Eragon
sedeva
su di una branda nella stanza in cui era stato rinchiuso da quando
aveva fatto
ritorno nella capitale di Zàkhara. Era passato
più di un mese dagli avvenimenti
che avevano portato alla sua cattura.
Le
sue dita
andarono a sfiorare la sottile fascia metallica che gli cingeva ancora
una
volta il collo. Il dolore provocato dalla magia del collare era sempre
li a
ricordargli come fosse ancorato alla realtà nonostante
avesse completamente
perso interesse per il mondo che lo circondava.
La sua Saphira non c’era più: La carne, le ossa e
le scaglie che costituivano
il suo involucro mortale si sarebbero presto dissolte e così
anche il suo
èldunarì. Nessuna luce si era accesa nel petto
della sua compagna mentre inginocchiato
di fronte a lei aveva sentito la sua vita scivolare via, e con la morte
Eragon aveva
perso anche la voglia o il desiderio di lottare.
La
cosa
più straziante di tutte, però, era che trascorsi
i primi giorni in cui aveva
creduto di impazzire, il dolore per la sua perdita si era lentamente
attenuato.
Il vuoto lasciato dalla sua assenza, che all’inizio aveva
creduto insopportabile,
era diventato accettabile.
Al
di
fuori di quelle quattro mura la vita continuava ad andare avanti anche
se Saphira
non era più al suo fianco.
Nonostante il ricordo della sua morte era un’immagine
indelebile nella sua
mente, nel suo cuore era come se non se ne fosse mai andata, come se
una parte
di lei gli fosse ancora vicina e potesse ancora sentirlo.
Era forse questa la pazzia? Eragon
non lo sapeva, né gliene importava.
Ogni tanto gli tornava nella mente ciò che Saphira gli aveva
chiesto prima di
recidere il loro legame mentale: vivi per
Arya e per tuo figlio. Quando riaffioravano, quelle parole,
Eragon le cacciava
subito indietro. Era consapevole di non star nemmeno provando a
mantenere quella
promessa, i giorni trascorsi in isolamento lo avevano logorato mettendo
a dura
prova la sua tempra e la sua sanità mentale.
Non
arrendersi era sempre stato innato nel suo carattere, ma dalla morte di
Saphira
qualcosa dentro di lui si era come spezzato. Da tempo aveva anche
abbandonata
la speranza che qualcuno potesse venire a salvarlo, assopendo quel
sentimento e
relegandolo in un angolo della sua mente.
Con
sua grande
sorpresa, a impedirgli di arrendersi del tutto, era stata Isobel. I
suoi
frequenti tentativi di entrare nella sua mente lo avevano costretto a
tenere alte
le sue difese mentali ricordandogli che, nonostante tutto, ancora
teneva a
qualcosa. Anche se si era arreso a lottare per sé stesso non
significava che
avrebbe lasciato alla regina la libertà di appropriarsi
anche dei suoi ricordi.
Non avrebbe mai tradito i suoi amici e tutto quello per cui avevano
lottato e
sofferto. Non deliberatamente, almeno.
Fu
con
questa nuova consapevolezza nel cuore che Eragon affrontò
l’arrivo di Oliviana.
La
giovane
donna ebbe un lieve sussulto nell’osservare il notevole
cambiamento
nell’aspetto del cavaliere: i suoi occhi, un tempo di un
nocciola vivido, erano
diventati cupi, mentre una fitta barbetta ne incorniciava il suo viso
conferendogli
un‘aria stanca e affranta.
- La regina ritiene che il tuo isolamento debba terminare oggi
– gli disse
agganciando il collare alla cinghia che stringeva nelle mani e
invitandolo a seguirla.
*
*
Raggiunsero
una porta che dava su un grande cortile, poi, con una smorfia di
profondo disappunto,
Oliviana sganciò il guinzaglio e, girandosi
sull’uscio, rivolse a Eragon uno sguardo
di ammonimento.
–
Dovrai
proseguire da solo adesso – gli disse facendosi da parte.- la
regina ti aspetta
-
Eragon
alzò
istintivamente un braccio a schermare gli occhi mentre la vista venne
invasa da
una miriade di piccoli puntini bianchi e rossi; dopo tanti giorni
passati nella
penombra gli ci volle del tempo per riabituarsi alla luce diretta del
sole.
