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Autore: Princess Kurenai    07/01/2023    0 recensioni
AkaRen Week | Day 8 - FREE DAY
La comparsa del giglio ragno blu era riconducibile solo alla maledizione che colpiva i demoni ancora troppo legati alla loro umanità, demoni che si innamoravano senza essere corrisposti… di conseguenza lui si era innamorato di qualcuno.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hakuji/Akaza, Kyoujurou Rengoku, Tamayo, Tanjirou Kamado
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'AkaRen Week 2022'
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Rating "arancione" per la descrizione dell'Hanahaki Disease.

Il cielo aveva iniziato a perdere il manto scuro della notte e Akaza, che era rimasto seduto sull' engawa della dimora dei Rengoku, anche quando Kyojuro si era addormentato, si costrinse finalmente ad alzarsi per poter abbandonare quel luogo che gli era diventato ormai familiare.

Guardò per un ultimo momento il Pilastro della Fiamma che giaceva sul suo futon in modo scomposto, lo yukata aperto in petto e i capelli che creavano una sorta di criniera di fuoco sul cuscino. I lineamenti erano rilassati e delicati, facendolo sembrare ancor più giovane. L’unica imperfezione era la cicatrice sull’occhio sinistro, opera dello stesso Akaza. Nonostante ciò, stava dormendo pacifico, come se non ci fosse un demone all'interno della sua stanza, come se quello stesso demone non avesse cercato di ucciderlo neanche sei mesi prima.

Erano stati tanti i cambiamenti nell’esistenza di Akaza da quando si era scontrato per la prima volta con Kyojuro, e quelle notti, passate a chiacchierare di tutto e niente con l’Ammazza Demoni, erano diventate per lui un qualcosa di irrinunciabile, così come il desiderio di combattere e di diventare più forte.

Si avvicinò al giovane uomo e, con una delicatezza della quale non si credeva capace, gli sistemò addosso la coperta che era scivolata sul fianco nel suo continuo muoversi - Kyojuro era imprevedibile anche nel sonno.

Sorrise, incapace di impedire alle sue labbra di piegarsi verso l’alto, poi con un balzo lasciò la camera del Pilastro per andare alla ricerca di un riparo dai raggi del sole che presto avrebbero scacciato via ogni ricordo della notte appena trascorsa. Furono degli alberi a offrirgli un primo riparo e, senza fermarsi, continuò a correre nella foresta che si faceva sempre più fitta con l'avvicinarsi delle montagne. Sulle labbra, Akaza, sentiva ancora il sorriso che lo aveva accompagnato sin da quando aveva lasciato Kyojuro e nella mente era ben chiara la notte appena trascorsa.

Il Pilastro gli aveva raccontato della sua ultima missione e aveva accennato qualcosa anche a riguardo di quella che lo aspettava il giorno successivo, e Akaza lo aveva ascoltato senza perdersi neanche una singola sillaba di quelle parole tanto esaltate e cariche di orgoglio. Aveva osservato le sue espressioni mutare, il sempre eterno sorriso illuminargli il viso e le sue mani muoversi per gesticolare, e la Terza Luna Crescente era arrivata addirittura a provare un po’ di invidia per quel demone inferiore che aveva avuto l’onore di scontrarsi contro l'Ammazza Demoni.

In quei sei mesi, il suo rapporto con Kyojuro era mutato al punto che entrambi avevano smesso di cercare di uccidersi a vicenda. Anche se, ovviamente, Akaza sapeva che avrebbe potuto mettere la parola fine alla vita del Cacciatore senza alcun problema, sapeva di essere infinitamente più forte degli esseri umani, ma nonostante ciò non era sua intenzione farlo.

Voleva vedere Kyojuro diventare più forte, voleva vedere i suoi miglioramenti, vederlo sempre più vicino alla perfezione e magari, a quel punto, riuscire a convincerlo a diventare un demone - non aveva ancora rinunciato a quel desiderio.

Il Pilastro della Fiamma, dalla sua, aveva più volte cercato di decapitarlo i primi tempi - non poteva dargli torto, ammazzare i demoni era il suo lavoro -, ma alla fine sembrava aver accettato la sua presenza. Aveva iniziato ad accoglierlo, anche all'interno della sua casa, con gentilezza e familiarità. Talvolta anche cercando di convincerlo a ‘cambiare’ - proposta alla quale Akaza rispondeva che, così come Kyojuro non era disposto ad accettare la sua proposta di diventare un demone, neanche lui era tenuto a fare lo stesso.

In ogni caso, avevano raggiunto un equilibrio in quella sorta di rapporto, tanto strano quanto pericoloso per entrambi, perché si sarebbero dovuti uccidere a vicenda, e se fossero stati scoperti si sarebbero trovati entrambi nei guai.

Akaza si riteneva in parte fortunato per il fatto di non essere costantemente sotto lo sguardo accusatore di Kibutsuji. Gli aveva sempre lasciato abbastanza libertà di movimento e non era neanche solito convocarlo così tanto spesso - talvolta passavano anche decenni prima di rivedere il suo padrone -, ma cosa sarebbe accaduto se li avesse scoperti? Se lo avesse richiamato proprio in quel momento al Castello dell’Infinito?

Il pensiero lo fece rabbrividire e sentì una strana sensazione iniziare a crescergli sulla bocca dello stomaco - già da tempo aveva iniziato a sentire quel disturbo ma gli era sempre sembrato un qualcosa di poco conto in confronto ai problemi che avrebbe dovuto affrontare.

Muzan lo avrebbe sicuramente punito, considerò scacciando con non poca fatica quell'improvviso e anomalo malessere. Akaza era abituato al dolore fisico - un po’ meno all’umiliazione - e non sarebbe stato difficile sopportare l’ira del suo padrone… tuttavia Kibutsuji avrebbe sicuramente preteso la testa di Kyojuro. Lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani o peggio ancora: avrebbe potuto costringere Akaza stesso a farlo. E la Terza Luna Crescente non voleva.

Quel pensiero un po’ lo sorprese per la facilità e la velocità con il quale era stato elaborato: Akaza non voleva uccidere il Pilastro della Fiamma .

La sola idea di non vedere più il sorriso di Kyojuro, di non poter più ascoltare la sua voce alta e profonda, né sentire il profumo che gli ricordava l’estate, lo nauseava e spaventava.

Cercò di convincersi che si trattava della sua curiosità verso l'umano, del brivido della battaglia quando si scontrava contro le fiamme del Pilastro e del desiderio di riuscire, un giorno, a farlo diventare un demone. Ma gli sembrarono tutte menzogne.

Akaza non voleva più perdere qualcuno che credeva in lui.

Fu in quell’esatto momento, a seguito di quel pensiero tanto incoerente e strano, che Akaza si fermò nel bel mezzo della foresta, protetto dall’ombra degli alberi. La sensazione di timore che aveva sentito crescergli nello stomaco era diventata pesante e insopportabile, quasi tangibile. Era cresciuta e, infima, era strisciata verso l’alto come a volergli bloccare le vie respiratorie.

Istintivamente, il demone iniziò a tossire guidato dallo sciocco bisogno di espellere quella sensazione. Era una reazione davvero stupida, ma gli bastò sforzare quei muscoli nell’atto di tossire per sentire ‘qualcosa’ .

Ripeté quell’azione con crescente confusione e necessità, e quando sentì ancora una volta il corpo estraneo dentro di sé, non poté far altro se non portare una mano sulla gola come per capire se ci fosse per davvero qualcosa.

L’aria iniziò a mancargli e un sudore freddo, anomalo, lo spinse a cadere in ginocchio sulla terra. Più gli sembrava impossibile respirare, più le sue forze sembravano scivolargli via, come se non gli appartenessero più.

Per un momento, Akaza fu tentato dall'artigliarsi con più forza la gola per strappare via la carne pur di riuscire ad espellere ' la cosa ' che gli stava impedendo di respirare, ma gli bastò un altro colpo di tosse, più forte degli altri, per fargli sentire il sapore del suo stesso sangue sulla lingua e una nuova sensazione sul palato.

Aprì la bocca, contraendo i muscoli come per vomitare, e qualcosa scivolò dalla gola fino alla sua lingua, per poi abbandonarlo del tutto, lasciando la sua bocca libera.

Emise un gemito di dolore e sollievo, e continuando a tenere gli occhi chiusi cercò di riprendere fiato e di superare quel momento di confusione.

Non capiva cosa fosse accaduto, in tutta la sua esistenza non gli era mai successa una cosa simile. Aveva affrontato innumerevoli avversari, subito punizioni più o meno forti da parte di Kibutsuji, ma quella sensazione era del tutto nuova. Non si era mai sentito soffocare né aveva mai vomitato a dirla tutta… ma era successo: aveva sputato qualcosa.

Aprì quindi gli occhi, puntando lo sguardo sul terreno erboso, dove vi era placidamente adagiato un fiore color della notte con lunghi petali ricurvi. Vi erano delle piccole goccioline di sangue che, lente, scivolavano per terra, andando ad aggiungersi sull’erba bagnata dalla rugiada mattutina.

Un fiore . Un semplice fiore innocuo che, tuttavia, causò in Akaza un violento brivido.

L'intero corpo del demone si irrigidì, ma allungò ugualmente la mano per raccogliere quel piccolo oggetto. La consistenza sulle sue dita era reale, e il profumo, sebbene mischiato a quello del sangue, era dolce come quello di un fiore appena colto.

Emise un respiro stridulo, che gli tremò in gola come se fosse sul punto di sputare altri di quei fiori. Rimase ad osservarlo per qualche minuto, con ancora quel sudore freddo che gli scivolava lungo la schiena e che gli artigliava la testa come una stretta morsa.

Senza pensarci oltre e senza prendere in considerazione le conseguenze - o avere anche solo avuto il tempo di fermare le sue azioni -, il suo pugno si strinse attorno a quel fiore delicato. Lo strappò, distruggendolo fino a fare in modo che non potesse essere più riconoscibile né utilizzabile, come se non fosse mai esistito.

Rabbia e paura si alternarono in quei gesti e, ansimante, si ritrovò a scattare di nuovo in piedi per poter riprendere a correre e lasciare alle sue spalle i resti sanguinolenti di quello che era stato l’oggetto della sua missione per secoli.

Un giglio ragno blu.

Lo aveva cercato in lungo e in largo, senza avere mai successo. Con i suoi fallimenti aveva deluso Muzan e aveva giurato che non si sarebbe dato pace fino a quando non avrebbe trovato quel fiore… ma quello non gli aveva impedito di distruggere l’unico esemplare che gli fosse capitato tra le mani.

Solo in quel momento le conseguenze lo investirono con tutta la loro crudeltà. Kibutsuji cercava quel fiore da secoli e Akaza lo aveva distrutto con una facilità e velocità disarmante, ed il motivo era tanto semplice quanto assurdo e impossibile da accettare.

Consegnare il fiore a Kibutsuji lo avrebbe portato a… perdere tutto . Avrebbe dovuto ammettere il suo tradimento e perdere quella sorta di libertà che aveva guadagnato in secoli di fedeltà. Inoltre avrebbe perso la fiducia di Kyojuro, che con altrettanta difficoltà era riuscito a guadagnarsi.

Era già consapevole della pericolosità della sua amicizia con il Pilastro della Fiamma - anche le conseguenze gli erano chiare -, ma quello sarebbe passato sicuramente in secondo piano, perché distruggendo il giglio ragno blu aveva disubbidito all'ordine diretto del suo padrone riguardante il portargli immediatamente quel fiore se lo avesse trovato.

Trovato , si ripeté nervosamente. Non lo aveva semplicemente ‘trovato’ : quel fiore era uscito dal suo corpo.

Quel dettaglio non era trascurabile, ed era un qualcosa che fino a quel momento anche lo stesso Muzan aveva reputato irrealizzabile.

Kibutsuji Muzan era il primo demone, e aveva eseguito le sue ricerche su quel fiore sin da quando aveva iniziato a muovere i suoi primi passi come essere immortale. Aveva tracciato le apparizioni del giglio ragno blu, lo aveva cercato per secoli e infine aveva condiviso tutta la sua conoscenza con Akaza quando lo aveva incaricato di trovare quel dannato fiore.

Pur non sapendo nulla sulla sua possibile fioritura né sul luogo - quel fiore non appariva in nessun testo ufficiale riguardante la flora giapponese, né nei racconti popolari -, Kibutsuji gli aveva detto che sapeva che i demoni erano in grado di crearlo in qualche modo, ma per sua sfortuna, e per la totale inutilità di quegli esseri inferiori, non era mai riuscito a metterci le mani sopra.

Erano i sentimenti il fulcro della nascita di quel fiore nel corpo dei demoni . Perché anche questi, seppur in modo distorto, erano in grado di provare dei sentimenti o quanto meno di ricordare quello che sentivano quando erano ancora umani, ma esistevano alcuni demoni che, per un motivo o per un altro, conservavano ancora un forte legame con la loro vita umana ed era da quello che nascevano dei sentimenti come l’amore.

Amare un demone era impossibile, e quell’amore non corrisposto dava vita ad una sorta di maledizione che faceva sbocciare nel corpo dei demoni il giglio ragno blu.

Kibutsuji aveva assistito a quel fenomeno sette volte nella sua intera esistenza - Akaza, invece, lo aveva visto solamente attraverso i ricordi che suo padrone aveva condiviso con il sangue -, e tutte quelle volte i demoni affetti da quella maledizione avevano preferito la morte. Sei di loro avevano lasciato prevalere i loro istinti demoniaci, uccidendo l'oggetto dell'amore non corrisposto, mentre solo uno aveva scelto il suicidio.

Si erano dimostrati pronti a tutto pur di non subire quella pena, e il fiore spariva sempre con la morte del demone, e con esso ogni suo possibile utilizzo.

Akaza si fermò ancora in mezzo alla foresta, trovando finalmente il coraggio per affrontare ciò che stava evitando da quando aveva posato gli occhi sul fiore e deciso di distruggerlo.

La comparsa del giglio ragno blu era riconducibile solo alla maledizione che colpiva i demoni ancora troppo legati alla loro umanità, demoni che si innamoravano senza essere corrisposti… di conseguenza lui si era innamorato di qualcuno.

Non si era mai sentito legato alla sua umanità, non ricordava quasi nulla del suo passato - solo piccoli frammenti che in quei sei mesi erano tornati a galla nel mare nero che era la sua mente -, eppure si era innamorato e non fu difficile dare subito un nome al soggetto dei suoi pensieri. Ciò che si rivelò subito complicato, fu capire come comportarsi da quel momento in poi.

Consegnare il fiore a Muzan avrebbe avuto innumerevoli conseguenze. Sarebbe stato costretto a rivelare al suo padrone il suo rapporto con Kyojuro e avrebbe portato non solo alla morte di quest’ultimo, ma anche a quella dello stesso Akaza una volta ottenuto il fiore e utilizzato per i suoi scopi.

Non voleva morire, né voleva che qualcun’altro si appropriasse della vita del Pilastro della Fiamma. Spettava a lui reclamarla quando sarebbe stato il momento adatto.

In un gesto di rabbia, colpì con un pugno un albero. Balzò subito di lato quando questo, investito dalla sua ira, si spezzò lasciando che la luce del sole attraversasse la fitta coperta di rami e foglie che lo aveva protetto fino a quel momento.

Una chiazza giallognola accarezzò subito il tronco spezzato e l’erba circostante, e per un momento il sole gli sembrò quasi invitante.

