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Autore: sidphil    24/01/2023    0 recensioni
Mickey e Mandy hanno tutto quello che una persona potrebbe desiderare: tanti soldi, una bella villa, Mickey scaffali pieni di libri e una chitarra che ama alla follia, Mandy un migliore amico che le vuole bene, popolarità e orde di ragazzi ai suoi piedi. Tuttavia, entrambi portano il peso di numerosi segreti sulla loro vita e la loro famiglia. Ian, migliore amico di Mandy, è tenuto costantemente all'oscuro per essere protetto, anche se lui stesso deve convivere con amare sofferenze.
Una storia un po' diversa dal solito, dove vedremo una Mandy e un Mickey diversi ma in un certo senso sempre uguali a quelli che conosciamo e un Ian un po' perso che ha bisogno di trovare sè stesso e che ci riuscirà proprio grazie a loro, senza rendersi conto di quanto può offrire in cambio lungo la strada.
Questa storia è una TRADUZIONE, per cui ho ottenuto il permesso dall'autrice originale.
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mandy Milkovich, Mickey Milkovich
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina dopo Ian si svegliò nel lussuoso letto della camera matrimoniale in cui si era intrufolato al notte precedente. Era l’unica stanza vacante quindi immaginava che Iggy e Mandy l’avessero lasciata per lui. Dopo essersi vestito andò in salotto e trovò Mickey e Mandy che facevano colazione sul divano.

- Era ora – sbuffò Mickey spingendo un piatto verso di lui. Ian si sedette nel posto vuoto accanto a Mandy e guardò la colazione sul tavolo. Si tuffò senza perdere tempo sui toast deliziosamente farciti, sulle uova strapazzate, sul bacon croccante e sui croissant fumanti, mai così grato come in quel momento per del cibo.

- Sbrigatevi, oggi andiamo a casa a trovare mamma, è stata dimessa – annunciò Mandy impilando i piatti e mettendoli da parte per farli portare via dai camerieri. Ian guardò con la coda nell’occhio Mickey, che era completamente a suo agio mentre continuava a mangiare la colazione, inarcando le sopracciglia. Quando finirono di mangiare lasciarono l’hotel e Iggy arrivò nel parcheggio con un’elegante muscle car.

- Io preferisco sfidare la fortuna camminando – borbottò Mickey oltrepassando la macchina.

- Ma dai, Mickey – lo guardò di traverso Mandy correndogli dietro e allargando le braccia per la frustrazione. – Non fare il coglione, Sali in macchina e chiudi la bocca. Sai che mamma vuole vederti –

- Ah sì, davvero? Vuole vedermi, eh? – rise Mickey, una risata vuota. – Magari potrei crederci se quella stronza non avesse cercato di uccidersi – . Uno schiocco secco riempì l’aria e comparve un’impronta rossa nel punto in cui Mandy lo aveva colpito in faccia. Fu così rapido che nessuno si mosse per qualche istante.

- Ti importa solo di te stesso -tirò su col naso Mandy ritornando alla macchina. Salì sui sedili posteriori e nascose il viso. Ian guardò con orrore Mickey alzare la testa, girarsi e andarsene da solo. Ian voleva seguirlo ma c’era come un’ancora invisibile che lo tratteneva insieme alle voci di Iggy e Mandy che lo chiamavano per tornare in macchina. Quindi Ian si sedette sul sedile passeggero e partirono, lasciando Mickey indietro.

 

La casa che raggiunsero sembrava una di quelle di Teen Cribs , esattamente il posto in cui ci si aspettava di veder vivere una persona piena di soldi. Dominava la costa e si affacciava sull’oceano lucente e quando si avvicinarono Ian notò che quasi tutte erano fatte di vetro che lasciavano entrare la luce del sole a illuminare gli interni. Cespugli di fiori colorati adornavano il sentiero che portava alla porta principale e una donna con i capelli scuri che le ricadevano sulle spalle e un cappello in testa li stava annaffiando.

