Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
Segui la storia  |       
Autore: _helianthus    28/01/2023    2 recensioni
[ Fugo-centric | Post Vento Aureo | 14mila parole ]
.
La prima cosa che pensa è che sembra un coglione, che sotto la lampadina di luce fredda del bagno si vede benissimo che non si lava i capelli da giorni, che sembra più ratto che uomo, che si fa anche un po’ pena da solo; la seconda cosa che pensa è che, oltre a sembrare un coglione, lo è.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Giorno Giovanna, Guido Mista, Pannacotta Fugo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: meglio che abbiate finito Stone Ocean per leggere questo capitolo, non per gli spoiler ma per capire meglio cosa succede!

 

 

2. per sempre è finita

 

 

2002, Febbraio

Giorno ha il palato che Fugo aveva a sei anni. Non pensa che sia una cosa nata dall’abitudine di una vita agiata, semmai dal fatto che finalmente può comportarsi come gli pare, ma in ogni caso Don Giorno si nutre di pasta al sugo quattro o cinque pranzi su sette, costringendo chiunque lo circondi a fare lo stesso.

Mista cucina. Sono sempre stati loro due a farlo, dopotutto, ma mentre Fugo lo faceva perché era il meno peggio, a Mista in effetti piace.

Fugo vorrebbe dire che non capisce perché Giorno non si faccia servire da un cuoco vero, ma in realtà si ricorda tutte le domeniche passate in grazia di Dio, quando mangiavano un chilo di pasta in cinque, e le ricorda con affetto. La pasta era territorio di Mista, e lo difendeva egregiamente.

Purtroppo, Fugo ricorda anche una delle prime volte in cui Mista aveva preparato per tutti pasta al sugo: erano arrivati da un paio di giorni, lui e i Pistols, il che significava che neanche dopo uno scontro terminato con i cervelli di tre persone sparsi sul muro e sui loro vestiti si poteva avere un po’ di silenzio. Al ritorno Fugo aveva guidato, mentre gli altri due (più sei) si erano impegnati in discussioni dall’alto calibro (cannibalismo, la prima di tante volte) sui sedili posteriori.

Ad un certo punto si era ritrovato ad accostare, con le mani che tremavano mentre cercava di slacciare la cintura di sicurezza. Era sabato, quale modo migliore di vomitare dentro un’aiuola sotto il sole di mezzogiorno per inaugurare il fine settimana? Mista gli aveva fatto il tifo e urlato meglio fuori che dentro con entusiasmo, Narancia aveva riso sguaiatamente. Fugo si era svuotato fino a sentire le palle degli occhi che gli ruotavano indietro, le dita bianche aggrappate al bordo del marciapiede come se dovesse trattenersi l’anima in corpo per non buttare fuori anche quella.

Buccellati li aveva squadrati con il naso arricciato appena avevano provato a mettere piede in casa. Mista, l’unico che era stato risparmiato dallo spargimento di sangue (ovviamente: era lui il coglione che aveva sparato), si era autodichiarato cuoco della giornata mentre Fugo e Narancia andavano a farsi una doccia.

I vestiti li avevano buttati. Fugo aveva spinto di qua e di là le mezze penne nel suo piatto, di un rosso intenso, con il profumo di pomodoro e di basilico che gli otturava le narici e gli faceva venire di nuovo da vomitare. Era riuscito a mandare giù quattro pezzi di pasta prima di arrendersi. Del pane era stato spinto verso di lui: Buccellati lo guardava silenzioso, senza commenti, ma non erano necessari. Narancia aveva finito anche il suo piatto, e Fugo continuava a non capire come un ragazzo in crescita potesse mangiare così tanto e rimanere così piccolo.

Poi, Buccellati aveva messo su il caffè.

Mentre gli altri sparecchiavano la tavola e Fugo lavava i piatti, loro due si erano scambiati quelle poche informazioni necessarie per considerare la missione della mattinata conclusa. Buccellati aveva commentato qualcosa di positivo in riferimento a Mista, nonostante la descrizione degli eventi che Fugo gli aveva riportato.

Fugo non ricorda le parole esatte, ricorda meglio il fatto che avevano bevuto il caffè tutti insieme mentre Narancia gli chiedeva di nuovo di spiegargli geometria.

Insomma, Mista ha sempre cucinato bene ed è naturale che questa cosa non sia cambiata. Poi, il sugo fatto coi datterini è una cosa che anche Fugo definirebbe strepitosa, se gli importasse qualcosa. A conti fatti, invece, Fugo ha di nuovo l’immenso piacere di guardare tutto dalla terza mensola della libreria di merda, mentre tiene in mano il pacco di spaghetti e aspetta che l’acqua torni a bollire dopo averla salata, mentre con un terzo occhio che non sapeva neanche di avere rivede la scena di Narancia che non distingue baricentro, ortocentro e incentro e abbandona i buoni propositi di geometria dopo dieci minuti di spiegazione.

Giorno intanto aspetta e lo guarda con la coda dell’occhio (Fugo non lo sa) e strappa il pane a piccoli pezzi mentre guarda fuori, verso il mare, ascoltando Mista parlare del niente.

 

 

2002, Marzo

Un giorno, Fugo si sorprende a formulare un altro pensiero ributtante.

A posteriori, dopo lo sgomento iniziale, mentre si gratta via qualche rimasuglio di crosticina delle ferite sulla caviglia, seduto e ammutolito sulla veranda della villa di Giorno, si dice anche che forse non è un pensiero così ingiustificato: di nuovo, da capo, si rende conto di fare schifo.

Mista ha più o meno smesso di cercare la rissa vera con lui (in realtà, ha già smesso da quella volta in cui ha cercato di strangolarlo mentre gli spiegava cos’era successo in Sardegna e a Roma), ma non molla l’osso sulle provocazioni. Per sua sfortuna, Fugo ha dalla sua il grande potere del dissocio, il cui unico problema è che non riesce propriamente a fermarlo, ma quello che conta è il risultato, e cioè: ci sono dei grossi buchi nella comunicazione tra il suo cervello e il suo corpo e viceversa.

