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Autore: Kanako91    01/02/2023    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte II. Il capitano - Capitolo 6. L’ultimo passo nella notte




Nomi utili:

Ciryandil: secondogenito di Tar-Ciryatan, in Adûnaic "Balkuzîr"
Ciryatan: dodicesimo Re di Númenor, marito di Nenilde, padre di Atanamir (canon) e Ciryandil
Nenilde: moglie di Ciryatan, madre di Atanamir e Ciryandil. Scrive componimenti poetici erotici sotto lo pseudonimo "Ciryanilde"
Tar-Minastir: undicesimo Re di Númenor, padre di Ciryatan, figlio di Isilmo fratello di Telperien (canon)
Hallariën: moglie di Minastir, madre di Ciryatan
Tar-Telperien: decima Regina di Númenor, zia di Minastir (canon)
Atanamir: tredicesimo Re di Númenor (canon), fratello maggiore di Ciryandil, figlio di Ciryatan e Nenilde, padre di Ancalimon e Loténië
Aldarian: nobildonna númenóreana, amante di Ciryandil
Lotérian: moglie di Atanamir, madre di Ancalimon e Loténië
Ancalimon: quattordicesimo Re di Númenor (canon)
Loténië: secondogenita di Atanamir e Lotérian, sorella minore di Ancalimon
Amatthâni: Aman/Valinor in Adûnaic
Nimruzîr: gli Elfi in Adûnaic
Azrubêl: il nome di Eärendil in Adûnaic




6. L’ultimo passo nella notte




Ciryandil e i suoi uomini ebbero il tempo di risalire tutta la costa est della Terra di Mezzo e tornare indietro, prima di ricevere notizia della partenza imminente di Ancalimon da Númenórë diretto alle colonie.

Ma ormai, Ancalimon era giunto in porto a Vinyalondë con un nutrito seguito di navi di civili.

«Zio, ti vedo in forma» gli disse, andandogli incontro a braccia aperte e un sorriso radioso mentre Ciryandil lo aspettava sul molo.

«Anche tu. Il mare sembra donarti molto».

Ancalimon somigliava ad Atanamir, ma i giorni in mare avevano scurito la sua pelle e lasciato segni dorati sulle ciocche scure dei suoi capelli. Per una volta, gli sembrava di avere davvero suo nipote davanti e non uno sconosciuto che aveva una certa somiglianza con suo fratello.

Si abbracciarono e Ciryandil lo invitò nella casa del Re arroccata su una delle alture che circondavano Vinyalondë.

«Mi piacerebbe fare un giro della città per vedere cosa ha fatto il nonno in questo porto, ma intendo ripartire al più presto. Devo stabilire abbastanza colonie da soddisfare le necessità dell’isola».

E di suo padre, supponeva Ciryandil.

«Dimmi quanti giorni sarai qui e mi organizzerò di conseguenza».

«Uno, al massimo due».

Ciryandil annuì, per quanto l’idea non gli paresse granché.

«Come sta tuo padre?» gli chiese, piuttosto che dar voce ai suoi pensieri.

«Bene, come sempre. Ha avuto da ridire con gli Elfi da Tol-Eressea, durante la loro ultima visita».

Ciryandil inarcò le sopracciglia. Non aveva mai avuto l’occasione di incontrare gli Elfi, nemmeno Ciryatan se era per quello, ma ricordava che erano spesso in visita nell’Andustar durante il regno di Tar-Minastir e, dai racconti, durante quello di Tar-Telperien. Sul rapporto tra la regina e gli Elfi circolavano una serie di voci che suo nonno non aveva mai fatto molto per silenziare e alcune opere di Nenilde avevano trasformato in favole romantiche.

«Cosa di preciso?» chiese ad Ancalimon.

«Diciamo che non hanno molto gradito che mio padre parlasse in Adûnaic in loro presenza. Ma, come ci ha tenuto a precisare, la popolazione non conosce la loro lingua e non è corretto che venga tenuta fuori dai loro incontri».

«Non capisco a cosa servano le visite degli Elfi, a dire il vero».

