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Autore: Kanako91    18/01/2023    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte II. Il capitano - Capitolo 4. L’ombra del tempo




Nomi utili:

Ciryandil: secondogenito di Tar-Ciryatan
Ciryatan: dodicesimo Re di Númenor, marito di Nenilde, padre di Atanamir (canon) e Ciryandil
Nenilde: moglie di Ciryatan, madre di Atanamir e Ciryandil. Scrive componimenti poetici erotici sotto lo pseudonimo "Ciryanilde"
Tar-Minastir: undicesimo Re di Númenor, padre di Ciryatan, figlio di Isilmo fratello di Telperien (canon)
Hallariën: moglie di Minastir, madre di Ciryatan
Tar-Telperien: decima Regina di Númenor, zia di Minastir (canon)
Atanamir: tredicesimo Re di Númenor (canon), fratello maggiore di Ciryandil, figlio di Ciryatan e Nenilde, padre di Ancalimon e Loténië
Aldarian: nobildonna númenóreana, amante di Ciryandil
Lotérian: moglie di Atanamir, madre di Ancalimon e Loténië
Ancalimon: quattordicesimo Re di Númenor (canon)
Loténië: secondogenita di Atanamir e Lotérian, sorella minore di Ancalimon




4. L’ombra del tempo




Quando il messaggero númenóreano raggiunse Ciryandil, lui temette per il peggio.

Si era impegnato ad aggiornare i suoi genitori sui suoi spostamenti, ma il terrore di poter ricevere messaggi troppo tristi o gravi per la distanza che lo avrebbe separato dalla madrepatria gli aveva fatto rivalutare quella decisione.

Se i primi messaggi erano stati più sul matrimonio di suo fratello –data fissata, richiesta la sua presenza– e sulla nascita dei suoi due nipoti, quel messaggio era stato scritto dal pugno di suo padre.


Figlio mio,

Non so se sei di ritorno o se questa lettera ti troverà ancora in viaggio, ma ho preso la decisione di lasciare lo Scettro.

Nel giro di sei mesi da queste parole, potresti trovare lo Scettro in mano a Tar-Atanamir.

Portagli dalla Terra di Mezzo qualcosa di degno del nuovo regno.

Con tutto l’amore che ti porto,

Tuo padre


Ciryandil sollevò lo sguardo sul messaggero, come se potesse dirgli qualcosa di più, ma sapeva che era inutile.

Erano passati più di sei mesi dalla data della lettera. Suo padre non era più Re di Númenórë.

Ma soprattutto, suo padre si considerava così vecchio da dover lasciare lo Scettro ad Atanamir.

Quella era la cosa più difficile da accettare. Suo padre non era vecchio, o almeno non lo era stato quando Ciryandil lo aveva lasciato. Per lui, suo padre non poteva davvero invecchiare. Dopotutto erano secoli che aveva avuto sempre lo stesso aspetto, sempre la stessa prontezza fisica e mentale, la sola idea che di colpo tutto quello fosse venuto meno era... sconfortante.

E impossibile da immaginare.

Ciryandil stesso non si era visto cambiare molto una volta raggiunta la maggiore età ed era passato così tanto tempo da allora, erano successe così tante cose in mezzo, che era un ricordo sbiadito.

La vecchiaia era un male per la gente che abitava la Terra di Mezzo. Per coloro che non erano stati benedetti dalle gesta dei propri avi.

La morte prematura era una sciagura che poteva capitare se si andava all’avventura nella Terra di Mezzo, ma a Númenórë?

Eppure...

Ciryandil ricordava il Noirinan alle pendici del Meneltarma, quella città silenziosa che ospitava i corpi dei Re e delle Regine di Númenórë, e intorno le loro famiglie.

Il posto in cui anche lui avrebbe riposato un giorno.

