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Autore: lo_strano_libraio    30/01/2023    0 recensioni
Raccolta di One Shot con protagonista Max e amici. La serie è ambientata nella timeline della mia precedente fanfiction, Max Misery, quindi a volte compariranno personaggi anche inventati da me provenienti da quella. Quindi magari, dategli un occhiata ok? 😉
Ho deciso di farla per approfondire eventi minori che avrei voluto aggiungere alla fanfiction, ma l’avrebbero resa troppo lunga e poco coerente. Essendo una raccolta di one shot, l’aggiorneró liberamente quando ne avrò voglia, quindi non sarà una serie regolarissima e costante.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucas Sinclair, Maxine Mayfield
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Spiraglio di vita o anonima apatia?

 

Mercoledì 12 ottobre 1985.

Max era seduta al suo banco, capo chino sul libro di storia ripassando per il primo test dell’anno, che sarebbe stato il venerdì successivo. L’insegnante di matematica era assente, quindi Mr. Ronald stava tenendo d’occhio la classe dalla cattedra, in questa ora buca. I ragazzi e le ragazze si riunivano in gruppetti, a chiacchierare o piú raramente a fare compiti insieme. Solo Max, come accadeva spesso recentemente, si isolava, chiudendosi nella sua piccola bolla triste e ignorando tutti gli altri. Il manuale di “Storia del Mondo” era aperto sulle pagine riguardanti la repubblica romana e le guerre puniche. Storia era una delle sue materie preferite, ma trovava veramente stupido che nelle scuole americane si insegnasse per la maggior parte la storia dei soli Stati Uniti, ma per imparare quella del resto del mondo ci si dovesse iscrivere a una classe separata e facoltativa. 

Era appoggiata allo schienale, scivolando con le gambe stese sotto il banco, quasi sdraiata tra esso e la sedia. Non poteva ascoltare la musica in quel momento perché le batterie del Walkman erano scariche e non ne aveva di scorta. Dover sentire gli altri parlare le metteva il nervoso addosso: i suoi compagni di classe erano così stupidi, non capivano niente della sua sofferenza e anche se nessuno la trattava male, anzi si mostravano premurosi nei suoi confronti, non ce la faceva comunque a sopportarli. Si mostrava gentile con gli insegnanti, ma se si trattava dei suoi coetanei, a volte faceva proprio fatica a non essere sgarbata. Si era fatta dei nuovi amici, e neanche pochi tutto sommato, perché se era in classi con quelli del gruppo (Lucas, Dustin e Mike), se loro facevano nuove amicizie, era portata a farne anche lei con le stesse persone: non era una sociopatica. Ma quando si trovava  “sola” in classi con solo ragazzi che non conosceva, le veniva spontaneo isolarsi. “Ma perché non possono essere interessati come me alla storia del resto del mondo? Potevamo seguirla insieme questa classe, sarebbe stato senza dubbio più divertente di falegnameria! Uff, che stupidi che sono!”

Marc, un ragazzo non troppo alto, dalle spalle larghe, i capelli biondi e un sorrisone sempre stampato in volto, si avvicinò a lei.

“Ehi, Maxine giusto?”

“Ah ah”

“Cosa stai leggendo? Oh vedo che ripassi per il test, non ti facevo così studiosa.”

“Ah ah”

“Fai anche diritto e costituzione?”

“Ah ah”.

Se non si fosse capito, non lo stava ascoltando proprio, e avrebbe risposto a qualsiasi domanda allo stesso modo. Anche lui se ne rese conto, e passò al punto.

“Ci chiedevamo se ti andasse di venire con noi in fondo alla classe a fare quattro chiacchiere? Ti abbiamo vista qui tutta sola.”

“Grazie, ma non contarci.”

“Ne sei sicura? Possiamo anche ripassare insieme.” Lei tirò un lungo e rumoroso sospiro.

“Ughh…ci arrivi? Voglio starmene solaaaa…” Disse cantilenando dopo aver alzato gli occhi al soffitto. Marc posò su di lei un occhiata triste, non capendo cosa avesse detto di male. 

“Ok, scusami…” alzò le mani, facendo dietro front e tornando al retro della classe.

“Bene…”

Ma la “pace” di Max non sarebbe durata a lungo, perché uno spettatore curioso aveva supervisionato tutta la vicenda con occhio severo e inquisitorio: Mr. Ronald.

Il prof di inglese arricciò i baffi castani per poi alzarsi dalla cattedra e piazzarsi di fronte a Max piazzando le manine sul banco, per attirare la sua attenzione. La ragazzina alzò lo sguardo su di lui.

“Cosa c’è adesso?” Pensò.

“Maxine! Io e te dobbiamo fare un discorsetto. Vieni con me un attimo fuori.”

“Va bene…”. Posò il libro è seguí l’uomo appena fuori dalla classe. L’insegnante chiuse la porta affinché nessuno li sentisse da dentro.