Un demone aveva preferito la morte a quei sentimenti e Akaza poteva quasi comprenderlo… ma dall’altra parte, tutti gli altri avevano scelto di uccidere chi amavano.

Akaza sapeva che un giorno avrebbe ucciso Kyojuro. Sperava accadesse più tardi possibile - o che non accadesse affatto, perché continuava a sperare di poterlo trasformare in demone -, ma in quel momento la morte di Kyojuro gli sembrava per davvero l’unica soluzione possibile. 

Akaza non voleva quei sentimenti umani, erano una debolezza, e soprattutto non voleva neanche permettere a qualcun’altro di uccidere il Pilastro della Fiamma al posto suo.

Restava il problema del tradire Kibutsuji in quel modo, non consegnandogli il fiore che tanto anelava, ma ad Akaza sembrava più facile prendere in considerazione la morte dell’Ammazza Demoni che dare al suo padrone la prova di un amore che non voleva.

Si allontanò dal sole e trovò rifugio in una grotta non lontana, all’interno della quale non poté far altro se non dare sfogo ad una frustrazione senza nome.

I minuti ben presto diventarono ore, e quando il sole finalmente iniziò a scomparire dietro le montagne, la Terza Luna Crescente si rese conto di non essere riuscita a trovare una spiegazione a quella sensazione di scontento e ira. Aveva semplicemente dato via libera al suo istinto, spaccando rocce e combattendo contro un avversario invisibile, come se la sconfitta di quell’essere intangibile potesse portarlo a trovare una risposta.

Lasciò la grotta quando fu certo che i raggi del sole non l’avrebbero più disturbato e si diresse ad ovest. Kyojuro gli aveva detto che sarebbe partito per una nuova missione diretto verso piccola zona rurale ad ovest della sua zona di competenza e anche se Akaza non era solito intromettersi nel lavoro del Pilastro, quel giorno sapeva di non poter evitare l’incontro.

Aveva rinchiuso in un angolo della sua mente i sentimenti e le conseguenze derivate da essi per concentrarsi solamente su ciò che doveva fare e non su ciò che invece desiderava. E Akaza sapeva di dover mettere la parola fine a tutto quello e al più presto.

Trovare Kyojuro non fu complicato, avrebbe riconosciuto il suo spirito combattivo anche a chilometri di distanza, e restò ad osservarlo in silenzio per un po’ di tempo, nascosto tra le fronde degli alberi mentre combatteva e distruggeva con estrema facilità dei demoni che avevano iniziato a prendere di mira quella zona.

Le forme del Pilastro erano sublimi come sempre, la sua tecnica di Respirazione era una gioia per gli occhi. Il suo sguardo non concedeva esitazioni, così come le convinzioni che animavano ogni suo respiro e movimento. Sarebbe stato un peccato ucciderlo, si disse senza riuscire a nascondere un pizzico di tristezza.

I demoni divennero presto polvere sotto l'impetuosità di Kyojuro, e quando anche l'ultimo scomparve, il Pilastro rimise la katana nel fodero con un movimento elegante e collaudato. Le labbra del giovane uomo si piegarono in un sorriso e, sistemandosi l’haori sulle spalle, Kyojuro rivolse lo sguardo verso gli alberi, dove era nascosto Akaza.

«Intendi restare nascosto ancora a lungo, Akaza?» domandò con tono leggero e tranquillo.

Akaza non riuscì a non sorridere e a pensare, per l'ennesima volta, a quanto Kyojuro fosse fantastico. Era certo di essersi nascosto alla perfezione, di aver tenuto al minimo la sua presenza, ma il Pilastro della Fiamma era ugualmente riuscito a individuarlo. Era davvero un guerriero perfetto.

Scese quindi dall'albero con un balzo, atterrando a pochi metri dal cacciatore.

«Kyojuro~»

Il sorriso del Pilastro si allargò, accogliendo il demone come se fosse un vecchio amico o come se fosse realmente felice di vederlo. Quell'espressione sincera e luminosa fece stringere di nuovo lo stomaco di Akaza, causandogli la stessa sensazione di soffocamento che aveva provato dopo aver lasciato la Casa dei Rengoku.

«Non mi aspettavo di trovarti qui!» commentò Kyojuro, genuinamente sorpreso. La voce chiara e limpida, l'occhio ancora sano color del sole e del sangue. Era tutto ciò che in quel momento Akaza sentiva di desiderare.

Il demone però si impose il silenzio per tenere a bada quel principio di malessere, cercando al tempo stesso di non dimenticare il motivo della sua presenza.

Doveva uccidere il Pilastro della Fiamma .

Ma era tremendamente facile scordare la sua missione per perdersi nel sorriso e nel calore di Kyojuro. Strinse le labbra poi si sforzò di piegarle verso l’alto a sua volta, tendendo la mano verso l’Ammazza Demoni.

«Diventa un demone, Kyojuro,» gli disse pur conoscendo già la risposta. Infatti l’altro rise e quel suono fece sobbalzare il cuore di Akaza in petto.

«Non diventerò mai un demone,» dichiarò con sicurezza e senza esitazione, ma al contrario delle prime volte quella risposta mancava d’astio, forse a causa del rapporto che si era creato tra di loro.

«Allora combatti contro di me!»

Akaza si mise nella sua solita posizione di guardia. Le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso, ma privo di qualsiasi gioia o eccitazione per il combattimento. Scorse un lampo di sorpresa attraversare il viso del Pilastro, ma subito la mano di Kyojuro si strinse sull'elsa della sua katana. La sfida non era sconosciuta al Pilastro della Fiamma - molte altre volte si erano scontrati in modo, saggiando le rispettive abilità fino ad entrare quasi in sintonia -, ma quello non gli impedì di mostrare una sorta di confusione.

«Akaza? Va tutto bene?» chiese infatti al demone che, in tutta risposta, si lanciò subito all’attacco.

«Non trattenerti, Kyojuro,» esclamò e il Pilastro, dimenticando subito i dubbi, rispose con un fiero: «Non l'ho mai fatto!»

La quarta forma della Respirazione della Fiamma fece da scudo all’Ammazza Demoni contro l’attacco di Akaza e, facendo perno sui piedi, il Pilastro richiamò un’altra forma che fece saltare via il braccio destro del demone, allungato per una nuova offensiva.

L’arto ricrebbe subito permettendo ad Akaza di non fermare i suoi attacchi che, uno dopo l’altro, vennero fermati dalla katana di Kyojuro e dalle sue forme impeccabili, che non lasciavano il minimo spiraglio in una difesa ferrea.

Inizialmente Akaza aveva pensato che il Pilastro non sarebbe mai più riuscito a riprendersi in seguito alle ferite riportate dopo il loro scontro, ma si era dovuto ricredere. Pur avendo perso un occhio e subito notevoli ferite interne e non, Kyojuro non si era mai perso d’animo né si era arreso.

Aveva affrontato la lunga riabilitazione con tenacia, e si era anche mostrato pronto a fronteggiare con lo stesso coraggio Akaza durante le sue prime visite, guidate per lo più dalla curiosità per quel giovane umano che lo aveva affascinato sin dal primo momento.

I primi mesi erano stati duri, intrisi di paura e astio da parte del cacciatore, ma giorno dopo giorno l’animosità si era spenta, lasciando dietro di sé una nuova fiamma che li aveva portati a creare un qualcosa di tanto bello quanto proibito… e per quanto Akaza fosse giunto lì con l’intenzione di ucciderlo, non riusciva a dimenticare ciò che aveva costruito e ottenuto.

Non aveva desiderato quei sentimenti, non aveva voluto l’amicizia di Kyojuro… ma ormai era sua e non voleva perderla.

Poteva essere giunto lì con l’intenzione di uccidere il Pilastro della Fiamma per liberarsi di quell’amore non corrisposto, ma nessuno dei suoi attacchi era animato da intenzioni maligne. Non sentiva in sé alcun intento omicida perché non voleva uccidere Kyojuro. Né ora né mai.

La gola si strinse, accrescendo quella sconosciuta e pesante sensazione che aveva cercato di ignorare fino a quel momento.

Fu in quel preciso istante che dalle sue labbra, ostinatamente strette, fuoriuscì un primo colpo di tosse, impossibile da trattenere, e come un fiume in piena le sue forze lo abbandonarono costringendolo in ginocchio con le mani sulla gola nel tentativo di respirare e di espellere il corpo estraneo che lo stava soffocando.

Una mano si posò subito sulla sua schiena riscaldandolo, e la voce preoccupata di Kyojuro sembrò quasi in grado di superare i colpi di tosse che gli rimbombavano nelle orecchie.

«Akaza? Che succede? Ti ho fatto male?»

In un altro momento, la Terza Luna Crescente avrebbe quasi trovato comica l’ansiosa domanda del Pilastro, ma non ebbe tempo di pensare troppo a quel dettaglio perché con cupo sollievo avvertì il peso del fiore sulla sua lingua e infine, aprendo il più possibile la bocca, riuscì a farlo scivolare fuori e a liberare del tutto le vie respiratorie che bruciarono per lo sforzo e per l’improvviso ritorno dell’aria nei polmoni.

Rimase immobile, il busto piegato in avanti e le labbra sporche di sangue e saliva, mentre per terra giaceva un nuovo giglio ragno blu.

«Akaza?» lo chiamò ancora Kyojuro con crescente apprensione, e il demone, come scottato dalla sua vicinanza, lo scostò bruscamente da sé.

Afferrò il fiore senza riuscire a proferir parola e lo distrusse come aveva fatto con il primo. Le mani gli tremarono durante quell’atto e solo dopo aver finito si rese conto che non erano solo i suoi arti a essere scossi da quei brividi, ma tutto il suo corpo stava sobbalzando.

«Ti ho per caso ferito?» insistette testardo il Pilastro della Fiamma, evitando però toccarlo di nuovo per rispettare il muto desiderio del demone.

Per un momento Akaza fu quasi tentato dal rispondergli in modo ironico, dicendogli che non era possibile ferirlo perché era un demone e che Kyojuro non sarebbe mai stato in grado di infliggerli alcuna ferita, ma gli sembrò una menzogna. Perché pur senza volerlo era Kyojuro la causa di quel male, e non sarebbe stato in grado di fare qualcosa per guarirlo o aiutarlo.

«No,» riuscì infine a rispondere Akaza, sorprendendosi per quanto la sua voce fosse diventata roca e debole.

«E allora cosa significa tutto questo? Sei malato? E quel fiore?»

Quelle domande lo investirono cariche di premura, ma la Terza Luna Crescente non voleva né poteva rispondere a nessuna.

«Niente. Non significa niente,» disse con tono secco e nervoso, alzandosi in piedi e lasciando scivolare per terra i resti del fiore che aveva stretto fino a quel momento tra le dita.

«Akaza…»

La voce carica di apprensione del Pilastro gli strappò un nuovo brivido, costringendolo a rivolgergli uno sguardo per la prima volta da quando si era accasciato per terra, interrompendo il loro combattimento.

Kyojuro era inginocchiato sul terreno, la katana dimenticata al suo fianco. Sul viso aveva un’espressione preoccupata, le sopracciglia leggermente incurvate e le labbra socchiuse. La sua apprensione era sincera, non vi era la minima traccia di menzogna o l’intenzione di approfittare della debolezza del demone… e Akaza a quel punto avrebbe quasi voluto dirgli di non preoccuparsi, che non era niente di grave, era pronto a mentire pur di rassicurarlo.

Ma non poteva, non era in grado di affrontare quella situazione e forse non lo sarebbe mai stato… e quella ne era la prova più lampante.

Strinse ancora le labbra in una smorfia e, senza riuscire a proferir parola, si diede la fuga ignorando Kyojuro e i suoi tentativi di richiamarlo e di fermarlo.



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Erano trascorse cinque settimane da quando Akaza era fuggito, e da quel momento in poi Rengoku non aveva più avuto sue notizie né aveva più avvertito la sua ormai familiare presenza.

Sarebbe stata una menzogna dire di non essere preoccupato per l’improvvisa assenza del demone, soprattutto quando quest’ultimo si era dimostrato particolarmente ostinato nell’apparire nei momenti e nei luoghi meno opportuni.

Akaza aveva iniziato a mostrarsi a lui sin da quando il Pilastro era ricoverato alla Casa delle Farfalle, in seguito al loro combattimento. Rengoku i primi tempi aveva provato paura e anche rabbia nel vederlo apparire sulla finestra della sua stanza. Temeva non solo una carneficina in quel luogo di riposo per i Cacciatori feriti, ma anche di non essere in grado di muovere un dito per proteggere gli innocenti - il suo corpo era spezzato, aveva perso un occhio e a detta di Kocho era una fortuna che le costole rotte non avessero causato danni interni più ingenti. Ma alla fine Akaza non aveva mai mostrato interesse per altri Ammazza Demoni, tutte le sue attenzioni erano rivolte solo ed esclusivamente a Kyojuro.

Notte dopo notte la Terza Luna Crescente si era presentata nella sua stanza, gli chiedeva di diventare un demone e davanti all'ovvia risposta negativa del Cacciatore, Akaza derideva la sua condizione da umano e le ferite riportate. Per poi andarsene in modo improvviso, come se quella visita fosse stata solo un frutto dell'immaginazione del Pilastro.

Le incursioni del demone però erano continuate, insistenti e talvolta anche imbarazzanti. Così come i complimenti che Akaza era solito fargli, che erano in grado sia di sembrare sinceri e ammirati che dei veri e propri insulti.

Alla fine la paura era diventata sospetto e la rabbia aveva preso la forma dell'irritazione, e senza poter far nulla per evitarlo quei sentimenti avevano continuato a evolversi con il mutare del tono delle visite della Terza Luna Crescente. Akaza aveva infatti iniziato a fargli altre domande e anche ad attardarsi di più nella stanza del Pilastro, aveva iniziato a mostrare un lato più curioso e meno assetato di sangue, e anche se Rengoku aveva più volte tentato durante quelle visite di ucciderlo, il demone non aveva più provato a fare lo stesso.

«Combatteremo quando sarai di nuovo in forze, Kyoujuro~» gli diceva in quei momenti, lasciando il Pilastro a chiedersi chi fosse per davvero quel demone e perché fosse tanto interessato a lui - così tanto da continuare a visitarlo anche quando era stato dimesso dalla Casa delle Farfalle e da ignorare completamente tutti gli altri Cacciatori.

I combattimenti erano ovviamente arrivati, ma nessuno si era rivelato essere fatale né per Kyojuro e né per il demone. Le loro lotte erano diventate una sorta di allenamento, degli incontri amichevoli, e senza rendersene conto, Rengoku aveva quasi iniziato ad aspettare l'arrivo della notte e della Terza Luna Crescente.

Il demone si era fatto strada nel suo cuore, al punto che il Pilastro non sapeva neanche individuare l’esatto momento nel quale da nemico aveva iniziato a considerarlo un amico, una parte integrante della sua vita.

Akaza era diventato Akaza per lui - aveva smesso di chiamarlo demone -, e l'abitudine aveva fatto il resto, trasformando il sospetto e l'irritazione in sentimenti di aspettativa e di curiosità.

Kyojuro aveva scoperto di amare parlare con Akaza. Gli piaceva raccontargli dei piccoli dettagli della sua vita e gli piaceva altrettanto ascoltare il demone condividere con lui alcune storie del passato - soprattutto quelle che riguardavano la sua vita da umano che, lentamente, sembravano aver iniziato a riaffiorare nella mente della Terza Luna Crescente.

