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Autore: moira78    31/01/2023    3 recensioni
Nel manga, Albert salva Candy da un leone. Ed è proprio così che comincia la storia, con il racconto di quella giornata incredibile. Seguono tre storie alternative sullo stesso tema. Molto alternative... E se le cose fossero andate diversamente?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non c'è niente di così piacevole come tornare a casa.
(Margaret Elizabeth Sangster)


 
 
 
Uccellini che cinguettano e infermiere che non stringono bende

Candy lisciò con la mano le bende che dovevano essere applicate sulla ferita di Albert la mattina dopo, srotolandone una piccola striscia per accertarsi che fossero della larghezza giusta. Seduta su uno sgabello in un angolo dello studio del dottor Martin, ebbe una specie di dejà-vù: ma stavolta non ci sarebbe stato un rientro congiunto a casa, né un maglione rosso e caldo, pieno del profumo di lui, che l'avrebbe avvolta.

Perché Albert, testardo, aveva preferito tornare a casa prima di lei per cominciare a preparare la cena come se fosse un giorno normale e non quello in cui si era quasi fatto uccidere da un leone.

Serrando i denti e gli occhi che, finite le lacrime, sembravano bruciare per la rabbia al pari dell'intero corpo, Candy ripose con gesti secchi le bende e il disinfettante nell'armadietto, richiudendolo con tale impeto che il vetro tremò.

"Se domani lo medichi con questa delicatezza rischi di riaprirgli le ferite. E non ti conviene portare un po' di quelle cose a casa? Sai, nel caso servissero stanotte...".

La voce e le parole del dottor Martin le arrivarono alle spalle assumendo le sembianze di piccole spine che la punzecchiassero implacabili. Non era un tono quasi ironico quello che stava usando il buon medico? E non era il medesimo che, dopotutto, usava quasi sempre? Allora perché si stava voltando con tanta veemenza pronta a gridare?

"Se lo merita un po' di dolore per la grande sciocchezza che ha fatto!".

Il dottore inarcò un sopracciglio, piegando i gomiti e appoggiando le mani grassocce sui fianchi prominenti: "Mi sembra che tu oggi lo abbia punito abbastanza".

Candy si morse il labbro, in leggero imbarazzo: era vero, aveva stretto un po' troppo le bende, tanto che Albert si era lamentato che gli stava facendo male. Peccato che le ferite parallele lasciate dal grosso felino dovessero bruciare come l'inferno e sul suo volto non aveva visto che una vaga smorfia di dolore solo nei primi istanti. Non un fiato quando gli avevano tagliato via la camicia sporca di sangue, non una reazione quando aveva appoggiato il batuffolo di disinfettante sui tagli, se non un sussulto appena percettibile a lei, che era un'infermiera. Un'infermiera che si era diplomata per poterlo assistere quando era arrivato, smagrito e smemorato, nella stanza numero zero.

"Perché si è lamentato tanto, poi", aggiunse sbuffando e incrociando le braccia. Era quasi ora di tornare a casa e non voleva dare a vedere che fremeva per rivederlo e accertarsi che stesse bene, che l'infezione non avesse preso il sopravvento. Lo avrebbe trovato sulla soglia della loro cucina, con il solito grembiule e la pentola in mano, intento a darle il bentornata e a spiegarle cosa aveva cucinato di buono o accasciato nel suo letto, febbricitante e con una smorfia di dolore sul viso?

L'urgenza improvvisa di accertarsi che Albert stesse bene quasi offuscò le considerazioni su quel viso, che tentavano di affiorare maliziose per ricordarle che sì, era davvero bello senza tutta quella barba, anche se già lo aveva pensato quasi due anni prima, rivedendolo in ospedale. E persino in un tempo antecedente, a Londra, pur se il pensiero era stato una sorta di solletico in mezzo alla tempesta che Terence stava appena cominciando a provocarle.
Un viso d'angelo, cesellato come un'opera d'arte, nel quale gli occhi azzurri erano acque placide che avevano il raro e potente dono di calmarla.

Le dita le schioccarono davanti al volto e Candy si accorse che il ronzio lontano che udiva era, ancora una volta, la voce del dottor Martin che parlava ma non ascoltava affatto. Si stava soffermando sul proprio rientro da New York, sentiva persino sulla pelle il gelo della neve e il calore implacabile della febbre. Salvo poi perdersi nei laghi calmi di Albert, ricominciare a respirare al tocco delle sue mani gentili che le toccavano la fronte, trovare un conforto quasi sconfinato nelle sue braccia forti che la avvolgevano in un abbraccio e smarrire gran parte del dolore nel suo tono pacato e dolce mentre le spiegava che lui avrebbe fatto lo stesso, che la gentilezza di Terry era stata uno dei motivi per cui si era innamorata.

"Credo che tu non abbia ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto, vero? È perché non siete tornati a casa insieme a braccetto come quella volta, giusto?". La risata sguaiata le diede modo di infuriarsi abbastanza per mascherare il rossore che le era salito al volto.

"Non è divertente! Lo sa che sarei tornata a casa con Albert, ma ha insistito perché rimanessi qui con lei a imparare quello che devo fare da domani. Può... ehm... ripetere quello che mi stava dicendo prima, comunque?".

L'uomo smise di ridere e sospirò: "Dicevo solo che se si è lamentato per la tua benda stretta, forse è perché non si aspettava di ricevere dolore da te. Dal leone sì, ma da te...".

Candy rimase interdetta e diede a quella frase più peso di quello che aveva in realtà. Dolore. Albert provava dolore? Sì, lo aveva visto nei suoi lineamenti contratti, quello fisico, quando era in ospedale; e aveva scorto quello empatico mentre lei piangeva un ragazzo che non avrebbe più potuto rivedere. E si sorprese nel constatare che non desiderava neanche più che accadesse. Si stava lasciando Terence alle spalle.