- Quella è la mia futura moglie – gli sussurrò Iggy quando si avvicinarono e prima che Ian potesse chiedergli se fosse uno scherzo, la donna tirò a Iggy uno scappellotto dietro alla testa, gridando in un’altra lingua. – Sono dovuto andare a prendere i ragazzi, piccola! Sai che non ti saresti fidata a lasciarmi andare a prendere la mamma – protestò Iggy indicando Mandy e Ian. Lei non sembrò credergli e sputò altre strane parole per poi ritornare ai fiori. Mandy le sorrise ed entrò in casa seguita da uno sconfitto Iggy. Quando Ian la oltrepassa, lo sguardo della donna lo seguì, tagliente, e lei mormorò altre parole straniere. Improvvisamente Ian riconobbe la lingua e si girò.

- Privet – esclamò allegro ricordando quel poco di russo che gli aveva insegnato un compagno di classe alle superiori. Lei raddrizzò la schiena e sorrise.

- Privet, pel di carota – . Ian annuì timidamente; il soprannome non gli dispiaceva visto che l’aveva usato affettuosamente.

Una volta entrato in casa, vide che la signora Milkovich era una bellezza, ancor di più ora che stava accogliendo i suoi figli in un vestito color lavanda, piena di vita. Proprio come aveva previsto Ian, i suoi occhi erano azzurri e limpidi, come quelli dei suoi figli. Mandy e Iggy le parlavano, raggianti, come se l’incidente all’ospedale fosse stato solo un brutto incubo già finito nel dimenticatoio. Ian cercò di non restare in disparte, non gli sembrava giusto interrompere quel momento di intimità, ma invece Mandy spinse sua madre verso di lui.

- È lui – sorrise Mandy indicando Ian con un cenno del capo. Sua madre avanzò con un’espressione premurosa, da madre amorevole, il contrario di ciò che si aspettava lui. Tese la mano pallida verso di lei e le sue labbra si incurvarono in un sorriso spontaneo.

- Sono Katrya. Mandy mi ha parlato di te -. La sua voce sembrava il suono melodico di una campana. Ian le strinse la mano e ricambiò il sorriso.

- Piacere, Ian -

– Fai come se fossi a casa tua, Ian – replicò lei in tono genuino. Si girò e so diresse dall’altro lato della stanza. – Se volete farvi una nuotata la piscina è pulita –

Quando se ne fu andata, Mandy prese Ian per mano e lo trascinò per l’enorme casa, attraversando vari corridoi fino ad un’ampia camera da letto. Tutta la casa sembrava immacolata, senza una singola cosa fuori posto, e Ian aveva paura di starnutire o fare qualsiasi cosa che potesse disturbare quella perfezione.

- Qui ci sono alcuni dei costumi di Iggy – cinguettò Mandy tirando fuori dal cassetto del mobile di ciliegio un paio di pantaloncini blu elettrico. Lo portò poi in un’altra stanza, agghindata graziosamente come la stanza di una principessa. – E il mio bikini – continuò rivelando il costume dal cassetto di una toeletta dall’aria regale, sistemata accanto a delle tende tenute aperte da un laccio. Chissà se quella era la sua stanza, magari la stanza in cui stava da bambina. L’aveva detto Mandy stessa, ogni tanto venivano lì quando erano bambini.

Mandy si cambiò, senza sentirsi a disagio per la sua presenza, ma lui si voltò comunque per lasciarle un po’ di privacy. – Non vuoi farti una nuotata? – gli chiese lei.

- Sì, è solo che… -. Non sapeva come dirlo ma era tutto molto strano. Solo poche ore fa la loro madre era sdraiata su un letto all’ospedale e ora stavano per fare il bagno in piscina come se nulla fosse. Ma avrebbe dovuto aspettarselo visto il modo in cui Mandy e Mickey imbottigliavano tutti i problemi della loro vita.

- Ieri sera sei andato a fare una nuotata con Mickey, no? Io non sono abbastanza sexy da essere guardata? – lo prese in giro Mandy, ma Ian percepì che ci era rimasta male.