Era quindi strana la sua assenza, preoccupante.

Per quel motivo Kyojuro aveva pensato più volte al suo ultimo incontro con la Terza Luna Crescente, cercando nelle parole e negli atteggiamenti del demone una spiegazione o quanto meno un indizio che potesse aiutarlo a comprendere l’atteggiamento di Akaza.

Doveva ammettere che gli era sembrata un poco strana la sua presenza. Nonostante l'insistenza e la poca discrezione che era solito mostrare, Akaza non era solito apparire durante le missioni alle quali Kyojuro prendeva parte. Forse, aveva ipotizzato il Pilastro, per evitare che gli altri demoni potessero comunicare con Kibutsuji o qualcosa di simile. Non ne poteva esserne sicuro, ma gli era sempre sembrata una spiegazione più che logica. Perché era dolorosamente consapevole del pericolo che correvano entrambi.

L’altra stranezza, la più preoccupante, che era emersa durante il loro incontro era ovviamente legata all'improvviso collasso di Akaza. Mentre combattevano aveva notato un’ombra negli occhi del demone e quando lo aveva visto crollare per terra, tossendo come se stesse soffocando, Rengoku aveva genuinamente pensato di averlo ferito in qualche modo, e si era sentito tanto mortificato quanto ansioso. Per non parlare infine del fiore che Akaza aveva sputato, che aveva reso quella situazione ancor più assurda.

Il demone aveva distrutto quasi all’istante il fiore - un giglio ragno dall’insolito colore blu, ricordò Kyojuro -, un gesto quasi incomprensibile ma che nascondeva disperazione e paura.

Cosa poteva aver portato Akaza ad assumere quell’espressione così tormentata? Perché aveva sputato quel fiore? E perché era fuggito subito dopo, senza più dare notizie di sé per cinque settimane intere?

Non lo comprendeva, e Kyojuro non poteva fare a meno di sentirsi altrettanto tormentato e preoccupato.

Akaza era entrato a far parte della sua vita e con un pizzico di egoismo, che sembrava non appartenergli, Rengoku sentiva di non voler rinunciare a lui e di volergli essere accanto nel momento del bisogno - per quanto assurdo potesse essere rivolgere dei pensieri simili a un demone.

Sospirò rumorosamente, incapace di trattenere la delusione nel rendersi conto che, neanche quella notte, Akaza avrebbe fatto la sua comparsa per chiedergli di combattere o anche solo per salutarlo con il suo “ Kyojuro ”, pronunciato come se non ci fosse una parola più bella al mondo.

«Rengoku-san?»

La voce del giovane Kamado lo riportò alla realtà e, scioccamente e forse anche per trovare una spiegazione in grado di rincuorarlo almeno un poco, si disse che probabilmente era a causa della presenza di altri Ammazza Demoni che la Terza Luna Crescente non si era fatta viva quella notte.

Ma in quelle precedenti?” gli sussurrò una vocina crudele che tentò subito di mettere a tacere.

Si sforzò di sorridere al ragazzino per evitare di far preoccupare inutilmente anche il suo allievo.

«Perdonami, giovane Kamado! Mi ero smarrito nei miei pensieri! Comunque hai fatto un ottimo lavoro oggi! Stai migliorando!» si complimentò sincero e le labbra di Kamado tremolarono un po’ per l'imbarazzo e l'emozione per quelle parole.

«G-grazie!» rispose subito, per poi mostrarsi leggermente nervoso, come se volesse dirgli qualcosa senza però trovarne il coraggio.

«Giovane Kamado, qualcosa ti turba?» gli chiese Kyojuro, genuinamente preoccupato per il suo allievo. Aveva preso a cuore la salute e l’allenamento dei tre giovani cacciatori che aveva conosciuto durante la sua missione sul Treno Mugen.

«Ecco… sì…» ammise Tanjiro impacciato. «Sei… triste, Rengoku-san? Qualcosa ti disturba?»

Quelle domande spiazzarono non poco il Pilastro e per poco il suo sorriso non mutò in una smorfia.

«Il tuo odore è triste. Non ho potuto fare a meno di notarlo e mi chiedevo se… se potevo esserti d'aiuto!» aggiunse rapido il ragazzino e il cuore di Kyojuro si strinse un po’ per la premura del giovane, guidato solo dalle più nobili e oneste intenzioni.

Rengoku non avrebbe mai voluto mostrarsi triste dinanzi ai suoi allievi, ma si era scordato quanto Tanjiro fosse sensibile e dotato di un ottimo olfatto. Era in grado di comprendere i sentimenti altrui dai semplici mutamenti dell'odore, e quell'abilità era davvero affascinante oltre che utile.

«Ammetto di non essere al massimo della forma. Ma non devi preoccuparti, giovane Kamado!» lo rassicurò, ma quelle sue parole sembrarono non sortire l’effetto desiderato nell’altro.

Tanjiro, infatti, si torse un poco le mani guardandosi attorno come per assicurarsi che non ci fossero orecchie indiscrete attorno a loro. Inosuke e Zenitsu, esausti per la giornata d'allenamento e per aver trascorso parte della notte a cacciare i demoni, dormivano accanto al falò che era stato acceso per la notte. La stessa Nezuko - la sorella demone di Kamado - dormiva beata con la testa appoggiata sulle gambe del fratello.

«Si tratta della… Terza Luna Crescente?»

Il sangue defluì rapido dal volto di Kyojuro facendolo impallidire, e per un momento il Pilastro si sentì quasi minacciato da quella semplice domanda.

«Come?» riuscì a dire, tentando di mantenere la calma. Nessuno degli altri membri degli Ammazza Demoni doveva essere a conoscenza del suo rapporto con Akaza, quindi perché Kamado gli aveva fatto proprio quella domanda? Cosa sapeva? Erano stati scoperti? Per quello Akaza era scomparso?

Trattenne il respiro, provando a non lasciarsi agitare da quelle domande che iniziarono ad affollargli la mente.

«Il suo odore,» si affrettò a rispondere Tanjiro imbarazzato. «Sin dalla missione sul treno ho sempre sentito il suo odore addosso a te. Forte. Come se… come se fosse sempre vicino! Ma non sembravi minacciato o turbato, anzi: eri felice. Per questo sono stato zitto, ho mantenuto il segreto finora, ma… quell’odore non c’è più ed ora tu sembri triste, preoccupato.»

Il cuore di Kyojuro si strinse nel sentire quella spiegazione e le sensazioni di pericolo e agitazione lo abbandonarono, lasciandolo improvvisamente svuotato di ogni velleità.

«Sei una persona molto attenta e sensibile, giovane Kamado,» commentò. «E anche fedele per aver… mantenuto il mio segreto.»

«Non so cosa sia successo tra voi,» continuò il ragazzo. «Ero preoccupato perché si trattava della Terza Luna Crescente. Ti ha quasi ucciso, e pensavo volesse… finire il lavoro. Ma non ho mai avvertito l'odore di un istinto omicida e soprattutto… mi sono sempre fidato di te, Rengoku-san.»

Il Pilastro allungò la mano per accarezzargli il capo con dolcezza e sincero riconoscimento.

«Ti ringrazio,» mormorò per poi spostare lo sguardo verso il falò scoppiettante. «Sì, il mio turbamento riguarda Akaza. Sono trascorse cinque settimane dal nostro ultimo incontro. Non so che fine abbia fatto e… mi duole ammetterlo, ma sono preoccupato.»

«Perché?»

«Può suonare assurdo, ma credo di aver stretto una sorta di amicizia con lui. Mi ha visitato quasi tutte le notti negli scorsi mesi e senza rendermene conto ho iniziato a considerarlo una sorta di amico,» gli venne quasi da ridere nel pronunciare quelle parole a voce alta. «Un demone amico di un Ammazza Demoni,» ripeté godendosi l’assurdità di quell’affermazione. C’era uno strano senso di libertà e di sollievo nel poter svelare a qualcuno quanto la sua vita fosse cambiata sin dall’incidente del Treno Mugen.

«Mia sorella è un demone,» gli fece presente Tanjiro con un mezzo sorriso.

«Tua sorella però non ha mai fatto del male a nessuno,» rispose Rengoku. «Akaza non è come lei. Per noi sarebbe dovuto essere impossibile riuscire anche solo a parlare, abbiamo due punti di vista troppo diversi sulla vita e le nostre razze non sono fatte per convivere. Eppure mi sono abituato alla sua presenza. Sai, quando non cerca di uccidermi o di far del male a qualcuno, Akaza sa essere una compagnia davvero piacevole!» aggiunse ancor più divertito.

«Sembra impossibile…»

«Lo so,» assentì Kyojuro. «Ora come ora… vorrei solo sapere se sta bene o se ha bisogno di me. Questo è ancora più folle, lo ammetto.»

«Gli è successo qualcosa?» domandò Tanjiro.

Rengoku esitò per un momento, spostando di nuovo lo sguardo dal fuoco per posarlo prima sul ragazzo e poi su Nezuko.

Nezuko era un demone, proprio come Akaza.

«Giovane Kamado,» riprese serio il Pilastro. «Tua sorella ha mai… sputato dei fiori? »

La domanda suonò strana alle sue stesse orecchie. C’era una possibilità che quella potesse essere una caratteristica anche di altri demoni visto che mai, prima di Akaza e Nezuko, Kyojuro aveva lasciato vivere così a lungo dei demoni, né li aveva mai frequentati assiduamente.

Tanjiro assunse un’espressione sorpresa e scosse il capo.

«No, perché?»

«L’ultima volta che ho incontrato Akaza, ha iniziato a tossire e alla fine ha sputato un fiore,» spiegò senza troppi giri di parole. «Per un momento ho pensato potesse essere un qualcosa tipica dei demoni, e visto che vivi con tua sorella trasformata in un demone da oltre due anni ho pensato che potesse esserle accaduto.»

«N-no, mai! È una cosa grave?» si agitò non poco il ragazzo e Kyojuro gli strinse la spalla con una mano per cercare di calmarlo.

«Non saprei, ma se non le è mai successo potrebbe riguardare solo Akaza o le Lune Demoniache,» tentò di ipotizzare.

Tanjiro strinse le labbra e abbassò la testa su Nezuko che continuava a dormire indisturbata.

«E da quel momento, non si è più fatto vedere?» riprese il ragazzo, cercando di allontanare la preoccupazione che ancora albergava nei suoi occhi, per tornare invece sul discorso principale.

Rengoku assentì.

«Sì, non ho più avuto sue notizie,» disse. «Ho aspettato il suo ritorno in queste settimane, ma è come se fosse svanito nel nulla. Non dovrei sorprendermi, non conosciamo nessuno dei nascondigli delle altre Lune Demoniache, ma… Akaza era diventato ormai parte della mia quotidianità, riusciva a trovarmi ovunque, anche quando andavo in missione. È strano non avvertire più la sua presenza e né sentire la sua voce…»

Sentiva un vuoto nel petto, la crescente preoccupazione che scavava sempre di più in quel buco che si era creato sin da quando il demone era scomparso.

Escludeva categoricamente che fosse morto - Akaza era il demone più forte con il quale si era scontrato, non poteva morire così facilmente -, e non poteva nemmeno ignorare l'ipotesi che il demone stesse male, che avesse bisogno di lui. Kyojuro voleva esserci per Akaza, voleva aiutarlo anche se si trattava di un demone in grado di rigenerare anche un arto mozzato.

Desiderava essere presente nella vita di Akaza, esattamente come quest'ultimo aveva fatto quando Rengoku tornava a casa con qualche ferita superficiale. Non poteva dimenticare né ignorare come la Terza Luna Crescente si fosse presa cura di lui in quei momenti, con gesti familiari e strani per quelle mani che sicuramente avevano strappato innumerevoli vite.

Sospirò, e incapace di raggiungere una risposta, non poté far altro se non incoraggiare il giovane Kamado a concedersi a sua volta un po’ di riposo. Doveva essere esausto e il giorno successivo si sarebbero ancora allenati.

Tanjiro sembrò voler dire qualcos’altro, ma alla fine quella domanda sembrò voler rimanere rinchiusa nei suoi occhi, e annuendo si sistemò nel suo giaciglio accanto alla sorella, lasciando Kyojuro a contemplare il fuoco e il silenzio della notte.






Un’altra settimana si era aggiunta a quelle di assenza di Akaza, e Rengoku aveva seriamente iniziato a prendere in considerazione di mettersi alla ricerca del demone. Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, ma si sentiva così irrequieto da non riuscire più a restare con le mani in mano.

Tuttavia quei suoi propositi vennero prontamente messi da parte quando il giovane Kamado si presentò a casa sua, chiedendogli se si fidasse di lui.

Era una domanda strana alla quale però il Pilastro aveva risposto subito affermativamente, senza mostrare dubbi o esitazioni. Kamado era un suo alleato e gli avrebbe affidato la sua stessa vita, per non parlare del fatto che per mesi aveva mantenuto segreta l’amicizia che legava Rengoku alla Terza Luna Crescente.

Tanjiro era sicuramente una delle persone che godevano della più cieca fiducia di Kyojuro.

«Conosco una… persona, che potrebbe aiutarti a capire che cosa è successo alla Terza Luna Crescente,» rivelò alla fine il ragazzo con una nota di tensione nella voce, esitando un poco solo nel pronunciare la parola ‘persona’ .

Kyojuro sgranò l’occhio e anche se avrebbe voluto fargli altre domande, avere delucidazioni e ottenere innumerevoli risposte, l’unica parola che riuscì a pronunciare fu un sollevato e pieno di speranza: «Davvero?»

Non era certo che comprendere ciò che era accaduto ad Akaza durante il loro ultimo incontro potesse aiutarlo nella ricerca, ma non era da escludere. Ogni informazione gli sembrava estremamente preziosa in quel momento.

Kamado annuì, ma continuò a mostrarsi un poco nervoso.

«Ho… dovuto parlare della tua situazione a questa mia conoscente. Mi dispiace tantissimo, Rengoku-san! Ero preoccupato per Nezuko,» si scusò, piegandosi in avanti con il capo basso. «Conosciamo così poco i demoni, e se anche lei si fosse messa a sputare fiori? Come sarei stato in grado di aiutarla? Mi dispiace davvero!»

Rengoku, comprendendo subito la natura del disagio del ragazzo, gli strinse le spalle con entrambe le mani per costringerlo a sollevarsi. Non si sentiva tradito da Tanjiro, era certo che il giovane cacciatore fosse stato mosso dalle migliori intenzioni, e infatti non esitò ad esclamare un: «Volevi solo proteggere la tua famiglia, giovane Kamado. Non devi giustificare le tue azioni!»

Il ragazzo annuì e un pizzico del peso che sembrava gravare su di lui sembrò venire sollevato.

«La mia conoscente ha… richiesto un incontro urgente,» riprese con premura, tornando al discorso che più premeva ad entrambi, infatti il Pilastro si fece immediatamente più attento. «Non mi aspettavo una richiesta simile, ma ha detto che ci sono delle questioni che ha bisogno di discutere con me, e anche con te, Rengoku-san. Cose che non possono essere scritte in una lettera.»

Da quello Kyojuro dedusse che dovevano essere informazioni delicate, che nelle mani sbagliate potevano causare non pochi problemi. Era incuriosito tanto quanto preoccupato dalla situazione, e per quello sentiva di dover assolutamente mantenere la calma.

