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Autore: Alessia_Esposito    12/01/2023    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
“Vi siete mai chiesti cosa succede precisamente al vostro cervello quando bevete? E perché cala drammaticamente la vostra capacità di giudizio e di scelta?”
Era a questo che pensava mentre, sudato, tremante ed ubriaco perso, si accingeva ad aprire lo sportello della sua auto - non senza prima aver buttato giù qualche imprecazione ed essersi ferito ad una mano con le chiavi - per mettersi alla guida.
“L'alcol rallenta i processi mentali e cognitivi deprimendo la corteccia cerebrale, che regola l'attenzione, la percezione, il pensiero, la lingua e la consapevolezza […]”
Era la voce ovattata dello speaker di una pubblicità progresso, che distrattamente aveva visto qualche sera prima in tv, a risuonargli nelle orecchie, mentre la poca ragione che ancora gli rimaneva, accortasi di quale strada il cuore gli stesse facendo percorrere a quell’ora della notte, incrementò ulteriormente il tremolio di cui il suo corpo era prigioniero ormai da qualche ora.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terza parte
 
Si chiese se fosse possibile. Si chiese se, al mondo, potesse esistere qualcuno capace di desiderare qualcosa, qualcuno in modo così disperato, avido, forte… “Senza speranza”, si sarebbe azzardata a dire. Si chiese se fosse reale l’impellente bisogno che li stava governando in quel momento: quello che stava governando le mani del maresciallo che, adagiate una su un suo fianco e l’altra sul suo collo, la spingevano dolcemente contro il muro dell’edificio di casa sua; quello che stava governando le proprie dita, che si aggrappavano tremanti alla nuca di lui e lo tenevano ancorato alla sua bocca; quello che stava governando i loro respiri pesanti, che riuscivano a trovare una via d’uscita e a mescolarsi all’aria fredda della notte solo nei brevi istanti in cui le loro labbra si spostavano ora su una guancia, ora un po’ più in basso, nell’incavo del collo.
Si teneva premuto contro il suo corpo, Calogiuri, con una sfrontatezza ed un’audacia che non gli aveva mai visto, ma che sapeva essere sintomi delle ingenti quantità di alcol che ora dimoravano nel suo corpo. Sembrava volesse dirle “ecco, guarda, senti cosa mi stai facendo, in che condizioni sono, come mi sto riducendo per evitare anche solo di toccarti ogni volta che siamo da soli in macchina o nel tuo ufficio.”
E lei, quanto più prendeva consapevolezza dell’inferno che quel “ragazzo di provincia dai buoni sentimenti” doveva star vivendo ormai da mesi, tanto più gli si concedeva, lasciandosi accarezzare e baciare come non si era mai immaginata lui potesse fare, e ricambiandolo con altrettanta intensità.
“Calo… Calogiuri…” riuscì a malapena a sussurrare, scostandosi lievemente, quando il sapore ferroso del sangue le invase leggermente la bocca “Ippazio…” provò a richiamarlo, per la prima volta col suo nome di battesimo, afferrandogli saldamente il volto tra le mani per fermarlo e guardarlo negli occhi.
“Dottoressa non…” farfugliò, riaprendo con estrema lentezza gli occhi, le cui palpebre sembravano essere sempre più incollate dagli effetti della sbronza “non tornate da vostro marito… Lo so, io lo so che non... non dobbiamo, non devo, ma vi prego non tornate da lui, non abbiamo fatto niente… si, cioè vi ho baciato…” si fermò “che cazzo, vi ho baciato…” realizzò, colpendosi la testa con le mani “ma non abbiamo fatto nient’altro, non vi toccherò più, lo giuro…” fu bruscamente interrotto da Imma, che in uno slancio improvviso gli circondò il corpo con le braccia e lo strinse talmente forte da spegnergli i pensieri e i sensi di colpa che stavano iniziando a torturarlo.
“Calogiuri basta, va tutto bene. Sta tranquillo, respira” gli sussurrò all’orecchio, accarezzandogli lentamente la testa. Le venne da sorridere, ma con fare terribilmente malinconico.
Te ne stai accorgendo, Immare’? Ti stai rendendo conto della purezza e dell’intensità con le quali ti ama? E del tormento che prova? Ti ha baciato come se fosse stata l’ultima cosa concessagli prima di morire, ma appena ti sei allontanata la realtà delle cose gli è crollata addosso e sarebbe stato capace di tornare a reprimere i suoi sentimenti pur di non vederti andar via.”
La sua vocina, per l’ennesima volta, le forniva l’esatta interpretazione di quanto era appena accaduto, il cui contenuto, suo malgrado, poteva essere riassunto nel significato di una sola parola: egoista.
