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Autore: ChristopherCavaliere    10/01/2023    0 recensioni
Noah, un giovane ragazzo di Londra, che casualmente, mentre era a caccia con il padre fa un incontro con una bestia inaspettata. Una maledizione che gli avrebbe cambiato la vita, forse in peggio forse in meglio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Londra, 12 dicembre 1538

Erano passati due mesi dall'inizio dei miei allenamenti con Licaone, e molte cose erano cambiate.
Ora riuscivo a controllare sia le zanne, che i miei artigli, come riuscivo a percepire molto meglio gli odori, e l'uso della vista era migliorato nel buio, i dettagli erano migliorati molto.
Nel combattimento con un avversario come Licaone era molto difficile vincere anche solo mezza volta, ma nel difendermi ero diventato abbastanza bravo.
In quel momento mentre passeggiavo accanto all'uomo, proprio di giorno, il mio udito mi portò all'attenzione di urla in lontananza, che mi fecero voltare verso l'uomo che a sua volta mi guardò.

«Pare a me, o non sono urla di paura?»

«Per niente ragazzo, sembrano più di esaltazione»

Senza farci vedere da nessuno, ci introducemmo in un vicolo da cui poi abbiamo scalato alcune casse poste vicino a un muro di una casa, della quale salimmo sul tetto, da cui vedemmo una lunga coda di gente che camminava verso il porto.

«Di solito tutta questa gente si muove verso il porto per le esecuzioni»

«Esecuzioni su un porto? E che fanno li buttano ai pescicani?»

«Sarebbe troppo lenta come morte. Hanno messo un capestro, per impiccare la gente sul Tamigi, in modo che se qualcuno facesse qualcosa di sbagliato mentre è a bordo di un'imbarcazione, sappiano che cosa li aspetta se vengono catturati»

Decidemmo di andare verso il porto  saltando da un tetto all'altro, e la brezza mi porto odore di paura, ma anche un odore che conoscevo fin troppo bene quello di mio padre, e i due odori coincidevano.
Superai Licaone con il cuore in gola, qualcosa non andava e le mie paure divennero reali quando arrivai sul tetto del magazzino portuale da cui si vedeva il punto d'impiccagione e li lo vidi.
Mio padre legato con le mani dietro la schiena e mia madre che urlava di lasciarlo andare perchè era innocente.
Poco dopo mi raggiunse anche Licaone che vide la scena.

«Ragazzo che succede? Che ha fatto tuo padre?»

Io ero pietrificato, il cuore batteva così forte che a momenti il petto mi faceva male, e successivamente una delle guardie reali cominciò a dare la sentenza.

«THOMAS LANGDON, NATO IL 10 SETTEMBRE 1500, SIETE ACCUSATO DI OMICIDIO DI LORD SILVERWOOD, NOTAIO E VOSTRO SOCIO. PER QUESTO SIETE CONDANNATO ALL'IMPICCAGIONE DA RE ENRICO VIII»

La rabbia e lo sgomento in me si fusero in una cosa sola, iniziavo a respirare in un altro modo, le mie unghie stavano divenendo più lunghe e i le mie zanne stavano uscendo, segno che stavo perdendo il controllo e l'uomo con me lo aveva capito fin tanto che dovette prendermi dalle spalle e tenermi fermo prima che potessi fare qualche movimento sbagliato.
Circondarono il collo di mio padre con il cappio, i piedi poggiati su uno sgabello in legno e senza dargli il tempo nemmeno di parlare, spinsero via lo sgabello lasciandolo appeso a muoversi per cercare di prendere aria, e più si muoveva più la rabbia in me saliva, fino a non vederci più.
Ci volle meno di uno scatto d'orologio tra un minuto e l'altro prima che il battito cardiaco di mio padre che ero riuscito a percepire cessasse indicando la sua morte.
E purtroppo nemmeno la forza appresa in due millenni di Licaone riuscì a trattenermi, mi lanciai giù dal magazzino tra la folla, completamente trasformato alla luce del giorno, ero diventato un licantropo, di almeno due metri che stava correndo a quattro zampe verso le guardie che avevano appena ucciso l'uomo che mi aveva messo al mondo, e con un balzo raggiunsi il primo uomo, non più grande di vent'anni al quale squarciai la gola e ruggii contro mentre cercava di dimenarsi e con la vita che lo stava lasciando a poco a poco, con la gente che scappava urlante da tutte le parti, alcuni cadevano altri ne spingevano per salvarsi la vita.
E poi subito dopo il secondo, il terzo e ne arrivavano di altre guardie, più armate di una semplice spada, con dei moschetti che cominciarono a caricare.
Io ormai avevo perso la ragione, e mi trovavo sul cornicione del molo che dava sul tamigi che ruggivo a chiunque avessi davanti, potevano essere pure conoscenti, ma al momento ero emotivamente e fisicamente fuori controllo.
Dopo qualche momento, un esplosione e un bruciore al petto, un'altra esplosione e un colpo al braccio.
Le guardie con i moschetti mi stavano sparando, almeno quattro colpi mi presero, e forse ancora debole per sopportare il dolore, il quinto colpo, quello decisivo mi colpì nuovamente al petto all'altezza del cuore, e senza più forza caddì indietro, nelle acque del Tamigi, come fossi un tronco galleggiavo a pancia in su, lentamente perdendo i sensi.

   
 
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