«D’accordo,» rispose mostrandosi ancora più serio. «Quando e dove?»

«Ci comunicherà lei la data e l’ora.»






La lettera di risposta dalla ‘conoscente’ del giovane Kamado arrivò due giorni dopo, trasportata da un gatto calico che consegnò al ragazzo una missiva contenente solo il nome di una città e quello fu abbastanza per Rengoku e Tanjiro per partire il giorno stesso.

Kyojuro aveva cercato inutilmente di ottenere informazioni sull’amica di Kamado, mostrandosi curioso sia sull’identità della donna che sullo strano e affascinante metodo di comunicazione che avevano utilizzato, ma il ragazzo aveva sempre sviato il discorso, riuscendo a parlarne solo quando furono nei pressi della piccola città indicata dalla lettera.

Avevano viaggiato per una notte e un giorno intero e il sole era appena calato quando all’orizzonte apparvero le prime luci della città, e forse il fatto di essere ormai prossimi all'incontro stava costringendo il giovane cacciatore a svelare quelle informazioni che aveva celato tanto gelosamente.

«Tamayo-san… è un medico. Sta cercando una cura per Nezuko. Per farla tornare umana,» spiegò nervoso, fermandosi per iniziare a togliersi la scatola che utilizzava per viaggiare con la sorella dalle spalle - quando poteva, permetteva a Nezuko di uscire e di sgranchirsi le gambe, era una presenza silenziosa e non dava alcun fastidio a Kyoujuro.

«Davvero ammirevole! Non sono tante le persone disposte ad aiutare un demone! Deve essere davvero straordinaria per sapere come aiutare tua sorella a tornare umana!»

Tanjiro si torse un poco le mani mentre aiutava Nezuko a uscire dalla scatola. Kyojuro la osservò mettersi dritta e da bambina la vide crescere lentamente, fino a diventare una giovane ragazza dalla pelle chiara e l’espressione tranquilla in viso. Gli occhi rosa della ragazza, quando si posarono sul Pilastro, sembrarono quasi brillare di felicità e Rengoku non poté non rivolgerle un ampio sorriso.

«Lei… ecco, Tamayo-san. È un demone, come Nezuko…»

Quella rivelazione spiazzò per un breve momento il Pilastro ma non perse il sorriso, che spostò dalla giovane sorella dell’Ammazza Demoni per rivolgerlo invece al ragazzo.

«Questo dimostra che alcuni demoni sono degni della nostra fiducia!» rispose, trovando impossibile non pensare ad Akaza. Si fidava per davvero della Terza Luna Crescente e desiderava fare in modo che anche il demone se ne rendesse conto.

In ogni caso, Rengoku si fidava anche del giudizio di Tanjiro, e se il ragazzo aveva dei contatti con un altro demone - un medico per giunta! - allora questo doveva sicuramente essere degno di altrettanta fiducia.

Il giovane Kamado sorrise a sua volta, mostrandosi immensamente più sollevato da quella sua risposta.

«Sì!»

Prese la mano della sorella, che sembrò deliziata da quel gesto, e ripresero a camminare insieme verso la città.

«Sai dove abita?»

Tanjiro scosse il capo.

«Vive nascosta perché Kibutsuji la sta cercando. Lei è scappata dal suo controllo, ha spezzato la maledizione e vuole distruggerlo, tanto quanto la nostra organizzazione,» spiegò con tono serio.

«Ha spezzato la maledizione? » ripeté il Pilastro sorpreso. Era davvero possibile? Certo, Nezuko sembrava non essere affetta dalla maledizione di Kibutsuji, ma la giovane sembrava essere un demone fuori dal comune. Ne esistevano quindi altri come lei?

«Sì. Non ha più alcun legame con Kibutsuji! Lei e Yushiro-san, anche lui è un demone,» aggiunse, un poco imbarazzato per essersi dimenticato della presenza di un altro demone. «Si nutrono con piccole quantità di sangue, che viene donato loro sotto forma di prelievi. Da gente consenziente, ovviamente!»

«Davvero sorprendente!» esclamò Kyojuro, sempre più sorpreso da quelle rivelazioni.

C’era Nezuko, che non aveva mai ucciso nessun essere umano. Ora erano apparsi anche questi due demoni che non solo si nutrivano di poche quantità di sangue, ma sembravano essere fuori dal controllo di Muzan.

Rengoku non aveva mai pensato potessero arrivare ad avere come alleati dei demoni, ma l’arrivo di Nezuko aveva letteralmente stravolto le carte in tavola e infatti il Pilastro non poté non sperare che un giorno anche Akaza potesse essere in grado di fare lo stesso.

Era sciocco da parte sua pensarlo, lo sapeva fin troppo bene. Ma nella Terza Luna Crescente aveva visto qualcosa. Nei gesti che si scambiavano nell’intimità dei loro incontri e nei pochi ricordi che aveva condiviso con lui, aveva intravisto un dolore oltre ogni immaginazione, una vita spezzata dalla crudeltà. Aveva scorto un bagliore di umanità tanto grande quanto fragile.

Certo, un torto non cancellava un altro torto, i crimini che aveva compiuto Akaza non potevano essere perdonati né dimenticati facilmente… ma Kyojuro credeva nelle seconde possibilità e sperava di poterla concedere al demone.

I due Cacciatori si fermarono una volta raggiunto l'ingresso della piccola città, come indicato nella lettera ricevuta il giorno prima. Rengoku aveva ancora parecchie domande da porre al giovane Kamado ma preferì rimandare quei quesiti. Avvertiva chiaramente la tensione del ragazzo e non voleva pressarlo troppo, anche perché era chiaro che quella loro visita avrebbe messo in pericolo l'amica di Tanjiro.

Tamayo, così l'aveva chiamata il giovane Kamado, sembrava essere sulla lista nera di Kibutsuji, quindi entrare in contatto con degli Ammazza Demoni o comunque mostrare il proprio nascondiglio era una vera e propria dimostrazione di coraggio oltre che di fiducia. Era davvero ammirevole, e Kyojuro intendeva donarle tutto il rispetto e la discrezione possibile.

Passarono dei lunghi minuti, poi fu lo stesso gatto calico che aveva portato loro la lettera il giorno prima a mostrarsi davanti a loro con un basso miagolio. Era apparso dal nulla come la prima volta, e Rengoku non poté non sentirsi ancora una volta incuriosito da quella singolare capacità. L'animale li fissò per qualche momento con i suoi grandi occhi gialli, poi si incamminò verso la strada principale senza emettere altri suoni o miagolii.

«Vuole essere seguito!» esclamò Tanjiro, muovendosi subito all'inseguimento del felino insieme a sua sorella. Rengoku fu subito alle loro calcagna, con un brivido di eccitazione e curiosità che gli stava facendo tremare tutto il corpo.

Il gatto si insinuò in un vicolo dopo qualche metro e continuò a muoversi tra quelle stradine disabitate con sicurezza, senza mai fermarsi a controllare che i suoi inseguitori fossero effettivamente alle sue spalle. Solo quando giunse in un vicolo cieco arrestò il suo cammino, emettendo un miagolio.

Kyojuro aprì bocca per commentare quell'atteggiamento, chiedendosi se avessero sbagliato strada, ma le parole gli morirono subito sulla punta della lingua quando dalla parete, come se fosse priva di consistenza, apparve un ragazzo giovane dall'espressione corrucciata.

I suoi occhi lillà avevano la classica pupilla allungata dei demoni e il suo atteggiamento apparve sin dai primi momenti ostile nei confronti dei due Cacciatori, cosa che però non sembrò turbare Nezuko che infatti lo abbracciò subito con fare affettuoso, accarezzandogli i capelli come se fosse un bambino o qualcuno di famiglia.

Quello era sicuramente uno dei due demoni nominati da Kamado, considerò Rengoku tenendo l'occhio ben puntato sul nuovo arrivato che, con le guance improvvisamente più rosse, aveva iniziato a cercare di allontanare Nezuko.

«Muovetevi ad entrare! E tu staccati!» sibilò, senza però riuscire a spostare la sorella di Kamado.

«Yushiro-san! È un piacere vederti!» esclamò Tanjiro ma l'occhiataccia che gli rivolse il demone lo spinse a rimandare i convenevoli e le presentazioni.

«Datevi una mossa!» riprese Yushiro, e Kamado annuì prontamente facendosi avanti per attraversare il muro del vicolo cieco. Il giovane Cacciatore venne avvolto dal muro,  come inghiottito da un’illusione - era chiaramente un’Abilità Vampirica -, e sparì dalla vista di Rengoku. Il Pilastro, seppur sorpreso, si mosse a sua volta verso la parete e, trattenendo per un momento il respiro, si spinse contro di essa senza trovare alcuna resistenza.

Superata quella barriera invisibile si trovò davanti ad un piccolo vialetto che faceva da ingresso ad una modesta dimora.

L’Abilità Vampirica di Yushiro - o di Tamayo, Kyojuro non era certo a chi appartenesse - aveva creato una sorta di illusione attorno a quella casa che la rendeva invisibile e irraggiungibile agli occhi di tutti. Era davvero affascinante, un’abilità d'occultamento del genere sarebbe potuta essere utile anche per la protezione di determinate dimore dei Cacciatori.

Yushiro, che era intanto riuscito a liberarsi di Nezuko - che lo seguiva con un’espressione contrariata in viso -, li superò per avviarsi verso la porta della casa.

«Datevi una mossa!» ripeté ancora.

«Sì!» sobbalzò Tanjiro e, rivolgendo un sorriso di circostanza a Rengoku, seguirono in demone fino alla porta.

Se si tralasciava l’atteggiamento ostile, il Pilastro non sentiva provenire nessun’istinto omicida da parte del demone, anzi: sentiva quasi timore e bisogno di proteggere. Era chiaro non fosse felice della loro presenza lì, era probabile temesse i Cacciatori come qualsiasi altro demone, ma soprattutto sembrava voler proteggere quel luogo e chi vi albergava. Era un sentimento che Kyojuro conosceva fin troppo bene e nel quale poteva quasi rispecchiarsi.

Entrarono nella casa e Yushiro, con tono quasi più reverente, annunciò un: «Tamayo-sama li ho portati qui!»

Si mosse rapido, entrando in una stanza adiacente. Venne seguito all'istante sia da Nezuko, particolarmente felice, che da Tanjiro. Rengoku fu subito dietro di loro, con lo sguardo che correva da una parte all’altra di quella dimora.

Sembrava una normalissima casa e se si tralasciavano le imposte chiuse e le spesse tende a proteggere quelle stesse finestre, l’avrebbe potuta confondere per la casa di un umano. Anche se, dovette convenire con se stesso, non aveva mai visto la casa di un demone.

Superò l’uscio che lo separava dalla stanza nella quale era entrato il suo compagno di viaggio e scorse finalmente il demone medico che li aveva convocati: Tamayo.

Aveva l’aspetto di una giovane donna dal viso elegante e delicato. Indossava un kimono scuro dalla fantasia floreale e i capelli erano ordinatamente raccolti dietro la testa. La sua espressione era immensamente dolce, o forse si era addolcita per l'abbraccio affettuoso che Nezuko le stava donando.

Non sembrava un demone, notò Kyojuro sorpreso. Non aveva marchi, né emetteva odori sgradevoli o intenti maligni. Sembrava una donna come tante altre.

«Tamayo-san sono felicissimo di rivederti!» la salutò Tanjiro con tono sinceramente lieto. «Sono felice di vedere anche te, Yushiro-san!»

L’ultimo interpellato sbuffò, voltando il viso per non guardarlo - ma sembrava particolarmente contrariato dal fatto che Nezuko stesse così vicina a Tamayo.

«Ora posso fare le presentazioni!» riprese il giovane Kamado, rivolgendosi a Rengoku che lo aveva ormai affiancato. «Lui è il Pilastro della Fiamma, Rengoku Kyojuro. Rengoku-san, loro sono Tamayo e Yushiro.»

«Lieto di fare la vostra conoscenza. Sono al vostro servizio e vi ringrazio per l'ospitalità!» rispose con fermezza Kyojuro.

«Sei il benvenuto in questa casa, Rengoku-san,» lo accolse Tamayo, accarezzando il capo di Nezuko con la delicatezza di una madre. «Potete accomodarvi se lo desiderate.»

Raggiunsero il tavolino nel quale era seduta Tamayo e vi presero posto. L’atmosfera era stranamente calma e quello aiutò non poco Rengoku ad abbassare notevolmente le sue difese. Non si sentiva in pericolo ma al contrario, si sentiva per davvero un gradito ospite - almeno da parte di Tamayo.

«Mi dispiace avervi spinto a fare un viaggio simile con così poco preavviso, ma ho ritenuto necessario parlarvi di persona. Soprattutto con Rengoku-san, per capire cosa ha realmente visto e cosa è accaduto,» spiegò Tamayo, chiedendo poi a Yushiro di preparare per gli ospiti un po’ di tea - il demone si illuminò per qualche secondo per essere stato interpellato dall’altra e annuì rapidamente per poi sparire dietro una porta.

«Nessun problema!» esclamò prontamente Kyojuro. «Ho compreso rapidamente la difficoltà e il pericolo dietro il nostro incontro, così come l’urgenza.»

Tamayo accennò un sorriso, scrutandolo poi con attenzione.

«Posso quindi chiederti di raccontarmi le circostanze che ti hanno portato a vedere un demone sputare dei fiori, Rengoku-san?»

Kyojuro annuì e, senza alcun imbarazzo, raccontò nel suo ultimo incontro con Akaza. Descrisse nei minimi particolari ogni azione e parola, le sue sensazioni e il fiore che il demone aveva sputato dopo un preoccupante attacco di tosse. Cercò di aggiungere più dettagli possibili, sperando in quel modo di poter ottenere una risposta altrettanto esaustiva.

Tamayo lo ascoltò in silenzio e quando il Pilastro concluse, assunse un’espressione pensierosa, incrociando le mani sul ventre - Nezuko si era ormai distesa al suo fianco, rilassata e felice.

«Tanjiro-san ha detto che la Terza Luna Crescente è… un tuo amico . Giusto?»

«Esattamente. Il nostro rapporto non è iniziato nel migliore dei modi, abbiamo cercato di ucciderci a vicenda, ma Akaza ha sempre mostrato uno strano… attaccamento e interesse nei miei confronti. Con i mesi io stesso mi sono abituato alla sua presenza. Immagino possa suonare strano, visto che si tratta di una Luna Demoniaca, ma ho scorto in Akaza qualcosa che mi ha spinto a fidarmi di lui. A considerarlo un amico. Per questo sono preoccupato sia per la sua assenza che per le sue condizioni,» spiegò, spostando lo sguardo su Yushiro che era appena rientrato nella stanza con un vassoio contenente dei bicchieri fumanti di tea.

Seguì i suoi movimenti, accennando un sorriso nel sentire il buon profumo della calda bevanda investirgli il naso. Accettò la tazza ringraziando il demone, tenendola poi ferma davanti a sé per farla raffreddare un poco. 

«Mi confermi che si tratta realmente della Terza Luna Crescente?» domandò Tamayo dopo quel breve momento di silenzio, come se quello fosse un dettaglio importante.

Rengoku la guardò di nuovo ed annuì.

«Ne sono più che certo. Lo… conosci ?» chiese poi speranzoso, ma quel briciolo di speranza si spense quando Tamayo scosse il capo.