In questo modo, la rabbia che gli monta dentro si disperde da qualche parte nel trasferimento da cervello ad arti, e così Fugo non reagisce quasi mai. Le poche volte in cui si incazza e rompe qualcosa lo fa perché l’argomento di discussione è triviale, come succedeva spesso in passato: è molto più facile percorrere un sentiero già fatto decine di volte piuttosto che uno quasi nuovo.

Fugo riesce a rompersi un dito prendendo a pugni il muro, e quella è la prima volta che vede Mista ridere dopo mesi.

Mentre Giorno lo curava, purtroppo, Fugo ricordava quando la stessa cosa era successa a Narancia. Lui non aveva avuto il privilegio di un Don onnipotente, ed era rimasto con la mano fasciata per diverse settimane. Perso in questo carosello di pensieri, Fugo si scollava da se stesso, e Giorno gli parlava, e Gold Experience lo fissava con quello sguardo vuoto e nascosto, e Mista è arrivato persino a dargli una pacca sulla spalla. Avrebbe voluto essere abbastanza presente da sentire tutte queste cose, ma tant’è.

A prescindere da piccoli sprazzi di cameratismo estratti a denti stretti dal prima, Mista non vuole saperne di lasciar perdere.

Fugo si domanda perché cazzo non riesca a scendere a patti con tutto quanto da solo, perché debba per forza mettersi a sbrattare sale sulle ferite di Fugo, punzecchiandolo di continuo, citando Venezia a ogni occasione possibile, come se Fugo non vivesse in funzione di pentirsi delle sue scelte.

Finalmente, una bella sera di primavera, particolarmente infastidito, Fugo formula il suo pensiero ributtante: come starebbero le cose se al posto di Mista ci fosse Narancia?

Che, detta così, può anche sembrare non troppo colpevole; il problema è che per proprietà commutativa questa domanda si traduce anche in.

Come starebbero le cose se al posto di Narancia ci fosse stato Mista?

Fugo non ci pensa. Strizza gli occhi, continua a grattarsi le ferite che ormai stanno gocciolando sangue nuovo, e lo pulisce con il dorso della mano. Merda. Merda.

Fugo ci pensa. Narancia lo avrebbe riempito di sberle, sarebbe anche stato capace di rifilargli una coltellata. Dopo un quarto d’ora di insulti e un quarto d’ora di mutismo, forse lo avrebbe anche ripreso con sé, magari non proprio proprio perdonato, ma Fugo se lo ricorda quel ragazzino del cazzo che gli chiede scusa quindici volte con la faccia tumefatta e poi lo raccoglie e lo riaccoglie nella sua vita talmente semplice e diretta da non ammettere sottigliezze come il risentimento.

Fugo non ci pensa. Mista è vivo, e lui può solo ringraziare il cielo che lo sia, perché nonostante tutto dopo meno di un anno Mista sta già smettendo di odiarlo, sta ricominciando a dirgli tieni quando gli porge qualcosa e a dirgli vai a cagare, coglione quando Fugo fa una precisazione saccente nei suoi confronti, rientrando dentro i pattern del prima.

Alla fine, forse, Mista vuole solo vedere qualcosa da lui, una reazione, una verità. Purtroppo, l’asso nella manica di Fugo è un decennio di esperienza nella repressione di qualsiasi emozione che non sia la rabbia, e negli ultimi mesi anche quella è diventata strana, come se prima fosse stata sangue che sgorgava da un’arteria, rosso e vivo e una fontana in pressione; ora è sangue venoso, una cosa che cola, densa, scura, lenta. Lo sente che gli si raggruma in gola piano piano, e prima o poi forse lo farà soffocare, ma non ci sono l’allarme e la furia che c’erano prima e chiedevano di essere sfogati e urlati.

Mista può rovistare quanto gli pare, anche se significa estrarre un coltello piantato nel suo stomaco e risollevare i lembi della ferita, raschiare e scavicchiare nella foga deleteria di tirare fuori qualcosa di diverso da umori e budella; ma Fugo resiste, e si contorce, perché se si facesse stendere e tirare non potrebbe sopportare l'essere aperto e visto.

 

 

2002, Aprile

È passato un anno.

Mista alla fine annuncia che ha capito una cosa. Smetto di insistere con te, dice appena finito di cenare, aprendo il frigo e prendendosi una birra, sei come l’acqua della pasta. Più la guardi mentre aspetti che bolla, più tempo ci mette: questa realizzazione storica avviene la sera dell’anniversario della morte di Abbacchio, quando finalmente Fugo può veramente tirarsi fuori le interiora e assaporarle piacevolmente su tutto il palato mentre Mista gli spiega come lo hanno trovato, morto trapassato da parte a parte sulla spiaggia.

“Un casino, guarda, davvero una cosa terribile. Ti ricordi quel tipo, aspe’, quello del porto, che ci andammo noi due?”

Fugo lo ricorda. Era l’inverno prima che arrivasse Giorno, una vita fa. Era stata una settimana freddissima ma Mista teneva duro e si rifiutava di indossare dei guanti perché lamentava poca sensibilità alle mani, che quando devi far ruotare la tua vita intorno a una pistola è un po’ un problema. Fugo gli aveva solo detto ‘se ti parte un colpo per sbaglio, ti strappo la lingua e te la faccio mangiare’.

Ovviamente gli era partito un colpo per sbaglio. La cosa era stata comica, perché Mista era stato capace non solo di fare ciò, ma anche di centrare esattamente il fianco di Fugo.

