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Autore: Serena A    23/01/2023    0 recensioni
Questa è la breve storia di Emily, una vecchia gattara con una sola missione nella vita: nutrire ed aiutare tutti i gatti randagi del suo paese.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritornai dopo circa un mese al viale delle arance, e subito sentii urlare il mio nome: "Emily! Emily!". Era il piccolo Ale che non vedeva l'ora di rivedermi; mi corse incontro e mi strinse forte tra i fianchi, quasi a farmi male. "Da quanto tempo che non ti vedo, ma dove sei stata? Ci ho pensato io ai gatti, ho comprato loro da mangiare con la mia paghetta" mi disse Ale quasi senza prendere fiato. Mi venne un nodo alla gola, e gli risposi che ero stata in ospedale per un mese e che non mi ero affatto preoccupata per i gatti di quella zona, perché sapevo che lui se ne sarebbe occupato.
"I gatti sono la mia vita, ed è solo grazie a loro se sono ancora qui" dissi ad Ale ricambiando il suo abbraccio. Ed era vero... eccome se era vero.


Mi chiamo Emiliana Fiorenza (conosciuta dai più come la vecchia Emily), sono nata il sei Maggio del cinquantuno, e non mi sono mai sposata. Sono la quarta di sei fratelli; due sono andati al creatore, e gli altri tre li considero meno che estranei. Dopo la morte dei miei genitori ho vissuto e continuo a vivere nel loro casale guadagnandomi da vivere facendo la sarta, e intascando una pensioncina che ricevo a causa di una rara malattia semi-invalidante di cui soffro. Fortunatamente il male che ho non mi impedisce di fare ciò che più amo al mondo, ovvero aiutare i gatti randagi del paese.
Con la pensione che mi passa lo stato e con quello che arrotondo non faccio altro che pagare le bollette basilari, e procurarmi carburante per il mio furgoncino con cui mi sposto continuamente da un luogo all'altro. Il rimanente è solo ed esclusivamente dedicato al cibo per me e per i randagi, per questo motivo sono molto criticata dalla maggior parte delle persone. So che alle spalle mi dicono che puzzo; che sono pidocchiosa; che la mia casa è un porcile, che potrei vivere degnamente se non fosse per la mia "ossessione"... perché per loro di quello si tratta: una pura e semplice ossessione per i gatti randagi. Non è affatto così... la mia è una grande passione, un immenso amore, e la gente non può capire se non lo prova direttamente. Parte delle cattiverie che si dicono di me, comunque, sono dovute al fatto che non mi piacciono le persone; non ci parlo volentieri con loro, e non sono mai stata sensibile all'umanità che amano esporre, al fine di far vedere che sono "normali" ed io no. Il piccolo Ale, invece, è l'eccezione che conferma la regola, Dio lo benedica. A lui non è mai importato della mia trascuratezza, dei miei denti mancanti, e del fatto che sembro una befana che va in giro con un vecchio foulard in testa. Me li porto malissimo i miei settantuno anni, ma la malattia che mi ritrovo mi ha fatto invecchiare precocemente e mi ha portato a trascurare me stessa... alla gente questo non piace, come se fosse colpa mia; parla e non sa i fatti, permettendosi di giudicare la mia vita senza conoscerla.


La mia giornata comincia molto presto: mi alzo alle cinque del mattino (i gatti amano mangiare all'alba), bevo un bicchierino di latte e ficco in un bustone tanti paté, scatolette e croccantini. Mi copro bene (con il freddo invernale il dolore alle ossa aumenta a dismisura), metto i guanti, poi prendo il furgoncino e carico tutto. La prima tappa che faccio è sempre davanti ad un piccolo terreno spoglio a tre isolati da casa mia; là ci sono ben tredici gatti, e ognuno di loro ha un nome. Appena sentono il furgoncino si piazzano tutti davanti alle ruote, per questo devo andare pianissimo prima di parcheggiare. Scendo dall'abitacolo e il loro miagolio mi stordisce... il loro affetto mi scalda il cuore. Si rotolano a terra davanti a me, mi si strusciano alle caviglie, e c'è persino chi mi si arrampica fino alle spalle per leccarmi la faccia. Piano piano, con la dovuta calma, inizio a svuotare il bustone dei croccantini, poi apro le scatolette di paté, ed in quel momento comincia quasi una piccola lotta tra di loro, dato che il morbido è un alimento molto ambito; a lavoro fatto mi siedo su una grossa pietra che si trova nelle vicinanze e mangio la mia brioche, guardandoli e facendo attenzione che nessuno di loro possa essersi ferito durante la mia assenza, o che mangi di meno rispetto agli altri. Quando hanno finito di mangiare mi ringraziano sempre... qualcuno appoggia la testolina sulle mie gambe, altri mi mettono addosso il loro odore, ed altri ancora si siedono sui miei piedi. Io li accarezzo tutti, li abbraccio, ci parlo un po', e poi proseguo per la seconda destinazione.


