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Autore: _Equinox    25/01/2023    0 recensioni
Sequel di "Intoxicated" | Trans!Kurapika (FTM) |
«Quello che è accaduto l’altra notte… Quanto c’era di vero?»
Ed eccola lì, la domanda a cui tanto bramava di rispondere inconsciamente. Era stato semplice, riempirsi gli occhi e la bocca di astio, quasi nella speranza di poter dimenticare, eludere. Eppure, davvero le loro bocche si erano toccate, sul serio i loro corpi stretti, ed era quella la consapevolezza che più eccitava l’uomo. Aveva raggiunto un punto di intimità talmente alto con qualcuno che mai prima di allora era riuscito ad avere vantaggio su di lui, spinto da una carica assassina forte quasi quanto quella che Chrollo in primis aveva sperimentato in passato. Ed era euforico, oltre che splendido, sapere di aver lasciato un segno positivo che avrebbe fatto crollare le certezze del ragazzo, prima o poi.
«Fatta eccezione per il nome Yehuda, è stato tutto vero e reale»
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kurapika, Kuroro Lucifer, Leorio, Senritsu
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Doubles lumières dans nos deux esprits, ces miroirs jumeaux'
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Hello, hello, hello!
Eccomi tornat* a scrivere su questi due, con l'atteso sequel (Ma quando mai) di "Intoxicated". L'idea per questa one-shot mi è venuta perché ho notato un dettaglio interessante tra il rapimento di Chrollo e il successivo incontro con Pakunoda: Kurapika fa un cambio d'abiti, dato che, nel primo caso, ha la divisa da hostess, mentre dopo i suoi soliti abiti tribali. Altro dettaglio interessante è stato quello del misgendering in auto, cosa che all'inizio avrei voluto omettere, creando quindi una sorta di what-if, visto che nella serie che sto scrivendo Kurapika è un ragazzo transgender (E io, da persona non-binary, so quanto brutto sia non vedere il proprio genere rispettato >:( ). In ogni caso, ho inserito l'avvertimento OOC perché ho paura di aver un po' floppato con la descrizione di Chrollo, per cui non si sa mai. Ma, detto ciò, enjoy!!


Era una falsa quiete, quella in cui si sentiva immerso, lo aveva capito nell'istante stesso in cui aveva sentito nominare gli Occhi Scarlatti nelle nefaste profezie dei compagni.
Stupido sciocco, lui, che aveva esitato di fronte alla più fervida delle occasioni, la settimana prima; stupido sciocco, anche solo per aver provato a concedersi il lusso degli effimeri piaceri umani. Se avesse prestato anche solo un minimo di accortezza in più, probabilmente Uvogin sarebbe ancora tra di loro – e tra le pallide mani, Chrollo stringerebbe due splendidi bulbi oculari sanguigni, gli unici degni di rimanere con lui in eterno.
Quale imperdonabile sbaglio era stato non uccidere il bastardo con le catene nel momento esatto in cui lo aveva stretto tra le braccia, vulnerabile, indifeso, nudo. Evidentemente, ancora non era capace di fare ammenda, nemmeno quando la storia si ripeteva: e, per la seconda volta, aveva perso qualcuno di tanto caro quanto gli era cara la voglia di proteggere la propria terra natia.
«Ho bisogno di cambiarmi, per favore uscite»
La voce di Kurapika tremava ancora, come d'altronde il suo esile corpo – lo stava osservando dal riflesso nel vetro del dirigibile. La richiesta avanzata, tuttavia, suscitò in lui un interesse non indifferente: stava chiaramente parlando con i compagni e ciò significava che, per forza di cose, lui non era sottinteso in quella frase – una leggera scarica elettrica lo scosse da capo a piedi.
«Con questo in stanza con te? Giammai» quello che le sue orecchie percepivano era disprezzo, velenoso disgusto proveniente dalla bocca del ragazzo dagli improponibili capelli pieni di gel. Li aveva guardati a lungo, in silenzio, dal momento in cui quel Leorio aveva stretto il polso del giovane in auto per sperare di placare la furia distruttiva che lo stava divorando – gli occhi infernali, belli nella loro unicità, brillavano di quel funesto bagliore che avrebbe volentieri osservato in eterno.
