Libri > Shatter me (schegge di me)
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Autore: You_r_so_golden    11/01/2023    0 recensioni
La prima volta che William aveva sentito parlare di una ragazza che poteva uccidere al tocco, non ci aveva creduto; Selene era semplicemente rimasta in silenzio, incapace di dire una parola. Poi i due fratelli si erano guardati. Finalmente c'era qualcuno diverso come loro, qualcuno come loro e, allo stesso tempo, diverso da loro. Perché sia William che Selene hanno sempre saputo di essere diversi da chiunque altro. Anche da bambini, i gemelli sapevano di non essere come gli altri. Perché sia William che Selene hanno dei poteri, gli stessi spaventosi poteri che li hanno allontanati dai loro genitori, portandoli sul ciglio della strada. Prima di quel giorno, né William né Selene conoscevano l'esistenza del Punto Omega; finché Castle non li prese al suo fianco, portandoli in un luogo sicuro che potessero chiamare "casa". E ora, che i gemelli sono diventati qualcuno di importante al punto Omega, le cose sono un po' cambiate: William è uno dei soldati più forti e Selene, la piccola e silenziosa Selene, è l'arma più temuta del punto Omega. E ora i due stanno per affrontare l'essere umano a loro più simile e vicino: Juliette Ferrars.
Genere: Drammatico, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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I giorni passano troppo velocemente. Un giorno si tira all’altro con una forza incredibile, il sole sorge e tramonta in quelli che possono sembrare pochi minuti e la luna prende il posto del sole, prima di ricadere nel mare o dietro le montagne. E ancor prima che tu te ne possa rendere conto, il giorno è passato. I giorni sono passati. Le settimane sono andate. Tu non puoi fare altro che meravigliarti, chiedendoti come sia possibile. Come sia possibile che ogni giorno muoia dopo l’altro e tu non ne sia capace di fermarli dal passare.
È così che mi sento. Non sono come descriverlo, ma è questa la sensazione che provo. Sembrava ieri, eppure sono già passate due settimane. Sono passati 14 giorni da quando Adam è entrato in contatto con Juliette per la prima volta. 14 giorni da quando la missione “salviamo Juliette” è iniziata. Per due settimane, Warner è stato zitto e non un comando è uscito dalle sue labbra.
< Pattugliate la zona ovest. >
< Sistemate il magazzino. Fate l’inventario e lo stoccaggio dei beni da consegnare ai cittadini. >
< La missione inizierà tra poco. Vi voglio tutti pronti. >

Questi erano gli unici ordini che Warner aveva dato in quei quattordici giorni. Per il resto, non aveva minimamente accennato a Juliette. Non aveva parlato di lei, non aveva parlato della missione e non aveva fatto il minimo accenno a Kent. Sembrava come ignorare la cosa, come se volesse ignorare la situazione fin quando non sarebbe stato più possibile. Come se Juliette non fosse diventata la sua ossessione.

Stamani mattina però Warner si è svegliato in modo diverso. E non ha faticato ad abbaiare ordini nuovi. Ordini ben diversi da quelli dei giorni precedenti.

< La missione è finita. > ha detto, rivolto generalmente verso il nulla. Davanti a lui, io e altri quattro soldati stavamo in posizione, fermi sul posto. < Voglio che portiate il soldato Adam Kent e il soggetto Juliette Ferrars fuori da quel manicomio. Caporale Park, voglio che si occupi della documentazione da dare ai dottori e voglio che si assicuri che Juliette venga portata nella struttura di sicurezza che abbiamo allestito per lei. La missione non dovrà durare più di venti minuti, il tempo necessario per entrare nel manicomio, fornire la documentazione ai soldati, e tirare fuori la ragazza. Chiaro? >

< Sì, Signore. > ho detto allora. Il mio sguardo rivolto verso il vuoto, il cuore a palla nel petto. Avrei incontrato Juliette. Non mi pareva vero. Il cuore sembrava scoppiarmi nel petto dalla felicità e dall’emozione. < Sarà fatto. >

< Sarai felice. > aveva commentato mia sorella, stuzzicando quell’area del mio cervello che mi permetteva di incazzarmi in meno di un secondo contro il nulla. < Finalmente potrai mettere i tuoi occhi su quel mostro. Complimenti, sei riuscito nel tuo intento. Io sarei fiera se fossi in te. >  

E
cazzo
Se sono dannatamente fiero.
Sono fottutamente fiero di me stesso. Sono fiero del fatto di essere riuscito ad entrare nella squadra di élite che sorveglierà Juliette per ogni momento della sua permanenza al Settore 45. È una cosa di cui andare fieri, giusto? Generalmente non vado fiero di me stesso ma questa è una delle poche volte che mi permetto di farlo. Mi permetto di essere orgoglioso per essere arrivato a questo punto.

