Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    29/01/2023    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14

IL RE DEL NORD

 

 

 

La tenebra di una giornata silenziosa e un po' angusta alla Capitale era ormai venuta giù, e con essa ogni speranza per il vecchio Senus della Casa Willoughby di rimanere in quella che per più di dodici anni aveva considerato la sua casa. Ritornare al nord suscitava in lui sentimenti in contrasto. Lui era stato un figlio del nord: non c'erano dubbi in merito a questo. I ricordi ghiacciati del bianco perenne all'Ultima Porta erano per lui perfino calorosi. Da bambino ci andava a giocare, e immaginava di trovarci i tanti mostri malvagi e meravigliosi che popolavano le leggende e i racconti degli abitanti più anziani del castello. Per lui, e per gli altri bimbi figli di nobili come lui, quelle storie non erano spaventose: non del tutto. Avevano qualcosa di affascinante. La morte non faceva paura a un figlio della stella del nord: Breccia sugli Astri aveva sempre un piatto caldo e un camino acceso per chi avesse potuto permetterseli. Dalle tenebre, dall'oscuro, certo spesso poteva provenire lo sconosciuto, il misterioso, quello che deve ancora essere illuminato. Ma non necessariamente il pericolo. Anzi, al castello più a nord del continente si diceva che sciocco è chi trema di paura prima ancora che lo pigli il freddo. Quindi: niente paura – mai!– per un vero figlio del nord. Almeno, per un figlio giovane del nord.

Ma adesso tutto era cambiato. Gli occhi gelidi del vecchio Senus non vedevano l'inverno da un tempo di cui neanche ben si ricordava. Si era abituato al cibo grasso e alle temperature delle terre del tramonto. Si era abituato agli intrighi della corte e ai discorsi formali da tenere ai Concili Ristretti del re (o della regina) o nelle riunioni amministrative dell'apparato alle Armi della Corona, quello che ora questa nuova sovrana aveva deciso di strappargli via senza tanti complimenti. Era vero: lui aveva partecipato in maniera attiva all'avvelenamento di re Lionel, il padre di Hana, l'attuale reggente. Come lei fosse a conoscenza della cosa rimaneva un mistero, ma di una cosa Willoughby era certo: non poteva avere prove. Quel genere di intruglio non lascia tracce: gliel'avevano assicurato più maestri e curatori diversi in lungo e in largo per il regno; si sentiva perciò assolutamente certo. Ma allora come poteva permettersi una sovrana, la rappresentante più alta del pubblico potere, di accusare un cittadino illustrissimo come lui basandosi sul mero sospetto dovuto al fatto che lui fosse un uomo del nord, come del nord era anche il veleno che aveva soffocato Lionel? Era poco, troppo poco: era inaudito! Stava subendo un'ingiustizia e se fosse stato solo un po' meno vecchio e un po' meno stanco, probabilmente si sarebbe messo a combattere per le sue prerogative. Rimuovere un nobil'uomo del suo livello senza una vera ragione: solo una despota si sarebbe comportata a quel modo, e i despoti meritano di essere avversati, combattuti, financo infastiditi.

Ma Senus non l'avrebbe fatto. Era vero quanto la regina aveva sostenuto nella sede del suo congedo: la sua casata stava vivendo anch'essa un momento di ridimensionamento. Senus non aveva neanche più l'intero nord a proteggerlo. Uryon Worchester, l'orso di Amergoth, aveva da pensare alla sua guerra, sul suo territorio, non poteva occuparsi pure degli alleati, visto che quei maledetti Applegate – supportati dal principe “magico” di Cowain – forse stavano persino pensando di prendere un'armata e scendere verso Biancavilla, verso Amergoth stessa, l'antica torre-biblioteca nella quale si diceva che l'orrendo mostro trascorresse grandissima parte delle sue giornate.

Quello del vecchio patriarca della Stella del Nord era insomma una situazione che stava via via inclinandosi: non aveva forza, non aveva energie e non aveva amicizie. Forse lasciare la Capitale era la miglior cosa da fare. Non la più semplice naturalmente, ma la più sicura forse sì. Più trascorrevano le ore e più se ne convinceva. Aveva agito senza fretta: un uomo vetusto e austero come lui pensava di essere, non poteva mettersi a saltellare come un ratto non appena vengano accese le luci di una stanza. Era un figlio del nord lui e come un figlio del nord avrebbe lasciato quei cari lidi. Muovendosi con passo lento e deciso, inesorabile come il nevischio che scende dal cielo grigio dell'inverno. Nessuno lo può fermare: solo il tempo. E il tempo su Senus della Casa Willoughby aveva agito bene in tutti quegli anni: non poteva certo lamentarsi. Il tempo era stato un suo alleato prezioso, da sempre. E magari col tempo, un giorno, la stella del nord sarebbe ritornata a risplendere sul firmamento della politica del regno. Ma non era questo il momento. Questo era il momento della fuga.

