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Autore: DarkYuna    16/01/2023    0 recensioni
"Ti amerò fin quando anche l’ultima stella non diverrà ghiaccio ed allora sarà la tua luce a guidarmi nell’infinito.".
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Don’t break my heart.
Crush it.
Destroy it.
Let me wallow it until I feel hollow in it.
I’ll bash in the pain.
I’ll scream your name and then one day I suddenly won’t.”
― Dominic Riccitello
 
 
 
 
 
 
 
 
 
È tutto come era nelle trame soffuse delle memorie, sono io a non essere ciò che avevo giurato agli albori.
Una magione desueta nella penombra del vespro, avviluppata da corposa bruma ghiacciata, depravata da vecchi spettri che non mi hanno mai abbandonata davvero. Sono tutti qui a rammentarmi lo stato di perfetta estasi che ho smarrito molti anni or sono. Rampicanti ghermiscono come mani ossute la pietra gelida e smussata dell’abitazione; le statue femminili logorate dalle epoche sussurrano favole raccapriccianti nel lamento di un vento irrequieto, sono i guardiani immobili di un giardino degli orrori.
Il mio cuore abulico lacrima cremisi e memorie mai obliate.
Voglio tornare a quel passato solo per un attimo, per assaporare di nuovo lo stato di grazia celeste per la quale sono stata condannata all'inferno. Ho venduto me stessa per un’estasi mistificatoria.
Vi era speranza nelle vene, ora così inaridite, e l’anima era un sole di mezzanotte, disposta a rinunciare alla vita, poiché innamorata della morte. Rimangono solo disgrazia e macerie, angoscia per un’esistenza non più tale ed io, Regina decaduta di un mondo perverso.
Mi era stato promesso un regno. Sì, ma un regno di sangue in eremo.
L’amore non è gentile: mentono. L’amore ha fatto di me la creatura rotta che cammina sol nella notte, fino alla fine dei tempi.
Umani attraversano la mia strada, nella noia incessante di ciò che non muta, solo il mondo cambia, non io, che sono perenne per l’eternità. Nascondo me, dietro a finzioni per abbeverarmi di una vita che non ho più e intanto sopravvivo nel vuoto persistente del nulla. Non c’è niente, tranne la notte.
Lui.
Lui mi ha condannata a ciò.                
Ed io ho trangugiato la mia condanna in un calice elegante d’oro e rubini, ma era solo una condanna mascherata da pizzi e merletti, una bugia al profumo di rose corvine, con la quale fregio il sepolcro dove non potrò mai riposare.
Il suono funesto ed affranto di un grammofono prende piede nell’oscurità del cimitero dell’anima, mormora reminiscenze passate, ero lì con gli occhi di luce che non contemplava altri che colui che ha usurpato la carne e corrotto lo spirito, fino all’ultimo anelito.
E poi cosa è rimasto di quella creatura diurna spinta a tradimento nelle tenebre, da un sentimento così insidioso? Non puoi amare chi ha contaminato se stesso nelle spire del tempo, alla fine, tutti, prima o poi, verranno distrutti dallo scorrere dei secoli sempre tutti troppo uguali. Un terribile giorno apri gli occhi e non vi è più nulla da scorgere: hai già visto tutto. E alla fine ti svuoti. 
È un cerchio infinito concepito da parallelismi che indossano abiti eleganti differenti a seconda delle epoche, ma sotto gli strati di tessuti il marcio è il medesimo. Mutano le esteriorità, in verità nulla cambia mai.
Accedo al mio frammento di paradiso decadente, sistemato da sconforto incessante, buio imperituro, felicità sbiadite, amore consumato dall’intolleranza, al centro dell'inferno stesso.
Negli evanescenti muri sguarniti vi è rammendato a sangue un passato troppo presente, vago solitaria nel gelido marmo polveroso, i riflessi di una luna pallida rischiarano il cammino tetro. Inseguo la musica, replica di ciò che è già stato… la prima volta mi ha condotta alla morte, stavolta mi incanalerà alla vita.