Mentre
avanzava e la vista tornava a schiarirsi udì alla sua destra
la voce distinta
di Isobel.
- Questo è Eragon da Alagaësia – disse
con voce affabile rivolta a qualcuno che
Eragon non riuscì ancora a vedere.
-
Eragon
ti presento Rebekha Coleman – continuò la donna.
Raddrizzando
le spalle Eragon si trovò di fronte a una fanciulla dai
lunghi capelli bruni e
dagli occhi grandi e penetranti che lo fissavano con
curiosità.
Coleman!
Nel
momento in cui udì quel
nome, non ebbe alcun dubbio che si trattava della sorella di Reafly.
Ma, prima
che potesse dire o fare qualcosa, la sua attenzione venne attirata da
un rumore
assordante proveniente dall’alto. Eragon alzò lo
sguardo, ed ecco con stupore,
vide planare vicino a loro un drago; le sue dimensioni superavano di
gran lunga
quelle di un albero, e le sue squame rilucevano di un intenso viola
cobalto.
Accortasi
del suo stupore sul volto di Rebekha
si allargò un sorriso.
-
Avvicinati pure, non temere. Lei è Kima, la
mia dragonessa – disse con tono che rasentava la spavalderia.
Per
un attimo Eragon credette di rivedere la sua
Saphira, ma fu solo un momento, il suo sguardo andò subito
alla regina che
riprese a parlare.
-
Da oggi
Rebekha e Kima saranno le tue allieve – lo informò
Isobel inviandogli al
contempo una leggera sferzata attraverso il collare che si
riverberò lungo la
spiana dorsale. Eragon
si massaggiò il collo con una smorfia - Che
cosa dovrei insegnargli? – chiese camuffando con orgoglio che
la voce
gracchiante. Anche Rebekha aveva reagito alla notizio con stupore
mostrando uno
sguardo basito.
-
Ad essere un drago e un cavaliere. Dovrai
completare il loro addestramento - continuò Isobel con voce
calma passando il
suo sguardo dall’uno all’atra - ho introdotto
Rebekha alle arti magiche. Ma ciò
che non posso insegnargli e che tu solo possiedi, è il
significato profondo del
legame tra un cavaliere ed il suo drago. -
-
Tu sei un cavaliere!? – esclamò Rebekha con
autentico
candore; la sua, più che una domanda, era una esclamazione
di stupore. D’istinto
la ragazza girò il polso in modo da mostrare il palmo
lucente. In tutta
risposta Eragon girò appena il suo e abbassò lo
sguardo.
Improvvisamente
si rese conto di quanto era stato sciocco da parte sua pensare di
potersi estraniare
così dalla realtà senza aspettarsi delle
conseguenze. Si era così concentrato
sul proprio dolore da avere perso di vista l’insieme e,
mentre nel suo cuore piangeva
Saphira, Isobel tesseva la sua trama.
Dall’altra
parte, Cavaliere e Drago si scambiarono brevi sguardi carichi di dubbi
e
domande. Se è un cavaliere,
dov’è il suo
drago? Le fece notare Kima attraverso il loro legame
mentale. Rebekha
realizzò solo ora che il giovane uomo era solo. Non lo so Kima, ma hai visto anche tu il suo
marchio. Kima annusò
l’aria in direzione del cavaliere. Rebekha la
sentì come gelarsi sul posto. C’è
molta sofferenza in lui. Disse con
tono di profondo cordoglio.
Rebekha
si
limitò ad annuire. Era la prima volta che la sentiva
mostrare rispetto nei
confronti di qualcuno. Kima era stata sempre molto parca nei giudizi,
non si
era mai pronunciata apertamente nemmeno nei confronti di Isobel. I suoi
occhi
indugiarono sull’aspetto di quel giovane uomo che non
corrispondeva affatto all’idea
che si era fatta di un cavaliere dei draghi. Sembrava si fosse appena
azzuffato
con una tigre e ne portava evidenti i segni. Cosa avrebbe potuto
insegnarli se
non riusciva nemmeno a badare sé stesso?
Il
cavaliere ci sta
guardando, rimanda a dopo i tuoi dubbi Beck.
La
rimproverò Kima. Rebekha
si morse un
labbro e si trovò ad arrossire quando andò a
incrociare lo sguardo di Eragon. Fu
allora che anche lei, nel breve attimo di un battito di ciglia, vide
qualcosa,
una scintilla nascosta dietro quell’aspetto trascurato.
