Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: z0mbie    21/01/2023    0 recensioni
I diamanti sono indistruttibili? Stupidaggini.
I diamanti si sgretolano.
I diamanti sanguinano.
I diamanti appassiscono come rose.
A Rohan non restava più nulla, se non il ricordo di Josuke che varcava la soglia di casa sua e il suo virile profumo che impregnava quella dannata giacca che, in quel momento, stringeva a sé come se potesse andarsene via dalla sua vita da un momento all'altro.

[implied JosuHan - post DiU, Thus Spoke Kishibe Rohan timeline]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koichi Hirose, Rohan Kishibe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Beh, ormai sembro averci preso gusto. Non ero così ossessionata in maniera fissa da una ship da mooolto tempo, ma questi due mi stanno portando via l'anima e persino distraendo da One Piece, che è il mio main fandom. Rohan è il mio personaggio preferito di JoJo e, per alcune personali ragioni, lo sento molto vicino a me; scrivere con e su di lui è semplice e divertente, mi esce molto naturale, e questa volta vorrei sperimentare con un po' di angst. Ma un angst brutto brutto, e me ne colpevolizzo. Questa what if è pressapoco ambientata 10 anni dopo i fatti di DiU e le vicende di "Thus Spoke Kishibe Rohan" sono in corso; Rohan ora ha 30 anni ed i suoi lavori procedono molto bene, e soprattutto ha dimostrato un cambiamento repentino di personalità: è più compassionevole, serio, maturo ed equilibrato, ma riguardo Josuke...? Negli spinoff di Rohan li abbiamo visti mangiare assieme, ma siccome JoJo non parla mai né si vede in volto non ci è dato sapere in che rapporti siano. Personalmente mi piace pensare che qualcosa tra loro si sia smosso e, che in un certo, senso anche Rohan ha deciso di "piantare" l'ascia di guerra, pur mantenendo il suo "odio" per facciata. In ambito amoroso, invece, sono certa che Josuke sia quello del primo passo e della cotta. Lui non rinnegherebbe e, anzi, vorrebbe che Rohan si innamorasse di lui a sua volta cosa che nei miei headcanon è già successa, coff. Non vorrei però dilungarmi troppo e lascio quindi la storia. Tutto è ovviamente narrato dal POV di Rohan (ad eccezione del verso iniziale della canzone, che invece associo molto a Josuke) e ben presto si saprà perché. Spero possiate apprezzare. A presto!
Jojo's Bizarre Adventure © Hirohiko Araki

 
Quando i diamanti si sgretolano.
 
Si rincorrono i ricordi
Come cani in un cortile
Tu nemmeno te ne accorgi
Come un fesso vorrei farti innamorare
No, ti prego, non andare
Se puoi rimani fino a domani
(Il Comico - Cesare Cremonini)

 

