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Autore: Princess Kurenai    20/01/2023    0 recensioni
[RenKaza | Rengoku Lives | Found Family]
Riaprì le mani chiuse a pugno, provando a lasciar scivolare via la tensione, e prese infine un profondo respiro.
Il fischio che lo aveva reso sordo fino a quell'istante svanì lentamente, permettendogli di sentire il silenzio della casa spezzato da un nuovo rumore, improvviso e inaspettato.
Akaza si irrigidì e il suo sguardo si puntò subito verso il fusuma che fungeva da ripostiglio della camera, e dal quale erano ormai udibili dei versi soffocati.
Si accostò all’anta scorrevole e, con attenzione, la aprì. Un piccolo ammasso di lenzuola si mosse sotto il suo sguardo - ormai più incuriosito che arrabbiato come qualche momento prima -, e infine un forte pianto iniziò a riempire la stanza.
Un neonato.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hakuji/Akaza, Kyoujurou Rengoku, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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As Soothing As Snow

Capitolo 5
A change of heart


»--•--«


«Che ne dici di Sayuri?» domandò Kyojuro facendo inarcare il sopracciglio del demone.

Erano seduti sempre a debita distanza e la bambina stava dormendo pacifica sul suo giaciglio.

«Per il nome, è uno di quelli che piaceva di più anche a Senjuro. Scritto con i kanji di giglio e piccolo. Suona bene, no?»

La Terza Luna Crescente storse il naso e per un momento il Pilastro fu certo che gli avrebbe risposto di scegliere quello che voleva e che non gli importava. Eppure, quando il demone aprì la bocca, rimase quasi spiazzato dalle sue parole: «Non mi piace. Non voglio che abbia a che fare con i gigli.»

Rengoku annuì. Era onestamente sorpreso da quell'affermazione e anche un poco divertito. Il fatto che il demone non volesse nomi che 'avessero a che fare con i gigli' era ovviamente strano, ma dall'altra parte stava indirettamente dicendo di voler essere coinvolto nella scelta del nome.

Avrebbe voluto dirgli: «Quindi ti importa per davvero di lei,» e stuzzicarlo un po', ma alla fine preferì non infierire né indagare riguardo quell’affermazione. Perché la Terza Luna Crescente era tornata a trovarlo dopo quasi una settimana dalla sua fuga in seguito al loro discorso sulla trasformazione in un demone… e non voleva rischiare di infrangere quell'equilibrio.

Non poteva nascondere di aver provato sollievo nel rivedere il demone attraversare lo shoji della sua camera, e aveva sorriso quando lo aveva sentito chiedergli il solito: «Come sta la bambina?»

Aveva interpretato quell’atteggiamento, calmo e normale, come una muta richiesta di fare finta di nulla e Rengoku lo aveva accettato perché anche lui aveva bisogno di ignorare quello che era accaduto in quegli ultimi giorni.

Sin dalla visita di Kamado e dei suoi amici, con il successivo ‘incidente con Shinjuro’, la tensione si era fatta quasi palpabile nella casa. Kyojuro e Senjuro non erano stati in grado di parlare dell’accaduto, e loro padre li aveva ignorati, uscendo dalla sua stanza solo per lasciare la casa per pomeriggi interi.

Rengoku sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare la situazione sia con suo fratello che con suo padre, ma per quanto fosse degenerata non riusciva proprio a compiere quell’unico passo. Sapeva di essersi sempre comportato un po’ da codardo e temeva il momento nel quale le sue spalle non sarebbero più state in grado di sostenere quel peso.

E forse anche per quel motivo trovava la compagnia del demone piacevole, almeno sotto un certo punto di vista. Aveva un umorismo alle volte irritante e sapeva anche essere molto testardo, ma Kyojuro non poteva non trovare gradevoli le sue visite.

Se si escludeva il ben poco ignorabile dettaglio del tradimento che stava compiendo ai danni dell’organizzazione degli Ammazza Demoni e anche verso la sua famiglia, Rengoku trovava rilassante parlare con il demone… perché era la prima cosa che stava facendo contro le regole e contro ogni fibra morale del suo corpo.

Il suo era un comportamento egoistico… e lo trovava liberatorio.

Si accigliò un poco e, sentendosi imbarazzato delle sue stesse considerazioni, si impose di scacciare quei pensieri inconcludenti e pericolosi.

«D’accordo,» acconsentì per tornare sul discorso. «Hai per caso qualche suggerimento per il nome?» tentò però.

«No.»

Kyojuro sospirò: doveva aspettarselo.

«Eri molto più chiacchierone quando abbiamo combattuto,» gli fece presente, pentendosi subito di quell’affermazione nel vedere il demone sorridere.

«Non credevo ti piacesse così tanto chiacchierare con me, sono davvero colpito Kyojuro~»

«Non mi piace,» si difese. «Ma visto che sei qui cerco di fare almeno un po’ di conversazione.»

Il demone scrollò le spalle ma non smise di sorridere.

Era un sorriso strano quello, notò il Pilastro. Non era minaccioso né tanto meno realmente felice, sembrava un miscuglio di sentimenti e Kyojuro non riusciva ad afferrarne il vero significato.

«Potresti parlarmi… di nuovo di quel demone che dici che non mangia nessuno,» esordì la Luna Crescente, sorprendendo un poco Rengoku.

Onestamente, non si aspettava una richiesta simile.

«Solo se… se anche tu rispondi alle mie domande senza fuggire subito, come fai sempre. Non credevo che la Terza Luna Crescente avesse paura di qualche domanda innocente,» insinuò.

Aveva appena deciso di non stuzzicarlo per preservare quella sorta di equilibrio, eppure quel demone lo spingeva, senza rendersene conto, a fare l'esatto contrario di ciò che avrebbe dovuto fare - come l'ucciderlo o denunciarne la presenza agli altri Pilastri, per fare un esempio.

Era davvero liberatorio.

Il demone strinse le labbra, forse combattuto dalla risposta che avrebbe potuto dare, ma alla fine sembrò cedere.

«D’accordo,» acconsentì sembrando però ugualmente nervoso. «La tua domanda?»

Kyojuro sorrise trionfante, rendendosi però conto di non sapere realmente cosa chiedersi. Aveva così tante domande, molte delle quali sicuramente scomode, da non sapere da dove iniziare.

