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Autore: Rosie Bongiovi    20/01/2023    0 recensioni
"La sua parte più irrazionale e ferita pensava che un giorno sul quel cellulare sarebbe comparso il nome di Frank, che la cercava per ringraziarla davvero".
Chi mi conosce lo sa: difficilmente mi accontento dei finali delle serie TV. Per Shameless US avevo un senso di incompletezza, che mi ha spinta a scrivere un finale che mettesse ogni pezzetto al suo posto. Mi raccomando: leggetela solo se avete completato la serie! Buona lettura
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quel mattino i raggi del Sole si fecero largo prepotentemente fra le tende e riuscirono a svegliare gli ospiti della camera da letto. Non faceva mai particolarmente caldo a San Francisco, ma quella settimana di marzo era stata davvero anomala. “Fottuto surriscaldamento globale” era diventata la frase preferita di Fiona. Quelle tre parole facevano comparire sempre un sorrisetto divertito sul viso di Robert. Ogni tanto le piaceva soffermarsi su quella semplice reazione del partner e si trovava a pensare sempre la stessa cosa: né Steve/Jimmy né Gus né Ford né Sean né qualsiasi altro uomo avuto in passato avrebbe riso con quegli occhi complici. Si sentiva capita, amata, leggera. Anni prima era scappata da Chicago sul primo volo, alla ricerca di un futuro, con l’intento di costruirsi una nuova vita, ma al contempo con aspettative bassissime, a causa o per merito del South Side. Non immaginava che avrebbe trovato un uomo così buono, senza seconde vite, mogli nascoste, dipendenze o demoni contro cui combattere.
Si stiracchiò nel letto e venne subito accolta dalle braccia di Robert, che le diede un tenero bacio sulla fronte, ancora a occhi chiusi. Aprendoli, rivelò le sue confortanti iridi verdi, attraverso le quali si innamorò nuovamente di Fiona. Quest’ultima sorrise e pronunciò le prime parole di quel 22 marzo 2021: “Buongiorno”.
“Buongiorno a te” si sentì rispondere.
“Mi ricordi la scaletta dei tuoi impegni di oggi?” chiese la giovane donna, simulando con le dita un piccolo omino, che cominciò ad arrampicarsi sul braccio di Robert.
“Stamattina ho quattro pazienti in studio, poi pranzo con la mia meravigliosa donna e nel pomeriggio vedrò altri due pazienti e chiuderò in bellezza con il piccolo Timmy”.
“Il ragazzino che ti morde ogni volta che provi a cambiargli l’apparecchio?”.
“Proprio lui” rispose lui, sospirando, già immaginandosi senza l’indice della mano destra. Durante la conversazione, l’omino si era fatto coraggio e stava esplorando il petto di Robert. “Lei, invece, signorina Gallagher?”. Fiona rivolse gli occhi verso l’alto, intenta a recuperare nella memoria le informazioni di cui aveva bisogno.
“Io devo mostrare alcune ville a una coppia di snob, alla ricerca disperata di un posto dove tenere i loro tre docili dobermann. Nel primo pomeriggio dovrei chiudere un’importante vendita con quell’attore di teatro che ci ha invitato a cena il mese scorso”. L’omino aveva cominciato a camminare lentamente sul bordo dei pantaloni di Robert. Quest’ultimo sorrise, annuì per dimostrare a Fiona di averla ascoltata e la tirò a sé per baciarle il collo. La bolla di benessere in cui si trovarono venne dissolta dallo squillo del cellulare della donna.
“Rispondi pure. Io non scappo mica” la rassicurò lui, accarezzandole la fronte. Fiona tese il braccio verso il comodino e lesse il nome di suo fratello Lip sullo schermo. Sentì il cuore perdere un battito e il suo viso si fece improvvisamente serio. Negli ultimi anni, la sua famiglia l’aveva aggiornata prevalentemente via messaggio di ciò che stava accadendo, ma i contatti si erano diradati fisiologicamente e involontariamente. Sapeva che Lip era diventato padre di un bambino meraviglioso, che Vanessa e Kev si erano sposati in videochiamata a causa del covid, che persino Ian era riuscito a compiere quel passo fondamentale con nientepopodimeno che Mickey Milkovich, che Debbie era stata ingiustamente schedata come criminale sessuale e che Liam sembrava il più sano in quella casa che tanto aveva odiato e che tanto aveva amato. Di Frank non voleva sapere niente, perché sapeva già tutto.
“Pronto?”.
“Fiona, ciao. Stavi dormendo? Non so che ore siano a San Francisco” ammise Lip, dall’altro lato del telefono.