Rohan si sentiva strano, irrequieto. Aveva svolto tutte le sue odierne mansioni, tenuto un incontro con Izumi Kyoka per discutere dei prossimi capitoli di Pink Dark Boy e una volta tornato a casa si era immediatamente messo a lavoro, ma qualcosa gli faceva attorcigliare lo stomaco dall'ansia e non lo lasciava disegnare come avrebbe voluto.
Era così illogico tutto ciò. Che motivazione aveva di sentirsi così? Il mangaka aveva addirittura ipotizzato che quella sensazione fosse dovuta all'attacco di qualche portatore di Stand di tipo psycho, tanto che aveva persino setacciato la villa e il vicinato in lungo ed in largo, ma senza risultato alcuno.
Nessuno in vista. Nessun pericolo imminente.
Certo, poteva forse essere il contrario? Dopo i fatti di Yoshikage Kira, la città non era più sotto la minaccia di pericolosi individui dotati di poteri sovrannaturali e, a volte, lo stesso artista trovava la cosa persino noiosa. Ora c'erano solo ladruncoli qualsiasi, teppistelli o piccoli criminali comuni. Nulla di troppo interessante e che potesse in qualche modo stimolare la sua fantasia. Il crimine era forse meglio lasciarlo a chi di dovere, almeno questa volta. Da quando quell'imbecille pomposo di Higashikata Josuke era entrato in polizia, Morioh poteva sicuramente dormire sonni tranquilli dopo tanti anni di incubi e paure. 
Quel ragazzino era cambiato così tanto agli occhi del fumettista... anche se non glielo avrebbe mai detto a voce alta, era diventato più serio, maturo ed equilibrato. Quel marmocchio era diventato un uomo fatto e finito e, in un certo senso, gli piaceva definirlo "idiota" semplicemente per pura questione affettiva. Rohan, però, non parlava con Josuke da diverso tempo e preferiva che le cose restassero così. 
La sera del ventitreesimo compleanno di Koichi finirono a letto assieme ed entrambi sapevano che prima o poi sarebbe accaduto. Avrebbero voluto incolpare l'alcool, la pioggia e il freddo primaverile di un ventotto marzo che ancora non sapeva di primavera, ma sapevano che sarebbero state solo scuse fragili come castelli di sabbia. Josuke era bello, tonico, sensuale, virile... e il fumettista si era umiliato sufficientemente ammettendo a sé stesso non solo di provare qualcosa per il più piccolo, ma anche che quell'unica notte d'amore che avevano condiviso assieme era stata la più bella della sua vita. Ma l'incantesimo poi finì, e Kishibe aveva deciso di troncare definitivamente ogni rapporto. Non sedevano più a pranzo, non si incontravano più per strada, non parlavano nemmeno per telefono. 
Erano diventati due completi estranei.
Per Kishibe contava solo il suo lavoro. Contava solo il suo obiettivo.
Contava solo quella bugia che ogni giorno cercava disperatamente di raccontare a sé stesso.
Durante il tragitto di ritorno verso casa, Rohan notò curiosamente un'autoambulanza proseguire a gran velocità, scortata da ben tre auto della polizia con tanto di sirene accese. Il mangaka inarcò un sopracciglio e si domandò cosa fosse mai accaduto, non aveva mai visto tutto questo trambusto a Morioh dalla morte di Kira!
La sua innata curiosità ed il suo istinto di autore gli intimavano di seguire quella fila di auto e capire cosa stesse succedendo, ma aveva già buttato al vento una mezza giornata di lavoro e Rohan decise di lasciar perdere. Era già spaventosamente 
— e stranamenente — indietro sulla tabella di marcia e non aveva alcuna intenzione di perdere altro tempo. Probabilmente avrebbe mangiato i soliti noodles precotti chinato sulla scrivania e avrebbe proseguito a lavorare fino in tarda notte, aveva programmato un viaggio nel nord del Giappone per alcuni studi da lì a due giorni e non poteva certo permettersi di saltarlo a causa della sua ingiustificata negligenza!
Una volta entrato in casa, però, il mangaka percepì quell'ansia che lo attanagliava diventare sempre più forte ed insistente. Il cuore gli batteva forte, tanto da diventare una vera e propria tachicardia, e quasi non sentiva più le mani dalla tensione crescente. 
Che cosa diavolo stava succedendo?
Rohan raggiunse un po' barcollante il suo studio e solo in quel momento si accorse di aver dimenticato il proprio cellulare sulla scrivania. Aveva appena smesso di squillare.
(7) chiamata persa Hirose Koichi

« Qui c'è puzza di bruciato. » pronunciò con una punta di preoccupazione che non riusciva nemmeno a nascondere. Voleva sinceramente bene a Koichi, era forse la persona migliore che avesse mai conosciuto in quella folle, pazza e rumorosa città, e tutte quelle chiamate non promettevano nulla di buono.
Andiamo, Rohan, non è da te farti prendere dal panico così.
Il mangaka fece per richiamare l'amico quando questi lo anticipò sul tempo. Senza pensarci due volte, l'uomo risposte.