Era stata egoista quando, appena tornato dall’America Latina, gli aveva chiesto perché fosse scappato di punto in bianco, in seguito a ciò che era avvenuto durante la festa della bruna, ma subito dopo aveva poi tenuto a chiarire lo sbaglio che avevano commesso; era stata egoista ogni volta che non aveva perso occasione di punzecchiarlo per la relazione con Jessica prima, ed il fantomatico tradimento con la Bartolini dopo; era stata egoista ogni volta che lo aveva intenzionalmente allontanato per “vendicarsi”, neanche fossero dei bambini. Era stata egoista in un numero sproporzionato di occasioni, incurante del bagaglio emotivo che gli pesava sulla schiena ogni volta che le si parava davanti e la guardava negli occhi, in disperata attesa di essere “liberato”, che fosse dichiarandogli quanto anche lei lo amasse o lasciandolo andare per sempre.
E tu, invece di liberarlo, che facevi Imma? Lo legavi ancora più stretto a te, senza accorgerti che nel limbo in cui vi avevi messo, le corde stavano iniziando a fargli un male cane.
“Calogiuri, guardami” richiamò la sua attenzione, cercando di scacciare via ogni pensiero, tornando a reggere il suo sguardo “ti sanguina il labbro, dobbiamo disinfettarlo. È… è colpa mia, mi dispiace, non volevo schiaffeggiarti così forte…” provò a spiegargli.
“Potete schiaffeggiarmi tutte le volte che volete se dopo mi baciate come avete appena fatto” le rispose tutto d’un fiato, strappandole l’ennesimo sorriso triste.
“Hai bevuto davvero tanto, eh Calogiu’?” gli chiese, ma più che una domanda sembrava una constatazione. Nel mentre, una mano gli accarezzava il viso e le dita seguivano il contorno del labbro che lei stessa gli aveva ferito, notando come stesse iniziando a gonfiarsi leggermente.
“Posso assicurarvi che questo ve l’avrei detto anche se fossi stato sobrio” la incalzò, ancora, avvicinandosi di nuovo con l’intenzione di riprendere il bacio di pochi attimi prima.
“Calogiuri, no…” lo fermò, appoggiandogli le mani alla base del collo “devi tornare a casa, prendere qualcosa che ti aiuti con il mal di testa e la sensazione di vomito che sicuramente domani ti ridurranno ad uno straccio, e metterti a letto… E no…” lo fermò, non appena vide la sua bocca schiudersi per obiettare “un altro struggente monologo shakespeariano non lo reggo, Calogiu’. Talmente tante sono le cose che mi hai sbattuto in faccia stanotte, che credo di essermi ubriacata anche io, pur non bevendo” gli spiegò, sperando vivamente che capisse quanto tutto ciò che le aveva confessato l’avesse scossa e confusa, rendendole necessario isolarsi per poter intraprendere, nella sua testa, un vero e proprio processo, allo scopo di capire cosa fosse giusto e cosa no, chi fossero i colpevoli e chi gli innocenti.
Perché non lo sai più, eh Immacola’? Il maresciallo ti ha distrutto ogni certezza, con un forte pugno sul tavolo ha fatto crollare il castello morale di carte che con anni di sforzo e dedizione ti eri creata” finì per lei la sua vocina.
“Ad ogni modo…” riprese a parlare, scuotendo la testa come per tornare in sé stessa “è evidente che nelle condizioni in cui ti trovi, tu non possa fare tutte queste cose da solo. È necessario che qualcuno venga a prenderti e guidi al posto tuo…”
“Capozza è ubriaco fradicio peggio di me” la interruppe, prima ancora che lei potesse chiedergli qualunque cosa “inoltre, credo in questo momento sia in buona compagnia… Se capite ciò che intendo. Talmente buona che mi è difficile pensare che attualmente abbia a cuore la mia incolumità tanto da venire a prendermi e accompagnarmi a casa.”
“Capozza?” gli chiese con espressione scioccata “ti sei fatto convincere ad andare a fare baldoria da Capozza? Veramente?” aggiunse, quasi sul punto di scoppiare a ridere.
“Ora sapete che prima non scherzavo quando ho detto sto messo davvero male” le rispose, aggiungendo poi “almeno lui ha trovato compagnia”.
“Calogiuri non ci metto niente a darti un altro schiaffo”
“E io non ci metto niente a darvi un altro bacio”
“L’avrei già fatto io, se solo avessi potuto”
Il botta e risposta era stato così spontaneo, istintivo, naturale e rapido, che la realizzazione di ciò che aveva appena detto, sopraggiunta solo dopo alcuni minuti di sguardi intensi, la indusse a spalancare gli occhi e a coprirsi il volto con le mani, allontanandosi ulteriormente dalla figura del maresciallo.