La seconda tappa si trova in un posto adiacente ad un condominio, dove ci sono tantissimi bidoni della spazzatura, una volta sempre pieni e puzzolenti. Qui la gente non amava i gatti, ma fortunatamente posso parlare al passato. A detta loro prolificavano in modo invasivo, sporcavano, e quando erano in amore i miagolii disturbavano il sonno. Molte volte litigai con alcune persone del luogo, perché le scodelline dell'acqua che lasciavo a terra, quando andavo via, le buttavano nell'immondizia per farmi dispetto. A quella gente non importava nemmeno quando d'estate si toccano i quaranta gradi. Toglievano l'acqua a degli esseri viventi, un atto degno del più vile degli individui.
In questa zona ci sono quindici gatti. Una volta ce n'erano dieci in più. Quando mi vedono fanno festa, proprio come nella tappa precedente... solo che prima mi sentivo osservata, a disagio; sapevo bene che le persone mi guardavano dai balconi, e che mi giudicavano. Ogni tanto, mentre accarezzavo qualcuno di loro, sentivo sempre un fischio di scherno o una risata sguaiata. In un'occasione li maledii ad alta voce quando, mentre la colonia mangiava, qualcuno fece esplodere un petardo provocando la fuga generale degli animali. Ricordo che provai odio assoluto, allora. Sapevo che mi potevo aspettare qualsiasi cosa da gentaglia del genere. Ovviamente non temevo per la mia persona, ma per l'incolumità dei miei gatti: avevo sentito dire che in un paese non molto lontano dal mio avevano avvelenato più di quaranta bestiole, fregandosene dello scandalo che ne fu derivato... e avevo ragione a preoccuparmi.


Le ultime tre tappe sono abbastanza tranquille. Il mio giro finisce al viale delle arance, dove ho conosciuto il piccolo Ale. A soli dodici anni ha già le idee molto chiare: vuole diventare un famoso veterinario... come si può non ammirare un giovanotto con un cuore così altruista? La prima volta che mi vide dal balcone di casa sua, stavo dando da mangiare ai sei gatti della zona; uno di loro era una femmina incinta. Ale mi si avvicinò e disse: "lei si chiama Bianchina, è incinta; il papà è questo gatto nero" e mi indicò il bellissimo Nerone, il nome che gli avevo dato. Già sapevo che la gatta bianca era gravida, conosco tutte le storie dei randagi a cui do da mangiare. Ale mi sorprese quando disse "tu sei Emily la vecchia gattara, ti ho sempre visto dalla finestra di casa mia; io e la mia famiglia ti ammiriamo moltissimo per quello che fai."
" Allora sei tu che metti quelle ciotoline piene d'acqua sul muretto?" Chiesi al bambino, felicemente, e lui con orgoglio rispose ad alta voce "Esatto, ci pensiamo io e mia mamma!".
Non vorrei farvi sembrare troppo sorpresa, ma chi pratica la mia attività sa bene che le persone buone con gli animali sono veramente una rara eccezione, e allora non potevo non esultare alla scoperta che questo bambino e la sua famiglia si occupassero dei gatti del viale delle arance. È proprio vero che ci sono delle eccezioni, e che c'è ancora speranza nell'umanità. Ancor di più mi emozionai quando Ale mi chiese se volevo essere sua amica, ed io gli risposi "chi è amico dei miei gatti è già tale." Ci stringemmo la mano come due vecchi compari. Strana cosa, la vita... io non ho mai avuto amici; non mi sarei mai aspettata che il mio migliore amico sarebbe stato un dodicenne. Per lui non puzzavo, non avevo pidocchi, ma ero semplicemente una signora da ammirare per il suo operato. Certe cose mi fanno ancora apprezzare le meraviglie della vita.


