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Autore: Enchalott    14/01/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La presenza di un’eccezione
 
Amshula annegò in quello sguardo rovente, mentre il corpo si placava in una quiete soave e spossata, nuova per lei, avvezza alla brutalità. Non intese l’affermazione.
«Come dici?»
Eskandar si scostò per lasciarla rifiatare.
«Hai smesso di aborrire i maschi.»
Il cuore della regina appassì. Gli girò le spalle per celare l’esito nefasto della fredda diagnosi. Non lo respinse ma la disillusione le impregnò la voce.
«È per questo che l’hai fatto?»
«Ehn. E perché andava a me quanto a te.»
«Interpreti i segreti dell’anima?»
«Ho sufficiente esperienza per capire quando una donna mi vuole. Solo un imbecille traviserebbe, persino adesso odori di desiderio.»
Lei si mosse a disagio nella sua stretta, ma la sensazione di essere stata usata svanì.
«Quanti anni hai?»
«Trecentodieci, una trentina in quelli minkari. Dissipano la preoccupazione del letto spartito con uno sbarbatello?»
«So che non lo sei. È che stento a riconoscermi, non so nulla di te ma abbiamo fatto l’amore.»
Eskandar trangugiò ad maiora la definizione smielata e insignificante.
«Avverto che non ti crea imbarazzo.»
«Si direbbe che tu mi conosca meglio di me. Per questo non poni domande?»
«Sono inutili, potresti fornire risposte ad hoc. Il mio sesto senso è probante.»
«E cosa ti comunica?»
«Che hai esorcizzato il tuo fantasma. È la prima volta che provi il piacere carnale, se ti sfioro così ogni tua inibizione sparisce.»
«Non… non intendevo questo!»
«Davvero?» sogghignò il reikan all’ondata di delizia che raggiunse i suoi sensi «Tutto il resto mi è noto. Sei nobile di nascita, potresti convolare a seconde nozze o passare la corona al tuo erede, riponi fiducia nel tuo primo comandante e nella solidità delle mura cittadine. Trovi produttive tali informazioni in mezzo al nulla?»
Ah, che sciocca, tendo a dimenticare che è il braccio destro di Mahati.
«Non sei aggiornato. Danyal è morto.»
Eskandar non dissimulò la sorpresa.
«Il tuo generale appartiene al Custode, arduo sposare un defunto È il motivo per cui hai scelto di affidare il trono a un ragazzino?»
«C-che? Non ne ho mai avuta l’intenzione!»
Il demone inarcò un sopracciglio come se qualcosa non tornasse. La fretta con cui aveva negato lo indusse ad approfondire.
Non adesso, andrò con ordine.
«Comunque hai ragione» sviò Amshula «Quaggiù le formalità non contano.»
«Saper cucinare sì. Magari costituirà la terza lezione.»
Lei sorrise e si rilassò, abbandonandosi al calore che gli era proprio e cullandosi in un sopore derivante dalla distensione e non dall’allentarsi della paura.
«Già, non avevi appetito?»
«In questo momento non è lo stomaco a inviare gli impulsi più urgenti.»
«La tua prestanza è indubbia, ma millanti un recupero alquanto rapido.»
«Chi ha parlato di recupero?»
«Eskan…!»
Il suo bacio salì dal collo fino all’orecchio, poi le labbra indugiarono sulla nuca mentre le dita le scostavano i capelli. Percepì il passaggio lieve delle zanne sull’epidermide e rabbrividì. Si lasciò accarezzare, l’eccitazione incrementò quando le sue mani ultimarono la corsa sui seni e dichiararono interrotta la tregua. Tutti i pensieri sfumarono nel suo respiro, avvertì la vigorosa spinta delle sue membra, la pulsione fisica che lo pervadeva, si inarcò per lasciarlo entrare e cedette al medesimo desiderio. Accompagnò il suo ritmo, smaniò per provocargli la stessa reazione ma venne travolta dal crescendo del piacere condiviso.
«Adesso ho fame» sussurrò lui placando gli ansiti contro la sua schiena.