“Imma…” per la prima volta in assoluto, da quando si conoscevano, il giovane pronunciò il suo nome di battesimo in un sospiro sofferto, forse addirittura una supplica, aggravando la violenza che la personale inquisizione mentale del sostituto procuratore stava adottando nel giudicarla per ciò che le era appena uscito dalla bocca. La conosceva, Calogiuri, la conosceva fin troppo bene, e sapeva che perdere il controllo in quel modo, per una persona che, come lei, lo prediligeva sopra quasi ogni cosa, era indice di fallimento, debolezza, sconfitta.
Avrebbe voluto chiamarla così da sempre, Ippazio: sin da subito avrebbe voluto sostituire la fredda e distaccata denominazione “dottoressa”, nella speranza che questo potesse servire ad avvicinarlo a lei, a renderlo ai suoi occhi “speciale” rispetto agli altri, anche solo un po’.
Immacola’, nessuno ha mai pronunciato il tuo nome in una tale maniera, nemmeno Pietro nei migliori amplessi che avete condiviso. Sei ancora sicura di voler scappare? O almeno, di riuscirci?
“No Calogiuri” lo ammonì lei – in realtà ammonendo, insieme a lui, anche la vocina interiore che, suo malgrado, aveva ripreso a tormentarla –, dandogli le spalle e iniziando a ridere nervosamente “questo è un limite che non possiamo permetterci di oltrepassare”.
Il passaggio da ‘dottoressa’ a ‘Imma’ è un limite che non potete permettervi di oltrepassare? Immare’ ma sei seria? Come se questo cambiasse il fatto che muori dalla voglia di sentire nuovamente la sua bocca sulla tua.”
“Ma che state dicendo?” chiese lui, sconcertato “Prima… Prima mi avete chiamato per nome e…”
“Ed ho sbagliato” si apprestò a rispondere, interrompendolo.
“Vi ho baciata, mi avete baciato…” continuò Calogiuri noncurante, spiegando le sue ragioni e cercando di capire dove lei volesse andare a parare.
“Calogiuri stai parlando con un tuo superiore, anzi, ricapitolando: stanotte ti sei presentato ubriaco marcio sotto casa di un tuo superiore, ti sei rivolto a un tuo superiore in maniera eccessivamente informale ed intima, hai…”
“Eravate un mio superiore quando mi avete baciato nel vostro ufficio la sera della festa della Bruna?” stavolta fu lui ad interromperla, sputandogli addosso quelle parole con una tale rabbia che, ancora una volta, quella notte, il sostituto procuratore stentò a riconoscerlo “lo eravate fino a pochi istanti fa, mentre vi spingevo contro quel dannato muro?”
“Calogiuri!” urlò, tentando di ammonirlo nuovamente ed impedirgli di dire altro, ma il giovane di Grottaminarda aveva ormai raggiunto un limite di sopportazione tale che non le avrebbe più permesso di confonderlo e tenerlo ancora legato a sé con i suoi continui tira e molla. La questione, stavolta, l’avrebbe chiusa con o senza il tanto agognato - quanto improbabile - lieto fine, perché di lieto, quella situazione, iniziava ad avere ben poco.
“Calogiuri un cazzo! Sono stanco!” sentenziò allora.
Prova a dargli torto, Immacolà. Prendendo in prestito un termine del gergo giovanile, avete limonato per 10 minuti buoni e adesso il problema sarebbe il modo in cui ti chiama? Se stai cercando di rimediare alla fuga di emozioni che si è verificata quando hai detto che lo avresti baciato di nuovo, se solo avessi potuto, stai fallendo miseramente.”
“Mi state punendo, per caso? Anzi no, peggio, state punendo voi stessa per esservi lasciata andare ad una confessione tanto intima!” aveva preso letteralmente ad urlare per strada, come se ormai non gli importasse più di niente e nessuno. Pietro e Valentina avrebbero tranquillamente potuto palesarsi davanti a loro e lui non avrebbe dubitato un solo attimo sul vomitargli addosso quello che stava già recriminando ad Imma ormai da mezz’ora.
“E’ questo che fate sempre, dottoressa!” scandì con sarcastica precisione le lettere dell’ultima parola “vi avvicinate, a tanto cosi” disse muovendo le dita, con fare nervoso, per indicare la misura esatta alla quale stava alludendo “per poi allontanarvi kilometri e kilometri non appena sentite di essere andata troppo oltre, di aver reso troppo reale il desiderio che anche voi…” si fermò - dopo aver nuovamente utilizzato un tono particolarmente incisivo sulle ultime due parole -, giusto il tempo di riprendere fiato “provate per me” concluse.  
