammarico e un peso enorme. Quanto era bello il cielo quella notte, quanta
meraviglia quelle stelle… avrebbe chiamato volentieri Jessie accanto a lui a
osservarle, a cercarne forme e linee diverse, a ridere di nuovi nomi per le
costellazioni. Invece no. Lei se ne stava rannicchiata in uno dei due futon
presenti nella stanza di una vecchia locanda, osservando il muro: non stava
affatto dormendo lei, ma questo il compagno e amico non poteva certo saperlo.
Era tardi, chiunque avrebbe dormito a quell’ora.
Erano tutti e tre svegli, invece, e l’aver dato per scontato alcune cose
l’avrebbe pagato caro come errore.
Meowth si stiracchiò infastidito: lo stomaco
brontolava e ne approfittò per frugare nelle tasche del giaccone di James alla
ricerca di qualche caramella. Soddisfatto del piccolo misfatto si riempì la
bocca, impiastricciandosi il muso e il pelo di appiccicume zuccherino.
Delitto perfetto, pensò ridendo sotto ai baffi e nascondendo sotto al proprio
cuscino le carte della ladrata. Zitto zitto, convinto di averla fatta franca, tentò di rimettersi
a dormire ma avvertì un certo spazio vuoto a cui non era affatto abituato;
lanciò la zampa verso sinistra e vi trovò i capelli di Jessie, e ne fu rassicurato.
Si voltò dall’altra parte e notò il secondo futon vuoto.
«James…? Tu?» Stava per concludere dicendo “tu sveglio a quest’ora?” ma lo
inquadrò fuori in terrazza, la porta finestra accostata appena, coperta dai
pesanti tendaggi.
«Ciao, James.»
«Oh, Meowth, scusami, non ti avevo sentito.» Il
ragazzo era avvilito, scosso da qualcosa: le occhiaie violacee parlavano per
suo conto. Mantennero il silenzio quel tanto che bastava a innervosire un gatto
con l’abitudine di parlare fin troppo e con un entusiasmo raro anche per un
essere umano. Si sentì un rapido stropiccio e una caramella colorata spuntò
sulla balaustra del piccolo terrazzino in legno scuro: quasi splendeva con i
piccoli raggi di luce che filtravano dalla camera poco illuminata.
James sorrise pallido. «Grazie, riesci sempre a fare qualcosa al momento
giusto…»
«Tsk, è solo l’ultima rimasta.»
«Lo so.»
«Ed è pure tua.»
«So anche questo. Ma l’hai condivisa con me, ed è importante.»
L’aria era fredda quella notte, e il gatto corse a recuperare la trapunta dal
futon, balzò sull’asse di legno e si acquattò accanto all’allenatore,
avvolgendogli addosso la pesante coperta e trovando uno spazio anche per sé.
«Allora.»
«Mh.»
«Stavolta è qualcosa di grosso, vero?»
Il primo singhiozzo venne trattenuto a fatica, ma così non fu per il secondo.
Una zampa gli sfiorò la spalla, forse invitandolo a parlare, forse soltanto a
tentare un approccio di sostegno. Un “dai, ci sono” senza il bisogno di dirlo
ad alta voce. Perché Meowth parlava, sì, ma non era
poi così bravo con cose così complicate come quelle degli umani.
«Troppo grosso anche per dirlo a me?»
James inghiottì con tutta la forza che poté, inspirando ed espirando in modo
meccanico. Guardò ancora una volta il cielo, il blu notte lo affascinava. Era
appannato però.
«Hanno ritrovato la madre di Jessie.»
Le lacrime rigarono gli occhioni increduli del Pokémon, scendendo a inumidire
la pelliccia del petto. Era così felice che avrebbe potuto gridarlo all’intero
mondo fregandosene altamente dell’ora tarda. «No-non… non ci credo… non ci
credo!» Scattò in avanti ad abbracciare il compagno, lo strinse tanto forte da
avvertire un uhf strozzato, ma si sentì sospinto via.
Cosa stava accadendo?
Dove era la felicità che si meritavano di condividere a una notizia simile?