«Ho abbandonato Kibutsuji ancor prima che entrasse a far parte delle Lune Demoniache,» spiegò e Kyojuro non poté non notare la facilità e anche l’astio con il quale aveva pronunciato il nome del creatore di tutti i demoni. «Ciò che realmente mi interessa è la vicinanza con Kibutsuji. Il fatto che questo non abbia ancora fatto alcuna mossa mi porta a pensare che non sia a conoscenza delle condizioni della Terza Luna Crescente.»

I due Cacciatori si fecero molto più attenti a seguito di quell’affermazione.

«Le condizioni di Akaza sono importanti per Kibutsuji?» chiese Kyojuro.

«Sì, e lo sono anche per noi. Per riuscire a sconfiggerlo,» spiegò Tamayo. «Ciò che hai visto nella Terza Luna Crescente prende il nome di Hanahaki , si tratta di una malattia che ho scoperto quando ancora ero al servizio di Kibutsuji.»

Hanahaki, ripeté mentalmente Kyojuro. Il nome era tristemente evocativo per ciò che aveva visto fare ad Akaza. Strinse inconsciamente i pugni sui pantaloni della sua divisa per impedirsi di parlare a sproposito e di sommergere Tamayo di domande. Sapeva che le risposte sarebbero arrivate, erano lì per quello, ma il solo pensiero che Akaza fosse malato lo riempiva d'ansia e urgenza.

«Non colpisce tutti i demoni,» riprese Tamayo seria, aggiungendo forse quei dettagli per rassicurare Tanjiro che più di ogni altra cosa aveva a cuore la salute di sua sorella. «Ne vengono affetti solo i demoni che hanno ancora un forte legame con la loro umanità o che, in un modo o nell’altro, hanno iniziato a ritrovarla. Per i demoni i sentimenti umani sono un qualcosa di tremendamente forte e pericoloso, che entra in netto contrasto con gli istinti acquisiti in seguito alla trasformazione in demoni.»

«Quindi Nezuko…»

«Non so dirti se possa venire colpita o meno da quella malattia, vista la sua condizione anomala anche per un demone. Credo infatti possa esserne immune, anche se non ne ho la certezza,» rispose. «Tuttavia, ho la speranza di poterla aiutare a guarire ancor prima di poterlo scoprire.»

La sicurezza nella voce di Tamayo fece quasi vibrare l’aria.

«Come?» esclamò Tanjiro altrettanto emozionato.

«Con l’aiuto di Rengoku-san e della Terza Luna Crescente.»

Kyojuro inclinò il capo, spiazzato da quell’affermazione. Tamayo continuava a mostrarsi estremamente certa delle sue parole, e lui non si sentiva in grado di smentirla né di mettere in dubbio le sue parole.

«Come posso aiutare?» le chiese.

«Devo prima portarti a comprendere la malattia e le sue conseguenze,» riprese l’altra. «Ho assistito altre volte al manifestarsi Hanahaki e la storia di quei demoni si è sempre conclusa nel sangue. È triste, ma dall’altra parte è stata anche una fortuna perché Kibutsuji non è mai entrato in possesso del giglio ragno blu.»

«Quello che Akaza ha sputato?!» esclamò Rengoku, ricordando all’istante il fiore insanguinato che aveva lasciato la bocca del demone. Yushiro, a causa della sua esclamazione, balzò quasi in piedi ma un'occhiata di Tamayo lo fece tornare seduto.

«Esattamente. Kibutsuji lo sta cercando disperatamente da secoli e non è mai riuscito ad ottenerlo. Con quel fiore potrebbe conquistare il sole

Un brivido scosse tutti i presenti e Kyojuro, si costrinse a bere un sorso di tea come se quel rassicurante calore potesse scacciare il gelo calato nella stanza.

Kibutsuji Muzan conquistare il sole? Se i demoni fossero stati capaci di camminare durante il giorno… quella sarebbe stata la fine.

«Dubito sia già entrato in possesso di quel fiore, perché non avrebbe esitato a lanciare un attacco su grande scala né a mostrarsi a voi in tutta la sua superbia prima di schiacciarvi,» spiegò Tamayo, il disgusto e la rabbia sempre presenti nella sua voce. «Sono certa che la Terza Luna Crescente sia nascosta o che, nella peggiore delle ipotesi, si sia già tolta la vita.»

«No,» si intromise Kyojuro senza pensarci. «Akaza non si toglierebbe mai la vita.»

Non ne aveva la certezza, anzi: aveva il timore che Akaza ne sarebbe stato in grado. Ma Rengoku non voleva neanche prendere in considerazione quell’opzione. Non avrebbe sopportato perderlo in quel modo.

«Rengoku-san… credi di conoscerlo, e sono certa che i tuoi sentimenti d’amicizia verso di lui siano tanto forti quanto sinceri. Ma un demone malato, affetto dall’Hanahaki, deve compiere una scelta, ed entrambe si concludono nel sangue,» Tamayo sembrò esitare, forse non certa di voler dare certe informazioni.

«Tamayo-san, ti prego di essere il più diretta possibile. Desidero aiutare Akaza tanto quanto desidero salvare gli innocenti. Non mi fermerò fino a quando non avrò completato la mia missione.»

«Ne sono certa, ma è complicato assimilare determinate nozioni,» sospirò Tamayo. «Il sentimento che porta i demoni ad ammalarsi è tra i più forti che un essere umano può provare, e per un demone queste sensazioni sono amplificate. E soprattutto entrano in contrasto con il loro istinto primario: mangiare

Calò per un momento il silenzio, poi Tamayo con le mani ancora intrecciate in ventre, riprese a parlare con voce calma.

«L’Hanahaki si manifesta solo nei demoni che soffrono di un amore non corrisposto.»

Quella semplice frase lasciò Rengoku senza fiato.

Un amore non corrisposto? Akaza si era innamorato di qualcuno e il suo sentimento non era corrisposto?

Come era possibile? , si chiese Kyojuro provando una strana fitta in petto. Si sentiva incapace di ragionare, oltre e di comprendere realmente come muoversi in seguito a quella scoperta.

«E… che cosa comporta questa malattia?» riuscì a chiedere Tanjiro.

«A livello fisico il demone perde gradualmente le forze. Non muore, ma immagino che per l’animo di un demone sia come morire il non poter essere ricambiati. Questo mette a dura prova il controllo dei demoni, e da ciò che ho visto… quasi tutti preferiscono uccidere il soggetto dei loro sentimenti. Ma Rengoku-san è qui, vivo . Ciò mi porta a pensare che la Terza Luna Crescente abbia preferito o nascondersi o uccidersi.»

« Io? » si intromise subito il Pilastro, sorpreso. «Perché la mia presen-» le parole gli morirono in bocca nel realizzare all’improvviso il significato e il peso delle parole di Tamayo.

Stava insinuando che Akaza fosse innamorato di lui. Da una parte Kyojuro avrebbe voluto negare una simile ipotesi, trovandola buffa e assurda, ma non era così stupido da essere cieco una volta ottenuta una diversa chiave di interpretazione. L’atteggiamento di Akaza nei suoi confronti, la sua ossessione, le volte che lo aveva curato, e le notti passate a parlare di tutto e niente… quello era il modo che il demone aveva per dimostrare dei sentimenti d’amore?

«Comprendo sia difficile da accettare,» riprese Tamayo. «Ma è necessario che la Terza Luna Crescente resti in vita se… non ha già scelto la morte. Da quel fiore può essere possibile creare una cura.»

«No, non è difficile accettarlo,» rispose Rengoku sinceramente sorpreso anche dalle sue stesse parole. «E sono certo che Akaza sia vivo, me lo sento…»

Gli occhi di Tamayo brillarono per un momento per lo stupore e l'incredulità. Il suo sguardo si incrociò con quello del Pilastro, cercando incertezze o un qualche dubbio, ma Kyojuro non sembrò intenzionato a vacillare.

Ciò che Rengoku aveva appena realizzato avrebbe sicuramente atterrito più di una persona, ma per la prima volta nella sua vita il Pilastro sentiva di poter essere un poco egoista - era quello uno dei sentimenti che più aveva caratterizzato il suo rapporto con Akaza: il non voler rinunciare a nulla.

Tamayo non aggiunse altro, forse per rispetto nei confronti del Pilastro, ma gli rivolse una semplice domanda: «Hai intenzione di cercarlo?»

«Ora più che mai!»

«Ti aiuterò!» esclamò prontamente Tanjiro, ma Rengoku scosse il capo.

«Temo non si mostrerebbe se ci fossero presenti altri Cacciatori, giovane Kamado. E questa è una mia missione. Devo essere io a trovarlo,» rispose Kyojuro con un sorriso. Sentiva scorrere nel suo corpo una strana fiamma, e quel sentimento senza nome aveva finalmente trovato il suo significato.

«Ma Rengoku-san…»

«Non preoccuparti,» lo rassicurò ancora Kyojuro. «Akaza non mi farebbe mai del male, avrebbe potuto farlo tante altre volte dopo il nostro primo incontro, ma invece non l’ha fatto.»

«Devi stare attento,» si intromise Tamayo con un pizzico di apprensione nella voce. «Potrebbe non averlo fatto prima, ma è passato del tempo e… ora potrebbe non essere ragionevole.»

«Starò attento,» rispose. «Ho solo bisogno che… che mi ascolti per un momento.»

Tanjiro sgranò gli occhi, forse comprendendo in quell'istante ciò che nessuno aveva il coraggio di pronunciare. Era un ragazzo sensibile e attento, era giovane e forse inesperto, ma non per questo stupido.

«Cambierà… tutto

«Non posso saperlo. Non è mai accaduto…» spiegò Tamayo, guardando prima Kamado e poi il Pilastro. Nei suoi occhi brillava una luce decisa e speranzosa allo stesso tempo. «Non posso parlare per Rengoku-san e Akaza, ma so per certo che trovare il fiore ci aiuterà ad impedire il compimento dei piani di Kibutsuji e che ci darà modo di curare Nezuko-san… e da medico posso dire che per una malattia c’è sempre una cura, ma è possibile anche il contrario: da una cura si può creare anche un veleno. Potremo finalmente uccidere Kibutsuji Muzan



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I resti dell'ennesimo giglio ragno blu giacevano insanguinati sul tatami polveroso.

Erano trascorse diverse settimane da quando Akaza era fuggito da Kyojuro e solo pochi giorni da quando aveva rifiutato la chiamata di Kibutsuji al Castello dell'Infinito.

Era stato complicato andare contro l'ordine del suo padrone, ma il silenzio che aveva ottenuto dopo essere riuscito a liberarsi, gli aveva donato una breve e apparente pace. Quella quiete infatti era durata troppo poco per permettergli di trarne giovamento, perché come un fiume in piena aveva iniziato a ricordare .

Già nei mesi precedenti aveva riacquistato piccoli sprazzi di memoria.

Aveva ricordato il magistrato e le punizioni ricevute per aver rubato, cosa che spiegava il perché dei marchi sul suo corpo che scimmiottavano i tatuaggi da ladro che erano stati impressi sulla sua pelle.

Aveva ricordato un dojo e un uomo gentile che lo aveva accolto, dandogli una casa e una ragione per cui vivere.

Aveva ricordato un gatto, dal muso schiacciato e imbronciato, che aveva preso con sé per portarlo da qualcuno .

A tutti quei ricordi mancavano visi, nomi, ragioni e tanto altro. E aveva provato sia sollievo che frustrazione, perché pur sentendo il bisogno di ricordare, sentiva al tempo stesso di non volerlo fare per davvero. Aveva la certezza che non sarebbe stato in grado di affrontare il peso dei fallimenti che avevano sicuramente costellato la sua esistenza.

Era stato Kyojuro alla fine a incoraggiarlo a parlare del suo passato. Gli aveva raccontato di sua madre, morta quando lui era ancora un ragazzino, e di come quel ricordo fosse estremamente doloroso ma al tempo stesso anche fonte di tanta felicità, perché aveva amato sua madre più di ogni altra cosa al mondo.

Il Pilastro, tuttavia, aveva avuto torto.

Akaza aveva ricordato tutto della sua vita passata. Ogni singolo dettaglio era andato a completare il mosaico confuso e spezzato delle sue memorie, e niente di tutto quello era stato in grado di donargli pace o gioia.

La felicità gli sembrava una menzogna, perché ogni volta che aveva amato, quei sentimenti si erano trasformati in amara cenere e tanta, troppa , rabbia.

Hakuji - era quello il nome della sua precedente esistenza - era nato sotto una cattiva stella, o almeno così avevano sempre detto le persone che lo circondavano, giudicandolo per la sua condizione sociale o chiamandolo ‘ piccolo demone ’ solo perché era nato con i denti.

Onestamente, non gli era mai importato di essere insultato o maltrattato, ma provava sempre un immenso fastidio quando erano i suoi genitori ad essere presi di mira da quelle malelingue.

“Dovevano ucciderlo appena hanno visto quei denti” , dicevano. “Sono così poveri che a malapena riescono a mangiare, perché tenere un mostro come quello?”

Era lui la causa delle sventure dei genitori? , si chiedeva spesso da bambino, e per quanto fosse in grado di agitare i pugni per scacciare quelle persone che osavano trattare male le persone che amava, alla fine Hakuji tornava sempre tra le braccia di suo padre e di sua madre, piangendo come se sentisse sulle sue spalle il peso dell’intero mondo.

Incapace di capire perché le persone dovessero essere così crudeli con i suoi parenti, colpevoli solo di averlo amato.

Tuttavia, era felice con loro proprio perché lo amavano.

«Non sei un piccolo demone, tu sei nostro figlio, Hakuji. Il nostro piccolo miracolo, e ti amiamo tantissimo,» gli diceva sua madre accarezzandogli i capelli con dolcezza, cullandolo con la sua voce morbida e gentile, in grado di asciugare tutte le sue lacrime.

Non ricordava tanto di sua madre, gli era rimasta impressa solo la sua voce e il profumo dei fiori di ciliegio appena sbocciati. Era morta quando lui aveva sei anni e il suo viso era tristemente sfocato nei suoi ricordi. Sorrideva spesso però, di quello ne era certo, e quando lo faceva sua madre socchiudeva sempre gli occhi, lasciando che le lunghe ciglia rosate - che Hakuji aveva ereditato - le sfiorassero le guance pallide e sicuramente troppo magre.

I ricordi di suo padre, invece, erano più vividi e forse anche per quel motivo erano molto più dolorosi.

Era un uomo buono e gentile, paziente e generoso con tutti, ma nel momento del bisogno tutte le persone che aveva aiutato quando ancora era in salute gli avevano voltato le spalle. Era stato Hakuji a prendersi cura di lui a quel punto, facendo il possibile per aiutarlo. Ma cosa poteva fare un bambino?

Nessuno gli avrebbe mai dato un lavoro, men che meno ad uno come lui che veniva visto come la pecora nera dell’intero villaggio. Un erbaccia da estirpare e la causa di ogni singolo male che si abbatteva su di loro.

Alla fine era più facile lasciar credere a tutti che fosse vero, che lui fosse un ‘piccolo demone’ , al cercare di far cambiare idea alle persone. Aveva quindi iniziato a rubare per curare suo padre, aveva accettato i tatuaggi sulle braccia e le punizioni che gli venivano inflitte per i suoi crimini.

Hakuji era felice, perché viveva ancora con suo padre e non gli importava del pungente dolore causato dalle frustate né del sangue che scorreva sulla sua schiena, macchiando il suo kimono già rovinato e sporco.