- Scusa Mandy, non è quello – rispose lui ancora girato verso il muro. – È che probabilmente io non sono così bravo a fingere che vada tutto bene. Quello che è successo a tua mamma ieri mi ha spaventato, sai? Fare finta di niente non mi sembra giusto –

Mandy rimase in silenzio e si udì lo schiocco del tessuto del costume che aveva appena infilato. Attraversò la stanza è si appoggiò al muro accanto a lui. – Ian, ai nostri problemi famigliari ci pensiamo noi. Lascia perdere, okay? –

Ian annuì, anche se non l’avrebbe fatto. Forse doveva imparare proprio questo. – Vuoi uno spogliarello o cos’altro? – prese in giro Mandy in tono malizioso, slacciando i pantaloni mentre alzava e abbassava le sopracciglia. Lei si leccò le labbra con fare accattivante e risero insieme.

- Non voglio che Mickey mi rompa le palle anche per questo, me le romperà già per quello che è successo prima –

Ian non seppe cosa dire; non voleva scegliere da che parte stare. Lei gli diede una stretta rassicurante e uscì.

 

 

 

Rimasero in piscina per un paio d’ore e poi tornarono in casa. Il sole stava già sparendo dietro alle nuvole e il cielo si stava colorando di sfumature rosa e oro. Katrya era incredibilmente gentile con Ian, molto educata e ospitale e la cena che offrì avrebbe potuto riempirlo per giorni. Quando si scusò e uscì dalla porta della cucina, anche Mandy si alzò.

- Sesso via Skype con Ben – spiegò a Ian mentre usciva. Ad Iggy andò di traverso il boccone.

- Potresti almeno risparmiare questi dettagli a tuo fratello –

- E da quando? – replicò Mandy dall’altra stanza. Iggy guardò Ian è si grattò il mento.

- Non preoccuparti per Mickey, non è da qualche parte in fin di vita –

Ian rimase sorpreso dall’interessamento di Iggy, dal fatto che notasse il suo umore meglio di Mandy. – Quel ragazzo è di marmo. Tra un paio d’ore sarà come nuovo, probabilmente ora è in un bar e se la gode finché si trova lì –

E forse era vero che ognuno affrontava le cose a modo suo, ma cavolo se faceva male, nessuno dei fratelli ne parlava. Forse era come i Gallagher avevano imparato ad affrontare Frank e Monica. I fratelli Milkovich erano arrivati al punto di non aver bisogno di dire più niente perché ormai Le cose si ripetevano e diventava stancante. Forse la loro madre li aveva esauriti psicologicamente a tal punto che ormai si dissociavano al dolore, proprio come loro con Monica.

- Dio, ho bisogno di uscire – cambiò discorso Iggy posando i bicchieri nel lavandino. – Se volete passo più tardi a prendervi, o dormite qui? –

- Non lo so –

- Fatemi sapere – concluse Iggy uscendo dalla cucina. Rimasto solo, Ian si sentì un intruso ora che non c’era nessuno con lui. Quando stava per alzarsi, qualcuno comparve dietro di lui e andò dall’altro lato del tavolo.

- Pel di carota – sorrise la giardiniera di prima raccogliendo i piatti dal tavolo e portandoli nel lavandino per pulirli. Per qualche motivo la sua presenza lo faceva sentire a suo agio come non gli era mai capitato con persone più grandi di lui. Non si alzò dalla sedia ma rimase semplicemente a guardarla.

- Come ti chiami? – le chiese sperando di non essere invadente. Lei sembrò onorata dalla domanda e si girò mentre grattava con la spugna.