Amshula rise. Lasciò che le lacrime scendessero e rise.
 
Il reikan consentì che le emozioni della regina percorressero il cammino.
Il secondo accoppiamento non era previsto. A prescindere dall’astinenza, se una donna non mi aggrada, non c’è verso di forzarmi al bis. Non è stato spiacevole e mi domando se riuscirebbe a reggerne un altro. Non è una Khai.
Aveva una corporatura minuta rispetto alle compagne di battaglia, la pelle di una sfumatura ambrata simile all’incarnato distintivo del clan d’oltremare. Una cascata di riccioli bruni che, privi di legacci, erano sparsi per ogni dove e risultavano bizzarri per chi apparteneva a una stirpe glabra e dalle chiome usualmente lisce. La sua diversità lo aveva acceso parecchio.
Meglio. Non faticherò e otterrò con largo anticipo i risultati sperati.
«Non hai mai sentito la curiosità di provare con un uomo di tuo gusto?» le domandò «O i Minkari sono irrimediabilmente deludenti?»
«Ho trascorso i giorni a supplicare gli Immortali che Namta fosse tanto ubriaco da addormentarsi subito, tanto disfatto da non consentire ai suoi cani di violarmi per assistere allo spettacolo. Ho ricompensato in segreto le serve affinché gli rabboccassero il vino, talora gli ho somministrato del narcotico. Il ribrezzo per ciò che mi attendeva ogni notte superava il terrore di essere scoperta, il pensiero di cercare altrove non mi ha mai sfiorata.»
«Perché non il veleno?»
«Non ho avuto modo di accedervi, la vigilanza è sempre stata stretta. Quanto a me destinato veniva controllato, i sonniferi superavano l’esame perché dichiaravo che ne facevo uso personale.»
«Stento a credere che non avessi un solo alleato in quel palazzo.»
«Chi ha osato esibire mercede, è stato eliminato o ricattato.»
«Sottomettersi alle pressioni è una riprovevole codardia.»
Amshula si girò e gli prese il viso tra le mani.
«Non è così. Per te non esiste niente da proteggere?»
«Un Khai non ama. La difesa di ciò che è prezioso non supera l’orgoglio.»
«Neppure se ciò destinasse il tuo Kharnot alla fine?»
«Allora la mia esistenza terminerebbe con la sua. Avrei dimostrato scarsa decisione e minor valore. Indegno vivere con un’onta sulla coscienza.»
«Ma la tua morte produrrebbe pena in chi ti è caro.»
«Nae. Fierezza e rispetto eterni.»
«Non ti capisco.»
«L’abnegazione di cui parli coincide dunque con la reificazione dell’essere umano? Con la rinuncia alla dignità? Sei l’esempio vivente dell’infamia che ne consegue!»
«Non è così, io non…»
«Mostrami un esempio che contesti le mie conclusioni.»
La regina fu sul punto di declinare il confronto. Poi lo sguardo cadde sulle cicatrici del demone e fu certa di quale risposta fornirgli. Afferrò il coraggio a quattro mani per condividere l’unico ricordo trasparente della sua tormentata adolescenza.
«C’era un giovane ufficiale della guardia reale… aveva diciannove anni ma lealtà e coraggio da vendere. Per lui le voci sulle ragazze scomparse erano una spina nel fianco e a differenza dei suoi superiori, molti dei quali erano succubi o complici di mio marito. A furia di scavare ha rinvenuto prove inoppugnabili contro il re e le ha riportate al suo comandante, senza sapere che era uno degli aguzzini. Urza, gli dèi lo maledicano! Aveva una passione insana per le corde, si eccitava provocando dolore e non disdegnava dividere le vittime con Namta: due contro una, lo rammento negli incubi peggiori.»
«Non era altrettanto sbruffone quando Taygeta gli ha strappato il cuore. E altre parti meno nobili, prima la lingua poiché ha pronunciato termini impropri. Ci siamo domandati come facesse a strillare come un maiale, forse la vostra anatomia è diversa.»