« Koichi-kun? » rispose serio e conciso, cercando però di non lasciar trapelare all'amico alcun segno di preoccupazione o ansia. 
D'altro capo della cornetta, Hirose respirava a fatica, era affannato, a malapena riusciva a parlare, piangeva.
Quella situazione gli piaceva sempre meno.
« Sensei! Sensei! » il ragazzo cercava di riprendere fiato ed esprimersi, ma quando l'altro riuscì a pronunciare quelle tre dannate parole, Rohan sentì il mondo cadergli addosso.
Il cuore gli si era fermato nel petto.
Il sangue gli si era gelato nelle vene.
Gli occhi erano sbarrati.
La bocca spalancata non emetteva alcun tipo di suono.
Il telefono gli scivolò dalle mani e cadde a terra, spargendo i suoi pezzi in giro per lo studio.
E tutto il resto fu silenzio.


Josuke lo guardava con quel solito sorriso sfacciato e odioso. I purissimi occhi azzurri erano divertiti e spalancati, come se si stessero prendendo gioco di lui. Ancora una volta.
Cosa pensava, quell'idiota? Che ora si sarebbe aperto cuore a cuore con lui? Nossignore, non era così arrabbiato nemmeno quando quell'incosciente marmocchio gli aveva incendiato la villa!
Dio, lui e le sue manie da Superman erano così insopportabili! Cosa sperava di ottenere andandosene in giro a fare il buon samaritano? Era per questo che lo odiava, non gli dava mai ascolto! Gli piaceva mettersi in situazioni di pericolo, correre il rischio ed ignorare deliberatamente i consigli altrui, proprio come aveva fatto quella volta quando si erano ritrovati ad affrontare Yuya Fungami assieme. A Josuke piaceva semplicemente farlo incazzare.
Smettila di guardarmi così, brutto idiota. Smettila di sorridere. Smettila di giocare a fare l'eroe.
« Mio figlio... mio figlio amava questa città più di ogni altra cosa al mondo... » annunciò la signora Higashikata con un fazzoletto stretto tra le mani. Tomoko era sempre stata una donna bella, avvenente e sensuale, ma in quel momento dimostrava più anni di quanti in realtà ne avesse. Era distrutta, provata e disperata. Accanto a lei il signor Joestar, ormai totalmente incapace di stare in piedi e costretto in sedia a rotelle, non riusciva a proferire parola. Nonostante gli anni e un avanzato stadio di demenza senile, l'anziano uomo sembrava però drammaticamente cosciente della situazione.
C'erano Jotaro Kujo in compagnia della piccola Shizuka Joestar ormai cresciuta, Okuyasu Nijimura, Koichi e la sua fidanzata Yukako, Mikitaka, Tamami, Hazamada, Yuya Fungami assieme alle sue fidanzate, Tonio Trussardi e persino due donne sconosciute — di cui una molto anziana — che non aveva mai visto prima d'ora.
Nessuno proferiva parola. Mai nessun silenzio fu più rumoroso di quello.
Josuke amava Morioh e Morioh amava Josuke.
« Mio figlio era un ragazzo buono, gentile e coraggioso. Dopo la morte di suo nonno aveva promesso di proteggere questa città a costo della vita... e così ha fatto. » nonostante il dolore che la lacerava, la signora Higashikata riuscì a mantenere una ferma compostezza ed una decorosa dignità. Le lacrime decoravano il suo viso, le mani tremavano e i segni dello stress e la disperazione erano ben visibili sul suo corpo stremato e macinato, ma anche davanti alla morte del suo unico e amato figlio riuscì a mantenere il suo carattere duro ed autorevole. Era una donna ammirevole.
Rohan in normali circostanze si sarebbe chiesto che cosa si prova a perdere un figlio, quale sorta di dolore deve patire un genitore nel vedere la natura sovvertire le regole e strappargli via l'amore prima del tempo, avrebbe persino preso appunti per una storia. Ma non in quel momento. Rohan non fece nulla, se non guardare rabbiosamente quella foto di Higashikata delicatamente posta sopra il butsudan, accanto vasi colmi di fiori di loto, gigli e persino un girasole. Luminoso, puro, bello come lo era Josuke in vita.
Lo prendeva in giro anche nella morte, quello stupido ragazzino
32. 32 coltellate inferte da un pazzo senza Stand che aveva cercato di violentare una ragazzina. 
32. 32 coltellate che lo hanno strappato via alla vita. Che lo hanno portato via dalla sua Morioh, dalla famiglia, dagli amici.
Che lo hanno portato via da lui.
Rohan non poteva più sopportare quella supponenza, quella saccenza da parte di Higashikata. Nervoso e stizzito, si alzò dal tatami ed uscì dalla sala funebre, senza nemmeno rendersi conto che Koichi non gli aveva tolto gli occhi di dosso neppure per un istante.