“Ho fatto qualcosa di male?”

“Si signorina: é quello il modo di rivolgersi ai tuoi compagni di classe?” Era un rimprovero, ma nella sua giá calorosa e pacata voce si leggeva molta tenera gentilezza. Ronald era uno dei migliori insegnanti della scuola superiore di Hawkins, perché da trent’anni si premurava anche di far crescere i suoi alunni come persone, sia dentro che fuori delle nozioni che insegnava. “La Lettera Scarlatta” diveniva quindi un opportunità per capire l’importanza di non giudicare il prossimo, “Via Col Vento” una spinta a considerare il modo in cui gestiscono il tempo nella loro vita e “1984” una lezione sui pericoli della deriva politica, da considerare quando avrebbero ottenuto il diritto al voto. La psicologa della scuola l’aveva informato dai primi giorni di scuola, riguardo la complicata situazione personale e familiare di Maxine, che si portava dietro dall’estate dopo l’incendio dello Starcourt Mall e dell’abbandono del patrigno. Sua quindi era la missione di rendere il più confortevole possibile a Maxine l’inizio della sua nuova esperienza scolastica. L’inizio delle scuole superiori era già un cambiamento a volte difficile, a volte bello, per ogni adolescente; ma nelle condizioni di Max, si presentava come una sfida ancora più ardua. 

“É così grave se voglio stare un po’ per conto mio, e ripassare per il primo test dell’anno?” L’insegnante notò che rispondendo, la ragazzina si strofinava il braccio con la mano: uno dei sintomi della sua ansia. 

“No, ma c’è modo e modo di rispondere. Marc voleva essere solo gentile con te, non si merita di essere trattato così.”

“Ok, credo in effetti di essere stata un po’ scortese. Mi scuserò con lui.” I suoi occhi ora miravano al basso, sinonimo della vergogna che provava. La sua non era una frase fatta, era veramente dispiaciuta di aver trattato male Marc, a cui non voleva male. Non odiava nessuno, ma la sua depressione la spingeva incessantemente ad allontanare gli altri da lei, anche se sotto sotto, non avrebbe voluto. 

“Ti ricordi di cosa abbiamo parlato l’ultima volta? Mi promisi che ti saresti impegnata a fare amicizia coi tuoi compagni di classe. Marc ti ha anche proposto di ripassare insieme a loro, avresti potuto unire l’utile al dilettevole.” 

“Si, in effetti…uhhh. È tutto così difficile.” L’uomo le mise una mano sulla spalla rincuorandola. I loro occhi si incontrarono.

“Un passo alla volta: il meglio che puoi fare ora basta e avanza, ma devi incominciare!” A lei scappò un sorriso.

“Rientriamo per riprovare?”

“Va bene prof.”

Di nuovo dentro, Max si avvicinò al gruppetto raccolto intorno al banco in fondo. Si teneva ancora il braccio dall’ansia, ma l’incoraggiamento di Mr. Ronald l’aveva calmata abbastanza da spronarla ad aprirsi un po’. I ragazzi si voltarono verso di lei. 

“Ehi, ci ho pensato su. È ancora valido l’invito? Giuro che Mr. Ronald non mi ha costretta, ho deciso io e vorrei stare con voi veramente.”

“Ma certo.” Rispose Marc, ma anche gli altri sembravano contenti. Sul volto di lei comparve un timido sorriso.

“È vero che ti piace ascoltare Kate Bush?” Chiese una ragazza.

“Si, è la mia cantante preferita.”

“Figo, é di Madonna che ne pensi?”

“Parli della cantante o della madre di cristo?”

“Della cantante!”

“Ahah scusa, ma certa gente qui è fissata con la religione e pensa che la musica pop sia opera del demonio.”

“Ah si, ti capisco. Judy del terzo anno cerca costantemente di farmi smettere di ascoltare il metal.”

“Ti piace il metal?! Che gruppi ascolti?” Max si stava finalmente sciogliendo e il gruppetto iniziò una discussione sui loro gusti musicali, per poi ripassare insieme storia.

Mr, Ronald intanto, sorrideva dalla cattedra, gigioneggiando orgoglioso di Maxine.

Quella sera però, ritornata a casa quando sua mamma non era ancora tornata, si chiuse in camera e sdraiatosi sul letto, cominciò a piangere mentre ascoltava musica nel walkman per non sentire il proprio pianto. 

“Qual’é…qual’é il mio stramaledetto problema?!”

Passata una mezz’oretta buona di pianto incontrollato, Max sentì la porta di casa aprirsi.

“Maxine! Sono tornata. Esci un po’ da camera, sei sempre rintanata li dentro!”