Il vestito di pelliccia leggera cadeva sulle sue anziane membra impeccabile, come sempre. La servitù aveva approntato i bagagli. Alcuni di loro si commossero: con qualcuno di loro, avevano collaborato per decenni; con altri, almeno per un lustro abbondante. Non ci si dimentica della persone: neanche un aristocratico si dimentica degli uomini e delle donne a suo servizio; quelli che lo fanno, lo fanno in malafede: così pensava il vecchio Senus. Con qualcuno si concesse perfino un abbraccio. Il vecchio Sir Corgrove lo attendeva fuori dalla porta, sempre solido come una quercia, anche se più o meno suo coetaneo. Ma lui era un uomo d'arme, sempre in allenamento. Sarebbero partiti in tre: Senus, Corgrove e poi un cocchiere della Valle lautamente stipendiato solo per questa mansione: riportare un vecchio e stanco Lord al sicuro nel suo soglio innevato.

Sia Corgrove che il cocchiere lo aiutarono coi pesanti bagagli. Dunque, prima di salire sulla carrozza, il vecchio ex Maestro delle Armi si soffermò un'ultima volta ad osservare il palazzo di pietra gialla nel quale aveva risieduto negli ultimi dodici anni abbondanti. Si rivolse in alto a guardare il cielo della Capitale, limpido quella sera anche se una strana scia magnetica attraversava l'aria. Come un alito di freddo in mezzo alle temperature miti che di norma connaturavano quelle settimane, anche di sera. Così si concludeva dunque il suo lungo viaggio nella politica del Regno. Si domandò se da qualche parte, in qualche annale, un memorialista un giorno avrebbe mai riservato uno strapuntino per la sua persona. Immaginava di no, ma poco importava. Aveva fatto del suo meglio per portare in alto il nome della sua Casata. Ora poteva anche mettersi a riposare.

Fu allora che all'improvviso la tenebra si aprì e dal nulla apparve uno sfavillante Lord Braff, perfino più sorridente e più beffardo del solito. «Hai scelto una sera un po' strana per dire addio alla Capitale» fece quindi il Maestro delle spie, rivolto a Willoughby. Continuò: «il tempo sta cambiando».

«Parli per metafora» si decise a domandare il vecchio «mio signore?»

«Sì e no. Sta cambiando davvero. Impercettibili micro-onde più fredde arrivano dall'est e dal nord. Dalla tua casa. E hanno già cominciato ad irradiare il nostro cielo. Di qui a domani, potrebbe anche piovere»

«Una rarità, per questa città»

«È così. E molto spesso quando piove, piove fango. Ma non oggi»

«Non so... sento come se ti dovessi ringraziare»

«Non potresti essere più in errore»

«Allora stai per uccidermi?»

«La regina sta per farlo. Io mi limito ad eseguire degli ordini»

«È questo che ti racconti quando sei da solo, immerso nei tuoi pensieri? Esegui ordini spesso di personalità diverse. Come puoi rimanere sereno con te stesso, Mylord? O... qualunque altra cosa tu sia...»

«Te l'ho detto: siamo soggetti a mutamenti di questi tempi. Re che vanno e re che vengono. Intere dinastie dimenticate, riportate dal nulla di nuovo sulla bocca di tutti. E... vecchi Lord che non contano più niente. Siamo tutti soggetti alla mutevolezza, mio signore. O la cavalchi o ne vieni travolto»

«Questa volta, temo che mi tocchi venirne travolto»

«Sì, ma non abbatterti. Sei stato un abile cavallerizzo, vista anche la tua età. Solo un cieco non lo vedrebbe»

«E come intendi agire?», chiese ancora il vecchio Senus a testa alta.

«La regina ha richiesto un lavoro pulito» rispose il politicante dal baffetto rosso scintillante e, facendosi da parte tra le ombre, mostrò che accanto a lui nascosto praticamente dal primo momento, si trovava il mostro dal teschio nero che per un po' aveva ricoperto il ruolo di Primo Cavaliere del re Targaryen. Aveva degli eleganti, anche se un po' antiquati, abiti da alta corte dei tempi che furono. Sir Corgrove, con un gesto che quasi commosse il vecchio Senus, sguainò dunque la sua spada e puntandola dritta verso i due mostri esclamò con voce roca: «Tu non toccherai il mio signore»

«Grazie, Corgrove» parlò dunque il vecchio Senus «ma ti prego di placare la tua buon'anima. Questo è un nemico che neanche un uomo valoroso e d'esperienza come te, può sconfiggere. Non vale la pena lasciare più d'un cadavere sul selciato»

«Sì, vecchio Sir» confermò Braff «vattene ora. Sono sicuro che i tuoi servigi potranno ancora essere utili, da qualche parte nel nord». Con un po' di indecisione, il vecchio Sir rimise dunque la sua spada nel fodero. Concesse un ultimo sguardo all'uomo che per decenni lo aveva lautamente pagato e, sempre su sua insistenza, infine se ne andò. Il cocchiere s'era già dileguato da un pezzo. Senus rimase da solo con i due mostri: aveva sentito dire, che il tipo di magia ce il vecchio Primo Cavaliere – cosiddetto “Tararus” – riusciva a manipolare, era qualcosa di rapido, invisibile e letale. «È così» confermò Braff, leggendogli nella mente, «niente ferite, niente sangue, niente tracce. Ti rispediremo alla tua famiglia tutto intero»

«Almeno questo...»