Escludeva ovviamente quelle riguardanti le altre Lune Demoniache e Kibutsuji - era certo che non avrebbe ottenuto risposte - e dal nervosismo del demone immaginava che anche altre domande di natura più intima dovevano essere escluse. Gli aveva rivolto già altri quesiti, riguardanti più che altro delle curiosità sui demoni, ma… cosa poteva chiedergli di più importante e utile che non spingesse la Luna Crescente a fuggire come sempre?

«… la tua Abilità Vampirica. Come funziona?»

Gli occhi del demone lampeggiarono improvvisamente, come se l'interesse per le sue abilità lo rendesse quasi felice.

«Me lo stai chiedendo per sapere come affrontarmi in futuro?»

Kyojuro storse il naso.

«Credevo volessi avere informazioni sul demone che sta tra i Cacciatori. Vuoi davvero cambiare la tua domanda?»

«Non hai messo limite alle domande!»

«Una domanda a testa. Casa mia, regole mie!» ribatté, riuscendo a sorridere. Era infantile da parte sua ma, come aveva ormai compreso, con quel demone gli veniva spontaneo comportarsi in quel modo.

L’espressione contrariata del demone lo spinse a sorridere ancora di più.

«Si basa su un'arte marziale, ma credo che questo tu l'abbia già intuito,» iniziò la Luna Crescente. «Ho sviluppato diverse tecniche ma… non credo che te le illustrerò tutte.»

«Perché?»

«Perché così potrò farti altre domande. "Casa tua, regole tue" no?» rispose furbo e Kyojuro non poté non ridacchiare.

«Mi sono messo in trappola da solo,» ammise il Pilastro, e il demone chiaramente compiaciuto riprese a parlare.

«Ho a disposizione una sorta di bussola,» svelò. «Riesco a percepire gli spiriti combattivi e le loro potenzialità, e mi indica anche gli attacchi in arrivo e dove colpire.»

Era una spiegazione breve ma parecchio esplicativa, che non aveva nulla a che fare con lo stile di combattimento del demone o con il resto dei suoi attacchi.

«È… davvero interessante…» concesse Kyojuro mentre la sua mente iniziava ad elaborare diversi scenari e utilizzi di quell'abilità - comprendendo anche il perché il demone avesse parlato tantissimo del suo spirito combattivo.

«Ora tocca a te, Kyojuro~»

Il Pilastro sospirò ma annuì. Un patto era un patto.

«D’accordo. Cosa vuoi sapere nello specifico?»

«Qualsiasi cosa su questo demone,» rispose l’altro aggrottando le sopracciglia. «Devo capire se mi stai imbrogliando o meno… o se stanno imbrogliando te con questa storia del demone che non mangia umani.»

«Sono più che certo che sia la verità!» esclamò Rengoku, soffermandosi poi a pensare a cosa avrebbe potuto dire al demone su Nezuko.

Non era certo di poter fornire così tante informazioni e, soprattutto non gli sembrava neanche corretto nei confronti di Kamado.

«La sua famiglia è stata sterminata da un demone, lei e suo fratello sono gli unici sopravvissuti. Lei si è trasformata, e sin dall’inizio pare che non abbia avuto alcun interesse verso gli umani e che anzi: abbia protetto suo fratello,» raccontò. Era stato Tomioka a raccontare quella storia e, in seguito, anche lo stesso Kamado aveva riferito le stesse identiche cose.

Sembrava una menzogna, Kyojuro lo ammetteva senza problemi, ma non aveva motivo di dubitare di tutte le persone che avevano giurato che Nezuko non avrebbe mai toccato un essere umano. Inoltre, l’aveva vista lui stesso combattere a difesa degli umani e rifiutare il sangue di Shinazugawa, e l’ultima visita a casa sua aveva confermato pienamente quei pensieri: Nezuko era degna di fiducia.

«E poi?»

«Ha dormito per due anni interi,» rispose Kyojuro, ricordandosi quel dettaglio e scrutando la reazione del demone che si mostrò particolarmente sorpreso.

Era estremamente espressivo, constatò Rengoku. In realtà lo aveva notato anche durante i precedenti incontri. Era stato sfiorato dal pensiero che quelle fossero delle reazioni false, volutamente esagerate per stuzzicarlo e prenderlo in giro, ma alla fine quelle sensazioni erano state sostituite dalla certezza che ogni emozione si dipingesse in modo genuino sul volto del demone, rendendolo quasi più umano e giovane.

Esitò su quel pensiero.

Sapeva che alcuni demoni erano capaci di mutare il proprio aspetto - Nezuko stessa era in grado di apparire come una bambina molto piccola -, e si chiese quale fosse il reale aspetto di quella Luna Crescente. 

Se si tralasciavano gli occhi e le linee blu scuro che percorrevano il suo corpo, il demone aveva ben pochi tratti demoniaci. Kyojuro aveva visto demoni con molteplici occhi o con nessuno, con più arti del normale, corna e altre appendici che un uomo non avrebbe mai dovuto avere. Era facile definirli mostri e dimenticare che un tempo erano stati umani anche loro.

Tuttavia con la Terza Luna Crescente non era così semplice, soprattutto da quando era iniziata quella sorta di tregua. Stava diventando complicato considerarlo un mostro.

«I demoni non dormono,» dichiarò la Luna Crescente, strappando Kyojuro dai suoi pensieri.

«Ci hai mai provato?» ritorse Rengoku e l’altro, con una piccola smorfia, scosse la testa.

«No. Non perdo tempo a dormire quando posso allenarmi!»

Kyojuro ridacchiò.

«Il fatto che tu non dorma non significa che non sia possibile per gli altri,» gli fece presente ricevendo in risposta un mezzo sbuffò che gli strappò un’altra risata.

Quando il demone se ne andò una decina di minuti dopo - si era trattenuto più del solito -, Rengoku non poté fare a meno di toccarsi il viso incredulo nel rendersi conto di non aver smesso di sorridere fino a quel momento e di non essersi minimamente sentito in pericolo o pronto a prendere la sua katana.

Era un cambiamento… piacevole.

 

..••°°°°••..

 

Furono le urla della bambina a strappare Kyojuro dal suo sonno, costringendolo ad alzarsi per prenderla in braccio e cercare di calmarla.

Era appena l’alba e, come ogni mattina, la piccolina si svegliava strillando e pretendendo attenzioni.