"... solo cure amorevoli dalla sua infermiera preferita. Ho visto come ti guarda, Candy, e comprendo come mai dall'ospedale abbiano deciso di mandarti via. Tutto sembrate tranne che fratelli, te lo assicuro. Si direbbe quasi che siate una coppia di...".

"Non è affatto vero!", lo interruppe di colpo, preda di imbarazzo, sorpresa e altri sentimenti così confusi che non seppe davvero riconoscerli.

Martin si limitò ad alzare le mani in aria in un gesto di pace e resa e tornò al tavolino dove il giochino cinese aveva rappresentato la sua unica occupazione del pomeriggio. Quel giorno, a parte Albert, non c'era stato alcun paziente.

"Bene, allora domani vieni in mattinata così possiamo cominciare a preparare la campagna vaccinale per i più piccoli. Alcune mamme mi hanno chiesto quando avrei cominciato e dovrebbero arrivare già alcuni lotti. Sono certo che quando i bambini ti vedranno saranno ben felici di ricevere un'iniezione da te!".

Candy si portò le mani alle guance arrossate, lieta di poter mascherare l'imbarazzo precedente con quello attuale: "Oh, per favore, non mi prenda in giro!".
Fu quasi felice di congedarsi dal dottor Martin, portando con sé i medicamenti che aveva insistito recasse ad Albert qualora ne avesse avuto bisogno. Si profuse in ringraziamenti, sia per il lavoro che le aveva appena offerto che per le bende e il disinfettante, riflettendo che avrebbe dovuto sempre tenerne in casa. Aveva ragione miss Mary Jane, a volte era davvero sbadata come infermiera!

Sostò per qualche istante vicino all'albero sulle cui radici era inciampata solo una manciata di ore prima

sbadata, sbadata e incosciente!

facendo sì che Albert, senza pensarci su due volte, si frapponesse fra il leone, che aveva appena spiccato un balzo con un ringhio sordo e lei, a terra inerme e gelata dall'orrore.

Ho visto come ti guarda, Candy...

Scosse la testa, le lacrime che dopo la rabbia stavano tornando implacabili, ricordandole uno degli spaventi peggiori della sua vita dal giorno in cui lo avevano investito e lo aveva raggiunto proprio lì, in quella clinica. Forse solo quando aveva rischiato di morire lei, giovanissima e su una barchetta in balia della corrente, ricordava di aver provato un simile terrore. Ma Albert era lì, anche se non lo sapeva, pronto a salvarla, anche allora.

Tutto sembrate tranne che fratelli, te lo assicuro. Si direbbe quasi che siate una coppia.

Una coppia, pensò sfiorando il legno ruvido del tronco prima di voltarsi e riprendere il cammino verso casa. Sì, quando si era messa a cercare una casa per vivere con Albert e guarirlo dall'amnesia, inizialmente il padrone della Casa della Magnolia si era rifiutato di affittarle l'appartamento, visto che non erano fratelli, né sposati. Ricordava anche come Annie, prima del suo sfortunato viaggio a New York, le avesse domandato se Terence fosse a conoscenza della sua convivenza con Albert. E lei, ingenuamente, non aveva compreso che male ci potesse essere, perché Terry dovesse saperlo. E poi, le insinuazioni del dottor Leonard, il suo divieto di vivere con un paziente, il monito che era sfociato nell'espulsione dall'ospedale perché gli aveva mentito riferendogli che viveva da sola...

Un uomo, di sicuro più maturo di lei, e una donna che vivono sotto lo stesso tetto. Anzi, che condividono persino un letto a castello.

Candy fermò i suoi passi davanti a una panetteria, specchiandosi nella vetrina e cercando di decidere se acquistare del pane per la cena. Ma di certo, lui lo aveva fatto. Albert era quello che pensava al cibo, che cucinava con amore e che riusciva a stupirla con le sue abilità, tanto sviluppate quanto erano carenti le sue. Poteva letteralmente andare in crisi davanti a una pentola che ribollisse mentre lui, con un sorriso e la sua solita serenità, si limitava ad abbassare il fuoco e a mettere un coperchio.

Era come nella vita. L'anima che si rispecchiava nei suoi occhi era la medesima che metteva in tutto. Vivere nella natura, quasi da vagabondo, doveva averlo forgiato e abituato davvero a tutto. Forse proprio per questo se ne stava per andare dopo essere fuggito dall'ospedale, rifletté Candy allontanandosi dalla panetteria e soffermandosi davanti a una pasticceria da cui proveniva un profumo dolce e delizioso.

Un profumo che sapeva di lievito, farina e vaniglia, come quando miss Pony impastava assieme a suor Lane i suoi dolci alla Casa di Pony. Un aroma rassicurante che sapeva di casa e di amore. Il medesimo che aveva avvertito, sebbene con sfumature diverse di vento, foglie e pioggia, sulla giacca logora di Albert quando, infine, l'aveva stretta a sé in quel parco, permettendole di stargli accanto fino a che non avesse recuperato la memoria. In quella sera in cui gli aveva ripetuto che per lei era come il fratello che non aveva mai avuto.

Ed era vero, lo era stato soprattutto negli anni della sua infanzia, rifletté scorgendo le luci accese in casa e sorridendo. Albert c'era stato per lei quando la cascata aveva rischiato di ucciderla; c'era stato per lei quando aveva pensato di morire di dolore per aver perso Anthony; c'era stato per lei quando, per le strade buie di Londra, cercava una farmacia per curare un Terry ferito; c'era stato per lei quando lo aveva perso, quell'amore mai cominciato.