Suo padre però aveva scelto di togliersi la vita per permettergli di cercare un’esistenza onesta. Gli aveva chiesto scusa nella sua lettera d’addio, scusa per non essere un padre in grado di prendersi cura di suo figlio, scusa per averlo spinto senza volerlo a diventare un criminale e non avergli mai donato l’infanzia e la vita che meritava.

Ad Hakuji non era mai importato essere visto come un criminale, essere picchiato e punito. Voleva solo essere felice con suo padre… e alla fine era rimasto da solo, con l’amaro in bocca e tanto rancore per quella felicità che gli era stata portata via da un qualcosa di troppo grande per un ragazzino di appena undici anni.

Poi era arrivato Keizo. Keizo con la sua immensa fiducia per il prossimo, il sorriso forte e sincero come il sole. Era un brav’uomo, positivo e paziente, che come Hakuji aveva assaggiato il sapore del dolore e del lutto, ma al contrario del ragazzino non si era arreso a quei sentimenti e aveva affrontato la sua vita con ottimismo.

Lo aveva accolto nonostante il sangue che macchiava le nocche sbucciate delle sue mani e i tatuaggi che lo rendevano un criminale. Aveva ignorato il kimono liso e sporco, sicuramente di qualche taglia troppo piccolo e rattoppato alla bene e meglio, che nascondeva così tante cicatrici che il corpo di un ragazzino non avrebbe mai dovuto portare.

Keizo era andato oltre le apparenze e gli aveva affidato l’unica sua fonte di felicità, la sua ragione di vita: Koyuki .

Hakuji aveva rivisto in lei suo padre. La salute cagionevole, gli occhi gentili e il continuo scusarsi per un qualcosa che era al di là del loro controllo.

Perché scusarsi? Non era mica una loro scelta essere deboli e malati?

Si era preso cura di lei giorno dopo giorno, aiutandola anche nelle più piccole e semplici azioni. Così come per suo padre, non era stato un peso per Hakuji aiutarla nel suo lento processo di guarigione che, senza neanche rendersene conto, aveva a sua volta intrapreso.

Le cicatrici avevano iniziato ad essere solo dei ricordi, i tatuaggi non pizzicavano più e le nocche delle sue mani non erano più sbucciate e insanguinate.

Aveva trovato di nuovo la felicità, aveva trovato la vita che suo padre aveva desiderato per lui. Ed Hakuji si era rivelato essere tanto felice quanto sciocco, perché già altre volte quella gioia gli era stata portata via e avrebbe dovuto capire che nulla era eterno, soprattutto per uno come lui.

Infatti era stato il veleno e la codardia delle persone che lo odiavano ed erano invidiose della felicità della sua famiglia, a portargli via tutto… proprio quando aveva pensato di avere davanti una nuova vita.

A quel punto, era stata la rabbia a prendere il sopravvento. Il rancore e l’odio per tutti quegli esseri che non avevano neanche il diritto di essere definiti umani.

Come osavano dare a lui del 'mostro’ quanto tutto quello che aveva cercato di fare in vita era stato amare ed essere amato? Essere felice come qualsiasi altra persona?

Gli avevano tolto tutto e, con il sangue che aveva ripreso a macchiargli i vestiti e le nocche sbucciate, Hakuji aveva incrociato Kibutsuji Muzan.

Akaza era nato in quel preciso istante.

I ricordi della sua patetica vita erano stati cancellati da Kibutsuji ed ora che il demone li aveva di nuovo con sé, non sapeva che cosa farsene, perché erano la pura e semplice dimostrazione che per lui amare significava solo soffrire e far soffrire gli altri in egual misura.

Un altro fiore lasciò il suo corpo ormai stanco per quegli attacchi di tosse, e come i precedenti, Akaza lo strinse nel pugno fino a non lasciare altro che i petali spezzati sul tatami.

Si trovava nel dojo di Keizo, in quella che per qualche tempo aveva chiamato ‘casa’. Gli era sembrato il luogo perfetto nel quale nascondersi dopo aver ritrovato i suoi ricordi.

Nessuno vi aveva più messo piede da quando Akaza era diventato un demone perché le persone ritenevano fosse un luogo maledetto, e il demone non poteva dar torto a quelle credenze popolari. Era stato lui stesso a rendere quella casa, un tempo luminosa e felice, un luogo di morte.

In uno scatto d’ira aveva addirittura distrutto il pozzo che aveva ucciso la sua famiglia, e poi si era rintanato all’interno di quelle quattro mura per un tempo che non sapeva realmente quantificare.

Solo la fame lo aveva quasi spinto fuori da quel rifugio, ma alla fine era stata la promessa fatta a Kyojuro a impedirgli di nutrirsi. Aveva infranto tutti i suoi giuramenti in passato, ma almeno uno sentiva di doverlo mantenere fino alla fine… una sorta di sciocca e vana consolazione per tutto il male che aveva fatto.

Aveva trattenuto la fame, restando disteso sul tatami sporco e lì era rimasto in uno stato quasi vegetativo. Forse era anche stato in grado di dormire perché era quasi certo di aver sentito una voce, tremendamente simile a quella di Koyuki parlargli nel sonno.

L’aveva sentita mentre gli sussurrava che poteva ancora credere nella felicità e che si meritava di amare e di essere amato. Che non doveva permettere a quei sentimenti negativi di avere la meglio su di lui.

“Sei un guerriero e una brava persona, Hakuji-kun,” diceva quella voce, e gli sembrava quasi di sentire delle mani accarezzargli il viso con estrema dolcezza. “Non puoi arrenderti e rinunciare a ciò che può renderti felice.”

Era quasi facile credere a quelle parole, così facile che al suo risveglio Akaza si sentiva quasi più leggero e con il crescente bisogno di correre da Kyojuro per potergli dire tutta la verità. Si sentiva pronto a sognare e sperare che i suoi sentimenti fossero ricambiati… ma alla fine il sole sorgeva e portava con sé solo l’amara consapevolezza che quei desideri erano e sarebbero rimasti solamente un parto della sua folle mente.

Kyojuro non lo avrebbe mai amato. Sapeva che il Pilastro provava qualcosa per lui, lo considerava degno della sua fiducia oltre che di redimersi, ma oltre quello non poteva permettersi altro.

E anche se fosse stato vero, se proprio si sentiva in grado di poter credere alla dolce voce che gli sussurrava di meritare quell’amore, che vita avrebbe potuto dare a Kyojuro?

Akaza era un demone e Kyojuro umano. Erano nemici naturali, troppo diversi per poter realmente essere felici.

“Finirei per rovinargli l’intera esistenza,” pensò Akaza. “Così come l’ho rovinata ai miei genitori nascendo, e così come ho fatto con il mio maestro e con Koyuki. Tutto quello che tocco si trasforma in sangue.”

No, non poteva realmente lasciarsi andare, neanche per aggrapparsi a quel briciolo di speranza tanto dolce da tentarlo con le sue promesse di felicità.

I giorni si erano susseguiti e, talvolta, Akaza aveva addirittura pensato di morire quando i raggi del sole penetravano dagli infissi del dojo.

Li aveva sfiorati con le sue dita tinte di nero inchiostro ed aveva osservato la sua pelle prendere fuoco. Aveva sorriso nel sentire quel dolore così fisico e diverso da quello che provava all’interno del suo petto.

Alla fine però aveva sempre ritratto la mano, non per paura di morire ma perché non era quella la fine che voleva fare. Non aveva alcun diritto di scegliere come morire, ne era consapevole, ma sapeva in qualche modo di dover… dire addio a Kyojuro .

Aveva imparato a conoscerlo ed era certo che il Pilastro prima o poi lo avrebbe cercato e anche trovato, perché Kyojuro era testardo, e quando si metteva in testa qualcosa era davvero difficile fargli cambiare idea.

Morire per mano del Pilastro della Fiamma gli sembrava la cosa migliore. In quel modo Akaza avrebbe smesso di ferire le persone, non avrebbe più rischiato di far del male a Kyojuro… inoltre con la sua morte il Pilastro avrebbe dimenticato la loro amicizia e sarebbe uscito ‘pulito’ da quella situazione, senza rischiare di venire giudicato, o peggio, dagli altri Ammazza Demoni.

Akaza sentiva che quella era la scelta più giusta, per non parlare del fatto che la sua morte avrebbe causato notevoli perdite anche nell’esercito di Muzan. Si sorprese un poco per quel pensiero, era la prima volta che prendeva in considerazione la sconfitta del suo padrone, ma non sentì alcun fastidio né la sensazione di aver tradito la sua natura. Forse era a causa dell’influenza che Kyojuro aveva avuto su di lui o forse era semplicemente troppo stanco per continuare a combattere.

Un altro fiore sporco di sangue scivolò fuori dalla sua bocca, facendogli bruciare i polmoni per lo sforzo causato dalla tosse.

Lo osservò a lungo, chiedendosi come un qualcosa di così delicato potesse essere la causa di tanto dolore. Sospirò chiuse il pugno attorno al fiore, lasciando che le palpebre si abbassassero fino a sfiorargli le guance.

Era stanco e il peso dei ricordi, insieme a quello dei suoi crimini, lo stava schiacciando a tal punto che perfino la fame aveva smesso di disturbarlo.

Si lasciò andare di nuovo a quel sonno senza sogni, ascoltando come ogni volta quella voce tanto simile a quella di Koyuki continuare a sussurrargli tenere parole di incoraggiamento.

“Non lasciarti andare, Hakuji-kun,” gli diceva. “Devi solo allungare la mano ed afferrare quella felicità… non arrenderti…

Ma Akaza non voleva né poteva crederci.

Non gli era permesso farlo.

Grazie per credere ancora in me,” rispondeva a quella voce, ignorando le guance umide e l’istinto di urlare a pieni polmoni tutto il suo dolore. “E perdonami se non sono riuscito a fare nulla di buono nella mia patetica esistenza.”

Sperava solo che Kyojuro arrivasse presto a porre la parola fine a tutto quello.

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Sin da subito c'era stata una falla nel piano di Rengoku: aveva tutte le intenzioni di ritrovare Akaza, ma non sapeva dove cercarlo.

Akaza non gli aveva mai parlato di un rifugio per le ore diurne né di una casa o quant'altro. Kyojuro ricordava di avergli posto una domanda simile una volta, ma riguardava il come impegnasse il tempo mentre il sole era alto in cielo. Quesito al quale il demone aveva semplicemente risposto che si allenava, come se fosse la cosa più naturale di tutte, ma non aveva aggiunto altri dettagli, e sfortunatamente il Pilastro non poteva trarre molte conclusioni o indizi da quello.

Ovviamente la mancanza di una traccia non lo fermò dall'iniziare le sue ricerche, perché dal suo punto di vista sarebbe stato molto più frustrante restare fermo con le mani in mano, senza neanche tentare di cercare Akaza.

Aveva davvero bisogno di ritrovarlo.

Giorno dopo giorno, in seguito alla sua partenza dalla casa di Tamayo, Kyojuro non aveva fatto altro se non ripetere ciò che il demone medico gli aveva fatto comprendere e si era dato più volte dello sciocco per non essersi reso conto prima della situazione nella quale si era cacciato.

L'idea che Akaza si fosse innamorato di lui gli faceva balzare il cuore in petto, si sentiva investito da un calore inimmaginabile che lo portava ad una sola conclusione: i sentimenti del demone erano ricambiati.

Rengoku doveva essere sincero: non aveva mai pensato all'amore. Pur avendo alcune volte provato attrazione fisica, e talvolta anche sentimentale, aveva sempre anteposto i suoi doveri a tutto il resto.

"Penserò a me stesso quando non ci saranno più demoni a minacciare gli innocenti ," si era sempre detto, sentendosi pronto a rinunciare a tutto e a sacrificarsi senza pensarci due volte. Non gli era mai pesata quella situazione, era stata una sua scelta d'altro canto, e forse anche per quel motivo era stato cieco non solo davanti ai sentimenti di Akaza, ma anche con i suoi.

Se solo se ne fosse reso conto prima, forse il demone non si sarebbe convinto di provare un amore non corrisposto. Senza volerlo Kyojuro aveva ferito qualcuno che gli stava davvero a cuore, e quello non poteva perdonarselo… sperava solo di non arrivare troppo tardi e di essere in tempo per fare ammenda. E doveva ammetterlo, per quanto altruista fosse la sua visione di vita, si sentiva davvero felice di aver sviluppato quel pizzico di egoismo che lo stava portando a non voler prendere neanche in considerazione l’abbandonare la ricerca di Akaza.

Continuò quindi la sua ricerca per quasi una settimana - la Terza Luna Crescente era ormai assente dalla sua vita da quasi due mesi interi -, tentando al tempo stesso di analizzare il più possibile ciò che ricordava delle chiacchierate con il demone, almeno quelli riguardanti i dettagli sulla sua vita privata, gli unici in grado di aiutarlo a individuare dei luoghi che sarebbero potuti essere visti abbastanza importanti da poter diventare dei rifugi.

Aveva ben pochi indizi. Sapeva che Akaza, pur senza ricordare il motivo, ogni anno andava a vedere i fuochi d'artificio e che aveva invitato Kyojuro a vederli con lui quando ci sarebbero state le feste per l'arrivo del nuovo anno - c'era stato un lampo di nostalgia negli occhi del demone per quella proposta, un sorriso triste e lontano che raccontava più di quanto non facessero le parole.

Quello però non gli forniva alcuna ubicazione certa, inoltre erano ancora in pieno autunno e il Pilastro non intendeva attendere l'inverno per trovare Akaza.

Il demone poi gli aveva parlato, vagamente, di come fosse stato accolto a casa di un uomo quando ancora era un umano. Era diventato il suo maestro, colui che gli aveva insegnato lo stile di combattimento che aveva continuato ad utilizzare anche dopo la sua trasformazione.

Era uno dei pochi ricordi del passato che Akaza aveva condiviso con lui. La Terza Luna Crescente non ricordava il nome dell'uomo e nemmeno il suo volto, ma aveva ben chiara la sua gentilezza e la forza d'animo. 

«C'era anche qualcun altro con noi,» aveva aggiunto Akaza, senza però riuscire a far riemergere altro dai suoi ricordi. E così come per i fuochi d'artificio, anche per quel ricordo Akaza si era mostrato triste e un poco amareggiato, e aveva chiesto a Kyojuro se secondo lui il suo maestro avrebbe provato vergogna nel sapere che l'arte marziale che tanto amava era finita nelle mani di un demone.

C’erano tante implicazioni dietro quella domanda, il timore di aver deluso qualcuno che gli stava a cuore e anche la certezza di non poter più rimediare. Per quello Rengoku gli aveva risposto che qualsiasi arma o arte marziale aveva le capacità sia di fare del bene che del male.

Le intenzioni e le scelte erano importanti, e aveva aggiunto che per lui Akaza era ancora in tempo per utilizzare le sue capacità per fare del bene.

A quella discussione ne erano susseguite anche delle altre, ma Akaza non aveva più fatto cenno né al suo maestro né a quei ricordi, che sembravano essere comunque tanto importanti quanto dolorosi per il demone.

Sembrava comunque un luogo abbastanza importante e caratteristico da poter diventare un rifugio. Per quello Kyojuro non poteva escluderlo dalla sua ricerca.

Tuttavia non aveva nessun reale indizio su dove potesse trovarsi il dojo nominato da Akaza. Era infatti plausibile che non fosse neanche più un dojo ma una normale abitazione visto che erano trascorsi quasi due secoli a detta del demone, oppure poteva non esistere per niente: essere stato distrutto dal tempo.