Hirose Koichi aveva solo venticinque anni ma nella sua vita aveva affrontato già abbastanza pericoli e numerose battaglie, ma nessun giorno fu più duro e doloroso di quello. 
Yukako aveva uno sguardo triste, Okuyasu non riusciva a smettere di piangere e persino il signor Kujo, nonostante il suo tipico atteggiamento freddo e controllato, sembrava fragile in quella situazione. Ma più di chiunque altro, Koichi era rimasto colpito dalla reazione di Rohan Kishibe. 
Il fumettista si era presentato alla cerimonia funebre di Josuke con sguardo serio e freddo, quasi arrabbiato. Non aveva prestato le sue condoglianze a Tomoko e nemmeno al tanto stimato signor Joestar, né aveva salutato nessuno. Neanche lui. L'uomo non aveva smesso di guardare la foto del suo caro amico con espressione arcigna e contrariata, come se lo stesso Josuke fosse lì in carne ed ossa davanti a lui.
Koichi sapeva cosa c'era tra loro, anche se avevano continuamente cercato di tenerlo nascosto. Lo aveva sempre saputo. Come sapeva che Josuke sarebbe tornato dall'altro e avrebbe combattuto contro tutti i pronostici pur di ricominciare. 
Improvvisamente, però, Rohan si alzò ed abbandonò la cerimonia senza dire una parola. Non aveva partecipato nemmeno alla deposizione dei fiori prima della chiusura della bara, né al corteo funebre. 
Era scappato e l'Hirose si era preoccupato, motivo per cui aveva deciso di recarsi a casa dell'artista per sapere come stava.
Faceva freddo, quel giorno, a Morioh. Il vento soffiava forte e in lontananza si sentivano dei tuoni, ma non pioveva. 
Koichi aveva indosso la vecchia giacca del suo migliore amico e, nonostante fosse diventato più alto e robusto, gli stava comunque troppo grande. Ricordava ancora quanto quella giacca lo facesse sentire al sicuro, quando era ancora un ragazzino. Josuke camminava con quella addosso e gli sembrava invincibile, immortale, come se fosse uno di quegli eroi usciti direttamente dai fumetti americani. 
Adesso come avrebbe fatto senza di lui? 
Una volta arrivato al vialetto di villa Kishibe, il ragazzo notò che l'artista era seduto sopra i gradini del patio e aveva il volto nascosto tra le ginocchia. 
Il cuore di Koichi si strinse, gli occhi pizzicavano, ma sarebbe stato abbastanza forte da sostenere tutto quel dolore. 
« Come stai? » domandò il più giovane, avvicinandosi alle scalinate. Non aveva utilizzato titoli onorifici né formalità di sorta, non c'era alcun muro a separarli. Erano solo due uomini accomunati da un unico, grande, profondo ed incolmabile dolore. 
Rohan, che era rimasto in quella posizione da quando era scappato dal funerale due ore prima, alzò lo sguardo non appena riconobbe la voce dell'unico amico che considerava tale. Vedendo l'altro indossare quella giacca, il suo cuore improvvisamente sobbalzò senza che potesse controllarlo.
« Cosa ci fai qui, Koichi-kun? » domandò a voce bassa e senza alcun tono di aggressività, ma nemmeno di sorpresa. Si sentiva scoperchiato delle sue stesse insicurezze, spoglio di tutto ciò che si era costruito attorno in tutti quegli anni di lavoro e lotte. 
Josuke aveva distrutto tutto quanto. Aveva distrutto quell'immagine di sé stesso che si era costruito.
« Ero preoccupato per te. »
« Sto bene. » tagliò immediatamente corto l'artista, sperando che quella conversazione potesse troncarsi sul nascere. Koichi riusciva sempre a tirare fuori i suoi veri sentimenti e questo gli faceva paura. Lo aveva fatto con Reimi, lo avrebbe fatto anche in quel momento. E questa volta non lo avrebbe mai permesso. 