Mentre
osservava la giovane dragonessa e la ragazza Eragon prese un profondo
respiro. -
Se dovrò allenarvi
vorrò prima
valutare le vostre capacità. – disse avanzando
verso di loro.
-
Ma certo
Cavaliere. È una richiesta più che legittima.
– intervenne Isobel dandogli il
consenso di agire.
Eragon
iniziò con il chiedere alla giovane una
serie di semplici incantesimi che Rebekha eseguì senza alcun
problema per poi
passare ad altri più complessi.
-
Ho anche
fatto in modo di trasportare me e Kima da un luogo ad un altro
– si affrettò a
rivelargli Rebekha, una volta rotto l’imbarazzo iniziale la
ragazza aveva preso
una maggiore confidenza. Eragon sgranò gli occhi con
sgomento, non era
possibile che fosse sopravvissuta a un tale incantesimo. Si costrinse a
calmare
i propri pensieri e propri sensi e incrociando le braccia dietro la
schiena le
fece cenno con la testa di proseguire – raccontami come hai
fatto -
Rebekha
sembrava
non aspettasse altro. E sorridendogli iniziò a descrivere
con dovizia di
particolari ciò che era accaduto quando l’uovo di
Kima si era schiuso per lei,
compreso il momento in cui la strana pietra datagli da Isobel si era
illuminata
fornendogli le energie necessarie per eseguire fino in fondo
l’incantesimo.
Lo
sguardo
divertito che la regina rivolse ad Eragon fece capire a cavaliere che
lo scopo
di quell’incontro era proprio arrivare a quel punto.
Eragon
deglutì
a vuoto mentre realizzava che era dai suoi papiri e non da Galbatorix
che avevano
appreso la combinazione di quelle parole. Ma la cosa più
sconvolgente era aver
scoperto che Isobel possedeva un èldunarì.
Lasciare
che un cavaliere così giovane come Rebekha maneggiasse quel
genere di energie era
semplicemente sbagliato; ricordava fin troppo bene gli ammonimenti di
Oromis a riguardo.
-
Ho detto qualcosa di
sbagliato? – chiese allora Rebekha interrompendo il filo dei
suoi pensieri. Eragon
scosse la testa le sorrise mesto.
-
No, Rebekha. Sei stato in
gamba, date le circostanze.
Ora
vediamo come te la cavi
con una spada.
Prima
di
iniziare, però – aggiunse -
smusserai entrambe le lame, non vorrei che ci
ferissimo per colpa di una distrazione – Eragon le
mostrò le parole da
pronunciare. Come era successo per i primi incantesimi, eseguire quelle
semplici parole non fu un problema per Rebekha che già si
vedeva vincitrice in
uno scontro fisico con il giovane uomo.
Nel
momento i cui le loro lame si incrociarono Rebekha capì
immediatamente di aver
sottovalutato le capacità del suo avversario. Sotto a
quell’aspetto malandato,
infatti, si nascondeva una corporatura estremamente agile d forte.
La
consapevolezza di essergli inferiore non le impedì lo stesso
di tentare di
vincere.
Da
parte sua Eragon non si volle mai impegnare
fino in fondo. Questo indispettì ancora di più
Rebekha, che si tuffò in una
serie d’affondi particolarmente feroci, che fecero
indietreggiare il suo
avversario solo apparentemente in difficoltà. E proprio
quando la giovane credette
di portare la battuta finale, Eragon fece scivolare la lama con un
rapido movimento
del polso disarmandola con precisione ed eleganza.
Tremante
di collera, Rebekha andò a riprendere
la sua lama andata a finire a qualche iarda di distanza rimettendosi in
guardia
disse con rabbia:
-
Riprendiamo! -
Fu
allora che Eragon prese a darli una serie di
consigli su come muoversi e colpire. Rebekha eseguì le
indicazioni del
cavaliere, e i due iniziarono a volteggiare in mezzo al campo. Dopo una
buona
mezz’ora d’affondi e parate dall’una e
l’altra parte, Rebekha si bloccò
ansimante. Fu solo allora che Eragon le concesse il riposo.