Ma era una possibilità così remota nella sua testa, che non aveva mai perso tempo ad andare a visitare le tombe, per quanto Atanamir gli avesse spesso raccontato cosa ci era andato a fare e cosa aveva visto. Molti erano stati racconti dell’orrore mirati a farlo spaventare, quando era stato ancora un bambino, e più avanti erano state provocazioni per il semplice gusto di punzecchiarlo su un fianco che Ciryandil non si era mai accorto di avere scoperto.

Poteva restare ancora lì a rimuginare sulla lettera di suo padre, ma Ciryandil era un uomo di azione sempre e comunque.

Così diede ordine di tornare indietro, nella madrepatria, lo Yôzâyan dei loro avi, dove gli antenati di tutti loro riposavano.

Quando tutto fu pronto per la partenza, si imbarcarono per sfruttare la brezza di terra per prendere il largo. Spinto da uno strano impulso, Ciryandil si voltò verso il porticciolo nell’insenatura abbandonata.

Tra le rocce e le onde del mare, gli parve di vedere una figura piccola e scura che li guardava allontanarsi.

Con un brivido tornò a rivolgersi al mare aperto ma, quando poco dopo gettò un altro sguardo a riva, la figura non c’era più.

La mente gli giocava brutti scherzi.


* * *


Atanamir –no, Tar-Atanamir– gli diede il benvenuto con i gioielli reali ad adornargli collo, braccia e perfino le caviglie. In parte erano il bottino dei viaggi di Ciryandil e suo padre, in parte erano l’eredità dei precedenti sovrani e dei matrimoni reali, che avevano portato gioielli di origine elfica nel tesoro di Armenelos.

Al fianco di suo fratello, c’era il figlio Ancalimon, ormai adulto, che sembrava una versione più giovane e meno ingioiellata del padre.

Da dietro Atanamir spuntò la secondogenita, Loténië, con un sorriso che ricordava quello di Ciryatan quando tornava dalla Terra di Mezzo. Quel sorriso di qualcuno che sapeva un segreto che lo divertiva molto.

Atanamir le prese la mano e si scambiò un sorriso con lei, come se fosse la luce dei suoi occhi in formato giovane donna.

«Non mi aspettavo di trovare entrambi i miei nipoti a darmi il bentornato».

Ancalimon abbozzò un sorriso che aveva tanto di suo padre, nonostante fosse troppo giovane per avere la stessa aria annoiata di Atanamir.

Loténië, invece, sorrise mostrandogli tutti i denti e le fossette sulle guance. Non era una sorpresa che il padre la adorasse se era quello il modo in cui reagiva alle attenzioni altrui. Atanamir amava chi gli mostrava la stessa attenzione che lui sentiva di meritare.

«Per compensare una certa assenza» disse Atanamir e gli andò incontro a braccia aperte, come se fossero stati ancora i ragazzi del suo primo viaggio nella Terra di Mezzo.

Nonostante tutto, Ciryandil gli andò incontro e gli avvolse le braccia intorno, per poi sollevarlo da terra. Atanamir sopportò il gesto con l’entusiasmo di un gatto, le gambe e le braccia irrigidite finché non tornò con i piedi per terra.

«Non vedo l’ora che tu sia così vecchio da avere problemi di schiena».

Probabilmente a quel punto Atanamir sarebbe stato ancora più vecchio, se non proprio lontano dal mondo. Ma Ciryandil non diede voce a quel pensiero, perché era bastata la sua fugace comparsa nella mente per incupirgli l’umore.

Come se il sottinteso nell’assenza di Ciryatan non fosse stato sufficiente.

«Come sta nostro padre? La decisione di lasciare lo Scettro è stata piuttosto improvvisa, mi sembra».

«Così come lo è stata la perdita di forze» disse Atanamir, con aria grave, le mani dietro la schiena.

Ripresero a camminare, superando Ancalimon e Loténië che parlottavano tra loro, per incamminarsi verso i cavalli al fondo del molo.

«Cosa gli è successo?»

«Un giorno, dopo una seduta del Consiglio, ha avuto un mancamento appena messo piede fuori dalla sala. Puoi immaginare nostra madre come l’ha presa».