«Leorio, ti prego. Non posso allontanarmi da lui»
«Ma almeno permettici di stare con te. Non posso sopportare l’idea…» uno sguardo sdegnoso lo colpì «L’idea che ti veda mentre sei senza vestiti»
«Kurapika, cerca di capire che siamo solo preoccupati, se prima noi non ti avessimo fermato probabilmente lo… Lo avresti ucciso a mani nude» fu la volta di quella minuta donna di aprire bocca, che con la sua voce sottile sembrava riuscire a calmare gli animi dei presenti – stando a quanto aveva detto circa il battito cardiaco, probabilmente doveva appartenere ad una categoria di hunter che faceva l’utilizzo delle arti musicali, perché solo questi ultimi potevano vantare simili capacità uditorie.
«Non farò nulla, ve lo prometto. Io ho solo bisogno di porgergli alcune domande» con il capo chino, Kurapika sussurrò solo le ultime parole, catturando così l’attenzione del Ragno, che si voltò appena ad osservarlo di sottecchi. Sapeva bene a cosa stesse facendo riferimento, eccome se lo sapeva. Allo stesso tempo, però, non credeva avrebbero sul serio avuto modo di affrontare la questione, non con le presenti circostanze, almeno.
«Ma se ti ha già spiegato che non ha interesse nel rispondere, Pika!» il nomignolo lo incuriosì al punto che nuovamente rivolse un’occhiata verso il lato opposto. Dovevano essere piuttosto in confidenza, a rigor di logica, ed era un dettaglio decisamente interessante. Che si trattasse di un potenziale punto debole sembrava palese, in fin dei conti, e si appuntò mentalmente che la cosa sarebbe potuta andare a suo vantaggio una volta che il resto della Phantom Troupe sarebbe arrivato. Si fidava del giudizio di Pakunoda, sapeva che non avrebbe mai tradito il Ragno per effimeri sentimenti.
Poi il ragazzo si morse appena il labbro inferiore, le iridi cerulee puntate verso l’altro uomo, che proprio non sembrava volergli dare fiducia. Stava per dirgli qualcosa, ma improvvisamente intervenne Senritsu.
«Credo… Ci sia dell’altro che tu voglia domandargli. Qualcosa che non ha a che fare con il tuo clan, o sbaglio?»
Cadde il silenzio e lui avrebbe pagato oro per poter anche solo avere un minimo delle abilità di quella piccoletta – quanto forte stava battendo il suo cuore, che melodia produceva? Desiderava saperlo tanto quanto desiderava essere libero dalle catene che lo costringevano da ormai un’ora.
«E anche lui… Anche lui, desidera dirti qualcosa, Kurapika»
Rimase interdetto quando il dito della ragazza punto verso di lui, quasi come se lo stesse accusando, con il desiderio di esporlo di fronte ad un’assurda consapevolezza che lui stesso stava negando. Rimase impassibile, gli occhi socchiusi, le labbra serrate. Quale menzogna era mai quella? No, non poteva mai dire il falso, non dopo aver dimostrato di essere stata capace di percepire la sua calma nel tragitto fino all’aeroporto.
E allora si ritrovò a domandarsi se davvero il Kurta non fosse in grado di usare qualche bizzarra manipolazione psicologica con il nen che lo stava inducendo a formulare, in un recondito spazio nella sua testa, pensieri e parole che sul serio desiderava rivolgergli – o, semplicemente, si stava indebolendo, macchiando così la memoria dei caduti compagni. I discorsi che quei tre stavano facendo nemmeno gli interessavano più: l’unico desiderio era capire da cosa nascesse l’irrefrenabile voglia di rimanere da solo con lui.
«Fai attenzione, va bene, Pika?» ancora quel vezzeggiativo, quasi fastidioso, volgare alle proprie orecchie, che strideva in qualche modo come ferraglia arrugginita. Un sorriso, un tocco leggero di mani, poi finalmente Leorio si avvicinò alla porta, lo sguardo sprezzante rivolto verso la propria figura fiera, che, malgrado la costrizione nen, non si ostinava a piegarsi. Fu poi la volta della donna minuta di andar via, anch’ella ancora turbata e tesa – lo si poteva constatare dal modo in cui giocherellava con le dita, a testa bassa.
E poi, finalmente, rimasero soli, accompagnati solo dai loro respiri che albergavano nell’aria.
Chrollo era immobile, lo sguardo abissale come la notte preso a scrutare i movimenti di Kurapika, ora intento a togliere la giacca bluette assieme alla camicia. Stava eseguendo tutto con un’incredibile lentezza, aggraziato come aveva avuto modo di dimostrargli alcune notti prima. Pareva una danza lenta, ballata da qualcuno sospeso su un sottile confine tra odio e desiderio, certezza ed esitazione, e il capo del Ragno non poté che fare a meno di sentirsi impotente di fronte alla bellezza di quella splendida creatura, ora coperta solo dai boxer. La pelle viva brillava appena, avvolta da una sottilissima coltre di sudore, che pareva volerla rendere luminosa, invitante – e non seppe per quale arcano motivo desiderò solo sfiorarla ancora.