«Nemmeno io» disse Ancalimon, rigirandosi la coppa di vino in mano. «Non possono portarci nulla dalle Terre Immortali che non possiamo ottenere dalla Terra di Mezzo».

Ancalimon sorseggiò il vino e guardò Ciryandil. «Be’, tranne una cosa. Ma i tentativi di mio padre di infiltrare qualcuno sulla loro nave non sono serviti a molto».

«Quindi non c’è stata solo la questione della lingua a far andare male l’incontro».

Ancalimon strinse la testa nelle spalle, uno sguardo furbo che gli ricordava tanto quello di Atanamir. Lo sguardo di chi era un po’ troppo sveglio per il suo stesso bene.

Ciryandil non aveva mai avuto problemi simili, ma sapeva riconoscere qualcuno la cui mente era superiore alla sua. Non bastava avere un fratello simile, aveva anche un nipote con lo stesso difetto.

Le cose si stavano mettendo davvero molto bene per il regno.


* * *


Ancalimon tenne fede alla sua parola e, dopo appena due giorni a Vinyalondë, ripartì forte delle indicazioni che gli aveva dato Ciryandil.

Sul molo, prima di partire, Ancalimon lo aveva ringraziato e lo aveva preso in disparte.

«Ho sentito parlare di una donna locale che vive con te» gli aveva detto. «Un suggerimento? Non affezionartici troppo, zio. Se la nostra vita è breve per le imprese che abbiamo in mente, figurarsi quella di un abitante della Terra di Mezzo».

Ciryandil gli aveva tirato una pacca sulla schiena.

«Senti un po’ il nipote che dà consigli di cuore allo zio». Gli aveva avvolto un braccio intorno al collo, per stringerlo a sé. L’anello sul suo indice destro aveva scintillato alla luce di Anar tramontante. «Non temere di chi mi affeziono io, piccolo. E ascolta un consiglio di chi ha fatto già i giri che tu stai per fare: assaggia l’offerta locale ovunque tu vada. Poi ne riparliamo».

Appena Ciryandil lo aveva lasciato andare, Ancalimon si era raddrizzato, riassestando la casacca, le guance in fiamme. Il piccolino non era ancora del tutto a suo agio a parlare di sesso? Ecco perché faceva tanto la voce grossa.

Così, Ciryandil era rimasto a guardare le navi allontanarsi, prima di tornare al palazzo e nelle sue stanze dove la Donna era intenta a intrecciare strisce di cuoio seduta sulla soglia del balcone.

Potevano essere ormai cinque anni da quando l’aveva presa con sé a tutti gli effetti, ma lei continuava a restargli al fianco, come se non volesse altro dalla vita.

Si era aspettato che avesse trovato marito mentre lui era stato via, e invece era rimasta sola ad aspettarlo. E negli anni insieme, mai aveva dato segno di essere incinta. In realtà, non sanguinava mai, neppure con i ritmi più stagionali delle donne di Númenórë.

Non era stato necessario consultare un medico per intuire che le gravidanze non venivano perché non venivano i sanguinamenti.

Ma Ciryandil non era mai riuscito a chiederle se la cosa le dispiacesse. Non voleva chiederglielo, e non solo perché non si era mai disturbato di imparare la sua lingua, né lei gli parlava in Adûnaic –nonostante lui l’avesse sentita parlare con la servitù senza problemi–, ma perché non voleva indagare sui suoi sentimenti a riguardo.

Quel che gli aveva detto suo nipote non era del tutto sbagliato. I fili grigi che erano comparsi tra le ciocche corvine erano un monito sufficiente a non affezionarsi troppo alla Donna.

Ciryandil si avvicinò a lei, si inginocchiò alle sue spalle e le avvolse le braccia intorno alla vita. Era così piccola rispetto a lui che doveva incurvarsi su di lei per abbracciarla, i seni pesanti che si posavano sui suoi avambracci.

La Donna sollevò la testa e gli sorrise.

Gli chiese qualcosa. Forse se suo nipote fosse partito, e Ciryandil annuì.

Lei gli accarezzò il viso, per tornare a intrecciare il cuoio in quello che appariva proprio un bracciale di armatura.