Quello si era accasciato e aveva visto rosso, perché non era mai stato colpito da un proiettile e non sapeva che facesse così cazzo male, perché non aveva mai dovuto tollerare una missione con Mista soltanto, con il suo chiacchiericcio infinito in macchina e il suo agitare continuamente quella cazzo di pistola, con i Pistols che parlavano quando lui taceva e che saltavano dappertutto, per cui già il tragitto era stato insostenibile, ma il proiettile era stato semplicemente troppo.

Quando era tornato in sé e il profilo di Mista era ritornato a essere una cosa umana invece che un ammasso di colori e puntini, c’era anche una pozza di carne sciolta poco più in là; Purple Haze guardava con i suoi occhi giallastri e vuoti il frutto della sua stessa esistenza, probabilmente senza neanche capire cosa avesse davanti.

Fugo aveva osservato il suo Stand per un attimo mentre la sensazione familiare dei succhi gastrici che gli risalivano in gola iniziava a sopraffarlo. L’odore, poi, era la cosa peggiore, insostenibile nonostante fossero all’aperto. Era la prima volta che Mista vedeva Purple Haze in azione, e sarebbe stata anche l’ultima.

“Ecco, lui, quella volta davvero mi fece impressione. Non pensavo che uno come te potesse fare una cosa del genere,” anche attraverso il velo leggero dell’alcol, Fugo si ritrova a pensare e frignare che non era lui, non era lui, era Purple Haze. Che era tutta un’altra cosa. “Ecco, comunque, vedere Abbacchio è stato peggio.”

Fugo appoggia il bicchiere di vino per terra. Sono nella villa, e Fugo si ritrova sempre più spesso a passare la notte lì, su uno dei divani della biblioteca (perché ovviamente c’è anche una biblioteca e sembra pure più grande di quella dell’università), ma stasera sono sul terrazzo, seduti scomodamente sulle sdraio che Giorno ha fatto mettere su richiesta di Mista, che aspettava il sole della primavera con trepidazione.

“Ah sì?” A Fugo tremano le mani e forse anche la voce, ma tanto Mista è partito per la tangente e probabilmente non si renderebbe conto dell’esplosione di Marte. Si tiene queste cose per sé da un anno.

“Guarda, uno non pensa a quanta roba c’è dentro un essere umano finché non la vede sparsa per terra.”

Anche se Fugo ha visto almeno quattro o cinque scioglimenti di persone in tempo reale davanti a sé, forse sta diventando un po’ troppo, ma non ce la fa a fermarlo, sarebbe quasi una mancanza di rispetto. E poi anche lui ha aspettato un anno.

“Allora lì ho pensato che peggio di così non poteva diventare,” come un coglione, l’aveva pensato anche Fugo. “Ma poi c’è stato Narancia. Lui è stato, voglio dire, c’era di mezzo Diavolo, quindi non l’abbiamo neanche visto. Non l’abbiamo sentito urlare. Prima era lì, poi no. Anzi, era lì ma impalato. Fugo, sai cosa vuol dire impalato?”

Fugo lo sa.

“Sì che lo sai, ovvio. Intendo, sai che aspetto ha, veramente, quando succede davanti ai tuoi occhi?”

Fugo non lo sa.

“Allora, vedi, c’erano cinque sbarre. Due erano sul braccio, poi altre due qui e qui, sul petto,” la mano di Mista lo segue nella spiegazione, puntuale. La vista di Fugo inizia ad annebbiarsi. “La quinta, però, cazzo, era la peggiore. Perché, guarda, passava da qui…” Mista si indica il bicipite, flettendo il braccio, “e poi in testa. Da una parte all’altra, eh.”

Mista gli spiega che era già tutto fatto, che ci hanno provato, gli spiega anche dei quattro proiettili e dell’unica volta che ha visto Giorno piangere.

“E alla fine c’è stato Buccellati. Quello è successo quando pensavamo che fosse tutto finito,” Mista fa una pausa per finire il suo bicchiere di vino, tutto d’un colpo. “E niente. Stavamo contenti e quando lo avevamo lasciato nel Colosseo era vivo. Poi siamo arrivati là…”

Fugo si pianta le unghie nei palmi delle mani e si costringe a rimanere lì, ad ascoltare. Stringe i denti finché non gli viene il mal di testa.

 

 

2002, Agosto

Alla fine c’era un motivo se Mista e Narancia andavano così d’accordo: erano simili. Stupidi uguale, senz’altro, con la stessa tendenza a far implodere le situazioni piuttosto che placarle, e tutto sommato anche con lo stesso buon cuore.

Questo è tutto molto bello, almeno fino a quando Mista non inizia a tartassare Fugo dicendogli di trasferirsi anche lui nella villa, che è grande e vuota e lui non può sempre solo conversare col suo capo o con una tartaruga (Sheila E non fa conversazione con lui, pare lo odi, cosa che a Fugo fa un po’ ridere).

"Ma tanto che ci devi fare a casa? Dormi in biblioteca a giorni alterni." Sono in una delle cucine della villa, sono le due e Mista parla masticando una pesca, e nonostante questo riesce comunque a sembrare accusatorio.

Dal suo canto Fugo ha mangiato pasta in bianco, incredibilmente di quella aveva appetito. Mista l’ha guardato masticare piano tutte le mezze maniche che aveva nel piatto, anche se credeva che Fugo non se ne stesse accorgendo, e gli è sembrato un interesse strano. Direbbe, quasi amichevole. Ora sta bevendo un decaffeinato, fatto da Mista con la schiumetta come quello del bar.

"Ah, ho capito. Hai la tipa e qua non la puoi portare?"

Fugo si soffoca con il caffè. Gli viene in mente il fatto che non cambia le lenzuola da tre mesi, il fatto che non c'è niente in frigo a parte due bottiglie di tè freddo, il fatto che comunque non inviterebbe una tipa a casa sua neanche se queste due condizioni non sussistessero. Mentre allunga una mano per strappare un pezzo di scottex, Mista alza gli occhi al cielo.