E c'era stato per lei quel pomeriggio, in una situazione assurda come un leone scappato da un circo che li aveva aggrediti. Era come se il destino le stesse rimarcando, a lettere sempre più chiare, che i momenti più difficili della sua vita sarebbero stati sempre scanditi dalla presenza di Albert, che lui l'avrebbe sempre salvata dalla morte fisica e psichica, qualunque fosse il rischio.

Fratelli... sì. Lui è un fratello maggiore che si prende cura di me.

Ma, mentre saliva le scale, Candy fu costretta a fermarsi e a portarsi una mano al cuore, dove avvertiva qualcosa di sbagliato, che si spostava da un punto all'altro del petto come un breve sfarfallio. E non era la fatica. Non l'ansia sempre più pressante di rivederlo e magari medicarlo, toccarlo per accertarsi che stesse bene.

Era la consapevolezza che qualcosa, in quei sentimenti che per tanti anni l'avevano legata a Terence, al suo volto gioviale e al suo comportamento irriverente, alla sua espressione di dolore mentre prendeva in braccio Susanna su quel tetto, al suo ultimo abbraccio alla rovescia sulle scale di un ospedale stava mutando.

Sì, voleva ancora bene a Terence e sì, desiderava con tutto il cuore che riprendesse presto in mano la sua vita e la sua carriera. Lo voleva con ogni fibra del suo essere. Ma intanto, il suo passato e il suo presente erano Albert. Lui, che l'attendeva dietro quella porta con la tavola di sicuro già apparecchiata e il profumo dell'arrosto che magari permeava quelle pareti. Le pareti di casa loro.

"Non si aspettava di ricevere dolore da te. Dal leone sì, ma da te...".

Allungando una mano per aprire la porta, quasi tremando, Candy ebbe un ultimo ricordo a invaderle la mente, i sensi e il cuore: Albert che la deponeva con delicatezza sul proprio letto dopo averla trovata quasi priva di sensi sul pavimento, asciugandole con mani calde e amorevoli le ultime tracce delle lacrime versate per Terence, il pomeriggio che aveva letto le notizie negative sui giornali.

E, di nuovo, la sua voce come ulteriore carezza. Una carezza dell'anima: "Vorrei tanto vederti felice".

 
- § -
 
 
Albert si sporse un poco davanti allo specchio per guardare meglio il punto in cui le ferite erano coperte dalla benda e ne approfittò per allentarle un poco: poteva notare solo una sfumatura rosea sotto alla fasciatura bianca, segno che non stava più sanguinando. Tirò con prudenza i lembi sorridendo, ricordando con una punta di divertimento la faccia imbronciata di Candy che, dopo un pianto spaventato, aveva avuto la sua piccola vendetta avvolgendolo stretto neanche fosse una specie di mummia egizia. Di certo, la medicazione era stata fatta a regola d'arte, anche se non gli erano sfuggite le dita fredde e tremanti mentre armeggiava con il cotone e la benda. E non gli erano sfuggite la devozione e la sofferenza sul volto di lei, che aveva davvero temuto che morisse.

E io? Ho avuto paura?

Raddrizzando la schiena e voltandosi per andare in camera e rimettere la camicia, Albert si disse che sì, aveva avuto paura: ma non per se stesso, bensì per Candy. Da quando si era risvegliato nel retrobottega del ristorante dove faceva il lavapiatti, col suo carico di ricordi come una mole di bagaglio pesante con cui fare i conti dopo più di due anni, l'unica costante, l'unica Stella Polare, l'unica luce che lo orientasse era stata quella di Candy.

Certo, c'era stato l'incontro con Georges, il recupero di determinati affari lasciati in sospeso da tempo allarmante, ma quello era stato svolgere il suo dovere. Quante volte, di giorno e di notte, si era ripetuto che doveva dirle la verità e tornare a casa? O perlomeno mezza verità e riprendere il suo posto nel mondo prima di spiegarle meglio come stavano le cose?

Quando il leone aveva spiccato il balzo, non c'era stata la voce allarmata di Candy, né il ruggito che aveva riempito il mondo e neanche l'alito rovente del felino che ormai gli era quasi addosso; non c'era stata la sensazione del dolore bruciante che gli aveva lasciato quattro strisce parallele sul torace, del fluire del sangue e neanche dell'adrenalina che, riversandosi nelle vene, rendeva lontano quel dolore, come un rumore sordo. No, nulla di tutto questo. C'era solo la certezza che lei era al sicuro.

Con un sospiro stanco e il bruciore che gli ricordava quanto, tutto sommato, fosse stato fortunato, Albert iniziò a muoversi per la cucina con gesti meccanici e naturali. Come sempre, le sue mani trovarono gli ingredienti e si misero ad accendere pentole, predisporre carne e contorni, regolare la fiamma, versare condimenti come se lo facesse da sempre. E, a dirla tutta, lo aveva fatto per la maggior parte della sua vita quando viveva da solo, in condizioni ben peggiori di quelle: non aveva avuto spesso stufe o cucine attrezzate e passava dai fuochi nel bosco a ristoranti esclusivi dove lo servivano con prelibatezze di ogni tipo. Ma le rare volte in cui aveva potuto cucinare con più agio si era divertito e, mentre versava alcune spezie sulla carne e la copriva con un coperchio perché cuocesse a fuoco lento, pensò che se fosse stato un'altra persona forse gli sarebbe piaciuto fare il cuoco. O il veterinario. O il medico. Diamine, amava il mondo degli affari, dopotutto nelle sue vene scorreva pur sempre il sangue di suo padre, ma la posizione che ricopriva faceva un po' a pugni coi propri ideali di libertà, anche se ormai era ora che mettesse la testa a posto.