«Ti saluto, vecchio Lord. Sei stato un intrigante e un regicida. Ma ora il gioco per te è finito. Non potevi vincere per sempre»

«Farà male?»

«Io non l'ho mai provato. Ma ti garantisco che sarà rapido»

«Bene».

L'ultima cosa che Senus vide fu una strana scintilla provenire dall'estremità degli avambracci del demone Tararus,e propagarsi poi verso le punte affusolate coperte da guanti in pelle di daino. Un ghigno malvagio si dipinse sul volto mostruoso del demone, talmente inquietante che quello di Braff a confronto pareva quasi umano. Ma il vecchio Senus non era spaventato. Il suo viaggio era comunque finito: questione di settimane, forse mesi. Gl'interessava, se possibile, di non provare dolore e così Braff gli aveva assicurato: che motivo aveva di mentire a un uomo in punto di morte, pure un mentitore spudorato quale Braff era, che della menzogna aveva fatto il suo mestiere? Willoughby decise quindi di abbandonarsi a quell'onda calorosa e un poco pizzicante. Fu doloroso, ma non il peggiore dolore mai provato in ottant'anni di vita. E poi fu rapido. Senus Willoughby si accasciò dopo forse un minuto che Tararus aveva lanciato la sua onda di tempesta. Al secondo minuto e mezzo il vecchio Lord della stella era già morto.

«Più pulito di così, direi impossibile» commentò il mostro in abiti principeschi.

Lord Braff replicò: «La tua magia ha un potenziale unico: l'ho sempre detto. E ti ho sempre invidiato»

«Fai poco il sentimentale. So bene quanto ti piace lavorare coi tuoi intrugli d'ombra»

«Sì, ma comunque, in sostanza, qualsiasi cosa io avessi utilizzato si sarebbe trasformato in lama. Cosa che non fa al caso tuo»

«Te l'ho detto, Braff: ti dovevo un favore, ero in debito con te. Adesso ho veramente concluso con questa puzzolente città. Tornerò non appena il nostro padrone si sarà ripreso. Non contattarmi più. Mai»

«Non è così puzzolente, una volta che ti sei abituato»

«Le tue narici di finta carne, forse, funzionano meglio delle mie. Ma va bene così. Considererei una condanna il dover risiedere qui per sempre»

«E perché mai? La gente è simpatica»

«Quella piace solo a te. Ne facesti il tuo oggetto principale di studi millenni or sono. Ti ci dedicasti anima e corpo, più che all'ombra medesima. Ma la sopravvaluti: lo pensiamo tutti»

«Se ti ci dedicassi anche tu, ne rimarresti sorpreso»

«No, Braff. Ti ringrazio, ma no. E scordati di convocarmi mai più quale tuo sicario personale»

«Certo, confratello. Addio: fa' buon viaggio». Tararus si dileguò, a piedi ma rapidamente. Lord Braff sparì nel suo solito ricciolo d'ombra. Il cadavere del vecchio Willoughby scomparve anch'esso, trascinato via da corde fatte di buio e mistero.

 

 

 

Il tempo stringeva e non solo una decisione andava presa subitaneamente, ma andava pure messa in pratica nel più breve tempo possibile. Che si trattasse di una eventuale ricomparsa del drago – sua antica conoscenza – in oriente, o del risveglio del Signore delle sabbie – incoronato Targaryen – alla Capitale, comunque re Constant Lannister doveva darsi una mossa. All'inizio non gli piaceva l'idea di distruggere i demoni al servizio di Gabryaerys: erano troppi e lui di sicuro non aveva molte forze. Era tanto vero questo, che Sua Maestà decise sì di predisporre un viaggio per la Valle, ma pretese che – nel momento del tentativo di distruzione del teschio nero – Baelish mettesse a sua disposizione anche tutte le forze armate che possedesse: non potevano rischiare, a questo punto, che l'operazione facesse fiasco.

Per un momento, Constant era stato più tentato invece di partire per la Capitale e prendere per sé la spilla del Primo Cavaliere offertagli dalla regina, sua nipote Hana, e attualmente detenuta pro tempore e in suo nome dall'altro suo nipote: Marcus, fratello della regina. Così facendo, Constant avrebbe potuto subito rimettere le mani sul Regno, assicurandosi che il re Naharis non tornasse mai più e crescendo il piccolo rampollo (Lyoneth) finalmente come un sovrano degno di questo nome, cosa che Constant non riteneva di aver conosciuto mai in vita sua: né in se medesimo e in nessuno dei sedicenti re che attualmente calcavano la terra del Westeros, né nel giovane Axelion deceduto troppo presto, e né infine nei tanto osannati suo padre e soprattutto suo fratello, Lionel, che a suo giudizio era stato un re pessimo e grazie agli dèi non governava più niente.