-
Ti sei battuta bene, ma hai ancora molto da
imparare. Ora è il turno di Kima. – In risposta la
giovane dragonessa inarcò il
collo, ed emise un basso verso gutturale.
Eragon
osservò attentamente la dragonessa,
esaminandole la corporatura robusta e muscolosa. Rebekha si
stupì nel percepire
imbarazzo e vergogna da parte della sua compagna.
-
Quanto tempo ha? – chiese Eragon distrattamente.
-
Ha poco più di un mese - rispose pronta Rebekha.
-
Cosa?... - Eragon allora si girò di scatto
verso Isobel. Doveva capirlo fin da quando era planata su di loro. Kima
era
stata fatta crescere più in fretta del normale sviluppo di
un drago con la stessa
magia che in passato aveva alimentato i corpi di Skruikan e Castigo.
Eragon stava
per protestare ma una sferzata proveniente dal collare gli
ricordò quale fosse
il suo posto.
Costretto
a mettere da parte i suoi dubbi si rivolse direttamente a Rebekha per
chiedere
a Kima di eseguire une serie d’evoluzioni. La magia poteva
aver forgiato il suo
corpo con una muscolatura forte e potente, ma questa non valeva molto
senza l’agilità
e la maestria nel volo. Eragon avrebbe valutato quelle
qualità.
Fin
dai
primi volteggi Kima dimostrò di possedere
un’innata abilità al volo proprio, proprio
come l’aveva la madre prima di lei. Eragon le chiese di
eseguire una serie di
manovre, alcune anche molo difficile, Kima le superò tutte
con uno
straordinario istinto che sopperì alle numerose carenze
tecniche.
Quando
Eragon si ritenne soddisfatto, chiese alla
ragazza di richiamarla.
Kima
atterò di nuovo in mezzo a loro. Le
acrobazie avevano messo a dura prova la sua resistenza, e la dragonessa
si
ritrovò ad ansimare, per lo sforzo.
Sei
stata
molto brava! Gli
sussurrò con
dolcezza Rebekha nella mente.
Isobel
si
avvicinò a i due cavalieri, lo sguardo fisso solo su Eragon.
-
Ho bisogno di parlare con il cavaliere da sola
- disse la regina senza distogliere i suoi occhi dal giovane uomo
– tu puoi
ritirarti, Rebekha -
La
ragazza annuì, sollevata di lasciare il campo
d’addestramento. Aveva visto tante volte quello sguardo
severo dipinto sul
volto della sovrana e riconosceva quando la donna era determinata ad
ottenere
qualcosa. In quei casi Isobel sapeva essere inesorabile e spietata come
nessun’altra. Rebekha non avrebbe voluto essere al posto del
cavaliere. Anche
Kima percepite le sensazioni del suo cavaliere puntò i suoi
grandi occhi cobalto
su Eragon e con un sonoro sbuffo prese il volo.
–
Impressionante
come hai saputo tirare fuori le abilità dalla ragazza e dal
suo drago - Parlò
Isobel una volta rimasti soli - le mie
aspettative su di te sono state ben riposte. –
-
Aspettative
per cosa? – Chiese Eragon corrugando la fronte. Isobel rise
in modo
sommesso.
-
Tu non
puoi saperlo. La tregua che garantiva la pace tra noi e gli elfi oscuri
è stara
rotta mesi fa. Da allora, con l’aiuto di tuo fratello, re
Arold sta armando il
suo popolo. Perciò se voglio vincere questa guerra,
avrò bisogno di tutti i
miei alleati. Per questo sei qui. –
-
Non sarò mai tuo alleato –
rispose Eragon, ma si pentì subito di quella riposta quando
una nuova sferzata
del collare lo colpì.
-
Tu sarai quello che io voglio che
tu sia – sibilò a denti
stretti Isobel. Eragon
digrignò i denti
mentre il dolore si propagava per tutte le ossa.
-
Galbatorix prima di te ha
tentato la tua stessa strada. Mettere due fratelli l’uno
contro l’altra, ma ha
fallito -
Isobel
alzò le sopracciglia
riservandogli uno sguardo sdegnato – in ogni caso tu
addestrerai Rebekha, per me. Lo
farai perché te l’ho letto
negli occhi, perché temi quello che potrebbe accadere se
Rebekha usasse le
magie che le ho insegnato,
E
perché vuoi scoprire come
sono entrata in possesso di un èldunarì
– Eragon serrò le mascelle. Isobel aveva centrato
il colpo. Rebekha
non aveva né la preparazione né la forza
sufficiente per poter controllare quegli incantesimi senza recare danno
a sé stessa
o agli altri. Il successo dell’ambasciata era stata una
combinazione fortunata di
ingenuità e audacia e non si sarebbe ripetuto ancora.