Inevitabilmente, quando si soffermava a pensare al suo futuro, il volto sorridente di Candy era come un'immagine fissa impressa nelle retine anche se chiudeva le palpebre. Lo era mentre era avvolto da una nebbia fitta e non vedeva nulla del suo passato, sentendosi quasi sospeso sul ponte di un presente in precario equilibrio; ed era rimasto lo stesso anche dopo.

Fosse dannato, si disse prendendo dei piatti dalla credenza e predisponendosi ad apparecchiare per due, se il fatto di aver compreso chi fosse gli aveva fatto rimettere giudizio. Il muro che nascondeva la sua vita precedente era crollato, ma il sole abbagliante che illuminava quella valle dal verde brillante degli occhi di lei aveva osato persino risplendere più ostinato.

Albert fece quasi cadere un bicchiere e alzò lo sguardo aspettandosi di vedere nella stanza la zia Elroy, che lo ammoniva in un cipiglio, Georges, che lo fissava impassibile ma con la chiara sorpresa dietro alla maschera imperturbabile e persino Candy, con le mani premute sulle labbra, magari persino disgustata.

Sei come un fratello per me.

Fece schioccare la lingua sul palato e andò a controllare se l'acqua per le patate stesse bollendo. Ridendo di se stesso, si rese conto che sì, era così, ma non le aveva neanche tirate fuori dalla dispensa. Se non si fosse concentrato un poco, rischiava di fare un piccolo disastro come quelli che di solito combinava Candy.

Determinato a svegliarsi da quella sorta di trance, premette una mano sulla ferita e lo sentì, il dolore, così simile a quello del proprio cuore che per un attimo ebbe il dubbio che gli artigli del leone si fossero conficcati più a fondo di quanto credessero tutti.

Il grido di Candy, il tonfo del suo corpo che cade a terra, il leone che forse sente la minaccia o l'odore di una possibile preda su cui sfogare la propria frustrazione: come me, si è trovato rinchiuso in gabbia e lui non può decidere di fuggire senza rischiare la vita. Spicca il balzo e io smetto di pensare lucidamente, divento un fascio di istinto e nervi e mi frappongo fra lui e Candy, pronto a dare la mia vita per la sua. Non penso che potrei morire, però... me lo ricorda lei, poco dopo. In quel momento sono roccia, cemento, muro solido. Sono la consapevolezza che a Candy non deve accadere nulla, perché allora sì che potrei...

La sensazione di freddo alle mani e il borbottio costante dell'acqua sul fuoco gli indicarono che le patate erano più che pulite, sotto al rubinetto aperto, e pronte per essere gettate in pentola. Lo fece velocemente, conscio che si era di nuovo mosso in modo automatico tornando in cucina dopo aver apparecchiato per proseguire con le preparazioni.

Arrosto con patate, insalata, un dolce preso in pasticceria di quelli che Candy amava. Tutto qui: quella era la loro cena a due mentre la ferita si rimarginava lenta sotto alle bende e forse sanguinava un poco perché non si era comunque fermato a riposare, né ne aveva l'intenzione. Ma sapeva che non avrebbe sanguinato molto, anche se aveva allentato un poco la morsa della fasciatura: perché lei era un'ottima infermiera e metteva amore in tutto quello che faceva.

Era davvero amore fraterno quello che l'aveva spinta a disperarsi così, sapendo che aveva rischiato la vita? Dolore, disperazione e persino rabbia, sentimenti a fior di pelle che erano emersi da lei uno dietro l'altro. E il rimprovero, neanche tanto velato, di aver fatto qualcosa di stupido. No, non si sarebbe illuso.

Albert abbassò lo sguardo sulla tavola e i suoi occhi registrarono una macchia sulla camicia scura: dopotutto, il movimento continuo e poco attento doveva aver riaperto i tagli. Corse in bagno, tolse la camicia e la gettò nella cesta, appuntandosi mentalmente che avrebbe dovuto lavarla presto perché Candy non la vedesse, e si accorse che non avevano bende di ricambio nell'armadietto.

Si morse il labbro inferiore, valutando se poteva pulire le ferite e rimettere le bende vecchie, quando udì il rumore della porta che si apriva e capì di essere in trappola.

"Albert? Che profumino! Ma perché ti sei messo a... oh mio Dio!". Era stata veloce a raggiungerlo e a scoprirlo, la mano ancora sull'anta e l'espressione contrita.

"Non è nulla, ho solo fatto un movimento di troppo e...".

"Lo sapevo, lo sapevo che non dovevo mandarti a casa da solo! Ti sei messo a cucinare e hai riaperto la ferita! Avanti, siediti lì e non muovere neanche un muscolo!".

Le labbra gli tremarono per il sorriso trattenuto, ma obbedì e sedette sullo sgabello accanto al lavabo: "Posso almeno respirare?". Candy stava armeggiando con un sacchetto di carta da cui tirò fuori bende e disinfettante, per cui sapeva che avrebbe dovuto ringraziare il dottor Martin.

"Non prendermi in giro e non osare alzarti!". Il dito si agitò in aria e un istante dopo Candy era sparita nell'ingresso per togliere il cappotto. Tornò con passi veloci e si lavò le mani prima di sfiorare la benda cercando il punto in cui l'aveva legata nel pomeriggio. Albert strinse la mascella perché iniziò a sentire la pelle d'oca e si convinse che dipendeva dal fatto che le mani di Candy erano fredde.

"Sono certo che il sanguinamento è superficiale", disse per mantenere il controllo.

"Guarda che disastro questa benda! Superficiale o no sta sanguinando e tu dovevi dare retta a me e al dottore quando ti abbiamo detto che non dovevi muoverti troppo!", borbottò cominciando a svolgere il bendaggio. Albert trattenne un sussulto che non aveva a che fare con le mani di Candy, ma con il tessuto che si era attaccato al sangue parzialmente rappreso: la sensazione fu quella di sentirsi strappare via la pelle. "Scusa, ti ho fatto male?".