- Vuoi sapere nome di donna che lava piatti? – sorrise facendo colare il detersivo sui piatti. – Chiamami Svetlana se vuoi, se sei creativo anche un altro nome. Sei amico di Mandy vero? –

Ian mormorò in una risposta affermativa e si alzò – Hai bisogno? Posso dare una mano –

- È il mio lavoro – rise lei. Quando ebbe asciugato i piatti erano come nuovi e il suo viso s addolcì. – Ma sei gentile. Sai russo? –

- Non proprio – ammise Ian a fatica avvicinandosi per passarle il resto dei piatti. – Solo qualche parola –

- Va bene – replicò lei prendendo i piatti vuoti. – I ragazzi Milkovich sono ucraini ma neanche loro parlano. Forse il piccoletto sempre incazzato sa un po’ –

- Mickey? – chiese Ian appoggiandosi al bancone.

- Mi dice qualche insulto, troppa paura che gli parlo alle spalle – rise lei risciacquandosi le mani.

- È proprio da lui -. Ian era rapito da Svetlana, dalla curva del suo naso alle labbra color ciliegia, dal suo atteggiamento orgoglioso e tosto. Era come un nuovo genere di donna, uno che non aveva mai conosciuto prima d’ora.

Si udì un rumore all’esterno e la porta scorrevole si aprì, rivelando proprio l’oggetto del loro discorso. Ian scorse Katrya in piedi dietro a Mickey sotto al portico esterno con un bicchiere di vino in mano e gli occhi lucidi, ma Mickey le chiuse la porta in faccia e guardò Ian. Svetlana lo salutò nella sua lingua e Mickey serrò la mascella per poi ribattere nella stessa lingua, provocandogli una risata. Ian non sapeva assolutamente se Mickey parlasse bene o no, o se avesse anche solo senso ciò che aveva appena detto, ma doveva aver comunque divertito Svetlana.

- Sono venuto a prenderti – gli disse Mickey prendendo una bottiglia di liquore dalla credenza accanto alla testa di Svetlana.

- A madre non piacerà – lo avvertì la donna è Mickey rise sprezzante.

- Perché fai finta di non conoscermi, putt-ana? – La vedi, questa è la mia faccia che ti dice quanto me ne frega –

- Se tu ti… - si guardò intorno in cerca del termine giusto.  …sbronzi, no? Ti sdrai, vomiti e io devo pulire. Bere fa male a ragazzi piccoli e con brutto carattere, metti via –

- Sto bene, cazzo, continua a farti gli affari tuoi. Leviamoci dalle palle prima che succeda un casino, Ian –

- Magari testa rossa vuole restare – lo riproverò Svetlana. Ian si grattò le braccia e guardò nervosamente Mickey. Riusciva a vedere i capillari nei suoi occhi arrossati. – Fermiamoci a dormire qui, Mickey. Ci ha invitati tua mamma –

- Ti stai facendo ingannare da questa facciata da Madre Teresa? – ringhiò Mickey togliendo il tappo dalla bottiglia verde scuro che teneva in mano. – Andiamo –

- Dai Mick, non dire così –

- Non riesco a credere che tu stia facendo storie per questo – sbottò Mickey e uscì dalla cucina lasciando lì la bottiglia nonostante le sue parole di poco prima. Ian si sentì come se avesse un buco al centro del petto e s abbandonò al bancone –

- Non ti preoccupare. È settanta chili di fichetta ucraina – sorrise Svetlana. – Abbaia ma non morde, non ha denti –

- Grazie, Svetlana – mormorò Ian, inspiegabilmente confortato da quella analogia. Ritornò nella stanza principale è lì non trovò Mickey. Prima di poter continuare la ricerca, Katrya arrivò da dietro di lui e gli sfiorò il braccio mentre passava.

- Sembri un ragazzo così bravo – sorrise gentilmente andando a sedersi sul divano color perlato al centro della stanza. Aveva evidentemente bevuto molto più di quel bicchiere; si lasciò andare ad una risatina divertita, incrociando le lunghe gambe sul divano. Ian si grattò il retro del collo, a disagio.

- Grazie per avermi ospitato. Hai una casa adorabile – le disse.