Amshula sgranò gli occhi inorridita, ma uno spicchio di lei provò un profondo sollievo.
«Non riesco a sentire pena per lui. Pur non uccidendo, era un assassino.»
«Esistono vari modi di uccidere, non occorre lordarsi di sangue.»
«Lo affermi con sicurezza.»
«Anch’io sono un assassino.»
«Tu... no, non lo sei.»
«Aver goduto di me non dovrebbe intorbidare i tuoi pensieri. Un conto è la riconoscenza per averti resa vedova, un altro è negare la realtà.»
«Non lo faccio. Sei spietato e scaltro, tuttavia all’opposto di quel mostro.»
«Spiegati.»
«Se non fossimo in guerra, non ti considererei un nemico. Se esistesse concordia tra i nostri popoli, saresti lo stesso uomo schietto e rigoroso che non teme di esprimersi. Se regnasse la pace, mi chiederei come sarebbe stare al tuo fianco, come sarebbe… innamorarmi di te.»
«Che è accaduto al ragazzo?» tranciò Eskandar.
«Urza ha provato a intimidirlo minacciando di degradarlo, avrebbe infangato la sua reputazione, si sarebbe accanito sui suoi cari. Quel giovane aveva una fidanzata, gli ha prospettato che avrebbe fatto la fine delle altre. Se il timore di vedere distrutti gli affetti in principio lo ha frenato, in seguito è stato il tenace desiderio di difenderli a sortire l’esito contrario. Non ha ceduto, anzi ha deciso di scoperchiare lo scrigno del marciume, ma il sovrano aveva molte frecce all’arco e gli ha sbarrato la via.»
«Lo ha tirato dentro. È così?»
Amshula annuì, gli occhi lucidi d’angoscia. Rivisse ogni istante di quel giorno.
 
Namta aveva sbloccato il passaggio segreto e l’aveva trascinata nei sotterranei. Lo aveva seguito docile, ma la porta ferrata era stata sprangata e, quando la vista si era adattata, si era sentita perduta. I complici del re erano schierati lungo le pareti, indossavano le inutili maschere animalesche che puntualmente si strappavano per beneficiare appieno del suo corpo e la osservavano rapaci.
È la fine. Si sono riuniti per l’ultima volta, abuseranno di me e quando saranno sazi mi faranno a pezzi.
La medesima sorte di chi l’aveva preceduta: le spoglie erano state scaraventate nel fiume sotterraneo in omaggio ai pesci. Era stato il guaritore, Erasht, a raccontarglielo, la voce gelida e compìta mentre la possedeva con la snervante lentezza che aveva imparato a subire. Aveva promesso l’avrebbe sedata poiché lo aveva compiaciuto.
Nonostante il tuffo al cuore, si era rallegrata all’idea di morire. Se l’avessero inviata al tempio di Amathira, non sarebbe stata incolume dai ricordi, mentre il sommo Reshkigal l’avrebbe accolta nell’oblio eterno.
La prospettiva di divenire vestale è una menzogna volta a non annientare il barlume di speranza nella vittima. Nessuna è mai giunta laggiù.
Mentre le mani avide del re l’avevano denudata, aveva addentrato la coscienza nel nulla che la rendeva quasi insensibile alle violenze, ma un particolare aveva attirato la sua attenzione e l’aveva riportata al presente.
Tra le belve c’era uno sconosciuto: gli occhi erano laghi di tormento, le labbra erano serrate ad arrestare un percettibile tremito, il volto pallido esprimeva afflizione e non lussuriosa brama. Portava i capelli corti, una camicia bianca lacerata e i pantaloni grigi dell’uniforme minkari. Lo sguardo era sceso quando aveva incrociato il suo.
«Spogliatelo!» aveva comandato Namta.
Le grinfie spietate dei leccapiedi avevano snodato i legacci, scoprendogli il torace. Il giovane si era opposto, così gli avevano bloccato le braccia, puntato un coltello alla gola e avevano terminato di svestirlo a strattoni.