Imma, ancora una volta, non seppe fare altro che rimanere in silenzio, tuttavia, stavolta, fissandolo intensamente. Solo pochi istanti prima si era rimproverata il fatto di avergli procurato enormi sofferenze con il suo comportamento incoerente e confusionario, eppure era bastato un niente, il suo nome pronunciato dalla bocca del giovane maresciallo, per ricadere nello stesso errore e spazzare via tutte le ragionevoli conclusioni alle quali era arrivata.
Hai paura Immarè, terribilmente paura, ma questa sta facendo più male a lui che a te” provvide a spiegarle la vocina interiore.
“E mi fate sembrare un pazzo…” ricominciò a parlare, accompagnando il suo sfogo con una risata e le mani a coprire il volto stanco “ogni volta che, dopo esservi avvicinata, io inizio a cercarvi più intensamente e voi fate finta di non capirne il perché, di non aver fatto assolutamente nulla affinché ciò accadesse, di non avermi dato alcuno spunto per farlo”.
“Probabilmente sono un’egoista, è vero” trovò il coraggio di ammettere lei, dopo qualche istante di intenso e pesante silenzio “ma tu lo sei tanto quanto me. Sai perché? Perché stai analizzando la cosa solo dal tuo punto di vista e non te ne rendi conto” come se l’incombente e crescente tensione di quella notte non bastasse, Imma decise di metterci del suo per accendere definitivamente gli animi, scaraventandogli addosso le parole più infuocate che potesse mai rivolgergli. Ciò che seguì fu un incalzante e violento botta e risposta senza precedenti tra di loro.
“Solo dal mio punto di vista?”
“Si, hai capito bene”
“Incredibile”
“Non è incredibile, è da egoisti”
“Io non lo so cosa mi aspettavo venendo qua, ubriaco perso, a farvi una scenata. Davvero, non lo so, ma non di certo questo”
Il giovane maresciallo, ormai arresosi, si voltò e prese a camminare in direzione della sua auto per andarsene ovunque quest’ultima l’avrebbe portato, quella notte, ma sicuramente lontano dalla fonte di tutti i suoi tormenti.
“Ti aspettavi che io accogliessi il tuo corpo sofferente e stanco tra le mie braccia? Che lasciassi mio marito e mia figlia per salire sulla tua bella carrozza incantata e vivere per sempre felici e contenti?”
Immacolata lo seguiva passo passo, lo sguardo rivolto alla sua schiena ed il tono di voce sempre più alto e rabbioso.
“Credete davvero che io sia così stupido?”
“Credo che tu sia un’irresponsabile”
“L’unica cosa di cui mi potete accusare è quella di essere un cretino… Per non essermene andato quando ne ho avuto l’occasione”
“Di che stai parlando?”
“A quest’ora avrei avuto anche io la mia bella famiglia felice, lontano da voi, da vostro marito e dal vostro dannato matrimonio perfetto”
“Calogiuri, fermati!” allarmata da ciò che gli aveva appena sentito dire, e disperatamente bisognosa di capirne di più, gli afferrò un braccio e, con fare alquanto brusco, lo strattonò affinché si voltasse tornando a reggerle lo sguardo.
“Non l’ho fatto allora ma posso farlo adesso” continuò, respirando affannosamente per via dell’imprevista camminata rabbiosa verso il suo veicolo.
“Calogiuri di cosa diamine stai parlando?”
“Avrei dovuto accettare la promozione di Vitali, stringergli la mano e lasciare per sempre quel cazzo di ufficio. Invece, per l’ennesima volta, ho anteposto il vostro benessere al mio, ho scelto di rimanere non appena ho saputo delle minacce di cui eravate stata vittima a causa del processo a Romaniello, perché se qualcosa di grave vi fosse accaduto, non mi sarei mai perdonato di non essere stato accanto a voi per cercare di impedirlo” si fermò, contrariato dalla poca collaborazione dei suoi polmoni in quello che stava diventando l’arduo compito di terminare il suo discorso.
“Il solo pensiero di potervi perdere a causa di quei criminali, mi tormentava la notte molto più della consapevolezza di non potervi avere” concluse, dedicandogli lo sguardo più amorevole e disperato che qualcuno le avesse mai rivolto.
Ti ama come Pietro non ti ha mai amata, e probabilmente come non saprà mai fare. E lo sai, Immacola’, lo sai troppo bene, non hai bisogno che te lo dica io. Per questo, qualunque cosa tu scelga di fare stanotte, sceglila col cuore e spegni quel cazzo di cervello. Sono già troppe le cose di cui ti penti da una vita”.
   
 
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