Il profumo gelido di boccioli invernali è un’attrazione fatale, pungola rovine che s’allignano sul fondale, lui era la mia favola oscura, ed io una protagonista deviata, assieme ci siamo limitati a recitare un melodramma dal tragico finale.   
Qui nel limbo tra sogni ed incubi ci ritroviamo, il passato ed il presente convergono in un’unica marea, si mescolano in un connubio di amore e morte, le cicatrici bruciano mentre scorgo i contorni adombrati della figura immobile al centro del salone, accomodata elegante su un seggio barocco.  
È impossibile comprendere il fremito sotto pelle, il coltello che scarnifica a fondo al centro del torace, è uno scanalare scosceso nell’oscurità, è lì che l’amore si genera: nel buio. Perché l’amore è ferocia arcana, dilania e contamina, distorce la realtà e ti sventra, lasciandoti agonizzante nella tomba. È un costo oneroso da saldare, lo paghi con dolore, lacrime ed un frammento della tua anima.
Cento anni non hanno potuto nulla, lo amo più di quanto chiunque dovrebbe amare qualsiasi cosa, quel tipo di amore che ti salva o ti uccide, ne sono impregnata dalla testa ai piedi, una melma corvina che recide la carotide e non lascia scampo.  
Una delle più grandi bugie di questo ributtante mondo con la quale ti rimpinzano è che l’amore ti rende libero, invece io sono qui, in un vincolo coercitivo, dinanzi a colui che mi ha resa prigioniera e che ha scagliato la chiave nelle profondità dell’oblio.
Lui giace nell’oscurità e conosce già i miei intenti.
<< Niente è più inabitabile di un luogo in cui siamo stati felici. >>, sostiene la scura voce di fuoco nero. Il volto affilato affiora dalle ombre, le iridi di smeraldo rifulgono come tizzoni ardenti, i zigomi incavati offrono un incarnato cereo marcato, sino a tramutarlo in una creatura orribilmente bellissima. Degusta centimetro dopo centimetro un  corpo sconsacrato dall’indulgenza di un Dio impostore e sono di nuovo viva e tangibile lì dove lui esamina ammaliato. << Ma io e te non siamo fatti per la felicità, mia cara. L’odio ha permesso ciò in cui l’amore ha fallito: tenerti in vita. >>.
Un sorriso sferzante si anima di acredine e rancori, sono tutti stipati gli uni sugli altri in questa vecchia stanza, colmano il vuoto a perdere che tracima gli argini e rende il dolore oneroso. Una farfalla in fiamme insidiata dalla truffante luce perversa, che non sa dire “no” al suo carnefice, ma più mi avvicino, più la sofferenza accresce.
<< Sbagli: io sono già morta. Ma tu sei riuscito ad uccidermi, pur tenendomi in vita, per patire come l’amore potesse farmi anelare una pace che mi hai strappato. >>.
Annuisce soltanto, piega innaturale la testa da un lato, tra riflessioni cupe e parole interrotte, poi, come se non fosse più in grado di stare fermo nelle propria ossa, balza fluido in piedi e si arresta alla finestra.
<< Torni a me come un male necessario che credevo in remissione, un cancro dolcissimo che viene a terminare ciò che non è riuscito la prima volta. >>. Con un gesto virulento lacera parte della camicia nera sul torace, lì dove sotto strati di pelle, muscoli e sangue un cuore di tenebra ristagna; i bottoni tintinnano musicali sul marmo, un piccolo canto funebre prima della fine. Gli smeraldi mi esortano nel crepuscolo, una parvenza di vigore in carne putrida, un terminale certame che accende colui che non vive, non respira, non esiste. << È qui che devi trafiggere, amore mio. Ma bada a non indugiare, i miei demoni potrebbero incatenarti nuovamente a me: avrai abbastanza forza per il tuo peccato? >>. Efficiente paroliere, qualificato nell’antica arte della manipolazione, ma sono già soggiaciuta al dominio virulento dei vocaboli vacui: ho appreso la più spietata delle lezioni dall’insegnante peggiore.