Ogni giorno, verso le quattordici, faccio ritorno a casa; mangio qualcosina e poi riprendo i miei lavori di sartoria. Verso le diciassette e trenta la mia giornata termina del tutto: vado a letto, e mi risveglio alle cinque di mattina per ricominciare daccapo. Dovete sapere che io sono sola e ci sono abituata da tempo. Vi sembrerà molto strano ma in casa non ho alcun gatto o qualche altro animale. Vi chiederete "ma com'è possibile che la vecchia gattara del paese non abbia il casale pieno di micetti?". Non crediate che non avrei goduto della loro compagnia, sarei stata molto felice di avere con me un centinaio di gatti, se avessi potuto; non ci sarebbe stato più un randagio, per strada. È stata la mia malattia ad impedire ciò: questo male di cui soffro mi fa patire dolori immensi a tutte le articolazioni, e so che morirò ben prima di aver raggiunto la vera vecchiaia. A chi avrei lasciato i miei gatti? Chi se ne sarebbe occupato? E se morissi improvvisamente e loro rimanessero incastrati in casa, senza possibilità di uscire? Ribadisco che non ho nessuno, ed è probabile che la gente si accorgerebbe della mia morte dopo settimane. Le varie associazioni non mi hanno mai risposto né aiutata, ed i veterinari non mi hanno mai agevolato, visto i prezzi altissimi che propongono solo per somministrare cure di base. Con l'esperienza che ho accumulato con gli anni, ho sempre pensato io a curare eventuali randagi feriti o malati, sul posto dove li nutro. Le cose però stanno cambiando, perché il destino ha voluto che trovassi Ale e la sua famiglia, i quali hanno fatto adottare alcuni dei gatti più cagionevoli di salute, con l'aiuto di internet o di alcune conoscenze altrettanto onorevoli.


Il fatidico giorno in cui sono finita all'ospedale faceva molto freddo, non lo dimenticherò mai. Il furgone era praticamente ghiacciato, e ci misi un po' per liberare il parabrezza dalla brina. Non vi dico il dolore alle ossa.
Come sempre caricai tutto il cibo sul furgone, e partii per la mia missione. Andò tutto bene, fino a quando non raggiunsi il luogo della seconda tappa, vicino al condominio nei pressi della spazzatura: il furgone l'avevo parcheggiato più distante, perché c'era del ghiaccio molto insidioso per strada, e preferii fare quel tratto a piedi, portando il possibile a mano. Non appena voltai l'angolo dove c'era il terriccio su cui normalmente poggio le ciotoline... mi si ghiacciò il cuore, e non certo per il gelo dell'alba. Subito capii che c'era qualcosa che non andava, perché di solito i gatti non dormono assumendo quelle posizioni, e nessuno di loro aveva sentito il mio odore né il rombo del mio furgone: normalmente mi correvano incontro ben prima che avessi la possibilità di aprire lo sportello. Mi avvicinai a quel mucchio di gatti coricati a terra di lato -erano una decina- già consapevole che era successo qualcosa di molto brutto... e da vicino ne ebbi la tristissima conferma. Alcuni di loro erano morti con la bocca aperta e schiumante, mentre altri avevano defecato molliccio. "Li hanno avvelenati" cercai di dire ad alta voce, ma mi riuscì solo un rantolo soffocato. Mi guardai intorno, tremante, per capire se erano morti tutti e venticinque... ma non vidi il resto della colonia. Dov'erano finiti? Avevo un brutto presentimento. Li chiamai uno ad uno, consapevole di attirare gli sguardi dei criminali che avevano compiuto la strage. Sapevo che erano state quelle luride persone che ogni volta facevano scomparire le ciotole. Aspettai alcuni secondi, minuti... ore? Non lo so, non ricordo più niente. So solo che persi la speranza, e mi voltai per raggiungere il furgone e continuare il mio giro, in modo assolutamente meccanico... la mia mente era svuotata, neanche avevo pensato di prendere i corpi di quelle povere bestiole e portarle in un luogo per dare loro degna sepoltura. Non raggiunsi mai il furgone.