Insegnargli la disciplina
e il controllo era il solo modo per salvarla.
Con
un
gesto vittorioso Isobel chiamò nuovamente a sé
Oliviana.
-
Oliviana
ti mostrerà i tuoi nuovi alloggi qui nella caserma. Sarai
libero di muoverti al
suo interno, ma ti avverto, se proverai a scappare i Ra-zac ti
riprenderanno e
allora ti verrà negata qualsiasi libertà.
D’altronde non credo potrai andare
tanto lontano senza la tua dragonessa -
Le
spalle di Eragon fletterono in un brivido mentre
sbarrava i suoi occhi in uno sguardo di puro dolore.
-
Lascia Saphira fuori dai tuoi giochi Isobel! -
sibilò a denti stretti tremando di rabbia.
La
regina
non disse nulla mentre un violento spasmo mise Eragon in ginocchio,
lasciandolo
ansimante. Questa volta il dolore era stato tanto forte da mozzargli il
fiato. Incurante
di tutto Isobel oltrepassò il cavaliere per poi bloccarsi a
metà strada
-
Devi rivolgerti a me con rispetto. Non provare
a sfidarmi nuovamente cavaliere -
*
* *
Era
sera
al palazzo di Antàra quando Murtagh rientrò nelle
sue stanze. Era stata una
giornata sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Le partenze di
Eragon e
Saphira prima e di Xavier e Daco dopo, avevano messo in moto la grande
macchina
difensiva degli elfi e di cui Murtagh era diventato una parte
integrante. Il
compito di allenare Reafly e l’esercito di maghi continuava a
ritmo costante e
lo impegnava quotidianamente. Ogni tanto il re lo convocava per
affidargli
alcuni incarichi o anche solo per avere un parere. Arold aveva imparato
presto
ad apprezzare il suo modo di ragionare fuori dagli schemi e li teneva
spesso in
gran considerazione nonostante andassero a contrastavano con quelli del
Consiglio.
“Quale modo migliore per tenere la mente dei suoi membri
sempre all’erta…” gli
aveva confessato un giorno il re dopo che Murtagh gli aveva chiesto il
motivo del
suo interesse alle opinioni del cavaliere.
Quella
sera Arold lo aveva nuovamente convocato, questa volta non per un mero
consiglio ma per un incarico di una certa importanza. Quello che aveva
ora in mano,
infatti, erano dei rapporti estremamente confidenziali. Le informazioni
che
contenevano venivano direttamente dal palazzo di Abalon.
Si
trattava delle prime informazioni che ricevevano dalle sue spie da
mesi.
Dopo
la
notizia dell’incidente avvenuto nella città di
Gratignàc, per cui era stato
necessari l’intervento dei Ra’zac, la capitale era
diventata una fortezza
inespugnabile per le spie del re. Questo rendeva quelle informazioni
altamente
preziose ma allo stesso tempo poco decifrabili ad un occhio poco
avvezzo a
maneggiare questo genere di documenti.
Murtagh
sperava nell’aiuto di Jill, non lo avrebbe mai ammesso a
sé stesso, ma una parte
di lui temeva che contenessero notizie su Eragon e Saphira.
Soppesò per un
attimo il plico quindi lo posò sul tavolo; quei documenti
sarebbero stati li
anche l’indomani. Se vi fossero state brutte notizie le
avrebbe affrontate
meglio a mente fresca e riposata. Inoltre, pensò a come le
occasioni di stare
solo con Jill si fossero ridotte così tanto da potersi
contare sulla punta
delle dita.
Si
sfilò
gli stivali e si spogliò degli abiti per stendersi accanto
alla giovane donna.
Jill
era
stesa di spalle, nel corso delle ultime settimane il caschetto nero dei
suoi
capelli era cresciuto fin sotto alle scapole, Murtagh le
scansò alcune ciocche
e le accarezzò la schiena nuda, con dolcezza. Lei si
girò piano, gli sorrise e
in quel momento Murtagh sentì tutta la tensione della
giornata scivolare via
come acqua fresca di un torrente.