"Ua, che scandalo che fai per niente. Allora magari il tipo?"

C’è da fare un apprezzamento verso l’inclusività dimostrata dal ragazzo, che senz’altro ha tutte le buone intenzioni del caso nel fare un’osservazione del genere.

Purtroppo Fugo non prova un’emozione nei confronti di una persona dal terzo governo Andreotti. Purtroppo inoltre Fugo sussiste nell’avere un conato di vomito all’idea di essere anche solo toccato sulle braccia. È anche vero che riavvicinarsi a Mista significa reinserire nella sua vita molti stimoli fisici, quali: abbracci, sberle, capelli arruffati, pacche di incoraggiamento, pacche di consolazione, eccetera. Tutto questo contribuisce a riunire Fugo con il suo corpo e ne è grato.

Resta il fatto che Mista è un coglione.

"Cristo-"

"Ehi, stai tranquillo, scherzo. Comunque, non ci sarebbe nulla di male."

Forse. Più o meno. A parte il suo generale problema con l'idea di chiunque nel suo spazio fisico oltre i cinquanta centimetri di vicinanza.

Fugo cerca di non pensare troppo al fatto che ha diciassette anni e la libido di una tavola di compensato, allo stesso modo in cui evita di pensare a molte altre cose. Il lavoro è sempre quello ma è fantastico, lo tiene impegnato e non gli permette di avere granché tempo libero, anche perché di quel tempo libero non saprebbe cosa farsene, visto che i suoi amici sono sostanzialmente morti.

(È anche vero che Sheila E lo informa quando ha il pomeriggio libero e poi lo fissa con due occhi enormi, in attesa di una qualche risposta. Fugo, nonostante il suo spiccato intelletto, deve ancora capire bene che risposta si aspetti.)

“Quindi mi fai capire che a casa non ci devi fare niente,” Mista interrompe i suoi pensieri. “Che bella notizia!” E batte le mani come un coglione, pieno di entusiasmo. “Dai, così non devi più pagare l’affitto e risparmi per comprarti… Che vuoi comprarti?”

Fugo non si compra niente da un po’. In realtà Fugo non fa niente (a parte schifo) da un pezzo, e continuerebbe a vivere in questa maniera quasi volentieri.

“Un biglietto per il Brasile,” dice, piano e con il giusto sarcasmo, “così posso levarmi dalle palle e non ti devo più stare a sentire.”

Mista esegue un lamento fastidioso che inizia con un pezzo del suo nome (paaa) e continua con un nnaaaaa che viene trascinato abbastanza a lungo da trasformarsi in una mano unghiata su una lavagna di ardesia. Di nuovo, Fugo dovrebbe essere contento: questo livello di normalità combacia perfettamente con il prima e non pensava che sarebbe mai riuscito a riottenerlo.

In virtù di questo fatto, Fugo mette tutta l’anima nel lasciare la forchetta nel piatto davanti a sé invece di afferrarla e bucare la faccia del suo amico. Lo interrompe proprio mentre sta finendo di dire coooo per passare all’ultimo ttaaaa.

“Perché dovrei venire a vivere qui? Che ne sai, magari mi piace fare il pendolare. O avere i miei spazi.”

“Probabilmente puoi avere, tipo, cinque stanze per te. Se c’è una cosa che non manca qua è lo spazio,” Mista smette di essere insopportabile per un attimo, mette su quello sguardo da psicopatico che ha sempre quando tortura la gente, vale a dire il suo sguardo serio. Ha gli occhi scuri, quasi neri, “c’è tanto, tanto spazio.”

All’improvviso Fugo capisce. È costretto di nuovo a ricordare, come se Mista gli avesse inchiodato le mani al tavolo invece che parlato. Fugo ricorda, e sa che anche Mista ricorda, le prime settimane dopo che lui era arrivato, quando erano finalmente diventati troppi per il bilocale che fino ad allora era stato la loro casa. Stavano stretti come topolini, lì dentro, e inciampavano l’uno sull’altro di notte andando in bagno.

Nonostante il delirio, c’era qualcosa di confortante nello svegliarsi e trovare sempre qualcuno, ovvero non essere mai costretti a stare da soli, con i propri pensieri e con le proprie colpe. Fugo sospetta che Giorno, nonostante sia un ottimo capo, non sia eccellente né nel dialogo amichevole né nell’amicizia in generale, che è strano detto da uno che i suoi amici li aggrediva fisicamente, però Fugo lo sente vero.

Ha senso che Mista voglia un amico, nella villa, non un capo o una tartaruga. Se Fugo può essere quell’amico, allora ci deve provare.

 

 

2002, Settembre

Fugo ha fame. Suppone che sia normale, con quello che (non) mangia, ma al contempo vorrebbe che il suo metabolismo fosse più abituato, temprato al rimasticarsi da solo. Ormai sono anni che va così, pensa, perché cazzo mi sveglio ancora di notte coi crampi?

Il vero problema dei crampi è che ci sono a prescindere. Quando non mangia, gli vengono per la fame. Quando mangia, gli vengono perché evidentemente la rabbia e l'odio e l'acidità gli hanno iniziato a scavare un'ulcera, e quella è quasi peggio della fame.

Non era così, tempo fa: Fugo si ricorda le sere in cui andava in cucina a svuotare il pacco di taralli sempre presente nella mensola più alta della dispensa, trovando Abbacchio a guardare le repliche della Signora in Giallo. Non lo faceva per vera fame, ma perché gli piacevano i taralli, perché aveva appetito e quattordici anni e non aveva mai avuto una vera libertà riguardo i pasti.

Così, ogni tanto si sedeva vicino ad Abbacchio, che sorprendentemente non lo cacciava; a differenza di quando compariva con Buccellati, tra l’altro, non cercava neanche di nascondere il vino.