< Devo ricordati come sei entrato a far parte della squadra di sorveglianza? > chiede mia sorella, apparendo dal nulla per la prima volta in quella mattinata. Naturalmente, non si fa sentire per tutta la notte e per tutta la mattina, ma quando appare ha sempre qualche commento negativo nei miei confronti. Tipico di lei, del fatto che non sa come sfogare la sua rabbia repressa e la tensione che ha stando rinchiusa tra quelle quattro mura. Potrebbe trovarsi un hobby e sfogarsi in quel modo. Ma credo che sia io il suo hobby preferito ultimamente. < Perché se fossi in te, non ne sarei così fiero.. >

Entrambi sappiamo la risposta del come noi siamo entrati a far parte della squadra di sorveglianza. E con noi, intendo io e Kenji, naturalmente. Avendo perso la mia occasione davanti all’edificio del soldato Seamus Fletcher, avevo dovuto rimediare e rincontrare nuovamente Warner. Ma Warner non è facile da trovare, dannazione. Si nasconde sempre dai suoi soldati, come se sapesse che nessuno vuole averlo vicino, e passa ore intere lontano da tutti, a fare chissà cosa.
E per incontrarlo ho sfruttato la ricognizione. Io e altri nove soldati eravamo andati ad esplorare la zona nordovest del settore, prendendo nota di ogni cosa anomala, di ogni cittadino che avevano incontrato e di come fossero messe le abitazioni e le persone nelle abitazioni. Di come fosse messo l’orfanotrofio principale della città. Essendo il caporale, ogni volta che facciamo una ricognizione nei territori del settore 45, devo fare il rapporto verbale a Warner di cosa è successo e di come sono andate le cose. Se tutto è andato bene. Se ci sono state anomalie. E cose simili. Cose che non mi interessano minimamente ma che, a quanto pare, sono utili al biondino dagli occhi verdi.

< Dimmi pure, Park. > Warner era alla sua scrivania, nel suo ufficio. Un posto nel quale nessuno può andarci se non per motivi importi come un resoconto o se, come può succedere, si viene chiamati da Warner stesso. Warner posò la penna sul foglio – evidentemente stava scrivendo qualcosa, qualche appunto – e si voltò per guardarmi. < Hai la mia attenzione. >
Ho sospirato. Ed è stato allora che ho usato il mio potere. Ho stretto le mani a pugno e ho permesso a me stesso, alla mia energia, di fluire nel mio corpo prima di uscire dalla mia bocca come fiumi di acqua gelida. < Signore, le voci mi dicono che lei mi farà partecipare alla missione che riguarda Juliette. > ho detto e in quel momento, ho sentito le mie parole realizzarsi. Ho sentito come l’energia presente nel mio corpo uscisse dalla mia bocca sottoforma di parola e colpisse in pieno Warner. Ho sentito con che forza l’ha colpito.

Warner si era immobilizzato sul posto e aveva deglutito lentamente. Il suo sguardo si era spento improvvisamente, la sua mascella si era allentata e i suoi occhi si erano socchiusi, come privi di vita. Il suo corpo era caduto, come privo di anima e di forza. Warner era completamente in balia delle mie parole. Completamente privo di possesso di volontà e privo del controllo del suo corpo.
Una cosa che mi fa oscenità. Mi fa schifo il fatto che sia capace di ridurre così un uomo forte come lui con la sola parola. Certe volte vorrei non avere questo potere, perché non è altro che una disgrazia.

< Le voci mi dicono che farò parte della squadra di sorveglianza di Juliette insieme all’agente Kenji Kishimoto. Tutto questo sarà riportato, scritto nei registri. >
Warner aveva annuito lentamente e le sue mani, sulle sue ginocchia, avevano iniziato a tremare. La sua mente stava processando il mio comando. Stava accettando un’idea che non era sua, un comando al quale non si può disobbedire. La sua mente si stava piegando al mio volere, sotto il mio potere. Un uomo così forte, eppure così debole davanti a due parole. < E mi dicono che non ricorderai niente di ciò che ti ho detto, ma che quando ti risveglierai, mi comunicherai che io e Kishimito facciamo parte della squadra di sorveglianza. E lo comunicherai anche agli altri soldati, prima di scriverlo nei registri. Sentiti libero di inventarti una motivazione plausibile. >

