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Autore: Anna Tentori    21/01/2023    1 recensioni
Avevo undici anni quando mia sorella iniziò a soffrire di disturbi alimentari, e non potevo sapere che questo avrebbe sancito la fine della mia infanzia. Avevo già sentito parlare di anoressia, ma associavo questa parola solo a un corpo scheletrico, nient’altro. Ero troppo piccola per comprendere subito quello che stava succedendo.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L’infanzia è un ricordo dolce e colorato, pieno di serenità e di enormi sorrisi: le lunghe giornate estive passate a giocare a nascondino, le olimpiadi a misura di bambino organizzate da mamma in cortile, le corse nei prati di Yanama sotto gli occhi attenti e silenziosi delle Ande, le sfilate di animali di plastica organizzate in salotto, le ore spese ad entrare negli armadi con la speranza di vedere il fauno Tumnus in carne ed ossa. Potrei elencare altri mille episodi, altri innumerevoli flashback felici, ma non è questa l’occasione. Racconterò, invece, il momento in cui ho salutato l’innocenza di quel periodo.
Avevo undici anni quando mia sorella iniziò a soffrire di disturbi alimentari, e non potevo sapere che questo avrebbe sancito la fine della mia infanzia. Avevo già sentito parlare di anoressia, ma associavo questa parola solo a un corpo scheletrico, nient’altro. Ero troppo piccola per comprendere subito quello che stava succedendo. Mi ricordo una volta in cui vidi Francesca mettere a tavola un piatto con due carote crude e una mozzarella: nessun condimento, neanche un filo d’olio. Solo ora, con occhi più esperti, capisco che stava già crollando lentamente. Da qualche tempo aveva iniziato una dieta consigliata da un’amica, mamma cucinava per noi e lei per sé stessa: pesava ogni ingrediente dopo aver scrutato attentamente le etichette, evitava qualsiasi cosa fosse fritta, piena di zuccheri o carboidrati; settimana dopo settimana le porzioni diminuivano e con loro la sua felicità. I miei si resero veramente conto di quello che stava succedendo nel momento in cui smise improvvisamente di mangiare. Era a digiuno da una settimana quando furono chiamati nel bel mezzo della notte: solo il giorno dopo compresi che era finita in ospedale, il suo corpo non aveva retto alla prolungata assenza di cibo e all’eccesso di alcol. Da quel momento le cose precipitarono. Il pasto divenne un rito faticoso, in cui protagonisti erano il controllo e la discordia: Franci rifiutava aggressivamente qualsiasi alimento, mia madre, preoccupata e smarrita, cercava di imporle la dieta della nutrizionista. In famiglia ora tutto sembrava ruotare ossessivamente intorno al cibo, e nessuno era risparmiato dall’occhio attento di mamma: si assicurava sempre che tutti finissero il pasto, nessuna eccezione. Quando mangiavo mi sentivo in colpa, come se assaporare quei cibi davanti a Franci fosse una bastardata. Senza accorgermene iniziai a osservare ogni suo faticoso boccone, a tenere d’occhio l’orario per assicurarmi che consumasse ogni suo spuntino; da lontano controllavo che non nascondesse o buttasse il cibo: senza volerlo mi assunsi la responsabilità della sua salute. Passava intere giornate a letto, inerme e con gli occhi vuoti; dimagriva a vista d’occhio; quando non era triste era aggressiva. La sensazione di non poter fare nulla per aiutarla mi faceva arrabbiare, avrei voluto darle uno specchio della verità per farle capire che non era grassa come pensava. Nonostante faticassi a capire i discorsi dei miei genitori ne intuivo la gravità: la bradicardia, il peso troppo basso, il rischio del ricovero. Lo spettro della morte bussava alla mia mente. Iniziai a strozzare ogni mia difficoltà, mamma e papà non meritavano altre preoccupazioni. Il clima a casa era teso e soffocante: controllo e preoccupazione, litigi e silenzi. Iniziai a soffrire di ansia.
Solo adesso mi rendo conto di come questa esperienza abbia inciso profondamente sul mio ingresso nell’età adolescenziale, permettendo al disincanto di farsi strada, in punta di piedi, nella mia vita. L’immagine idealizzata della tua famiglia si sgretola, rivelando le sue crepe e le sue contraddizioni; i tuoi occhi scorgono finalmente l’umanità dei tuoi genitori; le relazioni umane diventano più complicate e concrete; il mondo reale si spoglia della sua veste dolce e immaginaria. Ho attraversato un’ultima volta l’armadio: non ho trovato il fauno Tumnus né il famoso lampione, ma un percorso di crescita difficile e meraviglioso.

 
   
 
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