<< Ho avuto la forza di amarti. Ucciderti sarà la mia redenzione. >>. Sfilo il pugnale d’argento ancorato alla cintola, la lama affilata è fregiata da bassorilievi arzigogolati, scintillano nel silenzio inclemente dell’argentea luna. Con un suo dono gli tolgo la vita.
Avanzo volitiva, un corteo nubiloso costellato da reminescenze, le memorie sgorgano ora a pregare di amnistiare colui che mi ha resa immortale, ad ogni passo la fede indistruttibile si disgrega in inconsistente polvere bigia e mi ritrovo faccia a faccia con il dispensatore di morte e sangue, sazia di remore e pentimenti. L’amore soffoca, stringe numerose dita fantasma e attanagliano privi di misericordia il collo esile. 
La mano brandisce lo stiletto affilato, è sospeso brancolante nel buio nella sentenza di trapasso, lui l’afferra solerte e conduce la punta sul costato pallido.
<< Ci sei quasi amore mio, non esitare. >>. Lambisce virtuoso il viso contratto a tal punto da essere prossimo a sbriciolarsi. Gli occhi adorni da dannazioni e misericordie, di un amore che non avrà termine neppure all’inferno dove troverà infine l’infelicità bramata. <<  Ti amerò fin quando anche l’ultima stella non diverrà ghiaccio ed allora sarà la tua luce a guidarmi nell’infinito. Ci ritroveremo ancora mia cara, e sarà dolcemente atroce quanto questo commiato che non vuoi concedermi. >>.
Le parole sono vestigia di vanità, procrastinano un congedo già legiferato da empi venture recise, sono certa di essere ora carente di quell’ardimento crudele di troncare una vita in più, eppure concretizzo il verdetto come un musicante opera la più lancinante delle armonie.
Singhiozzo mentre la lama affonda con un grottesco suono di carne squarciata, il cremisi zampilla a contrasto sulla pelle di marmo, il pugnale si fa strada nella struttura densa, spalanca uno squarcio e da lì ne strappo fuori il cuore, ma non è lui che ho appena ucciso, sono io ad essere per sempre morta in questa infausta notte. Privato dell’ultimo brandello di linfa, il corpo ricade su se stesso, in un tonfo sordo che echeggia sulle pareti oltraggiate di un tempio profanato da un amore efferato.
Svuotata da ogni umanità, divoro l’organo muscolare che diviene cenere di diamante in gola e dilania l’anima.    
Un tempo inclemente transita lento, non v’è alcuna conversione in me, fisso sconcertata il cadavere di colui che amo, resto creatura di tenebra, non vedrò più la luce del sole e neppure l’amore tornerà a me.
Il martirio è stato vano, non basta uccidere chi mi ha reso mostro per camminare di nuovo tra i mortali, e adesso lo so, non v’è più alcuna liberazione per me, né in cielo e né in terra e fino alla fine delle ere il mio crimine sarà la pena che non consentirà salvezza.
<< Ci ritroveremo amore mio, perché io sono luce e tu inferno. >>.








Note:
Dopo duemila anni riscrivo in questa sezione, ispirata dall'ultimo CD di Ville Valo e dai suoi ultimi video musicali.
E' davvero una mini OS senza pretesa, un po' strana, con un linguaggio molto particolare, di un amore tragico tra due vampiri, con mortale epilogo. 

Il titolo della ff è preso da un fenomeno psicologico che porta le persone a ripetere delle situazioni che causano loro sofferenza. In genere, con un ritorno a relazioni passate dolorose che non sappiamo lasciare andare: la dipendenza affettiva. 
Le farfalle sono fortemente attratte dalla luce emessa da una fiamma, ma più si avvicinano, più la loro sofferenza aumenta. Ma questa sofferenza non impedisce esse di vedere la fiamma come uno stimolo allettante.

 

La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta.

 

Un abbraccio.
DarkYuna.


 
  
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