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Autore: Milly_Sunshine    31/01/2023    1 recensioni
Una serie di one-shot slegate le une dalle altre, scritte molto tempo fa (ma recentemente riviste almeno parzialmente), accomunate dall'essere racconti romantici senza lieto fine. Contesto generale/ vago per i primi tre, perché non ci sono contesti più adeguati, contesto sovrannaturale per il quarto.
QUELLA STELLA È KIT: una gravidanza tragicamente interrotta a causa di un "incidente" e una stella che brilla nel cielo. Sarà il bambino perduto che cerca di comunicare qualcosa?
L'ACCORDO VIOLATO: un'attrazione innegabile e un'accesa rivalità professionale, protagonista la stessa coppia, perché l'amore vince su tutto, ma non va sempre così.
TORNERÒ: un uomo e una donna con importanti relazioni fallite alle spalle messi di fronte a una seconda chance. Dopo la morte di lui, la donna vorrebbe vederlo rivivere nella persona che più gli somiglia.
L'ALBA DI NOVEMBRE: l'amore è trascorrere tutta la vita insieme e, se ciò non è possibile, trascorrere insieme ciò che verrà dopo, il che si coniuga male con il fatto che uno dei due sia ancora in vita.
Genere: Dark, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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L'ALBA DI NOVEMBRE

Si stava facendo tardi e i negozi, nelle cui vetrine spiccavano i colori delle candele a forma di zucca rimaste invendute, stavano iniziando ad abbassare le serrande. A casa erano ormai sei mesi che non trovavo mai nessuno ad aspettarmi, non avevo motivi per affrettarmi. Nonostante novembre fosse ormai alle porte era una bella serata e, anche se sotto i lampioni del centro abitato non si vedevano, il cielo buio era indubbiamente rischiarato dalle stelle. Soltanto un filo di vento di tanto in tanto mi faceva rabbrividire, ma non me ne curai e m’incamminai verso la strada che mi avrebbe condotta nella mia casa vuota.
Deviai come attirata da una voce e mi tornò in mente mia madre, che quando ero bambina era solita raccontarmi le sue strane storie: «Nella notte di Halloween gli spiriti dei morti tornano sulla Terra, invitano i loro cari a seguirli e, se questi non riusciranno a fuggire prima dell’alba, li porteranno con sé».
Mia madre aveva una mente geniale per le storie macabre, almeno prima di abbandonarmi e di costruirsi una nuova famiglia, ma non le avevo mai creduto.
«Le persone che non ci sono più e che ci volevano bene non ci porteranno mai con loro» ero solita replicare.
«Non credermi, se preferisci, ma un giorno scoprirai a tue spese che ho ragione io» decretava lei a quel tempo, cosa che ormai non accadeva più da oltre vent’anni.
Ero cresciuta senza di lei, che senza dubbio non mi avrebbe nemmeno riconosciuta, se mi avesse incrociata per strada: non ero più sua figlia, ero semplicemente una sconosciuta sulla trentina a cui non valeva la pena di prestare troppa attenzione.
Scacciai con difficoltà il pensiero di mia madre e continuai a seguire il mio istinto che mi pregava di allontanarmi sempre più dal centro abitato. Guardai il cielo: le stelle non erano mai state così nitide.

***

Le stelle non erano mai state così nitide, ma lei era quella che brillava più di tutte. Non la vedevo da oltre sei mesi, ma sentivo che qualcosa ci univa ancora. Mi veniva incontro mentre si faceva notte, sembrava un angelo smarrito alla ricerca di qualcuno che le indicasse la strada da seguire. I suoi occhi dolci cercavano nel buio qualcosa che non c’era oppure qualcosa che non erano in grado di percepire.
«Sono qui» le dissi.
Naturalmente non poté udire il fruscio spento che era ormai la mia voce, eppure qualcosa nella sua espressione mutò.
Si guardò intorno, sospettosa.
«C’è qualcuno?» domandò a voce troppo bassa.
«Sono qui» ribadii, mentre lei sgranava gli occhi.
«C’è qualcuno?» ripeté.
Mi avvicinai a lei. Avrei dato qualsiasi cosa per poterla baciare e mi rallegrai al pensiero che molto probabilmente sarei riuscito a portarla via. Sarebbe stata mia per tutta l’eternità, io e lei saremmo tornati ad essere uniti come eravamo un tempo.
Allungai una mano e le sfiorai una ciocca di capelli che le ricadeva davanti al volto.
«Sono tornato» le dissi. «Sono tornato e non me ne andrò finché ti avrò costretta a seguirmi.»