Alla fine, i suoi più stretti consiglieri: Sir Bastian e Xenya la navigatrice (anche se lei non si reputava effettivamente una sua consigliera, e questo Sua Maestà ben lo sapeva) lo avevano convinto a risalire la Valle. La questione dell'andare a prendersi la spilla di Primo Cavaliere, si tirava appresso anche quella della guerra con il drago: creatura che Constant sapeva bene esistere, visto che ci aveva avuto a che fare, ma che in questo momento era nascosta, debole, misteriosa, invisibile. Si trattava di una caccia al fantasma, mentre il demone delle fiamme Constant sapeva bene dov'era: prigioniero di Baelish a Nido dell'Aquila. Tra l'altro, anche di un'altra di quelle creature si conosceva bene la posizione: a Delta delle Acque, ma meno prigioniera della sua consorella. Anzi: a Delta delle Acque erano praticamente gli uomini del re Naharis a comandare, e la creatura era libera e – a quanto raccontavano le spie di Constant – teneva in scacco il giovane figlio di Baelish, di nome Petyr come lui, con un'alabarda alta un piano e mezzo, di quelli spaziosi. Baelish era un politico raffinato e quanto stava cercando di fare era la cosa più raffinata in suo potere: ma anche qualcuno di mediocre intelligenza questa volta avrebbe intuito il suo piano, che fatalmente però coincideva con la cosa migliore da fare. La Valle era una regione montana del Westeros, la cui città capoluogo – Nido dell'Aquila – si trovava appollaiata su di un crinale raggiungibile solo attraverso una raggrumata ragnatela di gole, sentieri e viottoli montani. La via principale e più comoda per raggiungerla passava dalla Terra dei Fiumi: le due regioni erano connesse, cugine, anche se l'una a monte e l'altra a valle. Ecco perché era logico scendere a Delta delle Acque una volta finito a Nido dell'Aquila, se l'impresa fosse riuscita: si trattava di un viaggio d'un giorno e mezzo, due al massimo.

Così adesso il re la cui sede principale al momento si trovava temporaneamente presso Castel Granito, e sul cui stendardo – invece che un drago – campeggiava una chimera incoronata e rampante, si trovava ora in una compagnia di altre ventiquattro persone, proprio sulla parte della via che a poco a poco cominciava a diventare sentiero montano. Il fiume era ormai alle loro spalle da un pezzo.

Gli altri ventiquattro erano: cinque componenti della sua guardia personale (di cui tre recuperati nell'esercito del Miriedos, il continente nuovissimo), più Xenya l'esploratrice, il suo secondo signor Pashamanyna e ovviamente Sir Bastian; c'era poi il padrone di casa – Lord Baelish – e la componente orientale formata dall'infermo Garhel Sawela, portato a spalla da Banfred Panecha, e poi da Sir Poll dei Gaholla. Completavano il quadro i cinque guerrieri della delegazione dorniana, guidata da quell'energumeno di Sir Chato, e sette membri del piccolo manipolo Applegate giunto in rappresentanza del nord, e a sua volta guidato da Sir Hrysso, cugino del Lord dell'albero di mele. Sir Hrysso aveva lasciato una parte dei suoi a Crakehall.

Inevitabilmente erano una compagnia rumorosa, perché il numero fa di per sé clangore, ma meglio così che spostare un intero esercito attraverso le strette gole delle Valle di Arryn. E poi: non c'era bisogno che morissero troppi uomini. Se l'impresa riusciva, Constant era convinto che sarebbero sopravvissuti tutti o quasi. Se non riusciva, sarebbero morti tutti, e dunque meglio venticinque che ottanta, cento o di più. Forse la gente non lo sapeva, o non lo conosceva ancora abbastanza bene, ma Constant Lannister era un uomo generoso e sarebbe stato un re generoso.

«Vostra Maestà» lo chiamò a un certo punto Baelish, avvicinandoglisi con il suo cavallo, proprio mentre Constant si trovava perso nel più profondo dei suoi pensieri. «Lord Baelish», rispose il re. E il Lord continuò:

«Io so bene che mi hai chiesto di armare tutto il mio esercito e porlo al tuo servizio, per il momento in cui distruggeremo il mostro...»

«Proveremo a distruggere è più corretto»

«Sì, beh... mi chiedevo, oltre a questo, tu come intendevi agire? Intendo... personalmente»

«Vuoi conoscere i segreti della mia magia?»

«Non credo che potrei mai...»

«Potresti. Ma ci vorrebbero anni di apprendistato»

«Non so neanche se sarò vivo fra qualche anno, Maestà»

«Su, non essere pessimista, Lord Baelish. Un passo alla volta. Un passo alla volta»

«Allora? Come?»