Erano collegati solo dalla catena che pendeva da quelle dita sottili e l’uomo sapeva di non essere completamente immobilizzato: le costrizioni gli lasciavano libere le gambe, motivo per cui riuscì a muovere un passo in direzione del ragazzo.
Spaventato, quasi come un animale selvatico in preda ad un cacciatore, il Kurta scattò appena indietro, la frangia bionda che copriva appena lo sguardo cremisi e minaccioso che gli stava puntando contro; il respiro, ora più pesante, gli sollevava ritmicamente le spalle.
Persino la Chain Jail aveva iniziato a far più male, ancora più stretta, in quell’istante di tensione. Tuttavia, ciò non bastò a fermare Chrollo. I suoi occhi neri percorsero ogni lembo del corpo esile del giovane – come aveva fatto ad abbattere un gigante come Uvo? – contratto in posizione di allerta. Sarebbe stato pronto a scattare in qualsiasi momento, ma lui non aveva intenzione di fare nulla di avventato, conscio sarebbe stato controproducente per tutte le parti. Poi, istintivamente, lo sguardò si posò lì sul petto pallido, dove, meravigliose, figuravano quelle cicatrici che aveva sul serio amato baciare e sfiorare, e si rese conto di quanto fosse accaduto nell’automobile: era un criminale, un assassino, eppure mai avrebbe dovuto mancare di rispetto a qualcuno in quel modo.
«È stato vile…» iniziò, con la catena attorno al collo che stringeva, desiderosa di metterlo a tacere; non bastò, tuttavia, poiché subito riprese: «Fare quella battuta di pessimo gusto sul tuo genere, in macchina»
Una nota di stupore si dipinse sul volto angelico di Kurapika, ora accigliato e contratto in un’espressione confusa, quasi come stesse facendo fatica a collegare i pezzi di un complesso puzzle.
«Della gente è morta per causa tua» e ci tenne a sottolineare in modo dispregiativo quell’ultima parola «La mia famiglia è morta per causa tua, e tu ti scusi per avermi fatto misgendering
«Sì?»
Il ragazzo sgranò appena gli occhi, se possibile ancora più sconcertato rispetto a pochi istanti prima, con le labbra socchiuse come se fosse pronto a ribattere qualcosa. Eppure, mantenendo quello sguardo cremisi vivo e acceso, non aggiunse altro; piuttosto, preferì dargli le spalle, per recuperare dallo sgabello lì vicino degli indumenti dai colori sgargianti – i tipici abiti della tribù, li ricordava benissimo. Iniziò ad indossare i larghi pantaloni con l’elastico, seguiti immediatamente dalle babbucce azzurre.
«Se ti ho chiesto scusa è stato perché-»
«Dimmi, esattamente cosa ti aspetti ti dica, Ragno?»
Il giovane si bloccò, girato appena di profilo per osservarlo con freddezza – la stessa freddezza che aveva messo nella voce e che, in quel momento, pareva avvolgere tutta la stanza. Chrollo rimase fermo, fiero nella sua posizione mentre con lo sguardo percorreva i tratti di un volto così bello, eppure così sofferente. Perché, finalmente, era in grado di vedere quanto dolore ci fosse sul viso dell’hunter, e non solo derivante dall’astio verso il proprio acerrimo nemico.
C’era dell’altro, altro che il ladro sapeva derivasse da quella notte di passione che li aveva travolti come un uragano, quando, inconsapevoli delle loro identità e dei loro ruoli, si erano stretti, baciati, amati. Oh, e che fosse stato maledetto se si fosse sbagliato, ma, a giudicare da quei pugni stretti – quasi non si domandò se le unghie avrebbero bucato la carne – era certo di averci preso.
«Se ti ho chiesto scusa, Kurapika, è stato perché penso di aver reso abbastanza chiaro il mio rispetto verso la tua identità. Il misgendering è stato fatto puramente con lo scopo di colpirti, in qualche modo, non perché io non ti accetti»
Poi la sentì, la catena costringersi attorno alla carne, fino ad impedire una corretta respirazione – paradossalmente, così vicino alla morte, si sentiva ancora più vivo. Il meraviglioso angelo della morte, dinanzi a sé, respirava affannosamente, gli aurei capelli che, scomposti, gli cadevano intorno al viso, e le splendide iridi sanguigne cariche di oscuro desiderio. Lo avrebbe potuto strangolare e non gli sarebbe importato più di tanto, libero com’era da ogni cosa, conscio del fatto che il Ragno avrebbe trovato un’altra testa.