Hirose tirò un sorriso malinconico ricordando i bei tempi passati e prese posto accanto al mangaka, che guardava ovunque men che i suoi occhi. Tutto ciò lo riportò indietro di dieci anni, presso il Ghost Girl's Alley, ma questa volta non c'erano una ragazza ed un cane fantasma che aspettavano di riposare in pace. 
« Lui...  lui sicuramente non vorrà vederci in questo stato.» sussurrò il ragazzo con un sospiro, incapace di pronunciare il suo nome a voce alta senza irrimediabilmente sentire una lancinante stretta al petto. Gli mancava terribilmente, sembrava quasi che qualcuno gli avesse tolto il respiro. Se avesse pronunciato il nome di Josuke a pieni polmoni, avrebbe definitivamente realizzato tutto e voleva crogiolarsi un po' nell'idea di vedere ancora il suo migliore amico in giro per le strade di Morioh.
Questa volta Rohan guardò Koichi negli occhi con un'espressione quasi divertita, come se fosse tornato il vecchio e strambo mangaka che aveva conosciuto molti anni addietro.
« Pft, ma figurati! Lui e quello stupido nido d'uccelli che aveva in testa se la staranno spassando alla grande! » quanto era difficile convincere sé stesso? Kishibe avrebbe voluto urlare, sfogare la sua frustrazione, prendere a pugni lo stesso Josuke se ne avesse avuto l'occasione. Ma più di chiunque altro avrebbe preso a pugni sé stesso per aver perso per sempre quel treno e non essersi goduto ogni istante accanto a quell'idiota. Avrebbe preso a pugni sé stesso per quei baci che non è mai riuscito a dargli, per quei sorrisi che non gli ha mai regalato, per quel ti amo che non gli ha mai voluto dire per puro orgoglio personale.
Era tardi, ormai lo aveva capito.
« Koichi-kun... » sussurrò l'artista, questa volta con un tono di voce serio e spezzato. Hirose non disse nulla.
Il vento soffiava forte, scompigliava la capigliatura di Rohan e spogliava gli alberi del vialetto. Il vento portava via il sapore delle bizzarre estati di Morioh, della giovinezza ormai assopita. 
Il vento portava via il sole.
« Mi lasceresti da solo, per favore? » alle orecchie di Koichi quella richiesta sembrava più una supplica, e quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno volto. L'artista aveva bisogno di restare solo con sé stesso, i suoi rimpianti e tutti i suoi sbagli. 
Il giovane Hirose si alzò ma prima di andare si pose alla schiena del mangaka, depositando sulle sue spalle la giacca scolastica che Josuke aveva gelosamente custodito ed indossato per tanti anni.
Il maggiore trasalì. Il suo cuore si fermò. Quel calore gli ricordava tanto il suo.
« Sua madre sta dando via tutte le sue cose e io e Okuyasu-kun le stiamo conservando, ma questa... » prese una pausa, cercando di trattenere le lacrime « questa puoi tenerla tu, se vuoi... » e con un'ultima, confortevole e amichevole pacca, Koichi si allontanò dalla villa, lasciando il giovane artista in un mare di pensieri solitari e ricordi da cancellare. 
I diamanti sono indistruttibili? Stupidaggini.
I diamanti si sgretolano.
I diamanti sanguinano.
I diamanti appassiscono come rose.

A Rohan non restava più nulla, se non il ricordo di Josuke che varcava la soglia di casa sua e il suo virile profumo che impregnava quella dannata giacca che, in quel momento, stringeva a sé come se potesse andarsene via dalla sua vita da un momento all'altro.
Anche lei.





 
   
 
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