“No, sono sveglia da poco. Abbiamo solo 2 ore di differenza. Qui sono le 8. È successo qualcosa?”. Non riuscì a mascherare la curiosità, mista a preoccupazione.
“L’abbiamo saputo anche noi poco fa. Frank è morto questa notte in ospedale. Covid”. Le parole pronunciate da Lip investirono Fiona come un treno merci. Da che era distesa, ancora adagiata fra le braccia del compagno, si girò e si mise a sedere rapidamente, appoggiando i piedi al pavimento.
“C-covid?” ripeté confusa. Sentì Lip espirare piuttosto rumorosamente. Probabilmente stava fumando.
“Sì, ha già fatto un paio di giri in ospedale di recente. Gli hanno diagnosticato la fottuta demenza degli alcolisti, o come cazzo si chiama. Non stava un granché. Ha anche cercato di farsi fuori, ma overdose e Frank non sono due parole che vanno d’accordo”. Fiona rimase in silenzio. Le ultime parole scambiate col padre erano state una sorta di litigio. Le aveva riviste spesso nella sua mente e ogni volta si immaginava di dirgli molto di più. Lui, per salutarla, se n’era uscito con una frase tipo: “Grazie per aver dato una mano” e lei aveva ribattuto forse fin troppo pacatamente con: “Frank, ho fatto tutto io”. Ancora non si capacitava di come avesse potuto essere così cieco e così insensatamente egocentrico. Era lei che aveva cresciuto i suoi fratelli, lei che aveva rinunciato alla sua vita, lei che si era negata la possibilità di studiare pur di stare dietro alla sua famiglia, mentre suo padre beveva litri di qualsiasi alcolico e superalcolico gli passasse sotto mano, incurante di tutto. La sua parte più irrazionale e ferita pensava che un giorno sul quel cellulare sarebbe comparso il nome di Frank, che la cercava per ringraziarla davvero. Non sarebbe più stato possibile.
“Senti, io non so come tu sia messa lì a San Francisco, ma… C’è una specie di funerale. Essendo morto col covid, lo cremeranno o robe simili. Però puoi… Passare, se ti va”. La voce del fratello era piuttosto calma, ma riusciva comunque a cogliere una punta di malinconia sporca di sollievo. Frank era stato una zavorra per tutti, non si poteva negare, ma una presenza così ingombrante sarebbe stata difficile da dimenticare.
“Cerco di organizzarmi. I ragazzi come stanno?”.
“Liam sta un po’ di merda. Credo fosse l’unico davvero legato a Frank” risposte Lip. In sottofondo, si sentì piangere un bambino. Fiona non riuscì a trattenere un piccolo sorriso involontario. Era suo nipote. Suo fratello nell’arco di qualche mese sarebbe stato chiamato “Papà” da un piccolo Gallagher. “Cazzo, Fred si è svegliato”.
“Nessun problema. Grazie per la chiamata” si affrettò a dire Fiona, per poi riattaccare. Robert era rimasto al suo fianco durante la telefonata. Le rivolse uno sguardo interrogativo. “Mio padre è… Morto” spiegò lei, con voce atona. Lui conosceva la situazione ed era certo che il senso etico di Fiona l’avrebbe caricata, se non addirittura lanciata sul primo aereo disponibile. Anzi, sapeva che, pur di arrivare prima sul posto a soccorrere i fratelli, si sarebbe buttata con il paracadute. Più volte nel corso degli anni l’aveva esortata a farsi coraggio e ad andare a trovarli, ma la primogenita Gallagher rispondeva sempre allo stesso modo: “Avranno sempre bisogno di me. Se vado nel South Side, non so se avrò il coraggio di tornare qui”. C’era una sorta di cordone ombelicale che non si era mai reciso completamente e, in quel momento, il cordone la tirava da più di 2000 miglia.
“Mi dispiace moltissimo. So che… C’erano parecchie cose in sospeso con lui” rispose Robert, prendendola per mano. Fiona annuì, immobile. Non capiva come fosse possibile stare così di merda per un padre che non l’aveva mai rispettata né capita né seguita.
“Per Monica non ho praticamente battuto ciglio. Frank è stato ingombrante qui” disse toccandosi dapprima la testa “e qui” e successivamente il petto.
“Credo sia il momento che torni a casa per qualche giorno” le suggerì Robert, con il tono di voce più pacato e confortante che potesse usare. Non voleva che sembrasse un ordine.
“E chi ti aiuta dopo che il piccolo Timmy ti avrà completamente reciso la mano?” chiese lei, abbozzando un sorriso.