Poteva. Ed era preoccupato il doppio.

Se fosse successo qualcosa a Ciryatan, Nenilde ne avrebbe fatto una malattia e non sarebbe stato strano dover celebrare due funerali in poco tempo.

Infatti, Atanamir gli confermò che la madre stava già preparandosi a dire addio a quel mondo.

«Si sono ritirati a Nindamos e stanno facendo entrambi i malati. Passeggiano in riva al mare al mattino, finché è fresco, ma poi passano il tempo in casa, semidistesi, con servitori che fanno loro massaggi per dolori articolari più o meno immaginari.

«Nostro padre è invecchiato a tutti gli effetti, ma nostra madre si sta rammollendo per la melancolia, non per altro».

«Non possiamo farci niente, per lei».

«Lo so. È solo che potrebbe vivere almeno una ventina di anni più di lui, visto com’era in salute prima del malore di nostro padre, ma è determinata a restare al suo fianco in tutti i sensi. Mi sembra uno spreco di tempo.

«Già è assurdo che, dopo quello che abbiamo fatto ben due volte per la Terra di Mezzo, dobbiamo ancora combattere con qualcosa come la vecchiaia e la morte. Questa seconda volta non ci sarebbe stato neppure bisogno del nostro intervento!»

«Se Tar-Telperien ha ritenuto necessario che intervenissimo–».

«Oh, lo ha fatto per motivi personali, e per levarsi dai piedi nostro nonno. Non c’era alcuna ragione per intervenire, fidati, ho letto le corrispondenze private dell’epoca e anche il parere di alcuni storici, e tutto mi dà ragione».

Che tutti dessero ragione ad Atanamir era come dire che il sole sorgeva a Est. Ma Ciryandil non era così d’accordo. Dopotutto se il nemico avesse spazzato via tutti gli altri abitanti della Terra di Mezzo, per Númenórë sarebbe stato un problema stabilire le proprie colonie.

Le divisioni che regnavano oltremare erano perfette per accrescere il loro potere. E quello interessava a Ciryandil.

Raggiunti i cavalli, montarono in sella. Erano finalmente abbastanza vicini alla folla che si radunava ad ogni partenza e arrivo, che Ciryandil dovette interrompere la chiacchierata col fratello per salutare e ringraziare per le benedizioni.

Quando si lasciarono alle spalle la piazza del porto, tornò la calma sufficiente per scambiarsi ancora qualche parola.

«Vorrei andare a trovarli» disse Ciryandil. Non era necessario specificare chi.

«Vai, magari ridarai loro un po’ di spirito» disse Atanamir. «Sono lì, nel loro mondo peggio di prima, e nemmeno la vista dei loro nipoti sembra entusiasmarli. Spero che rivedere il tuo brutto muso li rianimerà abbastanza da dargli una svegliata».

Ciryandil non ci contava molto.


* * *


Ci volle un po’ più di quanto si aspettasse per ricevere il permesso dei suoi genitori di andare a visitarli. Ma quando li raggiunse nella villa sul mare fuori Nindamos, Ciryandil comprese appieno quanto Atanamir avesse cercato di limitare il catastrofismo.

Ciryatan sedeva su una poltrona con le ruote, i capelli ormai del tutto bianchi e la pelle macchiata dagli effetti del sole che aveva preso navigando. Si era trasformato soprattutto il volto, segnato da linee profonde agli angoli degli occhi e intorno alla bocca, come se stesse pagando ora il conto delle risate che si era fatto. Pur non avendo mai visto il nonno prima della morte, Ciryandil poteva immaginare che lui avesse avuto sul viso i segni della piega severa della bocca e della fronte sempre corrugata.

E lui? Quali segni avrebbe portato?

La sola idea gli faceva venire la nausea. Forse perché era davanti a suo padre in quello stato e vederlo così debole e fragile gli ricordava che poteva viaggiare e conquistare tutte le terre che voleva, ma un giorno tutto sarebbe finito. Il suo stesso corpo lo avrebbe tradito e sarebbe giunta la tenebra eterna.