Il viso di Candy era così vicino al suo, nonostante fosse seduto e lei appena china, che poté avvertire il calore del suo respiro. Fu un istante breve ma intenso. Benedetto e maledetto. Un istante in cui si chiese cosa avrebbero provato le proprie labbra a sfiorare le sue.

"No, sto bene", le assicurò sforzandosi di sorridere.

Candy si volse impedendogli di capire se era davvero rossore quello che le aveva tinto un poco le guance e prese un asciugamano pulito. Lo mise sotto al rubinetto e glielo passò sulla ferita ancora coperta dalle bende, consentendo al tessuto di staccarsi meglio. Durante l'intera operazione, Albert rimase fermo e in silenzio osservando Candy e non osando muovere un muscolo, sentendosi avvolto dal suo profumo di fiori e disinfettante, soffermandosi sul cipiglio concentrato e sulle labbra contratte che si morse quando fu il momento di scoprire le ferite del tutto.

La ragazzina provata e impaurita del pomeriggio aveva lasciato posto alla donna, all'infermiera, alla compagna amorevole che lo stava curando.

Compagna? Ho davvero pensato... compagna?

Un rumore improvviso proveniente dalla cucina gli indicò che forse Candy lo aveva davvero distratto a tal punto da trasferirgli parte della sua distrazione culinaria: "L'arrosto!". Schizzò in piedi a torso nudo, con le ferite scoperte e si precipitò ad aprire il coperchio: la carne si stava bruciando.

Senza perdere tempo, aggiunse al tegame un bicchiere d'acqua, poi un secondo, quindi abbassò al minimo la fiamma e, aiutandosi con una forchetta e un cucchiaio, lo sollevò un poco per valutare il danno.

"Che è successo?". Candy era sulla soglia con il disinfettante e il cotone in mano.

"Credo che dovremo raschiare il fondo dell'arrosto prima di finire di cuocerlo, se non vogliamo che sappia di bruciato". Mentre finiva di parlare, si stava già adoperando con un piatto e un coltello per effettuare l'operazione prima di rimettere l'arrosto in pentola. "Mi hai contagiato", ridacchiò.

"Oh, Albert, ringrazia che sei ferito, altrimenti io...!".

Rise apertamente all'indignazione di lei, che per buona misura aveva alzato sulla testa la boccetta di disinfettante e fatto un paio di passi verso di lui. Albert sollevò il coperchio come uno scudo davanti a sé. "Non farlo, o stasera non mangeremo niente".

Candy abbassò il braccio e guardò i tagli con occhio critico: "Non hanno un bell'aspetto", disse accostandosi a lui mentre toglieva la parte bruciata della carne e la riponeva sul fuoco con gesti attenti. Se la ritrovò accanto, che gli sfiorava il braccio con i capelli dorati.

"Io eviterei di fare qui la medicazione, o avremo carne al sangue per cena", scherzò cercando di usare una voce divertente e macabra, ma che risuonò più roca di quanto avesse voluto. Perché averla vicina lo turbava sempre più spesso e sapeva che non avrebbe potuto più dormirle accanto troppo a lungo prima che lei percepisse...

"Scusa, non volevo farlo, comunque". Si era allontanata come se si fosse scottata, ma era certo che quello più vicino al fuoco fosse lui. In tutti i sensi.
Nonostante non gli fosse più accanto e si fosse allontanata, in quel momento ebbe la certezza che Candy fosse in imbarazzo.

Un fratello maggiore... sul serio? Sto sperando in qualcosa di assurdo? O mi vede con gli stessi occhi di prima e prova solo un po' di vergogna?

Era stato a lungo suo paziente, in ospedale, ma non aveva mai notato in lei quel particolare sentimento. E tuttavia, s'impose di non mettersi a fare congetture che lo avrebbero portato fuori strada o ad alimentare ipotesi impossibili.

Senza più dire una parola, sistemò il cibo sui fornelli perché cuocesse senza più bruciare e tornò in bagno con lei, dichiarandosi pronto a una nuova medicazione. Candy annuì e fu metodica e professionale nel pulire prima la ferita con l'asciugamano umido, quindi a disinfettarla con il cotone e infine a ricominciare col bendaggio. Stavolta, fu stretto a sufficienza ma non troppo.

"Grazie mille infermiera, posso offrirle una cena non bruciata per ringraziarla?", disse azzardando un cauto inchino.

Finalmente, Candy rise: "Molto volentieri, ma c'è anche il dolce?".

"Il suo preferito".

"Albert, non avevi una maglietta o una camicia?", chiese guardandosi intorno.

Lui socchiuse gli occhi: "In effetti sì, ma si è macchiata. Vado a prenderne un'altra". Scomparve in camera prima che lo sguardo assassino di Candy e il suo 'te l'avevo detto!' gli penetrassero nella carne ancor più che gli artigli del leone.

La cena fu quasi rilassata come sempre, anche se Candy gli lanciava spesso occhiate preoccupate e se c'era da prendere qualcosa in cucina si alzava lei trattandolo quasi come un invalido. Gli riempì persino il bicchiere di acqua quando fu vuoto. Certo, era pur vero che le ferite si erano in parte riaperte, ma si chiese come avrebbe fatto a lavorare in quelle condizioni e col rischio di doversi medicare ogni volta.

"Domattina prima di andare dal dottor Martin passerò dal ristorante e avviserò che non andrai per qualche giorno", disse Candy quasi leggendogli nel pensiero, sorseggiando il suo bicchiere d'acqua.

Albert alzò le mani, posando forchetta e coltello: "Immagino che non ho diritto di replica dopo quanto è successo, vero?".

"Assolutamente no", confermò calcando su ogni parola e brandendo la propria forchetta quasi come una minaccia. "Ora dimmi dov'è il dolce che lo prendo io".