«Ti conviene stare calmo, vice comandante» aveva minacciato il re, sollevandogli il mento con scherno «Sai cosa avverrebbe se ti rifiutassi. Sei prestante, cerca di non concludere troppo presto. Provocare la mia noia sortirebbe le identiche, spiacevoli conseguenze di una ribellione e porterebbe i signori qui presenti a divertirsi altrove. Inutile ricordarti come e con chi.»
Lui aveva annuito impercettibile, un guizzo di rabbia gli aveva infuocato le iridi scure, ma quando lo avevano svincolato non aveva reagito. Solo i pugni serrati avevano confermato la silenziosa contrarietà.
Amshula aveva capito lo scopo della sua presenza e si era sentita sprofondare quando Namta le aveva puntato addosso l’indice.
«Quella è la tua preda, puoi sbattertela come ti aggrada. È attraente, ben disposta, sono certo che ti piacerà e ti soddisferà. Tuttavia non offenderti se non riuscirai a fare altrettanto, è nata frigida, non esiste passionalità o forza in grado di portarla all’orgasmo. Abbiamo scommesso varie volte, alzato la posta e l’abbiamo data ai più virili tra i miei uomini, eppure nessuno ha riscosso. Non è così mia cara?»
Lei era avvampata, come se non trarre diletto dalla coercizione fosse una colpa. Quel giovane non la desiderava, però avrebbe dovuto violarla e renderlo uno spettacolo, a sua volta sarebbe stata costretta a sedurlo per evitare di essere frustata a sangue. Un male minore rispetto all’idea di cagionare dolore a un’altra persona: le intimidazioni di Namta non erano teoriche, era capace di qualunque infamia e nessuno dei convenuti lo avrebbe intralciato.
Lo sguardo avvilito del soldato aveva espresso considerazioni simili, l’angoscia aveva sovrastato ogni emozione. Si era avvicinato al letto forzando ogni singolo nodo di probità, costringendo i propri princìpi prima del suo corpo indifeso.
Amshula era rimasta immobile davanti a un uomo che non esibiva frenesia fisica e che non riusciva neppure a guardarla in viso. Le fiaccole le erano sempre sembrate troppo fulgide rispetto a quanto accadeva in quel luogo abietto, eppure in quell’istante le erano apparse discrete, la penombra un’amica pietosa intervenuta a velare la degradazione di un altro innocente.
«Mi dispiace» il sussurro era uscito dalle labbra di lui come un singhiozzo, mentre si adagiava rigido sul materasso «Avrei voluto aiutarvi, non questo.»
Una commossa gratitudine le era scaturita da dentro con la spontaneità dell’acqua di sorgente. Gli si era avvicinata, colma di vergogna. Piangere le avrebbe procurato una feroce punizione, ma se gli avesse sussurrato all’orecchio, nessuno avrebbe eccepito. Avrebbero pensato a un gioco erotico, non a un dialogo.
«Fingete di volermi anche se vi ripugno» mormorò.
Lui aveva spalancato gli occhi e finalmente li aveva sollevati nei suoi: erano castani, profondi, inquieti.
«Disgusto solo me stesso. Sono prigioniero del mio orgoglio, la donna che amo soffrirà per mia responsabilità, perché non vi toccherò.»
«Salvatela, vi scongiuro. Fate ciò che è necessario e non pensate a me, so che è un lurido ricatto a costringervi.»
«Che ne sarà di voi?»
Amshula aveva emesso un sospiro, gli aveva passato le braccia intorno al collo e aveva percepito la sua tensione.
«Morirò. Non lasciate che accada con la pena aggiuntiva di aver condannato chi vi è caro. Avete un unico modo per scampare.»
«Scegliere di offendervi. Non voglio.»
«Senza esitare. Non ho alcun valore, alcun legame. Nessuno piangerà per me.»
«Non è così. Io vi conosco, vi ho scorta dolce e piena di sogni prima che vi rapissero, è stata la vostra scomparsa a spronarmi ad agire. E ora vi offrite in sacrificio per me. È inaccettabile.»