Perché non potevano fargli credere che sarebbe andato chissà dove, fuori dalle cerchie di questo mondo, e che sarebbe stato meglio di quel che avevano. Altrimenti gli Elfi sarebbero stati direttamente là.

E invece, prima di perdere tutto per sempre, dovevano passare dall’umiliazione della vecchiaia. A meno che non si facesse ammazzare in battaglia.

Ma Ciryandil non aveva alcuna intenzione di morire tanto presto.

Un servo posizionò la poltrona mobile di Ciryatan sulla veranda che dava sul mare e poco dietro arrivò Nenilde, reggendosi a un bastone con la testa a forma di conchiglia di nautilus, su cui stringeva la mano, come se allentando un po’ la presa sarebbe finita a terra.

«Figlio mio» disse Ciryatan, con un sorriso che increspò ancora di più la superficie del suo viso.

Nenilde prese posto sul sofà di fianco al marito e una serva accorse a sistemarle un poggiapiedi sotto i talloni e rassettarle la veste sulle gambe.

«Stai sempre bene, vedo» disse sua madre. «Mi fa piacere».

Non posso dire lo stesso di voi.

Lasciò aleggiare quella risposta, senza trovare il coraggio di pronunciarla ad alta voce.

Ma non per molto. Chiese loro cosa facevano, come passavano il tempo, evitando sempre la domanda sul loro stato di salute. Non voleva obbligarli a rispondere e, forse, non voleva obbligarsi a sentire risposte che non gli sarebbero piaciute. Chiunque avesse occhi per vedere sapeva darsi una risposta.

«Hai visto come sono cresciuti bene i tuoi nipoti?» disse Nenilde. «Penso che Loténië troverà presto marito».

«Non è un po’ giovane?» Si stava avvicinando ai cinquant’anni, sì, ma Atanamir si era sposato molto in là con l’età. E Lóterian stessa lo aveva sposato che era stata una donna adulta.

«Molte sue coetanee stanno già iniziando a finalizzare contratti matrimoniali» disse Nenilde.

«Essere una principessa dovrebbe permetterle di aspettare più a lungo, a meno che non sia lei a desiderare già il matrimonio».

«A quel proposito–» iniziò Ciryatan.

«A questo proposito, sì: tu quando hai intenzione di sposarti?»

Intendi farlo finché siamo ancora vivi?

Intendi darci dei nipoti finché riusciamo a vederli?

Altre parole non dette, ma di cui tutti e tre sentivano la presenza silenziosa. Quel cambio di argomento non era stato granché. Forse sarebbe stato meglio indagare sulla volontà di Loténië di sposarsi.

Perché quella giungeva come una sorpresa. Faticava a vedere la cocca di Atanamir con un altro uomo, si sarebbe aspettato che lei rimanesse al suo fianco il più possibile. Ed era curioso di sapere chi avesse distolto l’attenzione di sua nipote dal padre che adorava.

Già solo per quello doveva essere qualcuno di straordinario.

«Non c’era quella giovane con cui ti accompagnavi sempre? La figlia dei signori di Orneros?» disse Nenilde, le sopracciglia inarcate.

Sua madre non si era mai molto interessata della politica di corte, men che meno dei pettegolezzi di cui quella politica si alimentava. Se lo avesse fatto, avrebbe saputo già che Aldarian era sposata, con un signore dell’Orrostar che, per quanto Ciryandil ne sapeva, era più semplice da gestire mentre lei faceva di fatto la Signora di Orneros, in assenza di un parente maschio abbastanza adulto da poter prendere la carica.

Faceva sedere al consiglio il marito, ma era lei a comandare, gli era chiaro.

«Non ha mai accettato una mia proposta, madre» le disse, nonostante gliene avesse fatte tre, tra un viaggio e l’altro.