In ogni caso, si disse il Pilastro, valeva la pena tentare di raccogliere informazioni e cercare quel luogo. Si fidava del suo istinto, e qualcosa gli diceva che, in un modo o nell’altro, quello non sarebbe stato un totale buco nell’acqua.

Portò quindi alla mente altri dettagli che la Terza Luna Crescente aveva condiviso con lui, perché ogni minima informazione poteva essergli utile. Ad esempio i marchi che il demone portava su tutto il corpo avevano sempre ricordato a Kyojuro i tatuaggi utilizzati proprio nella zona di Edo, l’attuale Tokyo, per indicare i ladri.

Akaza gli aveva confermato quel dettaglio, spiegandogli poi che tutte le linee che percorrevano il suo corpo rappresentavano i suoi crimini, erano cresciute con il tempo fino ad abbracciare tutto il suo corpo.

Provò, come la prima volta che aveva sentito quella spiegazione, un brivido di rabbia. La morte degli innocenti era un argomento delicato ma in quel momento sapeva di non doversi soffermare sul passato, aveva una missione da portare a termine. Inoltre… Akaza gli aveva promesso che avrebbe cercato di non uccidere, e lui si fidava della sua promessa.

Scacciò quei pensieri, concentrandosi su ciò che era comunque possibile evincere dai tatuaggi. Se erano per davvero tipici della zona di Edo allora poteva restringere il campo di ricerca alla capitale con i suoi distretti e piccole città. Era rassicurante.

In aggiunta, avrebbe anche potuto ridurre ulteriormente l’area cercando nei registri edilizi della zona di Edo ogni dojo o abitazione che un tempo era stata dedicata allo studio delle arti marziali.

Non sarebbe stato assolutamente semplice, e avrebbe sicuramente speso parecchio tempo tra scartoffie e altri documenti che probabilmente si sarebbero rivelati un buco nell’acqua, ma Kyojuro non era tipo da lasciare un qualcosa di intentato. E come diceva un proverbio: “ Alla porta di chi ride, fortuna giunge.”

Rengoku non si era mai definito realmente fortunato ed aveva sempre accolto il suo destino a testa alta, che fosse positivo o meno, ma in quel momento non poté non ringraziare la sua buona stella per averlo condotto nel luogo giusto.

Dopo un primo fallimento nella prima città visitata si era spostato in un'altra, con l’intenzione di visionare anche lì i registri edilizi più antichi, riguardanti i dojo registrati prima della fine dello shogunato.

Il vecchietto che si occupava del registro si era mostrato particolarmente incuriosito dalla sua singolare richiesta, e quando Kyojuro gli aveva detto che cercava una vecchia scuola dedita all’insegnamento di un’arte marziale nota come soryu, l’uomo aveva risposto di non conoscerne nessuna in quella zona ma che, nella città dove era nato e cresciuto, si parlava di un mostro che aveva ucciso un’intera scuola di kenjutsu a mani nude, in uno stile simile a quello che Rengoku stava cercando.

«Non ci sono rapporti scritti, solo voci di paese. La classica storiella per impedire ai bambini di comportarsi male,» aveva raccontato l’anziano e Kyojuro aveva sentito parte del nodo che si era formato nel suo stomaco sciogliersi.

Forse aveva trovato ciò che stava cercando.

La città nominata dal vecchietto si trovava non tanto distante dalla capitale e ancora conservava il suo fascino rurale, ben diversa dalle luci e dai forti profumi che avevano iniziato a inondare le città più grandi. Sembrava davvero il luogo adatto per rifugiarsi, e il Pilastro sperò che Akaza l’avesse pensata allo stesso modo.

Seguì le indicazioni di un passante per trovare il dojo che, a detta dell’uomo che aveva fermato, era abitato da spiriti maligni e nessuno aveva coraggio di avvicinarsi.

Il Pilastro raggiunse la sua meta poco prima del tramonto. Il portone della proprietà era sbarrato con delle assi di legno rovinate dal tempo. Nessuno sembrava aver mai tentato di oltrepassare quel confine, ma per un demone - così come per un Ammazza Demoni addestrato come lui - era facile riuscire a superare quel tipo di mura senza alcuna difficoltà.

Infatti, con il cuore in gola, Kyojuro superò l’ostacolo del muro con estrema facilità, atterrando in un piccolo giardino. L'erba era alta e rigogliosa, cresciuta a dismisura vista l'assenza di una mano umana.

Quell’incuria non fermò il Pilastro e dopo essersi guardato rapidamente attorno, aiutato anche dalla luce della luna calante in cielo, puntò lo sguardo sulla casa che si ergeva al centro della proprietà.

Era grande e sicuramente un tempo aveva ospitato sia gli abitanti di quella dimora che il dojo nel quale gli allievi di quell’arte marziale si erano allenati. Tutto di quella casa sembrava raccontare una storia, e Rengoku aveva la terribile sensazione che quel racconto non avrebbe avuto un lieto fine.

Strinse le labbra e raggiunse con estrema attenzione la struttura, tenendo le orecchie tese per captare ogni rumore. La proprietà restò avvolta dal silenzio e dalla desolazione del tempo, che aveva portato ad un lento declino quelle mura e tutto ciò che le circondava.

Salì sull’ engawa e seguì il perimetro della casa in silenzio, alla ricerca di dettagli utili che potessero indicargli la presenza di Akaza in quel luogo.

L’unico indizio che lo spinse a fermarsi fu la presenza di un pozzo nel lato ovest della casa. La dimora, nonostante fosse chiaramente abbandonata a se stessa e con numerosi problemi strutturali dovuti all’incuria, non appariva distrutta o realmente pericolosa. Quel pozzo però giaceva a pezzi, come se fosse stato investito da una furia cieca.

Si avvicinò per scrutarne meglio i resti e non poté non notare come le pietre sembrassero quasi fresche : come se fossero state messe lì relativamente da poco. Il muschio, infatti, copriva solo un lato di alcune di quelle pietre e non tutte come ci si poteva aspettare da un qualcosa di distrutto e abbandonato da tempo.

Allungò la mano per toccarne una e studiarla, ma una voce roca lo fermò.

«Non toccarlo.»

Scattò in piedi, mano subito sull’elsa della sua katana in posizione di difesa, ma quando l'occhio si posò sulla familiare figura di Akaza, fermo sull’ engawa che lui stesso aveva calpestato fino a qualche attimo prima, si concesse un sorriso sollevato e felice.

«Akaza! Finalmente ti ho trovato!» esclamò andandogli incontro. L’ombra che avvolgeva la casa non gli permetteva di vedere i tratti del viso del demone, ma sin da subito Kyojuro ebbe la sensazione che ci fosse un qualcosa di tremendamente sbagliato e strano in lui.

«Ti stavo aspettando,» commentò Akaza. La voce era raschiata e debole, come se gli facesse male la gola, e Rengoku non poté non chiedersi se fosse una conseguenza dell’Hanahaki. Tamayo aveva detto che la malattia indeboliva il corpo dei demoni, ed era probabile che Akaza in quello stato non fosse al massimo della sua forza.

«Ed io ti stavo cercando! Sei sparito per due mesi!» gli rispose salendo sull’ engawa . La Terza Luna Crescente sussultò per la sua vicinanza, facendo un balzò all’indietro come per mettere più distanza possibile tra di loro.

«Forse avevo un motivo per non farmi più vedere,» ribatté nervoso.

«Lo so,» rispose Kyojuro, cercando di avvicinarsi ancora.

«No, non lo sai,» ringhiò il demone, ma Rengoku lo ignorò.

«So che cosa sta succedendo, Akaza. E va tutto bene. Andrà tutto bene, devi fidarti di me. Ascoltami, io-»

Fu solo grazie ai suoi riflessi che riuscì a impedire al pugno di Akaza di colpirlo in pieno viso. Gli occhi gialli del demone lampeggiavano d’ira e nervosismo, e le sue pupille sembravano essere diventate quelle di un gatto. Erano strane e anomale, diverse da quelle che aveva spesso osservato, ma Kyojuro non si soffermò su quel dettaglio preferendo difendersi dai successivi attacchi di Akaza che gli apparvero altrettanto insoliti.

Saltò lontano dall' engawa , schivando un nuovo attacco e proteggendosi dal successivo con la quarta forma della Respirazione della Fiamma.

Aveva combattuto tante altre volte con il demone, ne conosceva abilità e velocità, e quella serie di attacchi gli sembrò lenta e fiacca… e non era certo di trattasse esclusivamente della debolezza dovuta alla malattia.

L'erba attorno a loro stava venendo schiacciata e strappata dai loro movimenti, e alla fine Kyojuro riuscì a tornare sull' engawa in una posizione di precario vantaggio.

«Akaza! Devi ascoltarmi!» esclamò, utilizzando la prima forma della Respirazione della Fiamma per tagliare un braccio ad Akaza - che non ricrebbe subito come al solito, ma ci mise qualche momento in più.

Il demone ringhiò, scegliendo ancora di ignorare quella richiesta.

«Prima dovrai sconfiggermi, Kyojuro!»

Rengoku sentiva che in quell’istante sarebbe quasi riuscito nell’intento di sconfiggere Akaza. Il demone non era in sé, era debole e distratto. Non stava neanche cercando di ucciderlo, anzi: sembrava quasi stesse cercando di spingere il Pilastro a compiere quel gesto.

Nel realizzare quel dettaglio, Kyojuro strinse i denti. Non voleva uccidere Akaza, tanto quanto il demone non voleva fare la stessa cosa. Era però sordo alla sua richiesta di dialogo e decise di affidarsi alla fiducia che riponeva in Akaza.

Non gli avrebbe mai fatto del male. Lo aveva detto anche davanti a Tanjiro.

Abbassò quindi la spada e chiuse l’occhio quando vide il pugno chiuso di Akaza vicino a sé. Il colpo però non arrivò mai, e nel rivolgere di nuovo lo sguardo sul demone, Rengoku lo vide accasciarsi per terra a tossire ancora e sputare, con estrema facilità, un altro giglio ragno blu.

«Perché ti stavi per far colpire? Vuoi forse morire, Kyojuro? Devi uccidermi , lo capisci? Sono un demone!» esclamò Akaza, con la disperazione e il dolore marchiati quasi a fuoco nella sua voce.

Rengoku cadde a sua volta sulle ginocchia, afferrando Akaza per le spalle, sia nel tentativo di sorreggerlo che per fargli sentire la sua vicinanza.

«Non desidero ucciderti, Akaza,» gli disse. «Ti chiedo solo di ascoltarmi…»

Il demone lo scostò da sé, gli occhi lampeggiarono ancora e il Pilastro sentì un nuovo brivido attraversarlo, come se stesse per accadere un qualcosa di irreparabile.

«Se non lo farai tu-»

Le braccia di Kyojuro si strinsero attorno al collo di Akaza in un improvviso abbraccio non appena vide il demone alzare il pugno chiuso in aria. Lo tenne stretto, impedendogli qualsiasi mossa, lasciandogli intendere che avrebbe dovuto colpire entrambi se avesse realmente deciso di fare una qualche follia.

«Preferisci davvero morire all'affrontare i tuoi sentimenti?» esclamò, stringendolo più forte a sé. «Neanche io so come, eppure sono qui e li sto affrontando!»

Tutta quella situazione gli sembrava tanto naturale quanto assurda. Lui, che non aveva esperienza in campo sentimentale, stava cercando di ragionare con un demone proprio su quei sentimenti. 

«Kyojuro! Lasciami! Non sai di cosa stai parlando!»

Le mani del demone si strinsero sull’haori di Rengoku e sulla sua divisa, cercando di scostarlo senza però metterci troppa forza. Un nuovo colpo di tosse iniziò a scuotergli il corpo e solo a quel punto il Pilastro si allontanò, riuscendo ad afferrare lui stesso il fiore insanguinato che lasciò le labbra di Akaza.

Era caldo sul suo palmo e il sangue gli accarezzò la pelle lentamente.

«Non capisci…» mormorò il demone. La voce era ancora spezzata dal dolore, talmente fine e debole da sembrare quasi prossima al pianto per la disperazione.

«Aiutami a capire allora,» rispose.

Akaza chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa sulla spalla del Pilastro. Era chiaramente esausto e, probabilmente, non si nutriva sin da quando si era nascosto.

L'alimentazione del demone era stata un argomento di dibattito parecchio aspro, che li aveva portati più volte a combattere nei primi mesi del loro anomalo rapporto. Alla fine avevano trovato un accordo alla fine, che non piaceva a nessuno dei due ma che sembrava essere abbastanza sopportabile per entrambi, Akaza si sarebbe nutrito solo di carne animale e sarebbe ricorso agli esseri umani solo in caso di estrema necessità, cacciando solo ed esclusivamente dei criminali.

Lo stomaco di Kyojuro si strinse per quel pensiero. Sapeva che Akaza non si era mai trovato molto d'accordo con la sua richiesta di nutrirsi solamente di carne animale - una volta aveva addirittura borbottato un preoccupante: «A lui non piacerà.» -, ma sembrava aver evitato anche gli esseri umani, pur trovandosi in una chiara situazione di necessità. Rengoku, in un'altra situazione, avrebbe quasi gioito all'idea che nessun essere umano - seppur un criminale - fosse stato ucciso, ma la preoccupazione offuscò qualsiasi altro pensiero.

Akaza desiderava così tanto morire?

«Desideri davvero morire?» diede voce alla sua domanda senza rendersene minimamente conto, trattenendo il respiro quando sentì Akaza, ancora fermo sulla sua spalla, muovere il capo in un cenno affermativo.

«Sai che luogo è questo?» gli chiese il demone piano, senza dare una risposta al quesito del Pilastro.

«Credo sia la casa, il dojo, dove sei cresciuto. Me ne avevi parlato vagamente.»

«Ho ricordato tutto.»

Quella sola frase fece torcere lo stomaco di Kyojuro.

«Per questo sei tornato qui per nasconderti?»

Una secca risata lascio la bocca di Akaza, facendolo sussultare sulla spalla di Rengoku.

«Mi sembrava solo il posto adatto per morire,» rispose. «È iniziato e finito tutto qui.»

Kyojuro avrebbe voluto porgergli tante domande in quel momento, dirgli che non doveva morire, che sarebbe invece guarito e che tutto si sarebbe risolto, ma riuscì solo a rimanere in silenzio, dando ad Akaza il tempo necessario per riprendere a parlare.

«Si chiamava Keizo, l’uomo che mi ha accolto in questa casa,» riprese dopo un po’ il demone. «E poi c’era Koyuki.»

La voce di Akaza assunse una nota tanto amara quanto dolce, come se l’affetto per quei ricordi fosse macchiato da qualcosa di maligno.

«Lei era la mia fidanzata, dovevamo sposarci,» continuò Akaza sollevando un poco il capo per puntare lo sguardo verso il pozzo ormai distrutto. «Ma è stata uccisa, lei e suo padre. Sono stati uccisi mentre ero assente, nel modo più vile e codardo che possa esistere.»

Kyojuro lasciò cadere per terra il fiore e allungò di nuovo le braccia per stringere le spalle del demone in un abbraccio. L’aria nei suoi polmoni si era gelata nel sentire quelle rivelazioni, comprendendo anche senza il racconto di Akaza cosa fosse accaduto in seguito. Il vecchietto che lo aveva indirizzato in quel luogo aveva parlato di un mostro che, a mani nude, aveva distrutto un’intera scuola di kenjutsu . L’aveva definita una storiella, una sorta di favoletta per far comportare bene i bambini più indisciplinati, ma la verità era ben diversa.