Non era una cosa strana, o almeno così era stato spiegato a Rengoku dalla nipote del dottore. Era possibile che i bambini piangessero anche nel sonno e bisognava essere molto pazienti in quei casi. Piangere era infatti il loro unico modo di comunicare e di esprimere bisogni o problemi, e Kyojuro lo aveva imparato a sue spese.

«Shhh… va tutto bene,» sussurrò diretto alla bambina, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza, certo che quel continuo movimento sarebbe bastato per calmarla.

Presto, infatti, i lamenti diventarono bassi singhiozzi e infine la bambina si calmò del tutto, guardandolo con i suoi grandi occhioni innocenti come se non fosse accaduto nulla.

«Hai fame immagino,» commentò Kyojuro, rivolgendole un sorriso stanco e ricevendo in risposta una breve lallazione.

Da qualche tempo a quella parte aveva iniziato a biascicare sempre più sillabe a caso e presto, a detta di Senjuro, avrebbe iniziato con le sue prime vere parole.

Era un pensiero che faceva stringere il cuore di Rengoku. Quasi sempre la prima parola di un bambino era ‘mamma’, ma quella piccolina l’aveva persa ed era ovvio che non conservasse alcun ricordo di lei.

Era triste, e per quanto Kyojuro si stesse facendo in quattro per lei, sapeva che difficilmente sarebbe riuscito a sostituire la madre e il padre… d’altro canto, era già passato per quella strada con Senjuro, quando loro madre era morta, e non era certo di essere stato realmente all'altezza.

Sarebbe riuscito ad esserlo per lei?

Senjuro non aveva quasi nessun ricordo di loro madre e ogni volta che il nome di Ruka Rengoku veniva fatto tra quelle quattro mura, calava un velo di tristezza e di tensione. Con la morte di Ruka, Kyojuro e Senjuro non avevano perso solo una madre ma avevano anche perso un padre, perché da quel momento nulla era più stato lo stesso.

Strinse le labbra ma cercò di non lasciarsi abbattere da quelle incertezze. Fece di nuovo distendere la bambina sul futon per poter indossare una vestaglia, chiudendola in vita con un obi.

Riprese la piccola in braccio e, dopo averle sistemato con delicatezza i capelli neri con una mano, lasciò la stanza per dirigersi verso la cucina e prepararle il latte.

Era più presto del solito, notò lanciando un’occhiata fuori dalla casa, ed era probabile che Senjuro non si fosse ancora svegliato.

I primi tempi, Kyojuro aveva avuto il bisogno costante della presenza del fratello anche quando si trattava di piccoli gesti come il preparare il latte per la bambina, ma era ormai trascorso un mese e anche il Pilastro aveva iniziato ad abituarsi a quei piccoli gesti, trovandoli via via più naturali.

Si mosse infatti con sicurezza nella cucina, riuscendo a non bruciare nulla e a ottenere il latte della giusta temperatura - cosa che, qualche settimana prima, gli era risultata ancora complicata.

Sorrise trionfante e, sedendosi per terra con le gambe incrociate davanti al basso tavolino della cucina, iniziò a far mangiare la bambina che, affamata, si attaccò subito al beccuccio dell’honyuu bin.

La osservò incantato come ogni volta, trovando impossibile non riportare i suoi pensieri alla sua situazione familiare.

Ci pensava sempre più spesso a dirla tutta. Più ogni gesto diventava naturale, più i suoi pensieri finivano per soffermarsi su quel passato che continuava a lasciargli l’amaro in bocca, nonostante fosse stato uno dei momenti più lieti e felici della sua esistenza.

Prima della malattia di sua madre tutto era perfetto, e Kyojuro aveva dei ricordi ben precisi di come era la sua famiglia prima della morte di Ruka.

Ricordava la serietà e l’aspetto nobile ed elegante di sua madre. Ricordava l’umorismo di suo padre e il suono caldo e forte della sua risata. Ricordava l’affetto e la felicità che avevano avvolto quell’intera casa quando era nato Senjuro.

Era tutto perfetto… e Kyojuro ne sentiva la mancanza ogni giorno.

Più volte si era chiesto cosa sarebbe accaduto se sua madre non fosse morta. Suo padre sarebbe stato ancora il Pilastro della Fiamma o si sarebbe ritirato, lasciando a lui l’onore di portare sulle spalle l’haori fiammeggiante dei Rengoku? I suoi genitori avrebbero avuto altri figli o sarebbero rimasti solo lui e Senjuro?

Gli sarebbe piaciuto un altro fratello o anche una sorella.

Kyojuro sorrise triste, erano dei pensieri dolci e amari al tempo stesso, ed era piacevole rifugiarvisi al loro interno quando il peso della realtà diventava troppo anche per lui.

Perché per quanto la gente fosse abituata a vederlo sorridere e trovare sempre una parola buona per tutto e per tutti, anche lui alle volte si sentiva soffocare e avvertiva il crescente bisogno di respirare.

Spesso il suo sorriso era solo frutto dell’abitudine, un qualcosa che il suo corpo faceva più per memoria muscolare che per una reale gioia.

Di tanto in tanto si sentiva un bugiardo quando si rendeva conto di non aver fatto altro se non sorridere, quando in realtà avvertiva il bisogno di piangere ed urlare, di sfogare la frustrazione che aveva accumulato in tutti quegli anni… ma alla fine il suo sorriso, seppur finto, non feriva nessuno e anzi, più volte quell’espressione rilassata e ottimista era stata d’aiuto agli altri che si appoggiavano a lui alla ricerca di un supporto.

Era il suo compito, d’altro canto. Era più forte di tanti altri, si era allenato duramente per raggiungere quei risultati, e solo in quel modo poteva proteggere e aiutare i più deboli.

Ancora una volta, Kyojuro si chiese se sua madre sarebbe stata fiera di lui e delle sue azioni. Era un pensiero insistente e ricordava di aver addirittura sognato di parlare con lei al termine dello scontro contro la Terza Luna Crescente, quando era crollato per terra esausto.

Le aveva chiesto se era fiera di lui, se aveva fatto davvero del suo meglio, e Ruka nel suo sogno - che sembrava così reale - gli aveva rivolto un sorriso, rispondendo che era orgogliosa di avere un figlio come lui.

E a quel punto, Rengoku si era svegliato alla Casa delle Farfalle.

Non era un vero e proprio ricordo piacevole, concesse il Pilastro, ma sotto un certo punto di vista lo era.