Aldarian aveva dato a tutte la stessa risposta:

«Me lo stai chiedendo solo perché sei abituato a me. Non mi vuoi davvero in moglie: ti delude da morire che io non condivida il tuo entusiasmo per i tuoi viaggi e prima o poi te ne risentirai. Trovati una donna più giusta per te, Ciryandil. Non ti manca nulla per averla».

Aldarian aveva avuto ragione: lui voleva una donna che capiva la vita che faceva e lo apprezzava per questo. Lei non corrispondeva a queste caratteristiche né faceva nulla per sembrare adatta al ruolo, nonostante essere la moglie di un principe del sangue fosse molto desiderabile.

L’aveva apprezzata per quella sincerità, era la ragione per cui era sempre tornato da lei, nonostante altre nobildonne col gusto per il rude marinaio spuntassero ogni tanto e gli facessero sapere che erano interessate. E sapeva che Aldarian anche lo apprezzava perché poteva esserci tutta quella schiettezza tra loro, senza il rischio che l’ego di uno dei due rimanesse ferito.

Avevano chiaro cosa erano e cosa si aspettavano l’uno dall’altra e quello bastava.

Anzi, col tempo Ciryandil aveva pensato che quella potesse essere una solida base per un matrimonio: lui le avrebbe dato tutta l’influenza e la ricchezza che veniva dal suo ruolo di principe e Signore dei Porti, e lei gli avrebbe prestato il suo grembo un paio di volte per avere la discendenza che ci si aspettava da lui. Per il resto, sarebbero stati liberi e schietti come lo erano sempre stati.

Ma Aldarian non lo aveva trovato abbastanza. E neppure Ciryandil, se si fermava a pensare per un attimo, lo trovava abbastanza.

Mettere i suoi genitori a parte di tutto questo ragionamento? Non era il caso.

«Che peccato» disse sua madre. «Eravate sempre insieme».

Quando ero a Númenórë, sì.

Ma anche quello non era necessario dirlo. Dopotutto stava parlando con una donna che aveva sempre avuto un rapporto intensissimo col marito nonostante lui fosse spesso per mare.

Dal suo punto di vista, probabilmente, il rapporto tra lui e Aldarian era simile a quello tra lei e Ciryatan.

Avrebbe dovuto essere nella loro camera da letto per sapere la verità, ma per fortuna non era successo né sarebbe mai capitato.

«Non ti preoccupare, troverò qualcuno prima o poi».

Nenilde abbozzò un sorriso. Non sarebbe stato abbastanza in fretta per esaudire il loro desiderio. Non sarebbe stato abbastanza neppure se, tornato ad Armenelos, avesse sposato la prima donna nubile che gli fosse capitata davanti e si fosse impegnato a ingravidarla.

Ciryatan guardava il mare e non era del tutto chiaro se stesse seguendo i loro discorsi o meno.

Forse no, forse sì. Fatto stava che si rivolse a lui durante il primo momento di silenzio, fissandolo con gli occhi azzurri più luminosi del solito.

«Dimmi, figlio, cosa stai trovando nella Terra di Mezzo?»

Erano usciti dalle sabbie mobili.

Ciryandil sorrise e iniziò a raccontare.


* * *


Il Noirinan era silenzioso mentre quattro servitori portavano a spalle la cassa in cui riposava Ciryatan. A poca distanza, seguiva quella di Nenilde, che aveva aspettato solo un giorno prima di seguire il marito nel sonno eterno.

«Hanno un sarcofago largo il doppio, per starci entrambi» gli aveva spiegato Atanamir, dopo avergli dato la notizia della morte della madre. «Forse è meglio che sia andata così».

Erano stati entrambi alla casa sulla costa di Nindamos, chiamati lì da Nenilde pochi giorni prima della morte di Ciryatan con un messaggio semplice, scritto con mano tremula:


È ora.


Così Ciryandil ed Atanamir li avevano raggiunti, per passare gli ultimi giorni al loro fianco. C’era stato Ciryandil al capezzale di suo padre quando aveva tirato l’ultimo respiro.