«Mh...» perse ancora un po' di tempo il re, invero indeciso se chiacchierare proprio di questo con uno che, forse, adesso era suo alleato, ma suo amico per niente, «Vedi, differentemente da molti ex Primi Cavalieri, io non dispongo solo della piromanzia insegnatami dal maestro Nidhogg. Dispongo anche della necriomanzia di Requiem. Quindi, produco fuoco dall'energia dall'animo e ghiaccio dall'energia delle cose che terminano,quindi dalla morte. Direi che il fuoco in questo caso specifico non servirà tanto. L'ambiente potrà essere un alleato utile»

«Quindi... più freddo, più probabilmente una riuscita dell'impresa»

«Con il demone di cui stiamo parlando, sì. Direi che è così. Ma perché tutte queste domande, mylord?»

«Curiosità» sorrise Baelish beffardamente, suscitando una irrefrenabile antipatia in re Constant, «È nella mia natura. E siamo solo all'inizio della strada: non arriveremo prima che il sole non sia giunto a mezzogiorno. Senza chiacchiere, potrebbe finire che ci muoia su questa dannata strada, eheheh».

Il re condivise in parte l'ilarità del nobiluomo, ma più che altro perché trovava giusto partecipare della compagnia con gli alleati con i quali forse stava andando in contro alla morte. Tuttavia, che il Lord di Nido dell'Aquila volesse o meno, Constant subito riprese il filo dei suoi pensieri e ritornò al silenzio. Venne di tanto in tanto interrotto, ma non più attivamente. I cinque dorniani e i sette Applegate si muovevano piuttosto sommessamente, intuendo probabilmente la gravità della situazione. Chi faceva baccano erano gli abitanti dell'Essos, probabilmente felici di ritrovarsi insieme provenendo da un luogo così distante. E se di Sir Bastian, Constant non fu sorpreso, perché era un gran chiacchierone, e di Panecha nemmeno, perché suo padre era stato pure lui un gran chiacchierone: e infatti erano loro due che avevano cominciato, più caratteristico fu per il re osservare per la prima volta ridere sia quel Pashamanyna che Xenya spesso si portava appresso che Lord Garhel Sawela, un noto capopopolo, ispiratore di rivolte e rivoluzioni; sempre serio. L'esploratrice era in mezzo a questo gruppetto, anche se in effetti la sua voce si sentiva meno, forse perché sormontata da tutte le altre più gravi, in quanto appartenenti a maschi. Dapprima il gruppetto di abitanti dell'Essos perse fior fior di tempo a rimirarsi ciascuno nei propri ricordi di quella terra, così calda e maledetta. Quando tuttavia i loro discorsi, spinti da Garhel Sawela, si portarono sull'argomento del drago Requiem e sulle eventuali speculazioni su di lui, re Constant tornò a distrarsi. Di Requiem gli interessava poco. Lui, d'altro canto, lo aveva conosceva già abbastanza bene...

 

 

 

Fu così che la battaglia del ghiaccio perenne venne infine vinta. La lotta per il controllo di un territorio che pareva non aver niente, e che era invece ricco di legno per grosse fabbricazioni (navi, edilizia) aveva finalmente avuto termine. I Willoughby avevano perso. E gli Applegate erano di nuovo i signori incontrastati del settentrione estremo, come lo erano rimasti per secoli. Solo di recente questa strana parentesi dei loro vassalli, gli uomini della Stella del Nord, con capitale Breccia sugli Astri, aveva in qualche misura riscritto parzialmente la storia di quel pezzo di mondo. Ma solo parzialmente: alla fine, le cose erano andate per come sarebbero dovute andare, e la fazione che il principe Daniel di Cowain aveva scelto era infine risultata vittoriosa.

Lui in realtà non è che avesse scelto per una questione “storica” per così dire. Daniel aveva semplicemente conosciuto gli Applegate, sia il Lord che suo figlio Sir Elthon, con cui in qualche modo erano divenuti pure amici, e verso il quale aveva accumulato inoltre una serie di debiti, di cui almeno uno di vita. E poi aveva conosciuto l'altra fazione, non tanto nella sua più esplicita denominazione di “Willoughby”, quanto piuttosto nel reale giocatore di quella partita, l'uomo che con tutti i suoi potenti mezzi supportava e finanziava la casata della stella: Uryon Worchester, il mostruoso orso di Amergoth. Lui sì era una persona terribile: crudele quanto manipolatrice, colta quanto spietata, disposta a tutto per il potere e la rivalsa. Era uno che forse aveva pure sofferto nella sua vita, ma questo non lo giustificava negli orrori che aveva commesso. E in tutti quelli che Daniel sapeva che fosse disposto a fare per ottenere ciò che voleva: il potere, il riconoscimento sempre maggiore. Il dominio incontrastato su tutto il nord, per cominciare, e poi – chissà – magari anche quello dei Regno Unificato, o del mondo intero: questo voleva Lord Uryon. Di lui sì che Daniel aveva paura, e si considerava suo nemico. E se sconfiggere i Willoughby significava, almeno in parte, sconfiggere Uryon: allora sì, il principe Piromante pensava di essere dalla parte giusta della storia. Ora però forse stava accadendo qualcosa che avrebbe potuto sfuggirgli di mano...