«Perdonate, la mia ingenuità ha causato sofferenza persino a voi.»
«Non attribuitevi responsabilità non vostre, mia signora.»
«Siete il primo a rivolgervi a me con rispetto. Il vostro nome?»
L’ufficiale lo aveva mormorato tra le ciocche sciolte dei suoi capelli, unito al proprio inconsolabile dolore. Aveva restituito l’abbraccio poiché sapeva che li stavano guardando, che ogni esitazione gli sarebbe costata cara, se si fosse fatto ammazzare avrebbe condannato lei a nuove sevizie e sottratto alla fidanzata ogni speranza.
In quella stretta gentile, Amshula aveva cercato di convincerlo della propria futilità, invece lui aveva espresso con forza il contrario.
«Non ditelo mai, siete una donna virtuosa. Concentratevi su chi vi ama più d’ogni cosa, non sminuite tali sentimenti.»
«Nessuno mi ama.»
«Fatelo voi con voi stessa o il vostro spirito accetterà le catene. Non rinunciate.»
Lei aveva occultato il turbamento, gli aveva baciato il petto e il ventre, seguendo sino all’inguine la linea sinuosa degli addominali, certa che se non avesse scatenato la sua reazione fisica, Namta avrebbe posto fine al tempo e messo mano alla sferza.
Il soldato aveva ceduto al tocco intenso della sua bocca: si era sentita la peggiore delle sgualdrine, una ladra, un essere privo di dignità e non era riuscita a trattenere le lacrime. Con garbo lui l’aveva voltata sulla schiena, avvampando nel realizzare la propria eccitazione. Si era convinto di non vantare alcuna opzione. Anziché salvare una donna ne avrebbe condannate due, inoltre il mormorio scontento dei convenuti era incrementato, segno dell’esaurirsi della pazienza. Le aveva asciugato le guance senza farsi scorgere dal re.
«Chiudete gli occhi. Immaginate quanto di più bello.»
«Allora li terrò aperti e vi guarderò, se lo concedete.»
Il giovane aveva appoggiato la fronte alla sua, celando un sorriso dolce e triste.
«A costo che mi vediate piangere.»
Le mani nelle mani, i pensieri sconvolti, avevano consumato il rapporto chiedendosi perdono a ogni sospiro, frenando le carezze per non renderle vere se non agli sguardi smaniosi dei loro spettatori. Era stato angosciosamente bello, ma la paura non le aveva permesso di lasciarsi andare sino in fondo.
Quando la natura aveva compiuto il suo corso, lui si era accasciato al suo fianco e non aveva sciolto l’intreccio delle dita celato sotto le coltri spiegazzate. Aveva obbedito, si era piegato al ricatto, ma non aveva perso l’integrità e in quel gesto aveva ribadito la considerazione per l’essere umano che gli era accanto.
 
«Quel ragazzo è sottostato alle minacce per difendere l’amore della sua vita, ma non ne è uscito con la dignità intaccata. Anzi, è stato d’esempio.»
Eskandar si sollevò su un gomito, un’increspatura incuneata tra le sopracciglia.
Non sto forse agendo come quell’ufficiale per la salvezza del mio principe?
«Com’è finita, i vermi sono stati ai patti?»
«Dopo averlo compromesso, Namta lo ha nominato capitano della guardia reale.»
«Legato a doppia mandata: se avesse denunciato gli abusi, sarebbe apparso tra i colpevoli e il suo avanzamento di carriera sarebbe risultato un favore. Molto astuto.»
«Disumano. Serbare un segreto del genere è devastante per chi è puro di cuore. Occuparsi della protezione del re, conoscendo la sua scelleratezza, è un ulteriore supplizio per la coscienza.»
«A quando risale l’episodio?»
«Una quindicina d’anni fa. Perché?»
«Per attestare che l’oltraggiata coscienza non gli ha permesso di vendicarsi di tuo marito. Avrebbe avuto tutto il tempo per sviare i sospetti.»