Non era stata un’esperienza che avrebbe voluto ripetere. Suo padre si era fatto sempre più debole, le parole sempre più stentate, e la luce nei suoi occhi si era affievolita poco a poco.

Gli odori e gli umori che accompagnavano la morte non gli erano estranei, dopo quanta ne aveva seminata, ma provenienti da suo padre... avevano scosso le stesse fondamenta su cui aveva sempre camminato.

Aveva perso la sua guida, che era rimasta importante nonostante da decenni avesse affidato a lui i viaggi nella Terra di Mezzo e la colonizzazione delle sue coste. Quando Ciryandil aveva dubbi, pensava sempre: cosa farebbe Tar-Ciryatan?

E ora?

Ciryandil non era stato a Númenórë quando Minastir era morto, perciò non aveva idea di come fossero andate le cose all’epoca. Ma il rapporto tra suo padre e suo nonno non era mai stato nemmeno lontanamente come quello tra lui e Ciryatan. Poteva non sapere tutto del loro passato, ma la tensione tra Minastir e il suo erede era stata ovvia persino da bambino.

Perciò, come poteva piangere un padre che era stato tanto per lui?

Non aveva ancora trovato una risposta a quella domanda, mentre Atanamir era rimasto al fianco della madre che si affrettava a seguire il marito con un sorriso sulle labbra, dopo tanto tempo.

Da quando era tornato per trovarli invecchiati e indeboliti, Ciryandil non aveva più visto il sorriso che sua madre aveva quando guardava o pensava a Ciryatan.

Lo confortava vedere almeno lei serena.

Perché le ultime parole di Ciryatan non lo erano state. E avevano derubato anche lui della serenità.

«Vado nella tenebra eterna, dove le vicende umane non sono altro che sabbia nel mare del tempo».

«Ti ricorderò io, padre» gli aveva detto.

«E chi si ricorderà di te, figlio mio? Io almeno sono registrato negli Annali».

Quelle parole pesavano sulla sua mente anche mentre osservava la cassa di suo padre che veniva calata nel sarcofago. Nella camera mortuaria della famiglia c’era solo Atanamir con lui. Ancalimon era fuori a tenere la presenza della Casa di Elros per loro.

«È uno spreco farsi seppellire con tutti quei tesori» disse Atanamir, mentre i primi servitori si spostavano per permettere agli altri di calare anche la cassa di Nenilde. «Sarebbero più utili al regno».

«Ci sono problemi?» chiese Ciryandil. Non aveva mai notato difficoltà nella gestione del regno, non dal punto di vista monetario. Le strade erano in ottimo stato, gli edifici pubblici in manutenzione periodica, il porto sempre pronto ad accogliere le navi e a ripararle.

«Non ci saranno mai abbastanza tesori per questo regno, fratello» disse Atanamir. «Per mantenere questa ricchezza dipendiamo dalle colonie. Il lavoro che stai facendo è fondamentale, ma credo che dovrò mandare anche mio figlio a stabilire un dominio più strutturato nei territori che stai conquistando».

Ciryandil annuì.

«Posso dirti quali sono più utili dal punto di vista strategico e per le risorse».

«Proprio quello che ti avrei chiesto».

«Posso accompagnare io Ancalimon nel suo primo viaggio». Gli sarebbe piaciuto avere il ruolo che Ciryatan aveva avuto per lui, almeno col nipote, visto che non aveva figli con cui fare lo stesso.

«Non è ancora pronto a partire, mentre ho bisogno che tu torni in mare al più presto».

Ne aveva bisogno anche lui. Erano ormai sei anni che era rimasto a terra e Númenórë iniziava a stargli di nuovo stretta. Soprattutto ora che erano mancate le uniche ragioni che lo avevano tenuto lì.

«Ti farò avere una lista».

Atanamir gli strinse una mano sulla spalla, nonostante fosse troppo in alto persino per lui. «Ti ringrazio».