Abbacchio ovviamente soffriva di insonnia, qualcosa che neanche l’alcol riusciva a tramortire. Quelle sere erano strane e, quando Fugo era abbastanza stanco, riusciva quasi a immaginare di essere un ragazzo normale, con un fratello maggiore normale, con cui guardare tv fino a tardi e sgranocchiare taralli.

Di solito Abbacchio non mangiava quando beveva, ma qualche volta Fugo il pacco di taralli glielo offriva comunque, e rischiava anche che dicesse di sì. Poi gesticolava verso la televisione e mugugnava cose tipo: che vecchia stronza, si porta in giro il malocchio come un cagnolino nella borsa. E sghignazzava come non faceva mai da sobrio.

Ora Fugo si sveglia nel cuore della notte da un sonno leggero, con lo stomaco che si contorce su se stesso.

Il buio che gli sta intorno è sempre lo stesso e se chiude gli occhi e ci pensa abbastanza forte può quasi immaginare di avere di nuovo quattordici anni. Fuori, però, fuori da camera sua non ci sarà né una piccola sala con un divano sfondato e neanche un ventenne alcolizzato davanti alla televisione.

Allora, piuttosto, Fugo pensa ai crampi. Se mangia allora si calmano, ma poi ritorna la nausea, e non è sicuro di preferirla: quindi, seguendo i passi del Miserabile Originale, Fugo va in cucina con l'intenzione di sedersi davanti alla tv, sperando di trovare una replica della Signora in Giallo, che tanto anche se hanno finito di girare gli episodi più di dieci anni fa lui spera che non smettano mai di riproporre quelli vecchi.

È bizzarro, che Giorno sia già lì. Seduto al tavolo, con una tazza di acqua davanti a sé, con le braccia si stringe la pancia come un bambino. Fugo dà un colpo di tosse per avvertire della sua presenza, Giorno ruota la testa nella sua direzione senza alzarla.

“Tutto okay,” gli chiede mentre cerca di riformulare un percorso che sia sensato senza rivelare che la sua intenzione era quella di mettersi a guardare le fiction per signore anziane. La sua domanda non esce come una domanda ma come un’affermazione. Meccanicamente, Fugo si dirige verso il lavandino per prendere un bicchiere d’acqua.

Giorno fa un sospiro profondissimo e riporta la fronte contro il tavolo. Fugo non vuole girarsi a guardare, anche perché la cosa è già abbastanza strana così: Giorno non è mai scomposto, il contesto più informale in cui l’ha visto è il pranzo, con la pasta al sugo e tutto. Ha quasi paura di voltarsi e trovarlo in pigiama.

“Sì,” che è fantastico. Nessun rischio di conversazione personale o condivisione privata o confessione del perché Giorno sia in cucina alle tre di notte accasciato sul tavolo. Fugo continua a non girarsi ma se lo facesse noterebbe che la tv è accesa e con il volume al minimo.

“Okay. Io stavo solo, eh, bevendo.”

Allora si gira, perché sarebbe strano se continuasse a non farlo. Poirot lo saluta con i suoi baffetti neri e Fugo sente una risata che gli gorgoglia in gola e cerca di mozzarla, perché non ha intenzione di ridere in faccia al suo capo senza apparente motivo. Prima che possa uscire, Giorno ricomincia a parlare.

“Credo solo di avere sovrastimato.” Giorno non sovrastima mai, né sottostima. Giorno stima esattamente. Di nuovo, Fugo pensa: strano. “La mia capacità di… come dire.”

E, va bene, Giorno lo terrorizza. Lo terrorizza quello che rappresenta (nuovo inizio, seconda possibilità, perdono, redenzione, Gesù Cristo in persona) e quello di cui è capace (ancora non ha capito dove sia il corpo di Diavolo, sempre che sia da qualche parte), ma in quel momento sembra solo un sedicenne in difficoltà, e a Fugo non sembra niente di grave, ed è anche un po’ curioso, per cui non ci può fare niente e si avvicina, prende persino una sedia e si siede. Giorno volta di nuovo il viso per guardarlo, solo leggermente miserabile.

“Mista ha portato veramente tanto cioccolato,” inizia, perché in effetti Mista due giorni prima è tornato dalla Svizzera dopo aver sistemato una faccenda e ha più o meno letteralmente svuotato la sua valigia in un cestino per riempirla di stecche di cioccolato di ogni tipo prima di ripartire.

Fugo non coglie però il collegamento tra i fatti e continua a guardare Giorno con gli occhi rossi e scuri e compunti. A Giorno tremano le labbra come se gli venisse da ridere e si stesse trattenendo, oppure come se si vergognasse a dover parlare. Fugo di nuovo pensa: strano. Non sembra troppo una statua.

“Purtroppo, Fugo, io adoro il cioccolato.”

Ah. Così, dopotutto, Don Giorno non è una figura evangelica estratta da un Caravaggio. Nonostante l’assurdità della situazione e della notizia, Fugo annuisce con serietà.

“Hai mal di pancia.”

Giorno, questa volta, ride davvero, e mugugna un po’ stringendosi l’addome, di nuovo rivolge il viso verso il tavolo ma continua a ridacchiare piano.

“Tantissimo,” ammette, “stavo leggendo, mi sono distratto e la cioccolata non finiva più.” Finalmente Giorno si mette seduto normalmente e avvicina a sé la tazza d’acqua. Ci soffia sopra e Fugo capisce che è calda e capisce anche che Giorno Giovanna è un po’ tocco, probabilmente, se si beve acqua calda così senza niente. “Così ho finito il libro.” Prende un sorso d’acqua. “E la cioccolata.”