Stavano festeggiando tutti quanti: il Lord degli Applegate, il Sir suo delfino, e tutto il loro esercito e i loro alleati minori, in una di quelle tipiche, gigantesche, sale delle strutture del nord dove tendenzialmente veniva collocata la sala del trono. Anche al sud gli edifici regi o alto-nobiliari possedevano una sala del trono, ma quasi mai essa si trovava a un piano terreno e di così semplice raggiungimento. Era più spesso collocata al centro della struttura, circondata da mille altre sale minori, corridoi e ballatoi verso l'esterno, scale e scalette. Non poteva certo porsi il caso di una rivolta popolare che subito raggiungesse il trono e i luoghi del potere ad esso connesso: così almeno l'avevano pensata gli antichissimi architetti e costruttori di tutti i Regni dall'Incollatura in giù. Forse al nord non erano abituati alle insurrezioni. O forse c'erano talmente abituati, che l'una famiglia dominante valeva l'altra e dunque perché preoccuparsi?

La sala del trono era dunque piena sia di persone che di cibo e bevande per gozzovigliarle. Quei cavalieri avevano comunque visto la morte in faccia tante volte, prima dell'intervento di Daniel in quella guerra, ed era giusto che adesso si godessero la vittoria come gli dèi comandavano. Conclusione: uno dei presenti e mezzo su due era, alla tarda serata, ormai bello che ubriaco. Anche Daniel lo era per metà. Chi però, da suoi occhi di brillo, gli pareva assolutamente lucido era il Lord di Alberocasa, colui per difendere il quale Daniel aveva combattuto. Addirittura l'anziano aristocratico era perfino serioso, come se non avesse appena combattuto e vinto una battaglia che sarebbe rimasta negli annali per lo meno del nord estremo, quando non del nord tutto. Il Lord era lì lì per fare qualcosa di stravagante: Daniel ne era sicuro. Anche Elthon, tra l'altro, accanto a suo padre – ora che Daniel lo osservava con attenzione – era piuttosto lucidino, sicuro molto più dei suoi uomini più stretti e del resto della sua armata.

Il principe di Cowain non dovette aspettare oltre. A un certo momento, con fare sontuosissimo, del tutto discordante con quello che invece stava accadendo dinanzi ai suoi occhi, il Lord di quella magione si alzò e, anche se non era particolarmente alto né particolarmente prestante, richiamò immediatamente l'attenzione di tutti nella sala. Pure se il silenzio era già calato, Lord Applegate incominciò il suo discorso domandando: «Silenzio, per favore!», dopodiché bevve un sorso da un calice di vino, e continuò: «Io mi rifiuto di continuare ad ignorare il nostro debito come se nulla fosse. Il popolo del ghiaccio è un popolo onorevole. E la storia della famiglia Applegate, che qui tutti rappresentiamo, è interamente costellata da comportamenti onorevoli. Avventati, forse, di tanto in tanto. Lo dico: talvolta perfino stupidi. Ma audaci. E giusti. E la giustizia oggi m'impone di riconoscere nel Principe Daniel l'uomo che in tutti questi mesi è stato determinante per noi. La nostra guida. L'unico signore che ha combattuto per noi e che ci sentiamo di riconoscere», a questo punto il cuore saltò nella gola di Daniel. No: non di nuovo. Già una volta quel Lord aveva esagerato giurandogli fedeltà totale con una scena come quella. Forse agli uomini del nord piacevano quel genere di cose, ma per lui erano solo imbarazzanti. Non esistevano sceneggiate di quel genere sotto l'Incollatura. Il vecchio Lord delle nevi perenni sguainò la spada e, conficcandola di punta verso il suolo, s'inchinò e disse: «Io ti onoro, Daniel Lannister, guida e protettore delle terre gelate, unico e vero RE DEL NORD». A quelle parole, pure più esagerate, molto più esagerate dell'altra volta, anche Elthon e qualche altro fecero la stessa cosa, declamando le medesime parole “magiche”. Alla terza chiama, l'intero esercito salutò Daniel come suo sovrano.

Lui non sapeva cosa fare. Non era mai stato suo compito fare il re, non era stato formato per questo, come suo fratello Axelion, o loro padre re Lionel. Proprio gli mancavano tutta una serie di nozioni formali. Ora che doveva fare? Doveva dire qualche cosa? Era il re. Quindi immaginava di poter fare tutto; per prima cosa bevve – per l'ennesima volta – dalla sua coppa di vino, poi si alzò in piedi, un po' barcollando, e infine decise di cogliere l'occasione. Se così doveva andare, allora almeno intendeva trarne qualche vantaggio. C'era una cosa che lo tormentava da lunghissimo tempo, un'idea che gli era venuta e che fino ad ora si era limitato a pensare come una semplice proposta da fare prima a Sir Elthon e poi a suo padre. Ora invece forse poteva anche far pesare in parte questo suo nuovo ruolo, che non gli piaceva e che intendeva abbandonare quanto prima ma... magari solo dopo esser ridisceso, e stavolta armato, alla torre di Forte Terrore.