Posò il Walkman sul comodino e si asciugò le lacrime, non volendo apparire così di fronte a sua madre, che di problemi ne aveva già fin sopra il collo. Scese le scale andandole incontro, vedendola stravaccata sul divano, davanti la tv accesa su un gioco a premi, birra onnipresente in mano. Sotto i suoi occhi ampie occhiaie nere da procione, frutto della stanchezza e tristezza che si portava dietro impedendole di dormire bene, accomunandola alla figlia, anche se parlavano davvero poco di questo argomento. 

“Coraggio, siediti un po’ con me. C’è chi vuol essere milionario, tu indovini sempre le domande.” Le fece segno di sedersi, battendo la mano sul lato del divano affianco a lei. Max si sedette controvoglia, ma evitando di sbuffare per non darlo a vedere. 

“Come è andata a scuola oggi?”

“Come al solito…”

“Ma come siamo mogie: preferivi le medie?”

“No, non è quello il punto: é tutto nuovo e mi sento a disagio…”

La mano libera dalla birra di sua mamma, la strinse sulla spalla.

“O piccina, hai appena iniziato, è normale. Devi solo acclimatarti, trovare qualcosa che ti metta a tuo agio.”

“Ecco, io preferirei che tu ti metta meno a tuo agio con la birra.” Si voltò a guardarla, ma rimase sorpresa nel scoprirla già appisolata e russante rumorosamente.

Ma non sapeva se ridere o piangere della situazione, così si limitò a togliere di mano alla madre la lattina, posarla sul tavolino, spegnere la tv, e dopo averla riparata dal freddo mettendole addosso una coperta, tornò al letto. Ma stavolta, sotto le coperte, per far cadere i suoi pensieri nel dolce oblio del sonno.

“Sveglia! Il bus passa tra mezz’ora!”

Mamma le stava urlando in faccia, strattonando la dalle spalle. La luce del giorno le impediva di aprire bene gli occhi, accecandola invadente la camera dalla finestra.

“Accidenti, che modi!” La spinse via maldestramente, scocciata nera per essere stata svegliata in così mal modo. 

“Oh scusami “signorina tu mi stufi”, se ho cercato di non farti arrivare tardi a scuola!” Sbraitava ironica la madre.

“Si si, ho capito, va bene! Mi fai alzare dal letto?!” Susan uscì dalla camera della figlia sbuffando.

“Uff…ma perché dobbiamo sempre litigare?” Schiantò la testa sul cuscino un ultima volta, fece un lungo respiro e si alzò dal letto controvoglia. In fretta e furia fece colazione con una tazza di latte, si fiondò nel bagno per lavarsi velocemente, e vestitasi, si trovava ora davanti alla fermata del bus 1 minuto prima del suo arrivo. Più stanca di quando era andata a dormire, si reggeva con una mano al palo. Quando il veicolo si fermò e le porte automatiche di aprirono, svelando il volto cupo di Max all’autista, questi la salutò esordendo: 

“Accidenti Max, che brutta cera! Abbiamo fatto le ore piccole stanotte?”

“Guarda, non farmi dire…” 

Muovendosi frettolosamente per il bus, ricambiava distratta chi le rivolgeva un saluto, non vedendo l’ora di sedersi. Si sedette in su un posto in fondo, sonnecchiando appoggiata al finestrino. Per fortuna, quel giorno non c’era Dustin, potendo così evitare di dover chiacchierare per gentilezza con l’amico, e recuperare un po’ di sonno nel tragitto. Tanto, si sarebbe capito quando sarebbero arrivati a scuola, visto il solito gran schiamazzo dei ragazzi che scendono tutto insieme. Mentre faceva riposare gli occhi, gli tornarono in mente i brevi viaggi in auto casa-scuola, scuola-arcade con Billy; non riuscendo a darsi pace neanche in questo pisolino.

Questa volta però, la stanchezza ebbe il sopravvento, e fu risvegliata così per la seconda volta in una mattinata da un adulto, questa volta l’autista, che aveva però modi decisamente più gentili e pacati di sua madre.

“Ehi, sveglia dormigliona. Eheh devi essere davvero stanca.”

Max soprassalí dallo spavento.

“Oddio, mi scusi. Che vergogna!”

“No no, tranquilla capita a tutti. Ma adesso faresti meglio a scendere, a meno che tu non voglia visitare il magazzino dei bus.”

La rossa ringraziò velocemente l’uomo è scese, accodandosi alla fila di ragazzi come se non fosse successo nulla. Non le era mai capitata una cosa simile, e si ripromise di fare attenzione, per evitare di dover essere svegliata anche da un insegnante sul suo banco. Se fosse successo, sarebbe stato ancora più umiliante. Mentre le sue prime volte era accaduto con una sola persona presente, su cui avrebbe potuto confidare nella loro discrezione. In quel caso si sarebbe ritrovata come spettatori tutti i compagni di classe. 

Sbuffò un ultima volta, tenendosi lo zaino sulle spalle e preparandosi per un altra, estenuante, giornata di scuola.

   
 
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