Tuttavia non poté non chiedersi se sua madre avrebbe continuato a essere fiera di lui anche dopo aver accolto un demone tra quelle quattro mura.

Kyojuro strinse le labbra e, inconsciamente, si disse che probabilmente sua madre avrebbe accettato il demone e che avrebbe amato la bambina sin dal primo momento. Era un pensiero sciocco, ma il Pilastro aveva iniziato a vedere nella Terza Luna Crescente un qualcosa che non aveva mai notato in altri demoni, e pensava che anche sua madre - che era ben più saggia di lui - lo avrebbe visto.

Perché notte dopo notte, visita dopo visita, il demone si mostrava sempre più umano. Manteneva attorno a sé sempre quell’acuta aura di pericolo, e i suoi occhi gialli portavano con orgoglio il marchio del nemico, ma non aveva tentato di far del male a nessuno… almeno non in quella casa.

Era sciocco da dire, ma alle volte Rengoku si era trovato a paragonare la Luna Crescente a un animale cresciuto nella strada. Un essere selvatico e pericoloso che non aveva conosciuto altro se non pericoli e dolore, incapace di fidarsi del prossimo e di accettare la mano d’aiuto che gli veniva tesa.

«È decisamente un pensiero stupido,» bofonchiò Kyojuro, posando sul tavolo l’honyuu bin, ormai vuoto, e spostando la bambina per permetterle di fare il ruttino che, per fortuna, non tardò ad arrivare.

In ogni caso, riprese con il filo dei suoi pensieri, era sempre più convinto che anche sua madre avrebbe notato quanto la Luna Crescente fosse un demone anomalo. Non a livello di Nezuko, ma quasi.

Sospirò e tentò di concentrarsi di nuovo sul presente e non su quelle considerazioni che, probabilmente, non lo avrebbero portato da nessuna parte.

Si permise quindi di giocare un po’ con la bambina, facendola gattonare sul tatami - lo faceva sempre più spesso, mostrando una genuina curiosità per tutto ciò che la circondava.

Il rumore della porta scorrevole alle sue spalle lo fece però sobbalzare e, voltandosi, Rengoku incrociò lo sguardo di suo padre. Si irrigidì all’istante e il suo stomaco si contorse causandogli una vaga sensazione di nausea.

L’uomo indossava il suo solito yukata sgualcito e si era appoggiato alla porta con un’espressione assonnata e stanca in viso. Non sentì provenire da lui ira o altre sensazioni negative, ma gli avvenimenti di qualche giorno prima erano ancora fin troppo freschi per essere ignorati del tutto.

«Padre! Buongiorno!» cercò ugualmente di salutarlo con un sorriso. Tentando, come ogni volta, di mostrarsi tranquillo nei confronti di Shinjuro, ma in quel momento più che mai non era certo di riuscire a lasciar trasparire sicurezza e risolutezza.

Shinjuro lo guardò in viso e il Pilastro fu certo che gli occhi del padre si fossero soffermati sulla cicatrice che gli faceva tenere chiusa la palpebra sinistra. Non aveva pensato ad indossare la benda e per un momento, davanti alla smorfia dell’uomo, Kyojuro si pentì per quella sua mancanza.

Fu però la bambina ad interrompere quel momento, infatti si era praticamente coricata a pancia in su, a pochi passi da Shinjuro. Scalciando e ridacchiando per chissà quale motivo, tendendo le braccine verso l’alto come se volesse essere presa in braccio, balbettando una lunga serie di “Tatata”.

Lo sguardo di Shinjuro si abbassò su di lei e Kyojuro, istintivamente, si fece avanti per prenderla.

Escludendo la violenza incontrollata di qualche giorno prima, suo padre sin dall’inizio era stato contrario alla presenza della piccola, e aveva più volte espresso ad alta voce il desiderio che il figlio se ne liberasse. Per quel motivo l’istinto di protezione aveva fatto subito muovere il Pilastro, ma fu Shinjuro ad anticiparlo.

Kyojuro, incredulo, lo vide piegarsi in avanti per prendere la bambina da sotto le ascelle e sollevarla. Per un istante il Pilastro pensò che fosse sul punto di prenderla in braccio, come lo aveva visto fare con Senjuro quando ancora era un neonato, ma quel pensiero restò solo una sua fantasia perché suo padre la posò subito dopo tra le sue braccia.

«Non hai ancora trovato a chi lasciarla?» domandò l’uomo, spostandosi verso la dispensa.

«Sto… sto ancora cercando, padre!» mentì, sentendo un nodo formarsi in gola per quella menzogna.

Sapeva che avrebbe dovuto cercare una famiglia benestante, in grado di occuparsi della piccola… ma non aveva mai preso realmente in considerazione quell’ipotesi né aveva mai provato a parlarne con la Luna Crescente.

Era la cosa più giusta da fare, ma il demone si era chiaramente affezionato alla bambina e Rengoku stesso sentiva una fredda morsa allo stomaco all’idea di lasciarla andare per affidarla a qualcun’altro. Ma non potevano di certo prendersi cura di lei… insieme.

Era fin troppo folle e assurdo.

Shinjuro esitò, forse per dirgli qualcosa, ma alla fine sembrò preferire il silenzio. Infatti si limitó ad afferrare una brocca d’acqua e ad allontanarsi dalla cucina, lasciando il figlio da solo con la bambina.

Era stato uno strano incontro, quello Kyojuro dovette ammetterlo, ma almeno suo padre non era stato eccessivamente ostile nei suoi confronti e in quelli della bambina… e quella era una vera e propria vittoria. Piccola, ma che donò al Pilastro un sorriso più genuino di tanti altri e che lo accompagnò per il resto della giornata.

 

..••°°°°••..

 

«Stavo pensando ad un altro nome,» esordì Kyojuro, attirando su di sé lo sguardo di Senjuro, intento a cucinare. «Hina ti piace? Scritto con il kanji di Sole

Il ragazzino assunse un’espressione sorpresa.

«Ieri ti piaceva Megumi,» gli fece presente. «Cosa aveva che non andava?»

“Una certa Luna Crescente,” pensò Rengoku senza però dare voce a quel pensiero.

Nelle notti precedenti aveva proposto altri nomi al demone, ma nessuno era stato di suo gradimento - davvero fastidioso per uno che sosteneva di non ‘avere alcun interesse per la bambina’.

