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Autore: lagertha95    19/01/2023    0 recensioni
Anno nuovo, vita nuova: si dice così no?
Daphne si è lasciata alle spalle tanto, pezzi di cuore compresi, e ora cerca di rimettere insieme quello che le resta.
Il 2023, però, le si approccia come un colpo alle spalle, spiazzandola, spezzandola e lasciandola sola a cerca pezzi smarriti.
Li troverà tutti o ne lascerà alcuni per strada?
Le daranno dell'attack per riattaccare il tutto o la lasceranno, come una bambina dell'asilo, a togliersi il vinavil secco dalle dita?
Dal testo: Che imbarazzo le cose dette senza pensare, le cose fatte sull’onda dell’ebbrezza alcolica, della voglia di disfarsi di pensieri ingombranti che la trascinavano a centinaia di chilometri di distanza.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Mono no aware: la consapevolezza della precarietà delle cose, una sorta di nostalgia e sensibilità verso la natura transitoria della bellezza e della vita.


5 gennaio
 
(231)
Non aveva dormito quasi per nulla e il risultato era stato un risveglio pieno di nervosismo: a colazione, mentre sorseggiava il suo caffellatte, anche la gatta le era stata lontana, osservandola sospettosa da sotto la madia.
Aveva passato la notte a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola, soffrendo a tratti il freddo, a tratti il caldo, con lo stomaco che le si contraeva come a Capodanno, costringendola a “dormire” rannicchiata.
Ma che cosa ti è venuto in mente di fare?
Ovviamente la tazza di caffellatte era rimasta muta e Daphne si era sentita, per l’ennesima volta, giudicata da quel silenzio.
Un tempo non ci avresti dato così tanto peso. Un tempo saresti uscita da quella casa, gli avresti dato un bacio sulla guancia, avresti sorriso e te ne saresti andata, leggera e serena. Cos’è cambiato?
Daphne sospirò: lei era cambiata; lei e il suo modo di fare; il suo modo di approcciarsi alle cose e alle persone.
È stato un buon sesso, sii serena, goditi il languore che ti ha lasciato. Fregatene di quello che sarà e assapora la dolcezza del momento: nulla di tutto questo tornerà. Tutto scorre, tutto va avanti, cambia. Immagina di essere al mare e di osservare la marea salire: puoi cambiare le cose? No. Puoi tornare indietro? No. E allora smettila, le cose cambiano, tu non potrai mai farci niente, arrenditi e lasciati cullare dalle onde.

 

6 gennaio
 
(250)
Befana l’aveva, in un certo senso, colta di sorpresa.
Troppo poco tempo la separava dal primo esame della sessione, troppa roba le restava ancora almeno da leggere.
Cazzo.
Che poi, quell’esclamazione urlata nella propria testa, era frustrazione o desiderio?
La sensazione di calore tra le cosce le sussurrò, in modo non propriamente sottile, che no, non era frustrazione.
Era nostalgia di sentire delle mani grandi e callose stringerle le cosce fino quasi a farle male. Era il dolorosamente dolce ricordo di labbra calde che si aprivano e chiudevano, succhiando, tra le cosce. Era voglia di sentirsi piena come la sera prima.
Non era lui il punto fondamentale: era la sensazione, la malinconia che la stava pian piano avvolgendo mentre immagini scorrevano veloci davanti ai suoi occhi.
Mani strette, lingua calda, pienezza, profumo maschile nelle narici, labbra secche, capelli tra le dita, spinte rapide e poco profonde, saliva mescolata a umori, l’orgasmo di lui, la morbidezza del proprio corpo in opposizione alla sua magrezza, il senso di vuoto che si riappropriava di lei, il freddo, la ruvidezza delle lenzuola, lo schiocco di una mano sul sedere, la ricerca a tastoni dei vestiti. Il sapore di tabacco, la conversazione stupida a riempire un silenzio che forse non sarebbe stato neanche imbarazzante, il viaggio in macchina, l’erba a riempire i polmoni. Il riflesso nello specchio, gli occhi lucidi di chi ha appena fatto sesso, la solitudine.
Nuovo anno, nuovo ciclo di delusioni, di sesso casuale, di breve incontro di corpi ed anime.
Cazzo.


7 gennaio
 
(226)
Rivederlo le aveva fatto un certo senso.
Di nuovo, nella mente, un alternarsi di immagini e pensieri.
Lui, nudo, sopra di lei. Imbarazzo. Sospiri e capelli stretti tra le mani. Ma perché? Unghie che a stento si trattenevano dal lasciare strie sanguigne sulla sua schiena. Testa riccioluta scossa con veemenza. Carezze e baci ad addolcire il tutto. Occhi nocciola incorniciati da nero kajal, improvvisamente abbassati.
Per i primi dieci minuti non aveva neanche avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
Non che lui si comportasse diversamente: non si erano né guardati né salutati, come se l’altro non esistesse.
Che in realtà, agli occhi degli altri, il disagio della situazione non era, ovviamente, percepito: il caos era solo in lei. Lei che picchiettava il piede per terra, che si scrocchiava continuamente le dita in un riflesso nervoso; lei che sorseggiava, fintamente distratta, la sua birra, facendo finta di niente e, al tempo stesso, morendo dentro.
La serata, naturalmente e fortunatamente, aveva avuto termine. C’era stato qualche battibecco infantile, di quelli che si fanno nei gruppi di amici, e c’erano state alcune frecciatine lanciate dall’una all’altra parte del tavolo, ma nulla di più di quello.
Inaspettatamente un ultimo pensiero l’aveva colta prima di addormentarsi: le piaceva, più di quanto avesse pensato fosse possibile, e il sesso maldestro che avevano condiviso continuava a lasciarle in bocca un sapore dolceamaro.


8 gennaio
 
(245)
La domenica era stata un disastro.
L’ansia per gli esami la stava divorando mentre, impazzita, sfogliava le pagine di appunti nel tentativo di immagazzinare più informazioni possibili.
I messaggi sul gruppo non le davano tregua, tanto che a un certo punto aveva cliccato – senza alcuna esitazione – il silenzia le notifiche per sempre.
Non aveva la testa per pensare a niente che non fosse l’esame della mattina successiva, con tutti quei testi in antico siciliano toscanizzato dove nulla o quasi significava quello che pareva.
Ad un certo punto aveva chinato la testa e aveva urlato. Sua madre si era affacciata alla porta di camera, le aveva lanciato un’occhiata e se ne era andata: non era una novità che Daphne avesse una crisi di nervi la sera prima di un esame e dopo le prime volte in cui si erano effettivamente preoccupati, i suoi genitori ci avevano fatto il callo.
Era uscita, a corsetta, con i capelli raccolti in uno chignon indegno, a fumare una sigaretta. La nicotina le aveva dato un’effimera sensazione di tranquillità, nonostante la sigaretta stretta tra l’indice e il medio le tremasse come in preda a un terremoto.
Al bar c’era anche lui, che l’aveva guardata come fosse pazza, ma che si era alzato ed era andato a prenderle una bottiglietta d’acqua.
Grazie. Di niente. Non dovevi. Volevo. Grazie. Di niente.
La notte l’aveva cullata e l’alba l’aveva svegliata con la stessa dolcezza del gesto del giorno prima: effimera e disinteressata.
   
 
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