Nel momento esatto in cui le mie labbra si erano sigillate, Warner aveva preso a tremare appena. Poi, improvvisamente, aveva ribaltato gli occhi indietro. Avevo deglutito lentamente, chiedendomi se ciò che gli avevo imposto forse era un po’ troppo per lui – d’altronde, anch’io ho dei limiti che mi devo imporre per far si che il mio potere funzioni. Questo, invece, non avviene per mia sorella.
Warner però si era riscosso e in un secondo era tornato in sé. Aveva premuto le mani contro le ginocchia, i suoi occhi erano tornati fissi su di me e il suo volto aveva assunto nuovamente l’espressione dura che aveva fin dall’inizio.

< Prima che tu mi faccia il tuo rapporto > aveva detto poi. < C’è una cosa che vorrei dirti. So che adesso è un po’ tardi, ma purtroppo è stata un’esigenza che è sorta all’ultimo. >

< Signore. >

< Dato che non sappiamo il vero potenziale che Juliette ha, quanto grande sia il suo potere e quanto realmente sia pericoloso, ho deciso di aggiungere due soldati alla squadra di sorveglianza per Juliette. > Warner mi fissava diritto negli occhi, come se volesse farmi crollare sul posto. Come se volesse farmi dire “Ho usato la parola dell’obbligo su di te. Fattene una ragione” < Tu e l’agente Kishimoto siete stati selezionati. > poi aveva incrociato le gambe sotto la scrivania. < Credo che più persone saranno a sorvegliarla, meglio sarà per tutti noi. Non dobbiamo certamente sottovalutarla.. > poi si era preso una pausa. < In giornata lo comunicherò ai tuoi colleghi e aggiornerò i registri. Convocherò anche Kishimoto per parlargliene personalmente ed entro la serata farete già parte della squadra di sorveglianza. >

Ed ecco perché adesso sono qui, all’interno di questo dannato manicomio. Per questo sono a due passi da Juliette e sto per incontrarla. Kenji, per qualche motivo, non è con noi ma me ne farò una ragione come se l’è fatta lui.
E a dire il vero, dovrei essere fiero. Fiero e felice, perché sto per incontrare qualcuno di altamente potente e pericoloso come mia sorella. Ma non lo sono. Forse per il posto in cui sono, magari… Anche se cerco di non guardarmi intorno, sento le urla e gli strilli e non posso non rabbrividire. Mi chiedo come sia vivere dentro i manicomi ora che hanno tolto le torture orrende che erano soliti fare ai pazienti. Le stesse torture che hanno fatto a me e mia sorella. So che sono state abolite – Grazie a Dio, mi viene da dire. I medici adesso cosa fanno ai pazienti? Come li trattano? Li riempiono di pasticche e li picchiano di tanto in tanto. Forse li violentano anche. Ma poi?

< Soldati. >

Non appena parlo, i quattro soldati che mi hanno accompagnato in questa missione si stringono il fucile al petto e allineano le gambe, diventando composti e immobili come se qualcuno li avesse fulminati. È un modo per portarmi rispetto, ma se lo potrebbero risparmiare. Non sono una figura di alto rango, non c’è bisogno che mi trattino così. O almeno credo.

< Sembra che abbiano un palo nel culo. Se cascano, si spazzerà secondo te?

< Ho appena lasciato i fogli del trasferimento ai dottori. > Comunico e stringo istintivamente il fucile al petto. Sono fogli compilati da Warner, dove – a detta di mia sorella – c’è scritto che possiamo prendere Juliette e portarla via in quanto cittadina della Restaurazione. O qualcosa simile. Mia sorella non si sa spiegare molto bene. Guardo tutti i soldati davanti a me. Weston, Ronald, Chapman e Markovik. Sono tutti ragazzi bravi, che sono dovuti entrare nella Restaurazione perché non avevano altra scelta. Ma sono cattivi. Sono cattivi e davvero stronzi. Warner li ha scelti e sono i primi che incontreranno Juliette. Chissà cosa le diranno? Chissà cosa penseranno? Del resto, Juliette è una ragazza carina e loro sono soldati di 20 anni, che non vedono una ragazza da quasi un anno di permanenza al campo base. Chissà cosa le faranno, usando i loro guanti.