«Non… non le donava?» tentò con un sorriso di circostanza, sollevando poi la bambina - intenta a masticare la bambolina, che era ormai diventata il suo giocattolo preferito - per mostrarla al fratello. «Ha più la faccia da Hina, non trovi?»

Senjuro ridacchiò, soprattutto quando la piccolina, forse nel sentirsi interpellata, lasciò perdere la sua bambolina di stoffa per emettere un verso.

«Sì, forse Hina le starebbe bene,» concesse per poi pensarci un po’ su. «Ma anche Kiyoko è un bel nome, non trovi?»

Rengoku annuì pensieroso.

«Con il kanji di purezza… sì, anche Kiyoko mi piace! Ci penserò su!» rispose e Senjuro, facendosi un po’ serio, si allontanò dai fornelli.

«Fratello… non è che stai evitando di darle un nome perché stai ancora cercando la sua famiglia?» chiese, mostrandosi combattuto e incerto a causa delle parole che stava pronunciando. «Forse temi… di affezionarti troppo a lei dandole un nome non suo? E di..  di non riuscire a separarti da lei se dovessi trovare la sua famiglia?»

Le parole di Senjuro colpirono in pieno Kyojuro.

Ovviamente lui non stava cercando nessuna famiglia perché sapeva benissimo che fine avevano fatto i veri genitori della piccolina, ma era chiaro che il suo atteggiamento potesse apparire sospetto agli occhi degli altri.

Era trascorso poco più di un mese da quando la bambina era entrata a far parte della loro vita - l’anno nuovo era appena iniziato e con esso erano arrivati nuovi propositi con i quali affrontare i successivi dodici mesi - e non le aveva ancora dato un nome, se non degli appellativi affettuosi. Tuttavia, dovette ammettere che il pensiero di abbandonarla gli faceva davvero stringere il cuore.

Ci aveva già pensato, più volte in realtà, e più il tempo scorreva più gli sembrava impossibile riuscire a separarsi da lei, al punto di arrivare a pensare di… continuare a tenerla con lui.

Era la soluzione più ovvia, ma se si fosse presentato davvero qualcuno per la bambina? Sarebbe riuscito a lasciarla? E la Terza Luna Crescente come avrebbe reagito?

Non osava immaginarlo, ma sapeva che lui si sarebbe sentito… vuoto.

«Forse,» si costrinse ad ammettere, tentando poi di alleggerire un poco i toni. «Ma vorrei che fosse un bel nome. Un nome che piaccia anche a lei.»

«Non credo che lei possa decidere!» ridacchiò Senjuro, senza però perdere del tutto il disagio che lo aveva portato ad affrontare quel discorso.

«Dillo a questa adorabile faccina che non può decidere!» ribatté Kyojuro, usando di nuovo la piccola come scudo.

La bambina iniziò la sua solita lallazione, una lunga sequela di sillabe senza senso che sembravano renderla davvero felice.

Senjuro rise più forte e Rengoku non poté non sentirsi sollevato nel vedere il fratello così felice e rilassato.

Soprattutto negli ultimi anni lo aveva visto con un’espressione triste e ansiosa - Kyojuro gli aveva dato davvero tante preoccupazioni e la situazione con loro padre non era di certo dalla loro parte -, ma giorno dopo giorno sembrava quasi più deciso a voler lasciare alle spalle la negatività per dedicarsi al presente… forse complici le lettere che continuava a ricevere da Kamado - che era stato preso sotto l’ala protettiva di Kanroji insieme ai suoi amici - e anche il fatto di aver iniziato a leggere alcuni testi sulla medicina e di primo soccorso che gli aveva inviato Kocho.

“Quando vorrà, potrà venire alla Casa delle Farfalle”, aveva scritto il Pilastro degli Insetti in risposta a una lettera che Kyojuro le aveva scritto per aggiornarla sulle sue condizioni fisiche. “Le ragazze saranno felici di insegnargli qualcosa. Sono certa che Senjuro-kun sarà un ottimo allievo, nonché membro della squadra medica in futuro se mai esprimerà quel desiderio.”

Anche Rengoku lo pensava. Era convinto che suo fratello avesse davvero del talento ed era sollevato all’idea di poterlo indirizzare proprio da Kocho.

Quando la risata si spense, Senjuro si sporse verso di lui per prendere a sua volta in braccio la bambina.

«Sai… se tu non dovessi trovare la sua famiglia… non mi dispiacerebbe… continuare a prendermi cura di lei,» ammise sincero ma al tempo stesso insicuro.

Kyojuro si fece serio. Non era sorpreso dal fatto che anche Senjuro avesse iniziato a nutrire i suoi stessi desideri ma se nella sua mente Rengoku sentiva di poter fantasticare, nella realtà sapeva invece di dover mantenere i piedi ben piantati per terra.

Potevano realmente prendersi cura di lei durante tutta la sua crescita?

«Senjuro…»

«So che non sarà semplice ma… ha probabilmente perso la sua famiglia. Forse è sola al mondo e l'hanno affidata a noi. Non voglio che venga… mandata in altre famiglie… potrebbe essere traumatico per lei e credo abbia già subito fin troppi traumi,» spiegò prontamente il ragazzino, mentre la bambina gli tastava con le manine le guance e il mento - Senjuro di tanto in tanto le dava anche dei bacini sulle dita quando queste andavano a posarsi sulla sua bocca.

Rengoku lo ascoltò con la massima serietà, trovandosi pienamente d'accordo con i pensieri e i desideri del fratello.

«Ammetto che ci ho pensato anche io,» si costrinse a rispondere. «L'idea di separarmi da lei mi fa… stringere il cuore. Come se venisse strappato dal mio petto.»

«Non sarebbe un peso per me occuparmi di lei quando sei in missione,» precisò subito Senjuro, e Kyojuro non poté non sorridergli.

«Vediamo come si evolve la situazione, ma per ora la bambina non si muoverà da questa casa!» annunciò, facendo sorridere anche suo fratello, sollevato all'idea di non dover dire addio a quel piccolo raggio di sole che in un modo o nell'altro li aveva fatto avvicinare ulteriormente, facendoli di nuovo sentire una famiglia.

 

..••°°°°••..

 

«Ogni quanto tempo voi demoni dovete mangiare?»

Akaza, seduto con la schiena appoggiata alla parete della stanza del Pilastro, inclinò il capo.