“Sposterò Timmy alla settimana prossima o a quella dopo ancora, se necessario. Se me lo concedi, verrò con te”. A Fiona suonava come un ottimo compromesso. Voleva che la sua famiglia conoscesse Robert e desiderava ardentemente anche il contrario.
Il South Side li stava aspettando.
 
Il volo era durato poco più di 4 ore. Comprare un biglietto aereo all’ultimo minuto e senza l’ansia del denaro, per giunta, sarebbe stato inimmaginabile qualche anno prima. Avrebbe voluto costruire una macchina del tempo per dirlo alla sé stessa adolescente.
Arrivati all’aeroporto O’Hare, Fiona si rese conto di non sapere quali mezzi ci fossero per raggiungere il South Side. Per sicurezza, optarono per un Uber, che nell’arco di cinquanta minuti e per 60 dollari li portò a destinazione: casa Gallagher. Vedere il cartello “In vendita” nel giardino non la stupì quanto vedere la scritta rossa “Venduta”. Era davvero riferito a quel mastodontico ammasso di ricordi? Chi aveva avuto il coraggio di acquistarla?
“Fiona?”. Quella era la voce di Debbie. Fiona le corse incontro sul vialetto, lasciando cadere a terra la valigia.
“Ma esattamente quando cazzo è successo che sei diventata una donna?” le chiese felice, con un moto di orgoglio. Neanche qualche istante dopo realizzò che, dietro a Debbie, si nascondeva una bambina meravigliosa, dai lunghi capelli rossi. “Ma questa è…”.
“Frannie. Già” confermò Deb, sorridendo.
“Fiona!” esclamò Ian, aprendo la porta di casa. Nell’arco di qualche secondo, i Gallagher (e un Milkovich) affollarono il vialetto della casa. Seguirono abbracci, chiacchiere e presentazioni a Robert. Nel cuore di Fiona emersero emozioni contrastanti: era felice di essere lì con la sua famiglia ed era orgogliosa di tutti i traguardi che avevano raggiunto senza di lei, ma sentiva anche un enorme senso di colpa per tutto quello che si era persa. Posticipò le sensazioni negative per godersi il momento. Alla fine nessuno la stava guardando con occhi giudiziosi o con aria di rimprovero: erano felici di avere lì la sorella maggiore, nonostante le sue contraddizioni, i suoi errori, le sue mancanze.
“Ti proporremmo di entrare, ma stanotte nessuno di noi è riuscito a dormire e abbiamo impacchettato qualsiasi cosa” la informò Lip, che nel mentre era sopraggiunto sul posto, spingendo un passeggino, nel quale Freddie stava riposando beato. Fiona si chinò sul nipotino e rivolse un ampio sorriso al fratello.
“È bellissimo, Lip”.
“Fortunatamente ha preso da Tami, la mamma” commentò lui, per poi aggiungere “Credo che ci raggiungerà più tardi. È al lavoro. Anche Carl, fra l’altro”.
“Se avete finito con le stronzate sentimentali, potremmo andare all’Alibi” propose freddamente, come suo solito, Mickey. Fiona annuì entusiasta di rivedere Vanessa e Kevin.
“Spostiamo la festa, allora, signori” annunciò Debbie, prendendo la figlia per mano. Fiona fece lo stesso con Liam. Fu lo sguardo malinconico del fratello a ricordarle il motivo per cui si trovava lì. I pensieri cupi ripreso ad affollarle la mente. Robert le mise una mano sulla spalla e le sorrise.
“Sei qui, adesso. Non c’è niente da rimproverarsi” le sussurrò all’orecchio. Fiona annuì convintamente.
 
All’Alibi, l’iconico bar di Kevin e Veronica, la sedia su cui normalmente si sedeva Frank era vuota. A terra era stato messo un calice pieno di birra, con dentro alcuni fiori che, come prevedibile, erano già appassiti per via dell’alcool. Dopotutto contava il pensiero.
“Ma tu guarda chi è tornato a trovarci!” esclamò Kev, sollevando Fiona in braccio. Veronica era al bancone a firmare dei documenti offertile da un uomo in giacca e cravatta. Lasciò cadere la penna sui fogli e corse dall’amica, che era tornata coi piedi per terra dopo il saluto di Kevin.
“Sei un miraggio o sei vera?” le chiese V entusiasta, ai limiti della commozione.
“L’ultima volta che ho controllato, ero vera” risposte Fiona, abbracciando Veronica. I Gallagher nel frattempo avevano occupato un tavolo. “Senti, ma chi è quell’uomo con la valigetta?” chiese la primogenita, facendo un cenno col capo verso la persona con cui stava parlando Veronica.