«Miei signori» il nuovo re incominciò, quindi, il proprio discorso «io vi sono grato, naturalmente, di questa fiducia immeritata. E vi giuro che fin quando sarò in forze, cercherò di dare il mio contributo acciocché questa magnifica terra versi nelle migliori delle condizioni. Però, fratelli miei, debbo qui affermare con solennità che mai saremo liberi finché il nord verrà soggiogato da uno e un unico figuro che da troppi anni estende le sue minacce entro ed oltre i nostri confini. Dicono che sia un mostro» a questo punto buona parte della sala cominciò a ululare ringhi di disapprovazione verso la persona di cui tutti avevano capito si stesse parlando «dicono che sia un demone. Fratelli: non lo è. È un uomo. Sangue scorre nelle sue vene. Un cuore batte nel suo petto. È solo un uomo. Triste, isolato e crudele. Va rimosso dal suo soglio. È troppo potente. Troppo ambizioso. E ha esaurito la pazienza del popolo delle nevi perenni»

«Che cosa suggerisci di fare» domandò il Lord, un po' a basa voce, «Mio re?».

E qui si veniva alla parte complicata della questione. Daniel sapeva che l'idea di eliminare Uryon definitivamente avrebbe stuzzicato gli uomini dell'estremo nord: era davvero il loro più acerrimo nemico da sempre, ed era necessario che il ferro fosse battuto da caldo, finché ancora scottava la ferita per l'orso di Amergoth di aver perduto Breccia sugli Astri, la capitale dei suoi alleati Willoughby. Il ragionamento filava tutto liscio, fin qui. Ma adesso al principe (ora re) Daniel toccava portare la situazione a suo vantaggio.

«Ebbene» incominciò «ancora oggi uno scontro sul campo diretto sarebbe impossibile con l'uomo che regna presso la terra che una volta era quella degli Stark. Io sono stato suo prigioniero: ho conosciuto lui e tutto quello che lo riguarda. Dispone di troppe risorse, anche da solo. Tuttavia, una volta sconfitti i Willoughby, anche noi abbiamo qualche carta in più»

«Pochi uomini, forse» rispose un Sir, perfino più anziano del Lord e di questi seduto poco più lontano, «e comunque senza nessuna garanzia che siano disposti a combattere per noi. Si consideravano dei Willoughby fino a ieri l'altro»

«Non pensavo agli uomini...»

«E a che cosa, mio signore?»

«Alle navi»

«Sono confuso» ammise Elthon «il mio re è troppo saggio per non sapere che Biancavilla non si può raggiungere via nave»

«Si può raggiungere Forte Terrore»

«Forte Terrore?» chiese Lord Applegate «Per farci cosa?»

«Circondare Uryon. E, con la forza di ben tre grandi armate a noi assoggettate, sconfiggerlo definitivamente. Inoltre, miei signori, io – come vi ho già detto – mi riterrò sempre grato e onorato di esser stato da voi scelto come vostro re. Ma un altro re giace imprigionato presso la torre dell'uomo scuoiato. Egli è mio nipote Napoleon, il legittimo re del Regno Unificato. Di tutti quelli che una volta chiamavamo i Sette Regni, tra i quali si annovera anche il nord del continente su cui da oggi io governo. Con lui al soglio di Roccia del Re ed io qui al di sopra dell'Incollatura, potremo forse finalmente instaurare un vero periodo di pace. Ma il re di Lannister va liberato dal giogo dei Bolton e Worchester»

«Ma mio signore» ora di nuovo Elthon «tuo nipote non è forse un bambino? Quanti anni avrà adesso, quattro o cinque?»

«Sì. E allora?»

«Il nostro re ha ragione» replicò il Lord di Alberocasa, il castello dove si trovavano, rivolgendosi a suo figlio, «Non serve certo essere adulti per esser piazzati su un soglio che ci serve. Basta che ci siano dei consiglieri sicuri e fidati. Ed il piano, Maestà, ammetto che sul lungo termine parrebbe davvero geniale. Tuttavia, Vostra Grazia, mi corre l'obbligo di farvi riflettere su un problema: Uryon al momento è ferito e andrebbe colpito subito. Ma neanche noi stiamo messi tanto bene. Pur se vittoriosi, siamo stanchi e sanguinanti. Obbligare tutti questi figlioli a una nuova marcia, a un lungo viaggio via nave e poi ancora alla compagnia della morte, per l'ennesima volta nelle loro tristi vite...»

«Non è forse quello del nord un popolo guerriero, mylord?» domandò Daniel un po' sprezzantemente, interrompendo il signore dell'albero di mele.

Costui replicò così: «Sì, Maestà»

«E non ha giurato al suo re, il popolo del nord, che avrebbe fatto di tutto per sdebitarsi della benemerita liberazione della piana ghiacciata? Sono io o no corso in vostro aiuto per scacciare i Willoughby dalla vostra casa, mylord?»