Quando lei gli sorrise e basta, uno di quei sorrisi ubriachi esageratamente affettuosi, si scusò per andare in bagno. Una volta uscito, andò in corridoio e scorse Mickey tornare nella stanza principale, proseguire e fermarsi di colpo all’ingresso. Attraversò il pavimento di parquet e Ian si chiese se se ne sarebbe andato di nuovo. Mickey si girò verso destra e guardò sua madre ora sdraiata, il viso che aveva perso l’allegria e il calore di poco prima. Borbottava felicemente tra sé e sé e, con sorpresa di Ian, Mickey le si avvicinò, le sollevò le braccia e le sistemò addosso una coperta, assicurandosi che fosse al caldo.

- Mickey – sorrise lei muovendosi sotto alla coperta. – Sei venuto a trovarmi –

- Ci siamo appena visti fuori – replicò Mickey, tagliente.

- Mickey, non lasciare di nuovo la tua mamma, okay? Resterai questa volta? -. Le sue parole erano stanche e indotte dall’alcool ma sembrava ansiosa che Mickey la capisse. – Questa è casa tua, Mickey. Sei il mio bambino, lo sai vero? Sai che ti ho sempre amato tanto. Odio ogni momento in cui sei lontano da me –

Ian sbattè le palpebre, colpito da ciò che stava insinuando.

- Non tornare a Chicago da quell’uomo malvagio – mormorò Katrya in tono dolce amaro. – Posso occuparmi io di te, Mickey. Voglio la possibilità di rimediare nei tuoi confronti, nei confronti di Mandy. Posso migliorare se tu sarai qui e lo farò, okay? –

Mickey si immobilizzò per un po’ ma poi distolse lo sguardo da quello carico di promesse di sua mare e uscì di casa. Ian lo rincorse il più silenziosamente possibile e lo raggiunse una volta fuori, sul sentiero di pietra del cortile. – Ehi – lo chiamò esasperato, afferrandolo per lo zaino che portava sulle spalle. – Dove stai andando? –

Mickey non disse niente e le viscere di Ian si contrassero. Sua madre lo aveva pregato di non tornare a Chicago. Neanche Mickey poteva restare impassibile di fronte a una madre che pregava suo figlio di restare con lei. – Mi fumo una sigaretta – rispose Mickey bruscamente, continuando a camminare.

- Aspetta Mickey, hai sentito tua madre? Ti ha chiesto di vivere qui -. Lì, dove poteva restare con la sua vera madre e costruire un rapporto con lei, magari avere la possibilità di avere una famiglia normale.

Mickey si voltò di scatto, l afferrò per la maglietta e lo spinse lungo il lato della casa. Ian vide un giardino fiorito ancora più grande e si chiese come facesse Svetlana a curarlo tutto da sola. C’erano dei lumini accanto ai cespugli e alte viti, fiori potati di ogni colore e tipologia che coivano i bordi della vegetazione e inebrianti profumi che si diffonde vano ad ogni passo. Sembrava quasi un pezzo di paradiso. Mickey lo condusse verso una zona isolata dove potevano stare soli e lo guardò in mezzo alla luce colorata delle lanterne.

- Credi che dopo anni di abbandono io salti di gioia all’idea di vivere qui? Mi prendi in giro? –

- Non lo so, se Frank e Monica diventassero dei genitori decenti non so cosa farei. Credo che dopo non averli avuti vicini per così tanto tempo forse li perdonerei e ripartirei da zero –

- Non importa il legame di sangue – liquidò il discorso Mickey. – Importa solo chi c’è stato e chi no –

- Potrebbe cambiare – disse Ian; non sapeva perché sentisse il bisogno di proteggere quella donna. Vederla su quel letto in ospedale gli aveva fatto avverto impressione e aveva generato quel senso di pietà nei suoi confronti.

- Sai quante promesse non ha mantenuto? – ribattè Mickey con rabbia. Era vero Monica aveva promesso di riprendere in mano la sua vita una marea di volte ma non l’aveva mai fatto. Forse Katrya non era diversa.