Jessie aveva finto di dormire per tutta la durata della sera. Era ancora offesa
con James, in un modo arrogante e fisico che solo lei sapeva usare così bene:
un po’ per carattere, un po’ perché voleva farlo sentire in colpa, gliel’aveva
fatta pesare. Certo, perché loro due erano uguali, erano sempre stati allo
stesso livello, avevano sempre e comunque dato lo stesso impegno, dedizione ed
entusiasmo alla causa. Ecco, lei forse ancor di più perché il suo scopo lo
sentiva vivo addosso, tatuato sul cuore… quindi quando aveva capito che a esser
stato convocato era stato soltanto lui, ci era rimasta male; aveva pure pensato
d’aver sbagliato qualcosa, d’aver mancato agli ordini, chissà.
E c’era di peggio: James non aveva voluto condividere con lei il contenuto di
quella conversazione. Non gli aveva parlato per tutto il tempo, l’aveva evitata,
discostando lo sguardo a ogni occasione.
Certo, glielo avrebbe fatto ricordare: con lei non si scherzava affatto. Quindi
aveva optato per buttarsi a letto presto alla locanda, subito dopo una cena
consumata in un silenzio pesantemente oppressivo. Poco le importava, le avrebbe
chiesto scusa e sarebbe riuscita a cavargli dai denti tutto quanto. La scelta
di fingersi addormentata si era rivelata vincente, nessuno le aveva rotto le
scatole – nemmeno Meowth, incapace solitamente di
mantenere intatti gli spazi vitali delle persone che lo circondavano.
Sentì rovistare dietro di lei, sentì masticare, uno smuovere di cartacce e una
risatina. Sicuro il Pokémon ne aveva combinata un’altra delle sue ma non si era
permessa di intromettersi: mantenersi arrabbiata e continuare a così almeno
fino al giorno dopo pareva essere davvero una ottima trovata, peccato rovinarla
così. Questo fino a che non aveva allungato l’orecchio in direzione della porta
ormai aperta che dava alla terrazza. Una fredda folata di vento notturna aveva
aperto un più ampio spiraglio.
Un particolare che Jessie avrebbe maledetto a tempo debito.
Le parole le arrivarono dritte alle orecchie, trasportare dall’aria.
«Sei… sei sicuro fosse lei…? Miyamoto?»
Scattò in piedi dimenticando ogni proposito di vendetta.
Mamma?
«Sì, non… non c’erano dubbi. Meowth… non si può
sbagliare.» Un sospiro. «È proprio lei.»
Mamma…? Ti hanno ritrovata?
Incurante del tono utilizzato dagli altri, non curandosi nemmeno del
proprio aspetto e dei propositi fissati, Jessie aveva già allungato la mano
verso la porta, pronta a spalancarla e saltare addosso a James. Insultandolo,
certo, chiedendogli perché avesse aspettato tanto per poterle dire quella
splendida verità.
«È rimasta tale e quale…»
Certo, mia madre è sempre stata bellissima. Figurati se può invecchiare male
lei!
I capelli magenta già avevano superato la soglia, le braccia rivolte verso
i compagni. Stava piangendo per la felicità, le scie lasciate dalle lacrime
pizzicavano per il freddo ma non le importava; il pigiama da solo non poteva
scaldarla a sufficienza, ma di questo non poteva fregargliene di meno. Si
bloccò a un paio di centimetri ormai, gli arti ancora sollevati verso il vuoto,
quando la maschera sorridente del solito James aveva lasciato il dovuto spazio
a una genuina disperazione.
E Meowth con lui.
Perché piangono? Sono troppo felici? Sì, deve essere così, siamo tutti
felici perché mamma è stata finalmente ritrovata… lo sapevo, sapevo che
Giovanni mi avrebbe aiutata…
Sapevo che non avrei buttato la mia vita su qualcosa di inutile…
Perché non dicono nulla?
Fa male sentirli stringermi così tanto.
Fa male…
Fa così male… lasc-lasciatemi stare…!
And-
«Andate via…! Non… non è vero… sei… sei un bugiardo!»
Jessie si inginocchiò sul gelo del legno usurato, il calore del pelo di Meowth non era sufficiente, le labbra di James sui capelli
non bastavano nemmeno.
L’avevano ritrovata. Sì. Avevano ritrovato Miyamoto.
Su un ghiacciaio andino.
Esattamente come era quindici anni prima.
Giovane.
Bellissima.
Morta.