«Ogni quanto tempo voi umani mangiate?» rispose con tono tranquillo. «Così come voi dovete nutrirvi, anche i demoni devono farlo se vogliono sopravvivere e diventare più forti. La maggior parte dei demoni quindi mangia ogni giorno.»

Era una delle serate nelle quali facevano quella sorta di gioco delle domande, e come sempre Kyojuro si mostrava particolarmente interessato alla natura dei demoni. Akaza non sapeva il reale motivo di quella curiosità, ma dall'altra parte la Luna Crescente non aveva ancora perso la speranza nel riuscire a farlo convincerlo a diventare un demone e rispondeva a quei quesiti senza mai tirarsi indietro.

«E non potete mangiare altro? Animali? Carcasse? Cibo umano?»

«Animali e carcasse sì,» assentì Akaza storcendo il naso. «Oppure bere sangue in casi estremi, ma sarebbe una dieta… priva delle fonti necessarie di nutrimento. Sarebbe come mangiare solo frutta e verdura: sentiresti la mancanza della carne o di altri alimentati.»

«Comprendo… ma comunque c'è chi vive con una dieta simile,» gli fece presente Kyojuro. «Mentre il cibo umano? Non credo di averti mai offerto qualcosa… potrei prepararti il tea la prossima volta!» esclamò quasi mortificato, come se il non aver mai fatto gli onori di casa fosse fonte di imbarazzo.

Akaza non poté non ridere nel notarlo. Non era la prima volta che il Pilastro si comportava in quel modo con lui. Lo trattava come un ospite, come se la sua presenza fosse davvero gradita. Era assurdo ma piacevole, tant'è che Akaza non riuscì ad ignorare un vago calore che andò ad abbracciargli il petto.

«Preferirei di no,» rispose alla fine. «Il cibo umano è tossico per i demoni.»

«Tossico? Come il glicine?»

«No, non è un veleno. Ma il nostro corpo non sopporta il cibo umano e lo vomitiamo. Non è uno spettacolo gradevole.»

Kyojuro aggrottò le sopracciglia, mostrandosi pensieroso per qualche momento. Strinse le labbra e assunse un'espressione seria e risoluta.

«La mia risposta non sarebbe cambiata in ogni caso ma con questo ne ho l’assoluta certezza…»

«Cosa?»

«Non diventerò mai un demone. Come potrei sopravvivere senza mangiare ramen? O patate dolci? O il riso?» spiegò il Pilastro, come se quella fosse una questione di vita o di morte, cosa che fece ancora ridacchiare Akaza.

«Non ti facevo una persona così… golosa,» ammise il demone senza però neanche tentare di spiegare a Kyojuro che, una volta trasformato, non avrebbe neanche voluto sentire l'odore di quegli alimenti e che la fame per la carne umana avrebbe cancellato tutto il resto.

«Lo saresti anche tu se ti ricordassi il sapore di certi piatti,» ribatté Kyojuro con un mezzo sorriso. «Per il nome! Che ne dici di Ichigo? Le sue guance sono rosse come le fragole!»

«Non darai alla bambina il nome di qualche piatto o frutto, Kyojuro!»

Il Pilastro rise ma poco dopo si fece di nuovo serio, come se si fosse reso conto di qualcosa che, forse, aveva ignorato fino a quel momento.

«Quindi tu… ogni giorno…»

Esitò nel pronunciare quelle parole, ma ad Akaza non servì sentire la frase per intero per comprendere ciò che il Pilastro stava tentando di chiedergli. Le spalle di Kyojuro si erano fatte improvvisamente tese e il suo spirito combattivo si era quasi illuminato al solo pensiero della scia di morte che la Luna Crescente lasciava alle sue spalle.

L'ambiente dietro quelle quattro mura era così rilassato che spesso lo stesso Akaza tendeva a dimenticare di avere davanti una persona che avrebbe dovuto uccidere. Era come entrare in un altro mondo, dove le rispettive fazioni non esistevano… ma la realtà era sempre pronta a far tornare entrambi con i piedi per terra.

«Che tu ci creda o no… non mangio poi così tanto come gli altri demoni,» svelò Akaza. «Se mi alleno, la fame passa quasi sempre.»

L'occhio sano di Kyojuro si allargò per la sorpresa e la sua espressione mutò dall'incredulità a una più pensierosa.

«Quindi… si può dire che per te l'allenamento serve a recuperare le energie e a rafforzarti al posto di mangiare?» domandò.

«Solo in questo modo so che la mia forza è solo mia, e non frutto del sangue di qualcun’altro,» ribatté Akaza con un pizzico di orgoglio nella voce.

Aveva ucciso un'infinità di persone, distrutto interi villaggi su ordine di Muzan, ma tra le Lune Crescenti era forse quello che aveva avuto meno bisogno del sangue del suo padrone. Per lui era una sorta di questione di principio.

«In pratica tu usi l'allenamento per praticare l’inedia, così come il demone che conosco io utilizza il sonno,» spiegò Kyojuro con un sorriso quasi soddisfatto per aver elaborato quel teoria.

Akaza strinse le labbra ma dovette ammettere che, in qualche modo, aveva senso.

«Questo implica che però quel demone, come me, dovrà mangiare prima o poi,» gli fece presente ma il Pilastro scosse la testa quasi fieramente.

«Sono certo che non lo farà. La sua forza di volontà è incommensurabile

Lo stomaco di Akaza si torse un poco, disturbato da quell'affermazione senza una vera e propria motivazione, e decise per quel motivo di mettere la parola fine a quella visita.

Solo quando si trovò distante dalla dimora dei Rengoku si permise di formulare un pensiero che fu in grado di sciogliere il nodo che si era formato nel suo stomaco.

"Ho abbastanza forza di volontà per fare la stessa cosa che fa quel demone, non sono da meno!"

 

..••°°°°••..

 

Sin da quando Akaza aveva memoria - ovvero per la sua intera esistenza da demone -, il tempo non aveva mai avuto una reale importanza per lui.

Certo, aveva la consapevolezza dell'alternarsi dei giorni e sapeva quantificare il tempo trascorso senza alcun problema, ma non aveva mai dato un reale peso a quei numeri.

Era un demone, e per definizione anche immortale. Di conseguenza 'contare i giorni' gli era sempre sembrato sciocco oltre che inutile: una vera perdita di tempo. Tempo che avrebbe potuto impiegare allenandosi.