“Ah, è chiaro.” Di nuovo Fugo annuisce, ancora stupito dalla rivelazione non poi così tanto assurda che in effetti Giorno ha sedici anni e dagli indizi contestuali probabilmente ha anche avuto un’infanzia dove non poteva spesso permettersi di fare un po’ quello che gli pareva. In ogni caso, il modo semplice e anche un po’ sciocco in cui all’improvviso si è tirato via il piedistallo da sotto i piedi da solo mette Fugo in difficoltà, come se dovesse reimpostare un po’ tutte le assunzioni su cui basa la sua vita oggi.

È talmente dispendioso in termini di lavoro mentale che il cervello di Fugo fa una piroetta liscissima su se stesso e gli fa buttare fuori delle parole che definire inaspettate è riduttivo.

“Narancia faceva lo stesso,” e continua ad annuire, come se parlasse del tempo, “con i porcini.”

Giorno lo guarda, non ride più ma i suoi occhi sono attenti e morbidi allo stesso tempo. Fugo pensa che quel genere di interesse, quello che di solito sembra un po’ accondiscendente, un po’ tipo se ne parli ti fa bene, se non lo tieni dentro a farlo marcire magari prende aria e diventa una cosa bella, come il pane o i fiori o le nuvole, quel genere di attenzione, dovrebbe farlo incazzare.

Fugo però con Don Giorno non si può incazzare, ovviamente, e questo gli mette una condizione al contorno che lo obbliga di nuovo a ricalcolare tutto.

Intanto che ricalcola, parla, per qualche motivo di merda che non riesce bene a capire.

“Non è che qua i porcini si trovino facilmente. Quando capitava di trovarli freschi Narancia ne comprava sempre molti, e poi costringeva Mista,” Giorno non smette di guardarlo, Fugo si concentra sulle linee venose del legno del tavolo, “a farli tutti sott’olio. Perché si conservano a lungo.”

Il ricordo, parlato, minaccia di spaccarlo. Non sono cose che andrebbero dette perché dirle dà loro un inizio e una fine e quindi un corpo nel tempo. La verità è che questa non è che la terza, quarta volta, che questo ricordo lo tampina, ma a doverle articolare le cose prendono una tangibilità e un posto nella realtà che nella sua testa non hanno più.

Fugo è costretto a rivivere l’odore pungente dell’aceto di vino, tanto forte che lo faceva tossire, e si ricorda che Mista rompeva il prezzemolo con le mani invece di tritarlo.

“Mista sterilizzava i vasi, rispettava tutto il processo. Pensa che misurava addirittura l’aceto e l’acqua.” Mista di solito non misura gli ingredienti, e continua a non farlo, lui va a sentimento. Fugo aveva provato a imitarlo, qualche volta, ma evidentemente di sentimento non ne aveva. “Però era un po’ inutile. Narancia era capace di mangiarsi mezzo chilo di porcini sott’olio in un pomeriggio. E poi, uh,” Fugo alza gli occhi dal tavolo, Giorno in quel momento smette di guardarlo, porta gli occhi sulle sue stesse mani intorno alla tazza d’acqua, “vomitava tutto o stava così tutta la notte. Come te, ecco.”

Giorno storce il naso, probabilmente l’idea di vomitare non lo allieta particolarmente. Fugo riesce a fare una smorfia che forse con un po’ più di fortuna sarebbe stata un sorriso.

“Penso che resisterò,” e con grazia riesce a soprassedere lo sproloquio in sé, pur senza dare l’impressione di averlo ignorato. Fugo riesce a provare un po’ di gratitudine, mentre fa spallucce.

“Mista di solito mi diceva meglio fuori che dentro.

“Non fargli sapere che te l’ho detto, Fugo, perché è un po’ permaloso e potrebbe stizzirsi,” Giorno inclina la testa verso di lui come a dovergli fare una confidenza. Ha gli occhi azzurri che sono brillanti anche nella luce artificiale della cucina e Fugo per un attimo smette di pensare, “ma talvolta Guido dice anche idiozie.”

Se glielo chiede Giorno, Fugo non andrà a dirglielo. Se glielo chiede Giorno, Fugo potrebbe fare un po’ qualsiasi cosa.

 

 

2009

È incredibile, il potere del tempo. Fugo ogni tanto si ferma e realizza: forse, con il giusto tempo, avremmo avuto una possibilità. Se avesse riflettuto un po’ di più sull’offerta di Buccellati al tempo, se al contrario non avesse pensato affatto quel giorno sul molo a San Giorgio Maggiore.

Fugo non è troppo cambiato rispetto a tempo prima, probabilmente complici anche il fatto che un po’ si lascia morire di fame da quando ha sedici anni e la generale sua infelicità di vita a partire dai cinque anni in su. Mista non aveva ancora così tanto da crescere ma è comunque diventato più grosso, spacca le mele a metà usando pollice e indice con una facilità impressionante e poi gliene porge metà, bonario.

La cosa divertente è che comunque non è lui quello che fa più paura: evidentemente a Giorno tutta quella pasta al sugo è servita, perché ormai si aggira intorno al metro e novanta, le sue spalle possono davvero portarsi addosso il mondo, e si è lasciato crescere i capelli biondi fino a farli diventare una cascata. Ha gli occhi più affilati. Aveva le orecchie un po’ troppo grandi (Fugo se le ricorda, pare che sia capace di ricordare qualsiasi cosa a patto che sia capace di fargli del male, perché anche le orecchie di Narancia a sedici anni erano troppo grandi per il resto della sua faccia) e ora non più: ha il viso squadrato ma ancora morbido, e a ventidue anni forse ha smesso di crescere.

In uno dei tre giorni di vacanza che si è preso negli ultimi sei anni, Fugo è andato a Firenze. L’ha visto, il David, è rimasto due ore in quella stanza a guardarlo da ogni angolazione, trovando più similitudini che differenze. C’erano anche i Prigioni, la corte inchinata davanti al re, e non si è mai sentito più vicino a qualcosa nella vita.