«Domani ripartiamo» le disse in Sindarin. «Sono stanco di restare qui, voglio tornare a esplorare il Sud».

Vinyalondë era di solito una tappa prima di rientrare Númenórë. Ma era l’ultimo posto in cui Ciryandil voleva trovarsi in quel momento.

La Donna annuì, e lui non era sicuro che avesse capito del tutto. Aveva usato il Sindarin con quello scopo.

Si ostinavano a mettere barriere per comunicare tra loro, come se fosse uno scherzo privato, ma la verità era che Ciryandil non voleva parlarle in maniera di essere certo che lei capisse e, allo stesso tempo, lei non gli andava incontro né si impegnava a farsi capire.

Alla fine, qual era l’utilità di usare la stessa lingua?

Per quel che contava, si capivano lo stesso.

Ciryandil le scostò i capelli dal viso con la punta del naso e le premette le labbra sulla guancia, per poi scendere lungo il collo verso la spalla. Lei mise da parte il lavoro e lasciò andare la testa indietro, contro il suo petto.

«Vuoi tornare dalla tua famiglia?» le chiese, sempre in Sindarin.

Lei non gli rispose. Forse fare una simile domanda perché lei non la capisse voleva dire che Ciryandil non voleva davvero una risposta.

La Donna gli prese una mano e gliela portò attraverso lo spacco della veste fin nello spazio tra le sue cosce. Lì, gliela premette contro il pube.

Quella era decisamente una risposta.


* * *


Ancalimon aveva ormai fatto parecchi viaggi nella Terra di Mezzo per stabilire e mantenere le colonie, quando da Númenórë giunsero notizie che avevano del preoccupante. A portarle furono proprio i mercanti che suo fratello aveva autorizzato ad attraversare il Belegaer per commerciare con le colonie lungo la costa ovest dell’Harad.

«Dei messi dei Valar hanno chiesto udienza al Re?» ripeté Ciryandil, incapace di credere alle sue orecchie.

«Sì, e gli hanno chiesto di desistere da altri tentativi di inviare navi a Ovest».

Ciryandil era stato all’oscuro di simili azioni da parte di suo fratello. Era rimasto al tentativo di infilare uno dei suoi uomini su una nave degli Elfi, ma non aveva mai immaginato che potesse osare altro.

Se la nostra vita è breve per le imprese che abbiamo in mente, figurarsi quella di un abitante della Terra di Mezzo.

Le parole di suo nipote gli tornarono in mente e solo allora Ciryandil notò qualcosa a cui non aveva dato peso: l’eco di suo fratello in quel pensiero.

Ciryandil ricordava come era stato quando aveva avuto la sventura di passare vicino a una porta aperta del soggiorno privato di Atanamir: quante disquisizioni sulla mortalità durante i banchetti con gli amici interessati a quel genere di studi del proprio ombelico! Chissà Ancalimon quante volte aveva sentito le stesse discussioni.

Erano troppi anni che non tornava nella sua madrepatria, ma dubitava che fosse cambiato qualcosa.

«Cosa ha risposto ai messi dei Valar?»

Il mercante fece una smorfia. «Preferisco non ripeterlo, Balkuzîr, è stato troppo blasfemo per i miei gusti».

Come un cane che ha puntato l’osso, Ciryandil continuò a far domande in giro finché non trovò un uomo disposto a dirgli qualcosa di più.

Era un marinaio col volto segnato dagli anni e dal mare che non sembrava avere molto di sacro e inviolabile, al contrario dei mercanti con cui Ciryandil aveva avuto a che fare.

«Il Re? Il Re ha detto bene» disse il marinaio. «Ha ricordato a quei bellimbusti dell’Ovest che è il discendente di Azrubêl e Azrubêl è ancora vivo e giovane mentre percorre ogni giorno il cielo».

«Chi erano i messi?»

«Ah, quei bellocci di Amatthâni. I Nimruzîr, tutti biondi e luminosi, come se bastasse questo a farci cambiare idea. Il Re ha detto bene».

«E tu eri lì, quando il re ha parlato con i messi degli Avalôim?»

«No, ma mio figlio era lì per il permesso di partire e quindi ha assistito a tutta la scena. E che scena, Balkuzîr! Avresti dovuto essere lì».