Eppure non riusciva a non provare una sorta di fastidio misto alla nostalgia nel rendersi conto che erano passati ben cinque giorni dall’ultima volta che era stato a casa di Kyojuro. 

Non riusciva proprio a comprendere che cosa gli stesse accadendo, ma aveva iniziato a porsi delle domande sempre più frequenti e a desiderare di rendere Kyojuro fiero di lui.

Erano sentimenti e bisogni assurdi e pericolosi, e notte dopo notte la necessità di stare lontano dal Pilastro della Fiamma - per proteggere sia Kyojuro che la bambina - si scontrava con il sempre più crescente impulso di rivederlo, di sentire la sua voce e di ascoltare la sua risata.

Akaza non capiva. Non riusciva proprio a comprendere quei mutamenti, ma sotto un certo punto di vista era certo che la colpa fosse di Kyojuro.

Perché se il Pilastro non gli avesse posto quelle domande sul fine della sua continua ricerca della forza, se non gli avesse parlato di quell'altro demone e se soprattutto non lo avesse fatto sentire accettato in quella casa, probabilmente Akaza non avrebbe iniziato a mettere in dubbio nulla della sua esistenza.

All’inizio aveva sperato di poter ignorare quei dubbi, ma non ne era stato in grado. Neanche dopo essersi costretto lontano da Kyojuro per tutti quei giorni.

Gli sembrava impossibile poter controllare sia i suoi pensieri che quel susseguirsi di domande e sensazioni che lo rendevano inquieto. Cosa che, ironicamente, non accadeva quando era in compagnia del Pilastro.

Quando erano insieme non sembrava esserci spazio per quell’assordante rumore fatto dai suoi pensieri, era come se la sola presenza di Kyojuro gli facesse sentire di nuovo la terra sotto i piedi e non in balia di quelle onde che portavano con loro solo domande e frustrazione. 

Ovviamente Akaza aveva tentato di dare delle spiegazioni logiche, o quanto meno credibili, alla sua situazione. Un modo come un altro per non pensare a quelle che potevano essere le reali implicazioni della sua ossessione, e l’unica spiegazione che aveva trovato riguardava la sua voglia di combattere contro il Pilastro. 

Avrebbero combattuto di nuovo un giorno?

Ad Akaza sarebbe piaciuto, lo ammetteva senza il minimo imbarazzo e più volte aveva espresso quello stesso desiderio anche dinanzi a Kyojuro. Lo spirito combattivo del Pilastro era incredibile, non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua esistenza. Per non parlare della sua tecnica, la postura con la spada e la velocità con la quale reagiva, preparando una nuova strategia di attacco o di difesa.

Era l'umano più interessante e forte con il quale si fosse mai scontrato, e se da una parte provava una sorta di ammirazione proprio per il fatto che Kyojuro fosse un umano dotato di quelle capacità straordinarie, dall'altra… era proprio il suo essere un umano a lasciarlo ad un passo dalla perfezione.

Kyojuro sarebbe stato un demone perfetto e avrebbero potuto combattere insieme per sempre, migliorare e diventare sempre più forti.

Insieme.

Quel pensiero lo fece sorridere ma in un solo secondo le sue labbra si piegarono in una smorfia, perché per l'ennesima volta arrivò a chiedersi perché desiderasse così tanto che Kyojuro diventasse un demone.

Già in passato aveva fatto quella stessa proposta a innumerevoli Pilastri. Tutti avevano rifiutato e tutti, nessuno escluso, erano morti.

Ricordava tutti i loro nomi e il loro stile di combattimento, continuava a nutrire per loro il rispetto che era dovuto a dei guerrieri di un livello superiore e a provare delusione per come la loro testardaggine li avesse portati alla morte… ma con Kyojuro era stato diverso. 

Perché? 

Con lui aveva insistito ancora e ancora - e continuava a farlo anche durante le sue visite a casa del Pilastro. Aveva sentito il bisogno di convincerlo a diventare come lui. Fremeva ancora per il brivido di quel combattimento e per come anche le loro ideologie fossero arrivate a scontrarsi. Aveva desiderato per davvero di averlo come avversario per l'eternità, in una continua lotta che li avrebbe portati a essere sempre più forti di chiunque altro… forse per quel motivo non era stato in grado di ucciderlo? Per quel motivo Kyojuro era diventato speciale?

Cosa lo rendeva tanto diverso dagli altri Pilastri che aveva ucciso?

Di sicuro, era stato l'unico con il quale aveva parlato più a lungo, e di conseguenza anche il solo ad avergli chiesto il perché delle sue azioni. Come se fosse realmente importante avere avuto degli obiettivi quando era un umano.

Non riusciva a rispondere a quelle domande ed erano sicuramente le più fastidiose e insistenti, perché Akaza si allenava costantemente per diventare più forte, ma non si era mai realmente chiesto il motivo.

La risposta che alla fine aveva tentato di darsi, pur di cercare di zittire i suoi pensieri, riguardava il voler sconfiggere Kokushibo e Douma.

Si era già scontrato con le due Lune Crescenti di rango superiore al suo e ne era uscito sconfitto. Quella poteva già essere una motivazione più che valida al suo desiderio, ma dall'altra parte non poteva non chiedersi: perché batterli e cosa sarebbe successo dopo?

Voleva forse essere lui la Prima Luna Crescente? Ma a quale scopo? In fondo non gli era mai interessata realmente la sua posizione tra le Dodici Lune Demoniache, aveva sempre e solo desiderato affrontare degli avversari più forti… ma allora: perché quel desiderio? 

E la sua mente tornava di nuovo al punto di partenza, con la frustrazione di non aver concluso niente.

Sospirò, mentre le sue gambe iniziarono a muoversi verso la zona dove si trovava la casa dei Rengoku, e dove avrebbe sicuramente rivisto sia Kyojuro che la bambina. L’unico momento nel quale il suo corpo trovava di nuovo l’equilibrio perso.

Quel pensiero però, per quanto piacevole e rassicurante, fece stringere lo stomaco di Akaza.

Se Kyojuro fosse stato un demone, realizzò, non avrebbe mai accolto la bambina a casa sua e Akaza non avrebbe avuto nessuno al quale affidarla.

La bambina sarebbe morta.