Mi risvegliai intorpidita, con formicolii in tutto il corpo, e mi accorsi di avere gli occhi doloranti a causa di una luce che mi abbagliava. Pensai tra me "questo non può essere il Paradiso, è troppo doloroso".
"Buonasera cara signora, come si sente? Ha dormito per dieci giorni." Disse una voce calda, rassicurante. Mi ci volle un po' per capire che la domanda era rivolta a me. Misi lentamente a fuoco, e mi accorsi di trovarmi in una stanzetta piccola e bianca, in cui c'erano diversi macchinari a me sconosciuti che emettevano dei bip persistenti. Capii poco dopo di essere in ospedale. Nella stessa stanza c'erano un'infermiera e un dottore molto giovane con barba incolta, che mi fissava sorridendo; era stato lui a chiedermi come mi sentivo. Mi ripetè la domanda "allora, come si sente, cara signora? Lo sa che è viva per miracolo? Perché è senza dubbio un miracolo."
All'improvviso mi ricordai tutto, ero perfettamente sveglia e lucida, e finalmente piansi, esclamando "i miei gatti! I miei poveri gatti! Li hanno avvelenati!" L'infermiera mi si avvicinò stringendomi dolcemente la mano, sussurrandomi parole di conforto che in quel momento non potevo sentire. Il dottore mi disse pacatamente "lo sappiamo cos'è successo, ci dispiace moltissimo. Sono stati chiamati i carabinieri e c'è un'indagine in corso. Speriamo che i delinquenti non la passino liscia". La cosa non mi rassicurò, perché so che la giustizia non si preoccupa granché per gli animali... e comunque, ormai quei micetti erano morti, e nessuno poteva farci più niente. Il dottore aspettò pazientemente che mi calmassi, prima di raccontarmi l'incredibile.


Una persona di passaggio aveva visto un'enorme colonia di gatti radunata intorno al mio corpo esanime. Ero quasi invisibile, coperta com'ero da tutti loro. La persona in questione si era accorta di me solo grazie ad un piede scoperto, e quindi chiamò l'ambulanza, che a sua volta interpellò le autorità quando, avvicinandosi, i paramedici scoprirono che i gatti erano ostili. I carabinieri cercarono di smuovere la colonia, ma i felini soffiavano, addirittura ringhiavano, cercando di aggrapparsi a più non posso alle mie vesti. Fortunatamente gli uomini non usarono la forza, e con tanta pazienza riuscirono a tirarmi fuori dal cumulo.
I paramedici si erano già preparati ad affrontare un caso di ipotermia, ma il mio corpo si era mantenuto caldo grazie a quei mici sbucati dal nulla. Erano almeno una cinquantina... ancora non capisco da dove fossero sbucati, perché, come ho già detto, quella zona contava venticinque gatti, e dieci di loro erano morti. Perché quella colonia era accorsa sul mio corpo privo di sensi? Fatto sta che ero rimasta incosciente per almeno tre ore, esposta al freddo più pungente.
Questo fatto mise in moto una catena di eventi straordinari che cambiò radicalmente la mia routine quotidiana.
Innanzitutto i gatti morti furono seppelliti in una terra poco distante da carabinieri volenterosi, insieme ad un'associazione animalista accorsa sul luogo. Quest'associazione in particolare, venuta a sapere della strage di quei poveri gatti, pressò la legge quel tanto da iniziare una seria indagine sul condominio famigerato, e venne fuori alla fine che erano tutti abusivi e pregiudicati. Mesi dopo furono tutti sfrattati, tra urla isteriche e sommosse contro la legge.


La colonia che mi ha salvato svanì come era comparsa, mentre i gatti sopravvissuti all'avvelenamento sono rimasti sul luogo, aspettandomi tutti i giorni, nella pace più assoluta, aiutati anche da molti volontari accorsi dopo aver letto la mia storia sui giornali locali. Questo ha fatto sì che il mio cuore fosse più leggero e versatile verso altre persone, pertanto, nonostante i dolori che mi porto ancora addosso, trascuro meno il mio aspetto fisico... ormai sono quasi una vip, quindi devo avere un po' più di cura di me. Pensate un po': mi hanno invitato anche in alcuni programmi televisivi.
Ormai, ogni volta che faccio il mio giro, mi accorgo che qualcuno, prima di me, ha già lasciato qualche dono per i miei gatti. La storia di questa vecchia gattara ha sensibilizzato il cuore di molte persone, desiderose di intraprendere la mia stessa missione e le mie stesse tappe.
Essere finita in ospedale è stata forse la più grande fortuna della mia vita, dato che ha suscitato l'esempio che molte altre persone come me avevano bisogno per iniziare la loro personale missione di beneficenza nei confronti degli animali... e forse, tutto questo, sarà essenziale per far capire definitivamente alle persone che tutti gli esseri viventi meritano la stessa giustizia, e lo stesso amore.


Il vicolo della strage è diventato il luogo di una colonia protetta, ed il piccolo Ale ha contribuito ad abbellirlo disegnando un cartello poggiato all'entrata, con scritto "qui ci sono i gatti di Emily, fate attenzione".
Non potrei sentirmi più in pace con me stessa.
   
 
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