«Avevano avvelenato il pozzo…» sussurrò Akaza. «Il medico non è riuscito a salvare Koyuki… mentre Keizo è morto ore dopo, soffrendo… sono tornato troppo tardi, non sono riuscito a proteggerli. Neanche uccidere quei bastardi li ha riportati indietro. Mi sono solo sporcato le mani di altro sangue, ho infangato la memoria del mio maestro e i suoi insegnamenti. Non ho mantenuto nessuna delle promesse che ho fatto, e ho deluso tutti.»

«Non è troppo tardi,» tentò di intromettersi Rengoku. «Puoi rimediare e-»

«Non puoi pensarlo per davvero, Kyojuro!» esclamò allontanando il Pilastro con una spinta. «Sono stato un assassino ancor prima di diventare un demone!»

«Non giustifico le tue azioni,» ribatté Rengoku serio. «Ciò che hai fatto è sbagliato e non dirò neanche che sei stato punito abbastanza, perché non sarebbe corretto nei confronti di coloro che sono caduti, ma neanche la tua morte darebbe loro giustizia!»

«E cosa suggerisci? Passare dalla parte dei Cacciatori e uccidere Kibutsuji ? Quella sarebbe la tua soluzione a tutto?» Akaza sorrideva maligno e tristemente ironico, arreso alla situazione che era venuta a crearsi.

«Perché no?» rispose Kyojuro a tono, ignorando una strana sensazione di ‘ sbagliato’ che si era formata nel suo stomaco nel sentire quelle parole. «Sei venuto qui per morire ma non l’hai fatto. Ti saresti potuto lanciare sotto la luce del sole in ogni momento da quando ti sei ammalato, ma non lo hai fatto! Se sei ancora qui è perché vuoi vivere!»

«O forse perché volevo che fossi tu a trovarmi e uccidermi…»

Rengoku sospirò e allungò le mani per accarezzare il viso del demone.

«Non voglio ucciderti, ora meno che mai.»

«Non voglio la tua pietà, Kyojuro…», Akaza chiuse ancora gli occhi, appoggiando la guancia contro il caldo palmo del Pilastro. Sembrava aver perso ogni velleità, troppo stanco e debole per continuare quel discorso.

«E cosa vuoi da me?» gli chiese.

«Qualcosa che non potrai mai darmi. Che non mi merito, perché tutto quello che posso fare è distruggere la felicità altrui…»

«Ti amo,» dichiarò Kyojuro incapace di trattenersi oltre. La resa di Akaza gli pungeva il petto come un ago, doloroso e fastidioso, e voleva solo aiutarlo a guarire. Fargli capire che non era tutto finito e che, nonostante tutto, poteva ancora amare ed essere amato.

Pronunciare quelle parole lo portò a sorridere quasi senza rendersene conto. Pur avendo compreso da più di una settimana i suoi sentimenti non era stato in grado di assaporarle fino a quell’istante. Un peso si era sollevato dalle sue spalle e sperò che quello bastasse a far capire ad Akaza il vero motivo della sua presenza in quel luogo e il perché fosse così fermamente convinto di potergli dare una seconda possibilità.

Il demone sgranò gli occhi, tirando indietro il capo di scatto per poter guardare in viso Rengoku.

«Volevo dirtelo da prima, ma non hai voluto ascoltarmi. E avevi sicuramente bisogno di sfogarti. E ammetto di non essere poi così esperto, e sinceramente sono anche terrorizzato da tutto questo, ma…»

«Dillo ancora.»

«Non sono esperto…»

«Non fare l’idiota, Kyojuro!» esclamò Akaza, la voce improvvisamente più acuta e incredula.

Rengoku ridacchiò un poco imbarazzato, ma quello non lo fermò dall’allungare di nuovo entrambe le mani per prendere a coppa il volto del demone Akaza, ripetendo le stesse parole che aveva pronunciato qualche istante prima: «Ti amo.»

«Ero… e sono innamorato di Koyuki. Ma non sono riuscito a proteggerla… le avevo promesso che sarei diventato il più forte di tutti…» esalò Akaza. «È stata colpa mia… perché tutto quello che amo viene distrutto. I miei genitori… Keizo e Koyuki… sto mettendo in pericolo anche te, Kyojuro…»

Il sorriso di Kyojuro si fece più dolce e comprensivo. Mosse i pollici per accarezzargli le guance in un lento movimento, sfiorando le lunghe ciglia rosa quando il demone chiuse ancora gli occhi, lasciandosi un poco andare a quel calore.

«Credo tu sia sempre stato forte, Akaza,» mormorò, lasciando poi che la sua voce diventasse più decisa e fiera, come se non dovesse lasciar spazio a incertezze o ad altri dubbi. «Devi usare quella forza per un qualcosa di giusto. Volevi proteggere Koyuki-san, proteggere la tua famiglia, e non ti è stato permesso dalla crudeltà altrui. Ora però hai possibilità di scegliere, proteggere il loro ricordo e fare ammenda di tutto il dolore che hai causato e che altri demoni stanno continuando a causare a persone innocenti, incapaci di proteggersi!»

«Lo credi davvero?»

«Ti amo, te l’ho detto. Credo ciecamente in te! Devi solo… allungare la mano e afferrare la mia, anche se ti sembra difficile…»

Quelle parole fecero irrigidire il demone.

«Allungare la mano…» ripeté come se si fosse risvegliato qualcosa in lui.

«Akaza,» riprese Kyojuro. «Non sono mai stato così serio in vita mia. Insieme possiamo affrontarlo!»  

«Sono un demone.»

«Ed io sono un Ammazza Demoni, il Pilastro della Fiamma. Questo però non ti ha impedito di innamorarti di me,» ribatté con una risata.

«… ti amo,» bofonchiò a quel punto Akaza, le labbra tremarono per un sorriso emozionato, che tuttavia non vide la luce perché venne stravolto da una smorfia. Gli occhi si sgranarono per la sorpresa e un po’ per la paura, per poi chiudersi con forza mentre un nuovo attacco di tosse, all’apparenza più forte e intenso dei precedenti, iniziò a scuotergli il corpo con violenza.

Si piegò in avanti, artigliandosi la gola come a voler scavare la carne e liberarsi dalla sensazione di soffocamento, e Rengoku non poté far altro se non osservarlo impotente e spaventato. Il cuore gli era balzato in gola, e qualsiasi parola di incoraggiamento seppur stupida e inutile gli morì dietro un tremante: «A-Akaza?»

Che cosa stava succedendo? Il suo amore era ricambiato, doveva guarire, giusto?

Lo aveva dato per scontato, visto che neanche Tamayo ne era certa, quindi i suoi sentimenti non erano abbastanza? Non era quella la cura per Akaza?

Forse doveva portarlo dalla stessa Tamayo, forse lei aveva le conoscenze necessarie per aiutarlo. Qualcuno doveva per forza sapere come aiutarlo!

Lo sostenne con un braccio attorno alle spalle, mentre con l’altra mano gli accarezzò la schiena con lenti movimenti circolari, sperando di riuscire ad aiutarlo almeno in quel modo.

Quando la tosse si placcò qualche momento dopo, tra di loro corpi era scivolato un altro fiore. I petali erano quelli di un giglio ragno ma il loro colore non era più blu e non era neanche rosso: erano gialli.

«Che cosa… significa?» esalò Akaza sorpreso.

«Non saprei… come ti senti?» chiese però Kyojuro trovando più importante sincerarsi della salute del demone.

«… bene?» rispose, mostrandosi ancor più spiazzato dalla sua risposta, come se non si aspettasse di sentirsi realmente in quel modo. Infatti alzò il capo con gli occhi di nuovo sgranati per puntarli su quelli di Rengoku, come se quello potesse dargli una qualche conferma.

«Stai bene davvero?»

«Non mi sentivo così… da settimane ,» ammise sorpreso.

Kyojuro sospirò sollevato, piegando le labbra in un sorriso che si fece però dubbioso nell’osservare bene il viso, improvvisamente più rilassato del demone.

«I tuoi occhi… sono diversi !» esclamò, riprendendo tra le mani il viso del demone per poterlo osservare meglio anche nella semi oscurità rischiarata dalla luna calante. Erano sempre gialli, con la sclera blu simile ad un vetro infranto, ma nessuna delle due iridi era più marchiata dai kanji che lo rendevano la Terza Luna Crescente.

«Lo sospettavo…» rispose piano Akaza, lasciando che il Pilastro gli tenesse il volto senza ritrarsi. «Credo di aver tagliato ogni legame non appena ho iniziato a ricordare la mia vita umana.»

«Tagliato i legami? Ti riferisci alla maledizione, giusto? Quindi sei libero?»

Il demone scrollò le spalle, alzando le mani per toccare quelle del Cacciatore. Sembrava cercare quel contatto il più possibile.

«Immagino di sì, non riesco più a sentirlo e non è stato in grado di convocarmi. Ci ha provato una volta, poco prima che riuscissi a riacquistare tutti i miei ricordi, ma ho rifiutato… e da lì ho ricordato tutto.»

«… hai semplicemente… detto di ‘no’ a Kibutsuji Muzan?» gli chiese incredulo.

Akaza annuì, come se non fosse nulla di importante - o forse era troppo indebolito dalle conseguenze della malattia per riuscire a comprendere realmente il peso delle sue azioni.

Kyojuro avrebbe voluto dirgli che aveva fatto una cosa grandiosa oltre che coraggiosa, che si trattava per davvero di un gesto dal forte significato simbolico e non, ma quello lo portò a riportare alla mente un dettaglio di qualche minuto prima: Akaza aveva già pronunciato il nome di Kibutsuji in sua presenza.

«Hai… cercato di usare la maledizione per ucciderti?» domandò, preso da quel dubbio.

«Cosa? No! » rispose prontamente Akaza. «Prima di tutto non mi avrebbe mai permesso di morire in quel modo. Inoltre avevo già scelto come morire e volevo essere ucciso dalla tua Respirazione della Fiamma,» ammise.

«Toglitelo dalla testa. D'accordo?» esclamò Rengoku.

Akaza gli rivolse un sorriso, non maligno o furbo, ma sincero e fresco come la prima neve d'inverno.

«Non credo potrai liberarti di me ora,» gli fece presente e Kyojuro avvicinò la fronte a quella del demone, appoggiandovisi contro.

«Non credo di volerlo,» mormorò piegando a sua volta le labbra in un sorriso, per poi aggiungere con più energia e felicità un: «E sono appena riuscito ad ottenere quello che desideravo! Ora sei dalla parte degli Ammazza Demoni!»

«Sono dalla tua parte. Sono innamorato di te, mica degli altri Cacciatori,» ribatté Akaza. Rengoku fu sul punto di rispondere a tono, ma la facilità con la quale il demone aveva appena pronunciato quelle parole gli tolse per un momento il fiato.

In quel momento sapeva che c'erano un sacco di questioni da risolvere. Dovevano portare quel giglio ragno giallo a Tamayo - insieme a quei due blu che Akaza non aveva distrutto -, doveva assicurarsi che Akaza non fosse più malato e avvisare Oyakata-sama del cambio di fronte dell'ex Terza Luna Crescente. Doveva trovare le parole adatte per comunicare la sua relazione agli altri Pilastri e anche alla sua famiglia. Era pronto ad affrontare insulti e disgusto, un po' meno la delusione del padre e forse anche quella di Senjuro, ma Kyojuro voleva davvero essere un poco egoista. 

La sua relazione con Akaza non gli avrebbe impedito di proteggere i più deboli, né di fare il suo lavoro di Ammazza Demoni e Pilastro della Fiamma.

Per una volta nella sua vita, voleva pensare per davvero a se stesso.

«Kyojuro,» lo chiamò Akaza piano e Rengoku gli rivolse un altro ampio sorriso. «Sei davvero sicuro?»

La voce del demone era di nuovo incerta e insicura.

Sulle sue spalle aveva numerosi traumi, la paura di distruggere tutto quello che amava e che lo stava rendendo felice. Per la prima volta dopo secoli Akaza era libero e stava di nuovo provando dei sentimenti umani. 

I dubbi e la sua paura erano più che legittimi e Kyojuro era lì pronto ad affrontare con lui tutte le conseguenze.

Il Pilastro stesso stava sperimentando per la prima volta quei sentimenti e si trovava davanti a parecchi dilemmi morali, ma non intendeva tirarsi indietro.

Gli accarezzò ancora il viso, sporgendosi poi verso di Akaza per baciarlo, lasciando che fosse quell'unico gesto a parlare per lui - era goffo, timido ma perfetto anche per essere il suo primo bacio.

Aveva davvero tante questioni da risolvere, tante cose di cui parlare, ma almeno in quel momento potevano attendere ancora un po'.




Per concludere alcuni dettagli che mi hanno portata a scrivere questa fic.

Mentre sceglievo il fiore da far sputare ad Akaza, cercavo qualcosa che potesse rappresentasse Rengoku. Così ho pensato ai Girasoli (per il fatto che sembrano dei piccoli soli) o addirittura al Glicine (per far soffrire doppiamente l'Akaza)... ma alla fine mi sono concentrata sui Gigli Ragno.

Ho scelto subito la variante Blu, anche se non aveva alcun legame con Rengoku. Questo perché la trovavo adatta ad Akaza... ma anche a tutti gli altri demoni.

I gigli ragno sono velenosi, e potrebbero letteralmente essere come il glicine per i demoni, soprattutto se usati o ingeriti senza le opportune conoscenze mediche (infatti Muzan sta studiando per ottenere tale conoscenza, così come il medico che lo stava curando).

Guardando il significato. Il Giglio Ragno Rosso è il fiore dei morti, una sorta di connessione con l'aldilà. Una via per la reincarnazione. Tutte queste informazioni sono state elaborate dalla mia testa e ho concluso che potrebbe essere un fiore collegato al "Paradiso".

Da lì la connessione del Giglio Ragno Blu all'"Inferno" è stata semplice.

Inoltre, secondo un'interpretazione delle scelte di Gotoge, è possibile vedere il Giglio Ragno Blu come l'antitesi della sua versione rossa, ovvero la dannazione.

A questo punto, ho avuto una sorta di illuminazione. Per ottenere la "guarigione" mi sono detta che un demone avrebbe dovuto sputare un ultimo fiore, di colore diverso, che rappresentava l'amore ricambiato.

Inizialmente pensavo al bianco, perché i gigli bianchi rappresentano un nuovo inizio. Poi mi sono ricordata che nello spettro dei colori abbiamo il Rosso, il Blu e il Giallo come colori primari... quindi per chiudere il cerchio avrei dovuto usare il giallo.

I Gigli Gialli rappresentano salute, felicità, coraggio e amore, ma soprattutto gratitudine e ricordo di qualcuno di prezioso. Un fiore perfetto per chi si sta riprendendo dall'Hanahaki... un fiore perfetto anche per descrivere Rengoku.

Se poi mettiamo in relazione questo con il fatto che ho associato gli altri due fiori al Paradiso e all'Inferno, l'assenza del Purgatorio è evidente. E tutti conosciamo il significato del cognome di Rengoku.

Detto ciò, grazie per essere arrivati fin qui!
Alla prossima!
   
 
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