Giorno gioca con lui a scacchi. Succede spesso da quando un anno fa hanno seppellito la tartaruga nel giardino-vivaio-foresta della villa, perché Polnareff era l’unico lì dentro con la pazienza di rimettersi davanti alla scacchiera ogni volta, pur raccogliendo sconfitta dopo sconfitta.

Una volta, in macchina, gli aveva confessato che non era mai stato un tipo troppo strategico, anzi, era una vera testa calda (apparentemente i quarantenni parlano così), e Fugo aveva ascoltato in silenzio per tutto il tragitto fino a Roma le storie di Polnareff.

Aveva preso con moderata noncuranza l’informazione ho contribuito a uccidere il padre di Giorno, che era un vampiro immortale capace di fermare il tempo. (Alla fine, stavano per entrare negli anni ’10 del nuovo millennio. Quello che era successo negli anni ’80 poteva rimanere là.)

Il cervello di Fugo aveva preferito soffermarsi sulla nota capace di fermare il tempo, ancora una volta stupito dalla poca fantasia della gente.

Se lui avesse potuto fermare il tempo, non avrebbe architettato piani di vendetta e di conquista del mondo, si sarebbe accontentato di ritagliarsi degli anni in più per guarire, magari per arrivare al suo personale quarto di secolo con un minimo di normalità in testa.

Invece, il suo potere è quello di uccidere la gente. C’è da dire che in questo Purple Haze è piuttosto efficiente, come Fugo è efficiente nel far lavorare il suo cervello nevrotico: per questo, Giorno lo vuole spesso seduto davanti alla scacchiera a spostare pedoni e cavalli.

A differenza di tante altre cose a cui era obbligato da bambino, gli scacchi non lo irritano più di tanto: quando si mette lì, a pensare, il suo cervello si sbrodola dappertutto, comodo e morbido nella possibilità di pensare a decine e decine di scenari diversi, tutti ugualmente insignificanti. Perdere o vincere non è importante, quello che conta è dare alla sua testa macinatrice di mostri qualcosa su cui arrovellarsi, qualcosa che sembra della più vitale importanza anche se non lo è. L’obiettivo con cui giocava da piccolo, per rendere la cosa più divertente, era quello di non perdere neanche un pezzo, al massimo uno solo – ma è impossibile, i sacrifici vanno fatti, a volte perdi la regina e vinci comunque e perdi quasi tutto e vinci comunque.

Fugo vince spesso. Anche Giorno vince spesso, ma Fugo sospetta che ogni tanto guardi più lui che la scacchiera.

Giorno, enorme, forte, con la sua cascata di ricci biondi, con il completo blu di lino leggero aperto sul petto, le spalle enormi che tengono su il mondo, uno degli uomini più importanti di tutta Italia, guarda più lui che la scacchiera.

Lui ha ancora il volto sfigurato, ovviamente, ci sono cose che neanche il tempo riesce a sistemare. Le mani gli tremano quando fa troppo freddo perché è magro perché non mangia perché non ci riesce perché c’è qualcosa che non va in lui, da quella volta in Sicilia, da quando ha pensato che poteva morire e che poteva avere il coraggio di occuparsene lui stesso.

Il suo stomaco è in pezzi, è stato un processo lungo ma ci è arrivato, e Fugo se lo immagina, il Virus, che si attacca alla bocca dello stomaco di un ragazzo di sedici anni e inizia a raschiare, sapendo che a ventitré anni arriverà sul fondo.

La mano di Giorno è enorme quando prende i pezzi per spostarli, Fugo tiene gli occhi sbarrati sulla scacchiera, a ogni mossa dell’altro il suo cervello si stiracchia e si rimette comodo e sciolto e ricomincia a catalogare e immaginare tutte le cose che potrebbero succedere.

Giorno continua a guardarlo con i suoi occhi verdi enormi. Fugo cataloga e immagina tutte le cose che potrebbero succedere, e non ricambia mai lo sguardo.

 

 

2012, Marzo

In un bel giorno di marzo, Fugo realizza due cose. La prima è che tra meno di un mese avrà ventisei anni e saranno passati tredici anni da quando aveva tredici anni.

Questa cosa lo fa inciampare mentre respira e una stretta strana gli prende lo stomaco. Fugo ha una certa affezione per le cose simmetriche, come le distribuzioni a due code o, ancora meglio, le Gaussiane. Fugo, in realtà, vede benissimo anche il valore delle cose asimmetriche, ma comunque non riesce a fare a meno di pensarsi ad un punto un po’ di svolta della sua vita.

Ogni tanto continua a vedersi dalla terza mensola di quella merda di libreria, ma succede di rado, solo quando è messo alle strette in certi modi particolari: per esempio, Giorno alla fine ha davvero fatto un tentativo, si può dire onorevole, e gli ha stretto le dita della mano destra sopra la scacchiera mentre Fugo si allungava per muovere la sua ultima torre rimasta. Lui non è riuscito a evitarsi il panico, più per il fatto in sé che per il contatto fisico, ma perlomeno ha solo evocato Purple Haze dietro di sé invece di afferrare il primo oggetto contundente a portata con l’intento di lanciarlo contro il suo capo. Di nuovo, in quell’occasione Fugo si è ritrovato a guardarsi da fuori, ma poi Giorno ha capito (Giorno capisce tutto, sempre), ha ritirato la mano e non è successo niente.

Piano, ma neanche mettendoci troppo, lui è rientrato in sé (sia Purple Haze che Fugo stesso). Nessun incidente.

Però Fugo pensa, forse, che se non avesse la faccia sfregiata, se non pesasse cinquanta chili bagnato, se non fosse una macchina della morte ambulante, forse gli potrebbe anche piacere l’idea di essere lui ad allungarsi per stringergli le dita, la prossima volta.

Fugo guarda le mani di Giorno quando spostano documenti sulla scrivania, sfogliano libri, arriva persino a immaginare come potrebbe essere vederle correre sulle sue, di braccia. O magari, sul suo viso.