Ciryandil abbozzò un sorriso e rimase nella camera mortuaria mentre i servitori ultimavano la sepoltura. Atanamir invece si affrettò a uscire all’aria aperta, come se non potesse sopportare un secondo di più là dentro.

Lo poteva capire.

Anche lui voleva fuggire. Ma aveva bisogno di qualche attimo da solo, prima di tornare in mezzo alla gente radunata per piangere i suoi genitori.

Il resto della giornata trascorse tra condoglianze e banchetti per i morti, con canti e musica in loro onore. Qualcuno recitò anche dei componimenti di Ciryanilde più delicati e struggenti, quelli degli ultimi anni, dopo che aveva rivelato la sua identità, e che Ciryandil non aveva mai letto perché gli sembravano troppo intimi.

Non si era sbagliato. Ascoltarne uno fu abbastanza.

Si ritirò nelle sue stanze, si spogliò e si infilò a letto, il materasso un abbraccio benvenuto dopo quella lunga giornata –quelle lunghe giornate. Era dalla notte prima della morte di suo padre che non dormiva davvero.

Forse fu per quello che nei suoi sogni comparve la donna.

Silenziosa, come l’ultima volta in cui l’aveva vista, tra le fiamme del villaggio, e con lo stesso sguardo intenso.

Non ti ho dimenticato, straniero, sembrava dirgli.

Dita di sogno gli accarezzarono il viso, delicate come ali di farfalla.

Il tuo posto non è nell’Isola del Dono, straniero nella tua stessa casa, gli sussurrava, i capelli ricci di lei che gli sfioravano il petto, gli mozzavano il fiato. Il tuo posto è nella Terra di Mezzo.

La tua tomba è l’acqua che domini come se ne fossi il signore.

Ciryandil si mise a sedere e si passò una mano sul viso, scostando i capelli appiccicati sulla fronte.

Erano lunghi come li aveva portati solo fino al suo primo viaggio. Aveva abbandonato il taglio da marinaio in quegli anni, aveva lasciato che i capelli biondo pallido scivolassero lungo la schiena, come usava suo fratello e buona parte dei nobili di corte.

Scese dal letto e andò al catino, dove nello specchio tondo lo aspettava il suo riflesso pallido, gli occhi circondati da ombre violacee.

Prese l’eket abbandonato sulla sedia lì vicino, strinse i capelli in un pugno dietro la nuca e iniziò a tagliare.

Ciocca dopo ciocca, caddero a terra e nel catino, fili pallidi come platino, ma di gran lunga meno preziosi. Lasciò cadere l’eket sulla sedia, senza rinfoderarlo, e tornò a guardarsi allo specchio.

Non era un bel taglio, il suo valletto avrebbe avuto un mancamento, ma con i capelli che gli ricadevano intorno al viso, lunghi fino al mento davanti e dietro che sfioravano appena alla cima del collo, si riconosceva di nuovo.

Era di nuovo Ciryandil.

Ed era pronto a tornare nella Terra di Mezzo.






Nota dell'autrice


Riemergo dalla mia pausa fisiologica vacanziera, prolungata dal coviddi, con il capitolo più lungo di questa strana raccolta.

Il rapporto dei Númenórëani con la morte è affascinante per come si evolve ed è la ragione per cui ho scelto questa fase storica per ambientare l’origin story di Angmar.
Ho avuto anche modo di mostrare un po’ di parti della cultura númenórëana che ho sviluppato scrivendo roba molto più lunga e complessa (e che prima o poi revisionerò? Chissà, sono presa dalle storie originali al momento).

Siamo a quota -2 capitoli per la chiusura dell’arco di Angmar. Sento già chi freme *occhiolino a Los* per la comparsa di un certo qualcuno, e io posso solo fare una risata malefica e andarmene in un’esplosione di glitter.

Grazie per aver letto fin qui e alla prossima settimana!

Kan


   
 
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