Ma, improvvisamente, quella passione si spense e le proprie vie aeree furono di nuovo libere. La catena intorno al collo era stata sciolta, il braccio destro di Kurapika appena abbassato. Non seppe dire cosa lo avesse calmato – forse il pensiero dei suoi amici, ancora in ostaggio – eppure pareva aver raggiunto un nuovo livello di pace interiore, o indifferenza, che dir si volesse, anche a giudicare dalla tinta più violacea che gli occhi avevano assunto. Preso com’era ad osservare il corpo magro che si ricomponeva in una posizione più eretta, nemmeno si rese conto del nuovo fascio di anelli che pendeva dall’anulare e alla cui base figurava una sfera.
«Mentimi…» iniziò poi il ragazzo in un sussurro «O prova soltanto a farlo, e queste pareti si sporcheranno del tuo lercio sangue»
«Mi sembra di averti già fatto capire che non sono un uomo che inventa fandonie»
Non ricevette risposta, ma lo sguardo ceruleo che si ritrovò puntato addosso parlò per l’hunter – era quasi fastidioso non essere avvolti da quel caldo fuoco infernale carico d’odio.
Parve pensarci per alcuni istanti, prima di aprire bocca.
«Quello che è accaduto l’altra notte… Quanto c’era di vero?»
Ed eccola lì, la domanda a cui tanto bramava di rispondere inconsciamente. Era stato semplice, riempirsi gli occhi e la bocca di astio, quasi nella speranza di poter dimenticare, eludere. Eppure, davvero le loro bocche si erano toccate, sul serio i loro corpi stretti, ed era quella la consapevolezza che più eccitava l’uomo. Aveva raggiunto un punto di intimità talmente alto con qualcuno che mai prima di allora era riuscito ad avere vantaggio su di lui, spinto da una carica assassina forte quasi quanto quella che Chrollo in primis aveva sperimentato in passato. Ed era euforico, oltre che splendido, sapere di aver lasciato un segno positivo che avrebbe fatto crollare le certezze del ragazzo, prima o poi.
«Fatta eccezione per il nome Yehuda, è stato tutto vero e reale»
Kurapika rimase immobile, gli occhi azzurri fermi a fissare chissà cosa in quella sfera metallica, come se fosse stato in attesa di un segno. Trascorse un minuto, poi due, tre, ma il giovane non pareva intento a smuoversi. Quando lo vide iniziare a tremare, il ladro incrinò appena la testa di lato, incuriosito dalla situazione bizzarra.
«Non si muove…» fu solo la constatazione amara, appena udibile, dell’hunter, che subito continuò «Dovrebbe muoversi, dovrebbe farmi capire quando qualcuno sta mentendo»
La voce gli tremava appena e, per un attimo, il capo del Ragno si ritrovò a pensare fosse carino, con quella crepa di fragilità che pian piano lo stava mandando in pezzi.
«Non ti sto mentendo… Kura» lo provocò, con un sorriso, non malizioso o provocatorio, ma dalla lieve sfumatura gentile. Gli pareva di star parlando con un bambino, che per ingenuità voleva negare l’evidenza dei fatti.
«Non chiamarmi così» il volto gli si incupì nuovamente, e per poco non gli parve di vederglieli lucidi, quegli occhi, un attimo prima venissero stretti, assieme ai pugni.
Oh, era certo che gli facesse male adesso, perché, in qualche modo assurdo e violento, lo rendeva suo, completamente: l’oscurità nascosta nel diminutivo, la stessa che caratterizzava il proprio nome di battesimo[1], lo metteva di fronte alla consapevolezza di essere stato posseduto da colui che gli aveva portato via tutto. Una visione tragica e realistica, che tuttavia Chrollo non condivideva; piuttosto, lui preferiva attribuire a se stesso l’innata capacità di aver plasmato un meraviglioso guerriero, un’opera d’arte splendida dal valore inestimabile.
Mosse allora dei passi in sua direzione, sicuro che, se anche fosse stato fermato, ormai sarebbe stato tardi per porre fine a quel massacro psicologico che aveva intenzione di mettere in atto.
«Perché continui a volerti opporre a quel che è successo? Fa davvero così male, sapere di essere stato apprezzato, desiderato, amato
La domanda sembrò scuotere il ragazzo, che con un sussulto riaprì gli occhi per guardarlo, sconvolto.