Se pensa che ha quasi ventisei anni si sente ridicolo. Però, a piccoli passi, Fugo pensa che forse potrebbe riuscire ad arrivare in moltissimi posti. Il suo personale tipo di terapia.

Quindi, anche solo in conseguenza di questo pensiero, sta migliorando. Ha avuto bisogno di una decina di anni e le sue non sono vittorie totali e probabilmente non lo saranno mai, ma Fugo sa che non è mai stato quel tipo di vincitore.

Lui è uno che vince per astuzia e non per forza schiacciante, un po’ come rimanere sul molo di San Giorgio Maggiore e sopravvivere mentre tutte le persone a cui in qualche modo storto vuoi bene e che te ne vogliono vanno incontro a morte quasi certa. Non è neanche sicuro che riuscirà mai a mettersi il cuore in pace riguardo quegli specifici fantasmi, ma ormai fanno male in una maniera diversa, quasi ovattata.

(Anche questo, in realtà, fa male, perché forse sente di meritare una sofferenza che duri tutta la vita, mentre Abbacchio e Narancia e Buccellati hanno smesso di soffrire da un pezzo. Fugo ci sta lavorando, ovvero non ci sta pensando troppo.)

La seconda cosa che realizza è che forse potrebbe anche abituarsi a questa vita.

Da quando Polnareff è morto, Fugo è diventato a conti fatti il consigliere di Giorno, che significa che è un po’ il giullare della corte, nel senso che ha il privilegio di poter parlare liberamente laddove altri invece rischierebbero la vita a farlo (c’è da dire che anche Mista ha questo privilegio, e lo sfrutta nelle maniere peggiori).

Lui e Giorno discutono, scherzano, si rimpalleggiano idee e opinioni, nessuno dei due si trattiene nel criticare l’altro né tantomeno nell’ammettere che un piano d’azione sia meglio di un altro.

Finalmente Fugo può lasciar correre la lingua riguardo ogni suo fastidio, anche se questo significa contraddire Don Giorno; la decisione finale in ogni caso spetta a lui, com’è ovvio, ma è anche questo il bello: Fugo non deve decidere, Fugo non si può pentire. Deve solo tollerare le piccolezze, come la pasta al sugo che comunque a pranzo si fa ancora almeno due volte a settimana, e Mista che quando condividono una bottiglia di bianco leggero gli ride dietro e gli dice che prima o poi deve darglielo al Don, un bacio, perché è l’unica cosa che Giorno non si permetterebbe mai di prendersi da sé.

E Fugo inizia a pensare di pensarci.

Poi, all’improvviso, il tempo inizia ad accelerare.

 

 

2012, Marzo

La fine del mondo è strana e, a essere franchi, non gli pesa neanche più di tutte le cose terribili che gli sono già successe.

Giorno fa un paio di telefonate, con un tono di voce che rasenta vagamente lo stress, poi li guarda e apre le braccia come a dire non lo so oppure non posso farci niente. Quella reazione è ben più inquietante degli orologi che iniziano a correre; nemmeno Giorno Giovanna ha potere sull’Apocalisse.

Giorno si siede davanti alla finestra a guardare il sole tramontare e sorgere sempre più velocemente. Mista è al suo fianco, in piedi, e Fugo fa lo stesso: quando guardano il Don, con la coda dell’occhio, hanno l’impressione che sia stanco come non l’hanno mai visto.

 

 

 

 

 

 

 

*

Di nuovo buongiorno(sera)!! Piccole note:
1) ve lo aspettavate il canon compliant con stone ocean? Eeeh? B) (<-- si sente smart per averci pensato perché è stato un elemento chiave nella stesura)(in realtà è un pagliaccio)
2) non so come abbiamo fatto ad arrivare a Fugo e Giorno come pair, anche perché io adoro Giorno e Mista, ma dopo aver letto purple haze feedback e avere visto Giorno come lo vede Fugo, qualche pensiero l’ho fatto. Ad una certa poi la storia mi ha portato lì e io non ho fatto opposizione. Sono anche carini da OT3, e avevo in testa un po’ ci scene con Mista (che poi sono rimaste solo citate magari) ma riuscire a inserire anche lui mi veniva difficile (di nuovo: un sacco di temi possibili) e così è rimasto fuori. Alla fine non mi dispiace e sono grande fan delle amicizie, e sia Mista che Fugo meritano un amico.
3) ho dimenticato di dirlo per quanto riguarda il primo capitolo: alcuni elementi (es. Fugo che regala a Narancia il suo primo stereo dopo averlo menato) che compaiono in questa storia sono ispirati ad altre storie che ho letto su ao3 e che mi piacevano troppo, per cui li ho un po’ espansi o cambiati per farli fittare (se volete delle fic rec devastanti basta che mi mandiate un messaggio lol gli autori amano prendere Fugo e distruggerlo) (gli autori sono io). Inoltre, mi dispiace, amo l’idea di Giorno twink che rimane alto 172 cm a vita (persino Jolyne è più alta di lui, sì cazzoooo) ma da quando ho visto queste fanart ho deciso che Giorno ad una certa doveva iniziare a crescere e non fermarsi più. Mi fa un po’ ridere l’idea di don giorno giovanna, più o meno letteralmente uscito dalla creazione di adamo, che guarda questo ratto pallido scavato dalle tragedie della vita e pensa: “hhhhm, sì. Voglio proprio quello” ma sono entrambi due alieni per quanto riguarda i sentimenti e quindi le cose succedono con una lentezza allucinante. Io me li immagino questi due che si riescono a dare un bacio cioè probabilmente fanno esplodere marte
bene!!! Grazie ancora tantissimo a chi ha letto e recensito il capitolo precedente!! Ci vediamo tra non molto per l’ultimo, che in realtà forse è più un’appendice.
ciaooooo
Cate

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo / Vai alla pagina dell'autore: _helianthus