-
Sei tu,
finalmente. – gli sussurrò lei, ma mentre gli
accarezzava una guancia la giovane
si accigliò.
-
Conosco
troppo bene quella ruga in mezzi alla fronte - continuò lei
– Che cosa ti
preoccupa? – Murtagh sospirò rumorosamente, Jill
lo conosceva troppo bene.
-
Proprio
stasera ci sono arrivate notizie da Abalon. –
Jill
scattò
in su con il busto puntellandosi con il gomito. – Dici sul
serio? È quello che aspettavamo
da mesi! Si tratta
di quei fogli che hai
posato sul tavolo? – gli chiese facendo cenno con gli occhi
alle sue spalle. Murtagh
le annuì pensando a come difficile nasconderle qualcosa.
-
Vuoi che
gli diamo un’occhiata adesso? - Jill stava per alzarsi ma
Murtagh la bloccò trattenendola
da un polso.
-
No Jill.
Stasera non voglio palare né di Isobel né di
Arold - Jill lo guardò negli occhi
e comprese ciò che albergava nel cuore del cavaliere. Lo
baciò sulle labbra con
tenerezza. – d’accordo per oggi può
bastare. Vieni qui – Jill lo prese e girandosi
nel letto lo trascinò con lei tra le lenzuola. La ragazza
emise una risata
limpida e cristallina quando sentì le mani e le gambe di lui
che la cingevano
con ardore e desiderio.
Quella
sera
si amarono fino a notte fonda.
-.
Ti amo
Jill – gli sussurrò lui sfiorandole un orecchio
con le labbra, quindi la strinse
a sé, con forza, prima di ricadere indietro, la testa contro
il cuscino. Jill
le si accostò accanto posando la mano sul largo petto
rimanendo in silenzio. Il
giovane chiuse gli occhi con un sorriso stampato sulle labbra cadde in
un
profondo sonno.
**
Quando
Murtagh
si svegliò si girò nel letto e allungando un
braccio verso il posto accanto a
lui, vuoto. Le lenzuola erano fredde al tatto. Jill doveva essersi
alzata da
parecchio. Sgomento si girò dall’altra parte e
infine la intravide in piedi
intenta in qualcosa.
– Da quanto tempo
sei in piedi? – le chiese
lui con la voce ancora impastata dal sonno. Fuori dalla finestra stava
albeggiando.
-
Da un
po' – rispose lei - Non ho potuto farne a meno, sto
esaminando i documenti – Murtagh
sopirò e si alzò dal letto per avvicinarsi a Jill
e cingerle i fianchi da dietro.
-
D’accordo,
hai vinto tu. Che cosa dicono? – Iniziò lui
stringendolo a sé.
-
Non ci
sono notizie su avvistamenti di draghi. – gli disse lei con
un sorriso mesto - So
che è questo che temevi di sapere ieri sere –
Murtagh
la
guardò sollevato. – Evidentemente Par ha mantenuto
la sua parola. – sussurrò lui
di rimando.
-
A quanto
pare sì, e con un po' di fortuna Eragon e Saphira potrebbero
aver già raggiunto
le terre selvagge – entrambi lasciarono che quella
possibilità alleggiasse un altro
po’ nell’aria poi Jill riprese un foglio.
-
Qui dice
che la regina ha assoldato un maestro per allenare la sorella di
Reafly, Rebekha.
– continuò lei porgendogli un paio di fogli tra i
tanti sparsi. Murtagh alzò un
sopracciglio e iniziò a leggerli sommariamente. –
Una mossa prevedibile. Non ci
vedo nulla di strano – ammise lui. In tutta risposta Jill
scosse la testa e
corrugò la fronte.
-
Leggili
con più attenzione – Murtagh fece quello che le
aveva chiesto Jill rimanendo in
silenzio. - Non noti che le informazioni sono frammentate e spesso
discordanti?