Già, siamo completamente vestiti da testa a piedi. Vestiti neri, naturalmente. Abbiamo degli occhiali che ci coprono il volto, dei cappellini per proteggere la testa, delle maschere per proteggere il volto e l’identità. Indossiamo tutti delle maglie, degli stivali e dei pantaloni lunghi. E i guanti. I guati che ci permettono di toccare Juliette. Siamo completamente al riparo, salvi dal tocco di Juliette. Come se Juliette fosse realmente capace di ribellarsi a cinque soldati armati. Mi sembra che abbiamo preso troppe precauzioni. Ma non commento.

< In posizione. > dico e si soldati si voltano verso la porta della stanza. Sono già pronti, pronti ad entrare in quella cella e a fare un dannato casino. Sanno a cosa stanno andando incontro. Sanno che bisogna ignorare Kent, far finta di non conoscerlo e minacciarlo come se lui fosse una minaccia tanto grave come Juliette. A quanto pare, Juliette non deve capire che tutto questo è stato un esperimento finché non sarà Warner a dirglielo. Il perché non lo so. Come non so perché voglia spostare Juliette in un’altra struttura di sicurezza, allestita all’ultimo per accoglierla, invece che portarla subito al quartier generale. Sono cose che non capisco ma sicuramente nella mentre di Warner hanno senso.

< Credo che voglia farlo per vedere se perderà la testa > dice mia sorella ed è quasi un sussurro la sua voce. Come se mi arrivasse da lontano. < Vuole capire se cambiandola di locazione, Juliette impazzirà o si adatterà al luogo. Portarla direttamente al quartier generale sarebbe un po’ troppo pericoloso, non credi? Certe persone, quando cambiano un ambiente nel quale sono abituate a vivere, perdono la testa. >

< Andiamo, andiamo. >

Al mio comando, Ronald sfonda la porta con un calcio e in un secondo, siamo tutti e cinque dentro la stanza. Non appena entriamo dentro la piccola cella – troppo piccola per essere assegnata a due persone – i miei occhi finiscono subito sulla figura di Juliette, ignorando completamente quella di Adam. La vedo, con i suoi capelli lunghi, lisci e scuri e il suo sguardo terrorizzato. Come se ci urlasse contro di non farle del male, che non si merita di soffrire ancora.

Non posso credere che sia davanti a me. Non posso credere che l’oggetto di ossessione di Warner e l’oggetto di desiderio di Castle sia davanti a me. E che io non possa fare niente per portarla via, salvarla da questa situazione che Warner ha voluto creare. Salvarla e portarla al sicuro, al Punto Omega.

< Sento che le sei finalmente davanti. Non ti scaldare troppo, per favore. > mia sorella sembra più annoiata che felice della cosa. La sua gelosia le impedisce di capire quanto felice io possa essere nel ritrovarmi davanti una persona come Juliette. Le impedisce di capire che passo gigante sta compiendo il Punto Omega in questo momento. La gelosia che prova l’acceca troppo. < Sinceramente, me la immaginavo diversa. Più feroce e aggressiva. Sembra un gattino bagnato... >  

“Non credo che sia il momento giusto, Selene” mi permetto di dirle e punto subito il fucile contro di Juliette. Weston e Ronald puntano il loro fucile verso Juliette mentre Chapman e Markovik puntano il loro contro Kent. “Per favore, lasciami un secondo di pace” le dico mentre Kent si alza in piedi. La sua presenza però è di troppo. Non voglio che mi confonda in questo momento delicato. Non voglio che inizi a parlare a vanvera, urlando parole dettate dalla gelosia, o che mi confonda, dandomi ordini e dicendomi cosa secondo lei sarebbe meglio che facessi. “Per favore, dammi un minuto.”  

< Mani in alto, gambe divaricate, bocca chiusa. Restate fermi e non vi spareremo. > dice Ronald e vedo che Juliette mi guarda con aria con più terrorizzata. Come se si aspettasse seriamente che le sparassi da un momento all’altro.

In questo momento mi sento vulnerabile, come se fosse capace di guardarmi dentro l’anima. Ma non può vedermi fisicamente e questo lo so. Siamo tutti coperti, protetti, e lei non può vedere niente se non cinque figure incappucciate.

E anche se siamo coperti da capo a piedi, Juliette è catatonica sul posto e non sembra reagire alle nostre parole. Mentre Kent ha fatto come ordinato da Ronald, Juliette è rimasta completamente immobile. Incapace di muoversi. Incapace di pensare o di reagire agli ordini che le stanno urlano.
Ronald è il primo ad agire, nuovamente. Il fatto che stia studiando per diventare caporale, gli fa credere di potersi permettere di fare cose che in realtà non può fare senza i miei ordini.  Le va dietro e le un calcio in mezzo alla schiena con così tanta forza che per un secondo penso che Juliette rimarrà paralizzata per il resto della vita. La ragazza, però, cade a terra, sbattendo con forza le ginocchia contro il pavimento duro.