 Mickey stava ribollendo, stringendo la maglietta di Ian nei pugni chiusi. – Metti il caso che io voglia restare – ringhiò. – Saliresti da solo su quell’aereo tra due giorni dopo avermi augurato una buona vita? È facile per te? –

Questo lo colpì come una manciata di mattoni sulla testa. Troppo preso dall’immaginare la possibilità che Mickey potesse avere una vita adulta piena di amore, non aveva calcolato cos’avrebbe fatto dopo averlo perso. Ian lo osservò quando Mickey lo lasciò andare e indietreggiò con il respiro tremante, ricominciando a parlare furiosamente.

- Non posso restare qui a impedirle di ingoiare tutte quelle pillole quando devo già preoccuparmi che Mandy non svenga in qualche vicolo, che Parker non si faccia ammazzare di botte e che Rick abbia abbastanza soldi per mandare Lucas a scuola per via dei suoi problemi economici del cazzo che… -

Ian lo baciò, le mani che gli prendevano il viso tirandolo a sé. Sentì Mickey irrigidirsi a quel contatto e si ritrasse accarezzandogli il viso con la fronte appoggiata alla sua. – Hai ragione, devi preoccuparti di te stesso, Mickey. Mi dispiace, non ho riflettuto. Credevo che sarebbe stata la cosa migliore per te, ma… -

Mickey si gettò su di lui e unì le loro labbra, facendolo indietreggiare nei cespugli mentre cercava di sbottonargli la camicia. Ian fu percorso da un brivido e fece scorrere le mani sui pantaloni neri di Mickey, guardandolo attraverso le palpebre socchiuse. – Fanculo – ansimò Mickey contro alle sue labbra. – Non hai ancora capito che sei tu, eh? Che sei tu la cosa migliore per me? –

Il cuore di Ian sembrò balzargli fuori da petto e strinse le braccia intorno alla sua vita, tirandolo a sé. Mickey lo baciava mordace, imprecando mentre armeggiava con i suoi vestiti mentre Ian faceva il possibile per stargli dietro. Prima che potesse togliergli qualsiasi indumento, Ian trascinò Mickey via dal giardino, ignorando la confusione e la delusione sul suo viso. Si intrufolarono nella casa buia finché Mickey non colse il messaggio e fece strada, spingendolo verso quella che doveva essere la sua stanza.

Dopo aver chiuso la porta, Mickey riprese a baciarlo come se non si fossero mai fermati e lo guardò sul tappeto blu marino verso il letto soffice come una nuvola. Si lasciò cadere all’indietro, Ian salì a cavalcioni su di lui e gli afferrò il viso baciandolo con foga senza seguire un ritmo particolare. Ian gemette e si staccò per prendere fiato e togliergli la maglia. Mickey ricambi il favore e sbottonò la sua camicia con più facilità di prima, buttandola poi casualmente sul pavimento. Erano impegnati degli aromi del giardino, che ora si stavano diffondendo in tuta la stanza illuminata dalla luna. Le lenzuola erano fresche ma Ian riusciva solo a concentrarsi sul calore che avvertiva in tutto il corpo e alla pelle di Mickey che bruciava sotto alle sue mani. Ondeggiò sopra di lui, in preda al bisogno di avere un po’ di sollievo e Mickey rispose con un lamento. Abbassò le mani sui jeans e su dimenò sempre di più mentre Ian gli toccava disperatamente le braccia e il petto depositandogli leggeri baci sulle clavicole e sul collo.

- Zaino – sussurrò tremolante Mickey. Ian ci mise un po’ a capire il messaggio nella sua mente annebbiata ma poi ci arrivò. Trovò lo zaino di Mickey per terra vicino alla porta e dopo una rapida ricerca trovò il lubrificante. Mickey finì di svestirsi e Ian lo seguì per poi buttarsi di nuovo uno sull’altro, ansimando profondamente. Affondarono tra le lenzuola e Ian si staccò momentaneamente solo per lubrificarsi insieme alle dita, posando poi il tubetto sul comodino. Infilò una mano tra i capelli di Mickey e fece scorrere l’altra lungo la sua coscia, sempre più verso il basso finché non arrivò a destinazione e lo penetrò lentamente con un dito.