– insistette lei. - Alcune affermano che sia un uomo molto
giovane, dalle fattezze
delicate e dai modi gentili, altre che possiede capacità di
combattimento di un
veterano, un mastro di spade che sta attirando l’attenzione
di molti con movenze
mai viste Tutte, in ogni caso, concordano nel dire che sia come
comparso dal
nulla circa due mesi fa –
-
Nessuno
compare dal nulla e nel periodo in cui sono stato ad Abalon non ho
avuto sentore
di un ospite di tale calibro – commentò Murtagh
meditabondi - Qualcuna di queste
informazioni potrebbe essere falsa? – chiese infine cercando
di seguire il
ragionamento di Jill.
-
E se
fossero tutte vere? – incalzò lei lasciando
Murtagh spiazzato. - Che cosa vuoi
dire? -
-
Non lo
so, ma non c’è motivo di mentire in questi
rapporti. Per cui la mia domanda è chi
mai potrebbe essere questo individuo con tutte queste
qualità ma soprattutto è
qualcuno che dovremmo temere? -
-
Nonostante
venga nominato spesso non c’è molto su di lui.
Temo che per rispondere alle tue
domande dovremo avere informazioni più dettagliate. Nel
frattempo, dobbiamo
accontentarci di quello che siamo riusciti a sapere – ammise
Murtagh
accarezzandole lentamente la testa. Jill annuì poi riprese
altri fogli.
-
Non è
finita qui. Per ultimo, ma non per questo meno importante, Isobel sta
richiamando
attorno a sé i suoi alleati. Ci sono state reazioni diverse
da parte dei
diversi regni. Il periodo di pace deve aver cambiato alcuni accordi. Ma
Isobel sembra
aver messo a tacere ogni protesta. –
-
Le sue nuove
armi – finì di dire Murtagh con un sospiro.
-
Esatto. Qui
parla di diverse dimostrazioni fatte a beneficio dei vecchi alleati.
Una ostentazione
della sua forza – disse guardando il volto di Murtagh farsi
pensieroso.
-
Trascriverò
tutti i nomi presenti in una lista che potrai consegnare ad Arold
– aggiunse
alla fine. Murtagh le sorrise senza gioia
-
Il re e
il consiglio lo apprezzeranno molto. – rispose solo. Jill
guardò il compagno intuendo
che in quel momento la sua testa era da qualche altra parte.
-
Continui
a pensare che se non fosse stato per le richieste del consiglio Eragon
non
sarebbe partito? – chiese lei nel guardare il volto scuro del
cavaliere.
-
Non è
solo questo il punto Jill. Semplicemente mi manca. Mi ero
così abituato ad averlo
accanto a me ed ora avrei solo bisogno della sua presenza. Nella mia
mente avremo
affrontato insieme Isobel, e non c’era dubbio che
l’avremmo sconfitta. Ma
adesso tutto questo sembra sfumare via. E non posso fargliele una colpa
perché è
lui che sta correndo il rischio maggiore –
-
È tuo
fratello, è normale che tu sia preoccupato per lui e che ti
manchi – Murtagh le
rivolse uno sguardo riconoscente. La strinse a sé le
baciò teneramente la
testa.
-
Sono
anche il maggiore tra di noi, e per quanto Eragon protesti, ho delle
responsabilità nei suoi confronti. – Fu il turno
di Jill a protestare
-
Sei
troppo severo con te stesso, siete entrambi adulti non puoi pretendere
di sopportare
un tale peso sulle tue spalle – Murtagh rimase alcuni minuti
in silenzio prima
di parlare.
-
Pensi anche
tu, come Castigo che io stia esagerando? – gli chiese poco
dopo. Jill gli
rivolse uno sguardo di profondo affetto prima di rispondere.
-
Credo
che tra te e Saphira Eragon abbia due genitori iperprotettivi.
– disse lei sorprendendo
Murtagh che sorrise nel pensare a come la dragonessa si prendeva cura
del
fratello. Anche lui credeva che Saphira avesse atteggiamenti molto
materni, ma
immaginare lui come un padre era tutt’altra cosa. –
ho afferrato il concetto
Jill -
-
Non sto
dicendo che sbagli – continuò lei - ma tuo
fratello sa badare a sé stesso meglio
di chiunque altro. -
-
lo so
anche se a volte ho bisogno che qualcuno me lo ricordi sai? -
-
sono qui
per questo. Ora Che ne dici andiamo a vedere cosa
c’è nelle cucine. Ho fame. Poi
andrò da Arya, anche lei vorrà sapere che cosa
abbiamo scoperto. –
*
* *