< Non fatele male. >

Mi volto per guardare Kent, che ha appena parlato. Sta reggendo la sua parte perfettamente. Anche lui appare spaventato e confuso, ma meno di Juliette. < Tieni chiusa la bocca o finirà male anche per te. > gli dico, puntandogli il fucile contro. Vorrei non averci fatto caso, ma il suo tono di voce sembrava davvero preoccupato.

< È obbligato a parlare in questo modo, idiota.> di nuovo mia sorella. Quell’idiota mi colpisce, ma non più di tanto. È arrabbiata perché le ho detto di stare zitta. Dio, certe volte è veramente una bambina. < siete osservati. Quindi vedi di comportarti per bene. >

Siamo osservati. Giusto. Me n’ero quasi dimenticato. Warner ci sta osservando, naturalmente. Mia sorella mi ha informato mesi fa che avevano installato delle telecamere in questa cella e dei microfoni, così da poter controllare Juliette giorno e notte. Non c’è da stupirsi che Warner abbia fatto una cosa simile. Non mi stupirei se adesso non ci stesse osservando silenziosamente, prendendo nota di ogni cosa che accade in questa stanza. Prendendo nota dei miei movimenti e delle mie parole.

< Uno. Due. Tre. Quattro. >

Mi volto verso Juliette e quasi spalanco gli occhi nel sentirla parlare. È la prima volta che la sento parlare, che sento com’è la sua voce. Ma non mi aspettavo che le prime parole che mi rivolgesse fossero dei dannati numeri. Dei numeri, santo cielo. È pazza o me lo sono immaginato? Si è appena messa a contare. Non so cosa, ma si è appena messa a contare. Probabilmente è lo shock.

< Vuoi capirlo che devi tenere la bocca CHIUSA? > chiede Wenston e vedo che Juliette mi sta ancora guardando. Mi guarda mentre punto il fucile contro di Adam. La sua attenzione è tutta su di lui, come se ignorasse la situazione in cui lei si trova.

< In piedi. > urla Ronald e le tira un calcio sulle costole con estrema forza. Per un'altra volta, penso che Juliette urlerà di dolore e si accascerà per terra, priva di forze. Juliette invece si lascia sfuggire un singhiozzo e si piega in due come se fosse un foglio di carta. < Ho detto IN PIEDI > un altro calcio, stavolta più forte, più rapito e in pancia.

Mi chiedo da dove venga tutta questa rabbia repressa di Ronald. Sapevo che era violento – gli ho visto fare cose indescrivibili ai cittadini – ma non pensavo che se la potesse rifare con tanta violenza contro Juliette. Contro una ragazza che non gli ha fatto niente di male. Contro qualcuno che è letteralmente pietrificato, incapace anche solo di muoversi o di pensare. E vorrei prendere Juliette, dirle che non deve aver paura e che la stiamo per portare in un altro posto. Ma non me lo posso permettere. Siamo osservati e in questo momento, io sto facendo la figura dell’idiota davanti a Warner.

< Muoviti, cazzo. Non hai tempo da perdere. >

< Muoviti. > lascio cadere il fucile al mio fianco e vado da Juliette. La mia mano trema per un secondo prima di afferrarle con forza il braccio. D’altronde, ho solo un paio di guanti che mi separa dalla sua pelle ed è lecito che io abbia paura. Credo che sia normale aver paura del suo tocco mortale. Tutti avrebbero paura di fare una cosa simile e in questo momento
Permettetemi queste parole: Mi sto davvero cacando addosso.

Tiro Juliette in piedi. < Forza, andiamo. >

Juliette però non si muove e io non so cosa fare. I miei soldati mi fissano, quasi sconvolti. Sì, la sto toccando e mi tremano le gambe. Perché se solo Juliette volesse, mi potrebbe infilare una mano sotto la maglia e togliermi la vita. Se solo volesse, potrebbe strapparmi via il guanto e porre fine ad ogni cosa. Le sparerebbero, naturalmente, ma per me non ci sarebbe niente da fare in quel caso. E io in questo momento non so cosare. Tirarle una spinta, darle uno schiaffo, tirarle i capelli? Non so cosa sia abbastanza accettabile per Warner ma lo conosco abbastanza per dire che è un sociopatico e che gli piace vedere le persone in difficoltà. Beh, adesso sono in difficoltà.