«Certo che l'avete fatto»

«Allora direi che il popolo del nord ora può limitarsi a farmi il favore di seguire il mio istinto e la mia decisione. E a salpare verso sud, non appena la marea ne dia opportunità. Questi non sono dei soldati stanchi, Lord Applegate. Sono dei fieri cavalieri che hanno appena vinto la battaglia della vita. Vanno motivati, incoraggiati, e spinti ancora una volta verso l'ultima e definitiva battaglia»

«Prima Forte Terrore» dicendo questo Lord Applegate chinò il capo in segno di riverenza verso re Daniel, il sovrano del nord, «poi Biancavilla, e poi saremo finalmente liberi. Così è dunque deciso, giusto?»

«Sì, lo è»

«Ti dispiace se comunicherò io, con i metodi che so essere a loro graditi, ai ragazzi che la guerra non è ancora finita?»

«Certo»

«Posso farlo non subito, ma entro le prossime ore?»

«Certo, mylord. Conosci i tuoi uomini meglio di me: ne hai tutto il diritto. E ce l'hanno anche loro». A questo punto, Lord Applegate invitò un'ultima volta la sala a porgere i propri onori al re del nord, dunque gli disse che potevano continuare coi loro bagordi. Li avrebbe informati del continuo della guerra l'indomani, a mente lucida e fresca, non mentre festeggiavano la vittoria appena avvenuta. Poco tempo dopo , re Daniel si ritirò, in compagnia di due belle fanciulle dai seni sodi gentilmente offertegli dalla casa.

Sulla strada verso gli appartamenti a lui designati, però, il principe Piromante si sentì chiamare alle spalle. Era Sir Elthon che richiamava la sua attenzione. «Vostra Altezza» fece il giovane cavaliere e, oramai, suo caro amico, «Ti posso parlare?»

«Certo, amico mio, dimmi pure»

«Ehm... Da solo, Altezza»

«Ah, va bene!». Daniel diede dunque una pacca ciascuno ai sederi delle due fanciulle, e le intimò così a proseguire senza di lui verso le sue camere. Quando le ragazze sparirono oltre il corridoio, il cavaliere degli Applegate tornò a parlare. Sembrava un po' preoccupato...

«Mi piace pensare che tra noi due ci sia un rapporto sincero, Maestà»

«Puoi anche chiamarmi Daniel, in privato»

«Sì, beh...ci proverò»

«Hai ragione. Anch'io penso a te come a un amico sincero, Elthon. Mi hai salvato la vita»

«Ma non l'ho salvata, non l'abbiamo ancora salvata alla tua ragazza ce si trova a Forte Terrore, vero?»

«Io... beh... che cosa c'entra questo adesso?»

«Sinceramente, Maestà... non riesco a non pensare che stai cercando di organizzare un assalto a un castello lontano non per il bene di quelli che ora sono i tuoi sudditi ma... per te stesso»

«Lo capisco. Hai ragione. Mi hai chiesto sincerità, e sarò sincero con te: certo che anch'io ci ho pensato. Ma quando ho pensato a come liberare Licyane, ho capito che fatalmente la cosa si abbracciava moltissimo con la causa del nord e della famiglia Applegate. Sinceramente: tu non credi che sia ora di finirla con questo Uryon Worchester? Una volta e per sempre?»

«Sì, cioè... non lo so, onestamente»

«Non lo sai?! Elthon, quell'uomo è la causa di tre quarti dei mali che ammorbano tutte le terre che sono al di sopra dell'Incollatura! Non puoi non essere d'accordo»

«Sono d'accordo, Daniel, ma... solo non sono sicuro che questo sia il momento giusto per continuare la guerra»

«Certo: mi rendo conto che questo è il nodo più delicato. Un quesito che non ha risposta: contrattaccare su Uryon quanto prima, a costo del morale e dell'energia degli abitanti del Nord... o farlo dopo, e rischiare che nel frattempo lui si organizzi e ci rimandi gli Applegate dentro casa prima che non ce ne accorgiamo? Immagino che, in quanto re, spetti a me il gravoso compito di fare una scelta. E ho scelto. E la mia scelta porterà anche alla liberazione di Licyane. Ma cosa credi? Che vi abbandonerò una volta presa Forte Terrore?»; Daniel avrebbe voluto, avrebbe spasimato con tutto il cuore di poter mollare la causa, prendere Licyane e finalmente potersene ridiscendere al sud, a casa sua. Ma ora non poteva più farlo. Non era una persona così schifosa. Era un Lannister: e i Lannister pagano sempre i loro debiti.

«No» rispose Sir Elthon «con tutto il cuore non lo credo, Maestà. Amico mio»

«Bene. Lieto di averti rasserenato. Ci aspettano giorni duri, mio Sir: non lo nego questo. Altri ragazzi moriranno. Altre donne piangeranno per loro. Altri bambini rimarranno orfani. Ma succederà comunque prima o poi, e sempre e per sempre, finché l'orso rimarrà tranquillo nella sua caverna. Uryon dev'essere sconfitto, Elthon. Sei un un uomo d'arme: te ne rendi conto meglio di me»

«Sì, è vero»

«Buonanotte. E buona fortuna per domani, quando comunicherete ai vostri che la guerra non è ancora finita...»

«Grazie, Maestà. Daniel. Che anche tu abbia una buona notte».

 

   
 
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