Albert sperò che le risate convulse che solo lei gli provocava in modo tanto repentino non contribuissero a peggiorare la sua situazione, ma Candy era stata così buffa nella sua espressione seria, passando dalla negazione alla richiesta del dolce, che non poté farne a meno. Le indicò la credenza più alta e la vide mentre si allungava sulle punte dei piedi per prenderlo, pronto ad aiutarla. E invece riuscì ad afferrarlo e a portarlo a tavola senza incidenti.

"Allora? L'ho preso al cioccolato, visto?".

"Mhhhh, il mio preferito, grazie Albert! Sai che stavo per entrare in pasticceria e prenderne uno io? Tu mi leggi nel pensiero!", disse trasformandosi in una bimbetta felice, mentre affettava la torta e la poneva in due piattini.

"Diciamo che conosco i tuoi gusti".

Mangiarono in silenzio per alcuni istanti, nei quali poté godersi le espressioni entusiastiche e golose della sua ineffabile infermiera, trattenendosi ancora una volta dal ridere.

"Albert...".

"Sì?".

"Io ti ho mai... fatto del male?".

Si bloccò con il cucchiaino a mezz'aria, guardandola che giocherellava con le briciole nel proprio piatto. "Sì, oggi pomeriggio quando mi hai fatto il primo bendaggio".

"Non intendevo quello. Non male fisico. Volevo dire... ti ho ferito in qualche modo, in passato?".

Albert si accigliò, non capendo dove volesse andare a parare Candy. Aveva già finito il suo dolce, laddove lui era solo a metà porzione, ma non si stava affrettando a servirsene una seconda fetta e quello sì che era preoccupante.

"Certo che no, perché avresti dovuto ferirmi?". Non capiva, sul serio.

Lei continuò a giocherellare con la forchetta e le briciole, spostandole sul piatto e poi attaccandole alla punta delle dita prima di portarsele alle labbra. Un gesto che gli strinse il cuore in un sentimento tanto forte a metà tra tenerezza e desiderio che dovette smettere di fissarla, tornando a concentrarsi sul suo dolce.

"Beh, ad esempio... non so, quando mi hai trovata a terra in mezzo ai giornali che avevi nascosto, quelli che parlavano di Terence...".

Potevano esserci tante implicazioni in una domanda? Albert udì squillare mille campanelli di pericolo nella testa e cercò di comprendere cosa davvero volesse sapere lei e soprattutto cosa dovesse risponderle. Per fortuna, aveva imparato durante l'intero arco della sua vita, e persino da amnesico, a controllare le proprie emozioni. Fu quindi con pacatezza che poté dirle in maniera diplomatica e sincera: "Candy, non ti nascondo che sono stato molto preoccupato per te. Da quando... sei tornata da New York mi rendevo conto dello sforzo che facevi per cercare di essere sempre allegra e positiva. E hai tutta la mia ammirazione per questo, perché hai ancora dimostrato di essere una ragazza forte".

La vide alzare gli occhi con gratitudine. E non gli sfuggirono le stelle iridescenti nei suoi occhi, che assunsero tante di quelle sfumature che pensò ne sarebbe rimasto ipnotizzato. "Oh, Albert...".

"Tu per me hai fatto così tanto che desideravo solo fare qualcosa per te, visto che non ricordo il mio passato e so solo quello che mi hai riferito".

"Ti assicuro che mi hai salvata tante volte. Dalla cascata, dal dolore, da me stessa...", disse lei in un sussurro.

"E io non voglio essere ripagato se non con il tuo sorriso. Vederti felice, credimi, per me è la contropartita più bella che possa desiderare. Per questo vorrei fare di tutto...".

"Voglio solo vederti felice... allora non lo avevo sognato". Albert rimase interdetto. Dunque quel famoso pomeriggio lei era sveglia? Aveva sentito le sue carezze, mentre le asciugava le lacrime, e le sue parole?.

"Sì", confermò sorridendole e togliendo con un dito l'ennesima lacrima che le era sfuggita dalle ciglia.

Candy gli prese la mano, impedendogli di ritrarla: "Però promettimi una cosa, anzi due".

Le avrebbe promesso la luna, il sole e l'intero firmamento, se solo avesse potuto. Ma, almeno per il futuro più immediato, forse poteva solo fare qualcosa perché il suo nome come infermiera fosse riabilitato negli ospedali di Chicago. E avrebbe provveduto a quell'aspetto molto, molto presto.

"Tutto quello che vuoi", disse con fin troppa veemenza.

"La prima è che non farai più nulla di così stupido come farti attaccare da un leone per salvarmi. Oggi mi si è fermato il cuore. La seconda è che semmai dovessi ferirti in qualche modo, dovrai dirmelo. Sempre".

Albert trasse un lungo respiro, stringendole quella mano e trattenendosi a stento dal baciarla per sapere se vi era rimasto un po' dell'aroma delle briciole di cioccolata.

Controllati, Albert, ti stai comportando come un adolescente in piena cotta giovanile...

"Per la seconda richiesta non c'è problema, anche se dubito fortemente che tu possa fare qualcosa per ferirmi. Ma sul primo punto mi è impossibile farti promesse. Se domani fuggisse anche una tigre e ti attaccasse, non esiterei un solo istante a proteggerti, ancora e ancora".

Intuì in maniera netta quanto le sue parole l'avessero colpita, perché aprì la bocca apparendo sconvolta. Aveva esagerato? Si era scoperto fin troppo?

"Perché?", chiese in un ansito quasi impercettibile.