***

Un filo di vento mosse i miei capelli. Non erano i racconti di mia madre a spaventarmi, nessuno spirito era venuto a prendermi, ma non era comunque raccomandabile vagare per la campagna buia e deserta a quell’ora della sera. Non avevo paura dei morti, ma i vivi mi spaventavano eccome: probabilmente c’era qualcuno nascosto da qualche parte che mi avrebbe puntato un coltello alla gola e mi avrebbe costretta a consegnargli il mio portafoglio... o peggio.
Sperai che ci fosse lui a proteggermi, nell’oscurità, a darmi un segnale, ma dubitavo che fosse possibile.
«Non puoi fidarti di nessuno» mi ripeteva mia madre. «Una volta che passano dall’altra sponda iniziano a invidiarti perché tu sei ancora di qua, mentre per loro è finita. Vogliono portarti con loro e insisteranno finché non l’avranno fatto.»
Se ci fosse stata lei, mi avrebbe detto che l’uomo che amavo si era dimenticato di tutte le nostre promesse di amore eterno e che l’unico desiderio che provava era mettere termine alla mia vita, proprio come si era già conclusa la sua.
«Ma tu puoi sentirmi, vero? Sei lì da qualche parte e non mi faresti mai e poi mai del male. Tu mi amavi, lo so.»

***

«Io ti amo ancora» risposi «e se sono qui è proprio perché non posso stare lontano da te. Io e te eravamo due anime gemelle e la morte che ci ha divisi deve riunirci. Non posso permetterti di rimanere sola...»
Non è la verità, è chiaro: lei se la stava cavando benissimo anche senza di me, ero io che mi sentivo perso. Scoprire che quella notte avrei potuto rapirla e portarla con me per tutta l’eternità era stata una forte spinta: avevo deciso, non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione.
«Ma ricorda: se non riuscirai a convincerla a seguirti entro l’alba del primo novembre, dovrai tornare indietro da solo e per un anno intero non potrai più rivederla.»
Un anno era il nulla, per me che avevo l’eternità di fronte, e in ogni caso non avrei avuto difficoltà: lei mi amava quasi quanto la amavo io - dal momento che il mio amore era così forte, non pensavo che potesse arrivare ad eguagliarlo - e non avrebbe esitato a seguirmi.
Ebbi l’impressione che mi avesse notato.
«Tu vuoi che io venga con te?» mi chiese. «È proprio come diceva mia madre?»
«Io non ti obbligo a seguirmi» risposi col mio tono subdolo. «La scelta è tua, ma sappi che una donna che ama davvero può fare soltanto una scelta.»
Mi guardò senza capire e io sperai che davvero non comprendesse che si trattava soltanto di un’ingiusta imposizione.

***

“Devo essere impazzita all’improvviso” mi dissi, quando realizzai che stavo parlando con lo spirito dell’uomo che avevo amato tanto e che amavo tuttora. Mi sembrava di udire la sua voce e, fissando con molta attenzione l’oscurità, di riuscire a scorgere i suoi occhi scuri. Mi spiegava che dovevo seguirlo, se volevo mostrargli il mio amore.
«Tu non ci sei» decretai ad alta voce, nella speranza di convincermene. «Vedo cose che non esistono, anche se ho più di trent’anni mi lascio ancora influenzare da quello che mi raccontava mia madre quando ero bambina.»
«Ma tua madre aveva ragione!» ribatté lui. «Sono qui perché la mia vita è stata troppo breve perché tu potessi dimostrarmi il tuo amore.»
«Non dire idiozie» replicai. «Ti ho dimostrato il mio amore giorno dopo giorno, ora sei ingiusto a negarlo.»
«Ma non lo stai dimostrando ora.»
Vidi la sua figura farsi più definita.
«È troppo riduttivo giudicare così, non credi? Sei cambiato.»
Fece una risatina.
«Credi che la morte non ci cambi?»
Sospirai, rassegnata. Lui non c’era più, c’era soltanto un’ombra che si spacciava per lui e che, forse, all’alba di novembre sarebbe scomparsa.
Mi tese la mano.
«Vieni con me» mi ordinò. «Dimostrami che provi anche tu quello che provo io.»

***

Le voltai le spalle.
«Lo sapevo che non potevo fidarmi di te.»
Non aveva più senso aspettare l’alba, decisi che non sarei mai tornato da lei.
«...Ehi, aspetta!»
La sua voce mi fece rinascere. Mi girai di scatto, mi stava venendo incontro.
«Hai ragione, io e te siamo fatti per stare insieme, non posso rifiutarmi di seguirti.»
La guardai negli occhi e compresi che non ero nessuno per chiederle un sacrificio così grande.

***

Il cielo si stava rischiarando a est.
«È ora di andare?» gli chiesi.
Annuì.
«Tu rimani qui» aggiunse.
Lo guardai senza capire.
«Se un giorno rivedrai tua madre» mi suggerì, «dille che non sempre la morte ci fa diventare egoisti come ti raccontava lei.»
Si avvicinò e mi baciò su una guancia.
«Ora non ho più tempo» disse, indicando il cielo. «Sappi che non ti dimenticherò mai.»
Lo fissai mentre se ne andava, finché non divenne talmente sfuocato da sembrare invisibile.
«Nemmeno io ti dimenticherò mai.»

 

   
 
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