Quando Ciryandil rientrò a casa, andò al letto dove sedeva la Donna, la coperta a coprirle le gambe, i cuscini dietro la schiena, il volto smunto.

I capelli erano molto diradati e quei pochi che rimanevano erano grigi, come la luce che emanava la sua pelle sbiadita. La vecchiaia e la malattia l’avevano fatta impallidire al tal punto che Ciryandil voleva andare a dormire, solo per riaprire gli occhi sulla Donna con la pelle più nera della notte, anche se tra le sue braccia il contrasto tra loro sarebbe stato ancora più netto.

Le portò una ciotola di cibo e lei tese le mani perché lui gliela porgesse e la lasciasse mangiare da sola. Ci teneva molto a poterlo fare, anche quando stava peggio di come sembrava quel giorno.

Ciryandil non sedette sul letto, per paura di sbilanciarlo col suo peso, ma si accovacciò al suo fianco e la osservò mangiare.

«Mio fratello ha deciso di mettersi contro i Signori dell’Ovest, a quanto pare» le disse, rigirandosi l’anello intorno all’indice. «Vorrei saperne di più, ma tutti sono restii a parlarne».

La Donna sollevò lo sguardo dalla ciotola, tutta la sua attenzione su di lui, come se stesse aspettando che dalla sua bocca uscissero determinate parole.

Immaginava quali.

Perché ci aveva pensato da quando il primo mercante gli aveva accennato alle azioni di Atanamir.

Erano davvero troppi anni che non rimetteva piede a Númenórë.

Ma si limitò a raccontarle quel che gli aveva detto il marinaio e la lasciò mangiare in silenzio. Quando lei fu pronta per dormire, le sistemò la coperta sulle spalle e uscì per fare una passeggiata nella notte.

Aveva sempre meno sonno e la luce del giorno non era più piacevole come un tempo. La notte invece era l’unico momento in cui sentiva di nuovo la pace che aveva provato quando aveva passato le giornate sulla nave sotto il sole cocente e ad attaccare i villaggi del Sud.

Aveva smesso di farlo da qualche anno, non per la Donna, ma perché non aveva trovato più le stesse soddisfazioni di una volta. E dall’isola erano giunti nuovi, giovani condottieri che avevano portato novità a cui lui non aveva pensato.

Nemmeno quello gli aveva fatto venire voglia di tornare a Númenórë.

I suoi piedi lo condussero al molo sul fiume della cittadina in cui viveva come Balkuzîr, unico superstite del gruppo di marinai con cui aveva saccheggiato le coste, ormai sparsi per la Terra di Mezzo o tornati in madrepatria.

L’acqua scorreva placida verso il mare, senza la forza della piena che la animava durante le stagioni piovose e la notte era silenziosa, a parte per le rane che gracidavano lungo la riva. Era uno di quei momenti in cui tutto il mondo sembrava dormire.

Tranne Ciryandil.

Guardando l’acqua scorrere, provò solo nausea. Non trovò in sé il minimo desiderio di imbarcarsi e viaggiare per settimane per mare, per tornare a Númenórë.

Cosa c’era per lui a Númenórë ormai?

Doveva andare a vedere il regno e la famiglia di suo fratello prosperare? No, gli bastavano le nuove che lo raggiungevano con i mercanti. Non sentiva neppure il bisogno di scrivergli o di ricevere lettere da parte sua.

Quella notizia lo aveva scosso, sì, ma perché non si sarebbe mai aspettato che suo fratello combinasse qualcosa con tutte le chiacchiere da salotto. E perché quell’argomentazione aveva senso, era quel che lo faceva svegliare senza fiato dallo sconforto, sempre più spesso da quando la Donna era caduta preda della sua misteriosa malattia.

Gli mancava la Donna di un paio di anni prima.

Potevano ancora parlarsi in lingue diverse, fare di tutto per non capirsi, ma si capivano. Lei veniva sempre con lui ovunque lui decidesse di andare e, nel letto, non avevano perso neppure una notte insieme finché non era stata troppo male perché Ciryandil se la sentisse di strapazzarla per i suoi bisogni.