Per lungo tempo, Albert si sarebbe chiesto come avesse fatto a non lasciar fluire da sé la risposta più spontanea, limpida e meravigliosa che sembrava scorrergli dentro come acqua sorgiva. Sarebbe stato così naturale e giusto! Ma anche scorretto, da parte sua. Candy non sapeva praticamente nulla di lui e soprattutto le stava nascondendo verità ancor più grandi: il ritorno della memoria e la sua vera identità. Non aveva alcun diritto di implicarla in un mondo del quale non faceva parte e forse non le sarebbe mai appartenuto.

"Perché ci tengo a te, almeno quanto tu tieni a me. Per quanto ne sappia, sei stata tu a salvarmi per prima".

"Anche io... tengo a te, Albert. E non solo per quello che hai fatto per me, anche se non te ne ricordi, ma perché...".

Il tempo si fermò in quel momento. Candy era arrossita, aveva abbassato gli occhi e lui non resistette oltre: si alzò e fece il girò del tavolo, prendendole le mani e inducendola ad alzarsi per guardarlo. E tuttavia, lei cercò di evitare il suo sguardo, che si ritrovò ad anelare come ossigeno. Con due dita sotto al mento, la costrinse a mostrargli i suoi occhi verdi e brillanti di lacrime.

"Perché?", chiese come se la conversazione non si fosse mai interrotta. Lui non aveva avuto il coraggio di dirle la verità, ma ora la pretendeva da Candy. E sarebbe bastata una sola parola perché mandasse al diavolo la prudenza.

Le labbra di Candy si stirarono in un sorriso e si mossero, ma per qualche strano motivo Albert non udì il suono della sua voce.

"...Albert".

"Come? Non ho capito, Candy, puoi ripetere?".

Di colpo, il tempo di sbattere le palpebre, Candy era sparita e lui era solo e al buio nella stanza. Si era immaginato tutto? Stava sognando?

"Albert!". La voce di Candy lo raggiunse, urgente come un richiamo disperato. Si volse di scatto, cercandola.

"Candy! Dove sei?! È saltata la corrente?!". Buio, ombre. Solo questo vedeva.

E non era più nel piccolo salotto della Casa della Magnolia, ma vicino alla clinica del dottor Martin. Poteva udire i richiami di Candy alle sue spalle e il respiro pesante del grosso felino davanti a sé. Gli occhi dell'animale sembravano vacui, cattivi, diversi da come li ricordava. Ma li ricordava davvero? Sul serio aveva già vissuto quell'aggressione? Eppure, tutto era identico ma diverso.

Il ruggito più forte, il balzo che spiccò più alto e le grida di Candy più acute. La zampa si mosse, fendette l'aria e gli artigli incisero la carne strozzandogli un gemito di mero dolore in gola. Il tempo di cadere facendo scudo a Candy col proprio corpo, sentendola invocare il suo nome, e le gocce di sangue presero a fluire dai tagli, scorrendo come rivoli, come fiumi, come mari.

Rosso, rosso ovunque. Le forze che l'abbandonavano e il sangue... Candy era ricoperta di sangue e Albert gridò il suo nome. Il leone aveva ferito entrambi e tutto il sogno che aveva fatto sul suo rientro a casa, sul ritorno di lei con le bende... tutto svanì mentre la prendeva fra le proprie braccia e vedeva la vita abbandonarla in un sussulto, sentendo la propria scivolargli via.

Moriremo insieme... e non riuscirò a dirti nulla... oh, Candy... Candy!

"Albert! Ti prego, svegliati! Riaprirai le ferite!".

Con un singulto strozzato, fece un movimento repentino e si ritrovò seduto su qualcosa di morbido

il mio... letto?

con due braccia esili ma forti che lo trattenevano per le spalle.

La luce della lampada sul comodino era accesa e gettava ombre sul volto di Candy, che lo fissava con qualcosa di molto simile al terrore.

"Sei... qui?", disse prima di rendersi conto di quanto fosse sciocca la sua domanda.

"Accidenti a te, mi hai spaventata a morte! Credevo che ti stessi sentendo male!". Era sull'orlo delle lacrime e gli stava già alzando la maglietta del pigiama per controllare le ferite. "Per fortuna non si sono riaperte. Ti sei agitato tanto che non sapevo se stessi avendo un incubo o provassi solo dolore".

Incubo...?

"Io... non mi ricordo niente... stavamo cenando...". Si portò una mano alla fronte, chiedendosi se stesse di nuovo perdendo la memoria e udì il suono più bello che conoscesse: la risatina nervosa di Candy.

"Che non ricordi niente lo sapevamo già. Ma, Albert, dopo cena abbiamo sparecchiato e siamo venuti qui a dormire, hai dimenticato anche questo?".

Chiuse gli occhi, calmando il proprio respiro che, ormai, non sapeva più se fosse agitato al pari del proprio cuore per via dell'incubo o a causa delle mani di Candy che lo toccavano attraverso le bende prima di rimettere a posto il pigiama con gesti lenti.

Sì, ricordava la cena dopo che la sua piccola infermiera gli aveva rifatto la medicazione. E ricordava anche quelle promesse che lei aveva cercato di strappargli

non farai più nulla di così stupido

ma che lui le aveva confermato di poter mantenere solo per metà.

"No, non l'ho dimenticato", le rispose finalmente con un sorriso rassicurante. "Perdonami per averti fatta preoccupare. Stavo sognando... l'incidente di oggi".
E anche che dopo cena, invece di darti la buonanotte, facevo il giro del tavolo per farti confessare qualcosa che non oso sperare. Magari poco prima di baciarti.

Il sorriso di Candy divenne dolce, quasi struggente mentre si sedeva meglio sul bordo del suo letto, con una gamba ripiegata sotto di sé e l'altra poggiata a terra, come avrebbe fatto una ragazzina. "Vorrei chiederti di nuovo di giurarmi che non farai mai più una cosa simile, ma prima sei stato categorico. A questo punto spero che non fugga davvero anche una tigre".