Il demone sentì un forte cerchio alla testa. Lo stesso che di solito preannunciava l’assordante fischio che lo rendeva sordo a tutto, tranne che ai lamenti e alle urla di qualche donna in pericolo.

Era l’istinto di protezione che scalciava per costringerlo ad agire, ignorando ogni senso logico.

“L’avrei salvata ugualmente!” gridò a se stesso, come per allontanare quell’ipotesi. 

Era certo che l’avrebbe fatto, ma ci sarebbe riuscito? E se Kyojuro fosse stato un demone… l’avrebbe aiutato a salvarla? Oppure avrebbe cercato di divorarla?

Come avrebbe agito?

Immaginarlo come Douma, o come qualsiasi altro demone, fece torcere lo stomaco di Akaza facendogli provare una sensazione simile alla nausea.

Dentro di sé si ripeté che il Pilastro non sarebbe mai stato come Douma, ma poteva davvero escluderlo?

Akaza non amava particolarmente gli altri demoni. Non andava d'accordo con nessuno, men che meno li rispettava.

Quanto sarebbe cambiato Kyojuro nel diventare un demone?

Egoisticamente Akaza aveva sempre e solo pensato al fatto che sarebbero stati insieme, ma non alle conseguenze. La personalità del Pilastro sarebbe rimasta intatta? O si sarebbe trasformata con lui? Akaza avrebbe iniziato a detestarlo come detestava tutti gli altri demoni?

Non gli piaceva l'idea di Kyojuro senza il suo sorriso luminoso, la testardaggine e la positività. Senza quel calore che lo contraddistingueva e la dolcezza con la quale cullava la bambina… Kyojuro non sarebbe più stato Kyojuro senza quei piccoli dettagli che lo rendevano umano.

Era questo ciò che il Pilastro intendeva quando parlava della bellezza degli umani?

Gli umani erano deboli e fragili, ma Kyojuro non lo era. Lui era… perfetto anche da umano, e non doveva cambiare.

Quel pensiero lo colpì come uno schiaffo, che divenne ancor più violento quando sentì un forte odore di sangue femminile provenire da delle case sparse al limitare della foresta.

Le sue attenzioni si rivolsero subito verso la zona dalla quale sentiva provenire l’odore, e senza pensarci due volte le sue gambe si mossero verso quella direzione.

Il familiare fischio si fece sempre più forte, annullando i suoi pensieri e arrivando a renderlo quasi sordo a tutto ciò che lo circondava.

Individuò facilmente la dimora dalla quale sentiva provenire l’odore di sangue di una donna. La casa era silenziosa e piccola, non troppo povera o isolata dalle altre.

Sarebbe sembrata una normalissima casa, se non fosse stato per il forte e nauseabondo odore di morte.

Irruppe dalla finestra lasciata socchiusa, e lo spettacolo che lo accolse gli fece mancare per un momento la terra da sotto i piedi.

C’era una donna, forse poco più che ventenne, accasciata contro il muro. Indossava i resti di un kimono da notte chiaro che era stato strappato e aperto per mettere a nudo la sua pelle, sulla quale erano visibili innumerevoli segni di violenza.

Il sangue sgorgava, ormai lento, da una ferita all'altezza del collo, tagliato probabilmente da una lama.

Akaza si inginocchiò accanto a lei, i suoi pantaloni si sporcarono subito di sangue, ma li ignorò per allungarsi a prenderle con attenzione il polso e controllare, scioccamente, il battito.

La mano della donna era esile e fredda contro la sua, piccola e delicata. Le dita della giovane erano sporche di sangue e le unghie rovinate e strappate come se avesse combattuto, aggrappandosi al tatami o al corpo del suo assalitore. Aveva cercato di sopravvivere, ma non era stata abbastanza forte… e ovviamente il battito era assente.

Si sentì tremare e si morse la lingua per impedirsi di urlare tutta la sua rabbia e frustrazione in quel momento. Lasciò la mano, che ricadde senza vita lungo il corpo della donna, e scattò in piedi.

I suoi sensi si spostarono altrove, ignorando il tanfo nauseabondo del sangue della donna, per concentrarsi su un secondo odore presente in quella casa.

Quello di un uomo ed era lui, in quel momento, la sua preda.

Balzò di nuovo fuori dalla finestra, seguendo la traccia lasciata dall’assassino di quella donna e la sua caccia, ovviamente, non durò a lungo.

Fu infatti facile trovare l’uomo che aveva attaccato quella donna, da lui proveniva l’odore del sangue della sua vittima e anche un acceso senso di soddisfazione, come se fosse compiaciuto dalle sue azioni.

Come se la vita di quella donna gli fosse appartenuta. Come ucciderla fosse stato un suo diritto.

Era solo un codardo. Un essere vile e debole. Come quelli che avvelenavano i pozzi.

Quel pensiero fece ribollire ulteriormente il sangue di Akaza. Non aveva fondamento o un filo logico, ma la rabbia che sentiva di provare era così reale e forte da impedirgli di pensare a possibili spiegazioni.

Attaccò l'uomo senza neanche lasciargli il tempo di rendersi conto di essere stato raggiunto. Balzò davanti a lui, prendendolo per il collo e stringendolo con forza.

Nel silenzio della notte si sentì un violento e secco crack, che trasformò il principio di un urlo in un gorgoglio soffocato sempre più basso.

L'uomo si afflosciò senza vita e Akaza, saltando via, portò il corpo lontano dalla stradina che stava percorrendo per abbandonare la casa della sua vittima.

Raggiunse uno spiazzo tra gli alberi vicini, e lì lasciò cadere per terra il cadavere, guardandolo con disprezzo.

Erano uomini deboli come quello che accendevano in lui una cieca rabbia. Un disgusto che sembrava avere radici profonde e inesplorate nel suo animo. 

Animato da quell'ira, Akaza iniziò a colpire quel corpo, ancora e ancora, fino a quando nella fredda terra non rimasero altro se non brandelli irriconoscibili di quello che neanche cinque minuti prima era un uomo.

L'odore del sangue impregnava l'aria di quel piccolo spiazzo nella foresta, e gli schizzi avevano sporcato gli indumenti di Akaza, ma non se ne curò.

Rimase immobile mentre i suoi pensieri tornarono alla donna morta. L’ennesima.

“Non sono arrivato in tempo…” pensò, chiudendo gli occhi e lasciandosi avvolgere dall’oscurità.

   
 
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