< Ci senti o sei sorda? > faccio la prima cosa che mi viene in mente. La afferrò per i capelli e la tiro su con forza. Forse troppa forza, perché Juliette ansima di dolore e si alza sulle punte. Almeno sta reagendo. È reattiva.

< Beh, dimmi un po’ se non sei una stonzetta. > dice Chapman e gli altri soldati si permettono di ridere alle sue parole. Come se avesse fatto una battuta divertente. Come se ci fosse qualcosa di divertente nell’offendere una ragazza in quel modo.

Io non rido. Kent non ride. Non capisco cosa ci sia divertente. Non capisco cosa ci sia divertente nel deriderla in questo modo. È spaventata, trema violentemente e non è capace nemmeno di formulare un pensiero. Deriderla è solo una cosa che delle persone senza cuore sarebbero capaci di fare.

< Non piange nemmeno > dice Markovik < di solito le ragazze invocano pietà, a questo punto. >

< Andiamo. > la spingo e la trascino fuori dalla stanza. Non la strattono, non la spingo con più forza del necessario ma devo dimostrare a Warner che sono tosto e che svolgo bene il mio lavoro. Principalmente devo dimostrare di saper fare il mio lavoro. Devo dimostrare di saper ricoprire il mio ruolo. < Juliette- >
Nel momento stesso in qui il suo nome esce dalla mia bocca, la ragazza si ascia a terra. Faccio in tempo a prenderla in braccio, prima che le sue ginocchia tocchino il pavimento. Mi affretto a tenerla su e la prendo a modo di sposa, reggendola tra le braccia. Mi soffermo un secondo per guardare il suo volto, tanto piccolo quanto armonioso nei suoi lineamenti. Non mi aspettavo che una ragazza della sua età pesasse così poco. Sicuramente qui dentro non le davano da mangiare. Riconosco i suoi segni di malnutrizione.
Sono gli stessi che aveva mia sorella da piccola.

< Il caporale ha il tocco magico o sbaglio? > ride Ronald e mi si avvicina per guardare Juliette da più vicino. Approfitta del suo stato per tirarle un buffetto sul naso. < Guardate com’è svenuta questa stronza. > e una risata esce dalle sue labbra.

< Cazzo, fa vedere. > dice Markovik e fa per avvicinarsi.

Mi tiro indietro ancor prima che il soldato si possa avvicinare. < È stato stressante per lei. > dico e la stringo appena tra le mie braccia. Le mie gambe non possono fare a meno di tremare. Juliette è tra le mie braccia. È viva, dormiente, ma è tra le mie braccia. Potrebbe svegliarsi da un momento all’altro e saltarmi al collo. E mi ucciderebbe. Non so se mi farebbe un favore. < Smettetela di atteggiarvi in questo modo e uscite fuori. Non abbiamo tempo da perdere. >

< Signore. > i quattro soldati si mettono in posizione e, ad uno ad uno, mi sorpassano fino ad uscire dalla stanza di Juliette. Si riversano tutti nel corridoio buoi del manicomio. È così buio che sia io che i miei colleghi abbiamo faticato a trovare la stanza di Juliette.

Poi mi rivolgo a Kent. È immobile, le mani lungo i fianchi. Non sembra stare bene ed è decisamente dimagrito dall’ultima volta che l’ho visto. < Tutto okay, soldato? >

Adam annuisce. Poi: < È davvero svenuta, signore? >

Annuisco. < Non è abituata a reggere tutto questo stress. Dovevamo immaginare che sarebbe andata così. > guardo Adam per un secondo. Vorrei dirgli che è bello che sia tornato tra di noi e che sia sano e salvo, anche se non mi aspettavo che gli sarebbe successo qualcosa. Tuttavia le mie labbra non possono formulare parole simili, non con Warner che ci ascolta costantemente. < La vacanza è finita. > dico allora. < Per te è ora di tornare a lavoro. >

< Signore. > Adam allinea le gambe e porta il pugno destro al cuore. Non è il saluto completo ma, del resto, non ho bisogno che mi saluti formalmente. Sono solo un rango sopra il suo. Non sono nessuno per pretendere un saluto completo; il saluto che tutti rivolgiamo a Warner.

Annuisco, Adam si rilassa e lascia ricadere le braccia al petto e poi esce dalla stanza. Mi affetto a seguirlo, tenendo Juliette stretta tra le braccia.
 
   
 
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