Albert scosse la testa, ridendo a sua volta: "Lo spero anche io, ma soprattutto perché non è in un circo o in uno zoo che gli animali sono felici. Ora capisco perché sono andato in Africa, come mi hai raccontato. Nessun essere vivente dovrebbe mai trovarsi in una gabbia".

E lui era in una sorta di gabbia? La sua posizione, che da poco aveva riscoperto di ricoprire, di certo non era priva di sbarre, anche se sapeva che avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo per amore e profondo rispetto alla propria famiglia; ma la gabbia più grande e invalicabile stava diventando il suo cuore. Era in trappola, volente o nolente, imprigionato in un sentimento così bello e delicato, che non vi trovava nulla di immorale, nonostante avesse visto crescere la bambina che era stata Candy. Un sentimento naturale come il sole che sorge prima timido e roseo, puro come un essere appena nato, e poi splende in tutta il suo maturo calore.

Candy non era più una ragazzina, ma una donna che lo aveva salvato dal suo destino.

"Ora rimettiti a dormire e cerca di fare bei sogni o dovrò legarti al letto!". La guardò serio, indeciso se toccarla o meno. Voleva sfiorare le sue guance rosee, infonderle il calore delle sue mani e al contempo godere di quello della sua pelle lì, dove nascevano le lentiggini. Ma non osò.

"Prometto solennemente che sognerò solo uccellini che cinguettano e infermiere che non stringono bende", disse alzando una mano per sancire meglio la promessa.

"Oh, stupido!", rise lei prima di arrampicarsi sul letto superiore con agilità. Vide sfrecciare a pochi pollici dal viso le sue caviglie bianche sulla scaletta e poi sparire, così si allungò per spegnere la lampada sul comodino.

Si sistemò sul cuscino abituando lo sguardo al buio, fissando la parte inferiore del letto di Candy senza osare respirare. Si sentiva stanco, a dirla tutta, forse alla fine le emozioni della giornata avevano raggiunto anche lui.

"Buonanotte, Candy", mormorò.

"Buonanotte, Albert".

Chiuse gli occhi, avvertendo il gradevole torpore del sonno impossessarsi di lui nonostante l'incubo, sentendosi rassicurato dalla presenza di Candy a poca distanza, ripetendosi che tutto sarebbe andato bene. Fu in quel limbo a metà tra sonno e veglia che la udì.

"Albert...?". Una vocina flebile, che non sembrava neanche la sua. Stava dormendo e sognava? Era stato ancora lui a sognare? Oppure...

Il richiamo non si ripeté e Albert, prendendo un respiro profondo, si arrese al sonno e si addormentò.

 
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Il respiro di Albert era ritmico sotto di sé, a indicarle che dormiva profondamente. Si sporse un poco per guardarlo e nel chiarore lunare appena accennato ne distinse la linea del naso dritto e ben fatto e del mento, il movimento leggero del torace che si alzava e si abbassava sotto le coperte.

Lì, oltre le ferite e oltre le bende, albergava il cuore di un uomo che era stato davvero il suo punto di riferimento per molti anni, anche se in modo diverso nel tempo. Quante volte poteva dire di aver incontrato Albert sul suo cammino? Non molte, non poche. E poi lui se ne andava sempre, seguendo la sua strada mentre lei rincorreva la propria, qualunque essa fosse.

Un cuore grande, solitario, colmo d'amore per tutti gli essere viventi, uomini o animali che fossero. Aveva rivisto il suo vecchio amico nell'uomo che, dopo essere stato ferito, induceva il leone ad avvicinarsi e lo carezzava neanche fosse un grosso gatto. Quell'animale si era fidato di lui e si era lasciato catturare docilmente. Aveva fatto qualcosa di simile in Africa, pur non ricordandoselo?

Candy si girò su un fianco, cercando di riprendere sonno e rendendosi conto che non ci riusciva: ma, una volta tanto, non era per via di Terence.
Durante la cena, Albert le aveva detto che avrebbe affrontato anche una tigre, perché teneva a lei. E molto, anche.

"Anche io... tengo a te, Albert. E non solo per quello che hai fatto per me, anche se non te ne ricordi, ma perché...".

Quelle parole le erano uscite di bocca prima che potesse fermarle e, soprattutto, prima che comprendesse appieno come voleva concludere la frase. Ovviamente, lui l'aveva guardata con aria interrogativa, aspettandosi una risposta.

"Perché... perché... beh, te l'ho appena detto". Il sopracciglio inarcato e le mani congelate nel gesto di tagliare la carne nel proprio piatto le indicarono che si aspettava una spiegazione a quel "non solo per quello che hai fatto per me".

Ma anche perché sei speciale, molto più di quanto avessi mai osato immaginare. Perché vivendo con te mi sto rendendo conto, sempre di più, che somigliamo a una vera famiglia, pur se non con i canoni che mi aspettavo o che si aspetta la società. Perché questa nuova vita a stretto contatto con te, senza più separazioni, mi sembra quasi un bel sogno.

In piena notte, dopo che il suo amico di sempre l'aveva salvata a costo della propria vita, Candy si ritrovò a stringere forte il proprio cuscino, rannicchiandosi come una bambina. Mai, come in quel momento, desiderò avere una madre che l'aiutasse a comprendere il palpito quasi impazzito del proprio cuore, il motivo per il quale i suoi occhi si spalancavano nel buio invece di chiudersi e la ragione per cui si ritrovò ad ascoltare e a lasciarsi cullare, come da una musica dolce, dal respiro regolare di Albert.
 
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Se amate le storie canon e a lieto fine, vi consiglio di fermarvi qui: a seguire, ci sono 3 what if con diverse interpretazioni della giornata in cui Albert salva Candy dal leone... o no...?
 
   
 
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