«Cosa stai dicendo…?»
«La verità. E la tua catena può confermarlo, no?»
L’hunter abbassò appena il capo, in direzione della Dowsing Chain, ancora statica. I brividi che lo percorsero contribuirono a destabilizzarlo ulteriolmente.
«Per quanto riguarda me, non ho rimpianti, anzi» fece una piccola pausa, alla ricerca delle parole giuste «Sono grato a Dio per avermi fatto trascorrere una notte con la prima persona che è stata in grado di mettermi alle strette. Ma tu?»
Finalmente, gli occhi del giovane tornarono a tingersi di quel colore sanguigno che adorava. Il pugno che ne seguì forse doveva aspettarselo, ma se non altro poté constatare fosse meno carico rispetto a quello ricevuto in auto, segno che, probabilmente, il suo discorso stava iniziando a far effetto. Non aveva ancora finito, però.
«Un’altra parola e sei morto»
«Pensavo volessi uccidermi solo se avessi osato mentirti»
Due mani lo afferrarono dal colletto del dolcevita. I loro volti si fecero improvvisamente vicini, al punto che i loro respiri, uno calmo, l’altro inquieto, si mescolarono.
L’unico pensiero di Chrollo, tuttavia, era quello di concentrarsi sul volto di Kurapika, contratto in un’espressione di astio puro. Le sopracciglia erano aggrottate, gli occhi stretti a due fessure da cui era possibile ammirare dei brillanti bagliori rossi, il naso, con alcune lentiggini qua e là, appena arricciato. Se solo avesse potuto muovere le braccia, non avrebbe esitato a portare le dite ad accarezzare quelle gote su cui figurava un leggero rossore. E poi, conscio di quanto sarebbe stato disonesto nei confronti della memoria di Uvo, lo avrebbe baciato, tenuto stretto a sé in una morsa dal medesimo vigore di quelle catene. E, al pensiero del compagno caduto, un pensiero, rapido e fuggente come un fulmine, lo colse.
«Saresti un perfetto Ragno, lo sai questo?»
Si aspettò un ennesimo colpo sul viso, un nuovo tentativo di strangolamento, qualsiasi cosa che tuttavia non arrivò. Piuttosto, l’hunter indietreggiò appena, turbato dalle parole che gli erano state sussurrate.
«Ho ucciso un tuo compagno, e vorresti che mi unissi a voi bestie?»
«Non hai ucciso un mio compagno, hai ucciso un fratello per me. Ma è proprio questo che ti dà il diritto di unirti a noi, è uno dei requisiti»
«Tu sei malato, un folle…» fece un breve pausa, prima di tornare a guardarlo, confuso, incuriosito forse, spaventato «Eppure… Eppure, continui a guardarmi così. Come se-»
«Come se avessi davanti a me arte pura. Ma, d’altronde, sono solo un folle, no?»
Il giovane non disse altro, rassegnato si lasciò andare, le spalle si ammorbidirono e le braccia ricaddero lungo i fianchi. Con la mano sinistra si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lì dove pendeva il rubino della sua terra. Con un movimento secco, poi, gli diede le spalle e recuperò una casacca bianca a maniche lunghe dalla sedia.
«Non sarò mai uno di voi, ricordalo» e quasi pareva volesse sottolinearlo per se stesso, piuttosto che per il capo del Ragno.
L’uomo gli avrebbe voluto dire tante altre cose, conscio del fatto che avrebbe potuto far scatenare ancora di più l’ira del Kurta. Voleva rammentargli le sue origini, in una tribù chiusa che non lo avrebbe mai accettato; voleva sottolineare quanto la sua forza derivasse solo ed esclusivamente dal risentimento covato nei confronti della Phantom Troupe; voleva dirgli che, anche se quegli occhi splendevano di odio e non di passione, restavano comunque belli tanto quanto lui.
Eppure, si limitò a stare in silenzio, mentre, con lo sguardo nero e abissale, guardava quella schiena che veniva coperta dal tessuto di cotone, certo, però, che prima o poi avrebbe baciato nuovamente quella pelle.

[1]: il diminutivo Kura, che Chrollo ha attribuito a Kurapika in “Intoxicated”, richiama la parola giapponese kuro (黒), che significa appunto nero. Kurapika è infastidito dal nome perché è un rimando alla traslitterazione giapponese del nome Kuroro. Purtroppo, io per abitudine tendo a trascrivere il suo nome con Chrollo, perché è così che ho conosciuto per la prima volta il personaggio, e mi spiace che il gioco di parole si perda un po’ :/

 
   
 
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