«Ti pare strano che qualcuno non versi sangue per passatempo?»
Il reikan la fissò a occhi socchiusi, come se avesse inteso più del riferito.
«No» sogghignò «Però mi piacerebbe sfidarlo a duello. È un modo per comprendere se si tratta di un’eccezione.»
«Fatti bastare la mia versione.»
«Mi incuriosisce, non ho affermato di volerlo uccidere.»
«Arriveresti tardi. È già morto.»
 

 
Azalee si materializzò sul lembo dell’abisso primigenio e scrutò le profondità turchine. Non possedeva la Chiave Oceanica, da sola avrebbe smarrito la strada e sarebbe rimasta laggiù per sempre.
Ma l’apeiron non era solo il chaos inviolabile, era la sorgente della consapevolezza e lei era acqua, come una delle costituenti. Era amore disperato e anelava la quiete come un essere vivente l’ossigeno: forse l’infinito divenire l’avrebbe accettata, forse l’avrebbe condotta da Belker o forse si sarebbe riunita al pan-theon, perdendo l’identità nel tutto.
Così lui smetterà di uccidere.
Il pensiero volò a Kalemi, seguito da una fitta di dispiacere. Si sarebbe tormentato, attribuito ogni genere di responsabilità, avrebbe dovuto plasmare un’altra dea della Pioggia e sarebbe stato straziante ogni volta che le gocce sacre avrebbero dissetato i mortali. Però scomparire era la scelta corretta, l’avrebbe capita e perdonata.
Azalee si lasciò cadere nell’inesauribile.
 
Manawydan ebbe un sussulto che lo distolse dalla sorveglianza alla piramide. Balzò in piedi, l’aura divina riverberava all’impulso disturbante che fendeva l’apeiron.
«Non può essere!»
Riconobbe l’essenza fluttuante nell’abisso e impietrì. Decise un infinitesimo dopo, lanciandosi nel chaos con la Chiave al polso. L’istinto gli suggerì di vagliare la possibilità di un inganno studiato da Belker per eludere caccia di cui era oggetto.
Respinse l’idea, perlustrò le pieghe dell’abisso, inoltrando il potere nei recessi con la speranza che quello di Azalee – simile per elemento – rispondesse all’impulso.
Ne rinvenne la traccia, ma di lei nessun indizio. Non poteva essersi disgregata neppure con l’intento di perdersi in eterno, poiché la riunione al principio richiedeva una prolungata stasi.
Le vestigia sono esigue, è transitata ma non si trova qui.
Tornò al punto di partenza carico di dubbi. Impossibile sparire laggiù e soprattutto sfuggire al suo sguardo di Immortale sovrano, condizione che si era verificata una volta di troppo con la questione posta in essere dal dio della Battaglia.
Pare che tutti entrino ed escano a piacimento in barba al sottoscritto!
Nonostante la collera mantenne il sangue freddo: sguainò la spada nera e mosse la sostanza che lo circondava, originando una lenta spirale. Le volute acquisirono velocità, risalirono le profondità e s’inanellarono in un vortice che esplose dall’oceano in verticale, consegnando il messaggio a chi di dovere.
 
Belker riprese corpo all’interno della piramide, i riflessi di cristallo rosso sul volto corrucciato. Aveva il respiro lievemente accelerato per lo sforzo e per la velocità con cui lo aveva compiuto. Serrò le labbra e sollevò il capo, la chioma fradicia appiccicata alle guance e al petto, la veste bruna intrisa di liquido primordiale.
Le epharat si inginocchiarono al suo cospetto, restituendogli la vitalità andata in fumo nell’atto contrario al divenire. Le ignorò.
Gli occhi di bronzo si posarono sulla donna che reggeva tra le braccia, velandosi di una dolcezza eccezionale rispetto al cipiglio che lo connotava. Dissolse la barriera con cui l’aveva ammantata e le trasmise l’ergon, arrestandosi quando il passaggio lo fece vacillare.
Non rispose al rumorio costernato delle adepte e si ritirò nelle sue stanze.
   
 
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