“Un legale, che sta ufficializzando la vendita dell’Alibi. Io, Kev e le bambine andiamo a Louisville” comunicò V. Fiona spalancò gli occhi.
“Cazzo, non posso lasciarvi soli per un momento che scappate dal South Side?”.
“Non siamo mica gli unici. Anche i tuoi fratelli hanno venduto la casa” rispose Veronica. Fiona si ricordò del cartello “Venduta” nel vialetto.
“Io e Mickey ci siamo già trasferiti da un po’” la informò Ian.
“In un fottuto appartamento senza mobili del cazzo” aggiunse Mickey, che ancora non era riuscito ad abituarsi all’idea di aver lasciato il quartiere in cui era cresciuto.
“Io e Frannie avevamo in ballo una fuga in Texas, ma Heidi è sparita portandosi via 20 dollari e le mie calze a rete” disse Debbie.
Fu il turno di Lip di aggiornare la sorella: “Io, Tami e Fred abbiamo trovato una casa. Ci sono un po’ di lavori da fare, ma non potevamo rimanere lì per sempre”.
“Io non so con chi finirò, ma mi hanno promesso di non lasciarmi in mezzo alla strada” disse Liam.
“Io e Fiona invece abbiamo una bella casa a San Francisco e un piccolo cane bianco” disse Robert, inserendosi nella conversazione. Nonostante fosse l’ultimo arrivato, non si sentiva fuori posto. Fiona aveva parlato così tanto di ciascuno di loro che ormai gli sembrava di conoscerli.
“Come quello che hai avuto per un po’ di tempo qua” osservò Debbie. Fiona confermò con la testa. Mentre Robert raccontava della loro vita dall’altra parte degli Stati Uniti, Fiona spostava lo sguardo su ciascuno di loro, Kevin e Veronica inclusi. Improvvisamente, sentì recidersi il cordone ombelicale che la legava a quella realtà. Ognuno di loro aveva passato situazioni difficili, ma, ciononostante, ne erano usciti più forti di prima. Fiona non si sentiva più indispensabile per i suoi fratelli e forse non lo sarebbe più stata. La pace raggiunta grazie a quella consapevolezza le avrebbe permesso di tornare a San Francisco infinitamente leggera.
“Che cos’è questo rumore?” chiese Frannie, interrompendo Robert e riferendosi al suono di una sirena. Di lì a poco, il “rumore” si interruppe e nell’Alibi fece ingresso Carl, con l’uniforme da poliziotto. Dietro di lui, c’era Arthur Tipping, collega di Carl nonché nuovo proprietario dell’Alibi.
“Ecco chi mancava all’appello” commentò Fiona, felice di poter riabbracciare anche Carl.
“Il braccio destro della legge, ecco chi mancava” confermò Carl, sorridente. Lip e Carl erano i due che avevano stupito maggiormente la sorella maggiore per la crescita esponenziale avuta nel corso del tempo. Questo la alleggerì ancora di più.
“A questo punto direi che ci siete tutti” disse Kev, avvicinandosi alla tavolata, su cui appoggiò un vassoio colmo di shottini, di cui due contenenti succo di frutta per Liam e Frannie.
“A Frank?” propose timidamente Ian, prendendo in mano uno dei bicchierini. Tutti i presenti fecero lo stesso e si voltarono verso la sedia vuota, ai piedi della quale i fiori inzuppati nella birra stavano implorando pietà. La figura di Frank sarebbe stata per sempre ambigua nei loro ricordi e nessun strizzacervelli sarebbe riuscito a cambiare un grande dato di fatto: per quanto fosse stato un padre indiscutibilmente riprovevole, si trovavano lì per lui, uniti per sempre a doppio filo a una schiera di ricordi dalla dubbia legalità e dalla certa sofferenza. Forse non sarebbero diventati così forti e al contempo così preziosamente fragili, se la vita non li avesse messi a dura prova come aveva fatto anche tramite Frank. Dovevano essergli grati? No, questo no. Tuttavia, guardandosi indietro, si sarebbero sempre resi conto che quel loro padre alcolista era stato il motore di molte esperienze che li avevano formati, volenti o nolenti. Si scambiarono sguardi complici, attraverso i quali si dissero tutto ciò che era necessario dirsi.
“A Frank” dissero in coro.

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Grazie a tutti per la lettura! Era da anni che non pubblicavo qualcosa su EFP e sono contenta di essermici nuovamente buttata. Fatemi sapere se vi è piaciuto in una recensione, se vi va! 
Rosie
  
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