- Va bene? – gli chiese Ian con la voce roca, spingendo il dito con delicatezza.

- Non fermarti – rispose Mickey in tono debole, inarcando la schiena per permettere a Ian di aggiungere altre dita.

Ian non riusciva a capacitarmi di come Mickey potesse togliergli così tanto il fiato, con i capelli scuri spettinati e un’espressione seducente sul viso. Premette più a fondo e assaporò i gemiti che fuoriuscivano dalle sue labbra, le stesse labbra che aspiravano fumo di sigaretta e spuntavano un’imprecazione dietro l’altra, quelle bellissime labbra che Ian si chinò ad accarezzare con le proprie.

Finì di prepararlo e si chiese com’era possibile che sapessero già chi avrebbe fatto cosa in quel momento. Ricambiando lo sguardo ardente di Mickey lo penetrò avvertendo un’ondata di piacere in ogni centimetro del suo corpo. Si mossero, esitanti, e poi aumentano il ritmo, abituandosi l’uno all’altro. Mickey reclinò la testa all’indietro e soffocò un gemito chiudendo gli occhi. Ian si abbassò e spinse più in profondità afferrando le mani di Mickey sul cuscino, sentendo lo tremare per il piacere. Si chinò per catturare di nuovo le sue labbra, stringendogli le mani, quelle mani che non voleva lasciar andare mai più. Quella voce che non voleva mai smettere di sentire. Non riusciva ad averne abbastanza di Mickey, totalmente rapito da lui.

Non ci volle molto per raggiungere il culmine tremando, quasi contemporaneamente, e quando accadde Ian lo baciò un’ultima volta. Si calmarono, ancora uno tra le braccia dell’altro, I movimenti sempre più deboli, e finalmente Ian uscì da dentro di lui e si sdraiò al suo fianco, senza fiato. Per un po’ non parlarono né mossero un muscolo, ancora in preda ai postumi dell’orgasmo. La testa di Ian viaggiava ma era troppo stanco per pensare.

Quando il corpo di Mickey riprese a funzionare, scivolò sotto alle lenzuola, mettendosi una vita per spostare tutti gli strati di tessuto mentre malediceva silenziosamente chiunque avesse messo le coperte in quel modo. Vi si infilò sotto ed esalò un respiro, arrossendo quando Ian si coprì insieme a lui. I loro occhi si incrociano brevemente e Mickey li chiuse, calmando il battito del suo cuore. Sentì le dita di Ian sfiorargli il viso e i capelli finché il loro respiro non divenne più regolare.

- Ti porto via con me – promise dolcemente Ian, le labbra che si incurvarono in un sorriso. Mickey sollevò le palpebre pesanti, colto da mille emozioni.

- Lo fai solo perché hai bisogno che ti distragga dalla paura di volare –

- Un po’ – confessò Ian avvicinandosi ancora di più a lui anche se quel letto era chilometrico. – E perché anche tu hai bisogno di me –

Mickey si dimenò sul cuscino, a disagio. Era la prima volta in cui sentiva che era davvero così. Lui non aveva bisogno di nessuno e tutti avevano bisogno di lui, di solito andava così. Ma Ian aveva ragione, forse Mickey aveva bisogno di lui. Fino a quel momento era stato come un uccello in gabbia, aspettando il momento che alcun la aprisse per lasciarlo volare via. E quel qualcuno era Ian, una boccata d’aria fresca un raggio di sole che non si spegneva mai. Ian era la sua libertà.

- Sì – confermò chiudendo di nuovo lo spazio tra loro e lasciando un dolce bacio sulle sue labbra. E poi si mossero di nuovo sotto alle coperte, dimenticando per un altro po’ cosa ci fosse oltre quelle mura, persi nel loro mondo, in un luogo dove erano solo legati uno all’altro.

 

 

NB: Questo era il penultimo capitolo della storia, a breve pubblicherò definitivamente l’ultimo!

   
 
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