Se fosse partito ora, al suo ritorno lei avrebbe potuto non esserci più.

Forse sarebbe stata la scelta migliore. Si sarebbe evitato una seconda lunga agonia e avrebbe conservato di lei più ricordi positivi che quelli brutti della malattia, che ora si accumulavano davanti ai suoi occhi.

Avrebbe potuto partire e tornare dopo qualche anno, e dimenticare tutto quello che si era lasciato alle spalle in quel villaggio, iniziare una nuova vita altrove, magari sulla costa Est.

Doveva solo salire su una nave appena fosse sorto il sole e raggiungere il primo grande porto númenóreano delle colonie e da lì dirigersi verso Númenórë.

Ciryandil si accovacciò sul molo, la testa tra le mani, lo stomaco annodato.

La sola idea gli faceva risalire la bile in bocca.

Voleva rivedere Númenórë, sì, ma non così tanto da mettere piede su una barca.

Da lasciare tutto indietro.

Da ricominciare di nuovo.

Non affezionartici troppo, zio.

Non si era affezionato, nulla di tutto ciò. Era solo che si trovava di nuovo intrappolato al capezzale di un moribondo e non sapeva come fuggirne.

Non si era affezionato alla Donna.

Avrebbe solo mandato qualcuno dei suoi vecchi contatti a Númenórë a vedere se c’era bisogno di lui. E avrebbe sperato che non ce ne fosse.


* * *


Ormai la Donna tossiva sangue ed era l’ombra di quel che era stata. Ciryandil era steso al suo fianco, incapace di chiudere occhio, nonostante il respiro rantolante di lei in un’altra epoca lo avrebbe cullato.

Non più.

Ormai neppure il cibo aveva sapore, il vento non gli portava sollievo, l’odore della sporcizia in cui vivevano lui e la Donna non gli pizzicavano il naso.

Lei stava morendo, sempre più sbiadita, e Ciryandil stava sbiadendo altrettanto. Non era neppure tempo perché lui, un Númenóreano, abbandonasse il mondo. Il suo corpo era ancora in forze, se doveva dire il vero. Ma non riusciva a usarlo, non quando la Donna era costretta a letto, la vecchiaia che la divorava insieme alla malattia.

Non poteva più vederla così.

Doveva fare qualcosa, un’azione delle sue. Era l’unica certezza che aveva.

Si mise a sedere e la guardò.

Lei incontrò il suo sguardo, corrugò la fronte mentre lui le accarezzava una guancia svuotata.

Ciryandil si chinò sul suo viso, le baciò le labbra che avevano perso tutta la polpa che le aveva rese morbide e perfette da baciare. Se avesse chiuso gli occhi, l’avrebbe vista ancora come era stata un tempo.

Era per questo che aveva indugiato così a lungo. Gli bastava chiudere gli occhi appena pensava a come ridarle finalmente la libertà e si perdeva d’animo.

Ma non sarebbe stato così questa volta.

«Non andare dove non posso seguirti» mormorò lei, la voce tremula in Adûnaic, mentre una lacrima scendeva dall’angolo di un occhio.

Sentirla parlare in modo da farsi capire, per la prima volta in tanti anni, lo fece tremare. Ma non era il momento per esitare. Aveva già tremato abbastanza.

Ciryandil prese il suo cuscino.

«Sarai sempre con me, zirân».

Lei lo guardò e Ciryandil vide sorgere nei suoi occhi la comprensione. Era sempre stata troppo intelligente per lui, che non sapeva risolvere nulla senza usare il suo corpo. Quella volta, però, il suo corpo sarebbe stato utile.

La Donna chiuse gli occhi.

Come era sempre stato, non ci fu bisogno di parlare.

Ciryandil posò il cuscino sul suo viso, sentì le mani di lei posarsi tremolanti sulle sue e premette.

E premette.

Premette ancora, senza mai cedere anche mentre il corpo di lei si agitava, rianimato dagli ultimi sprazzi di vita, e le unghie di lei gli artigliavano il dorso delle mani.

Tenne premuto il cuscino finché la Donna non smise di agitarsi e la sua pallida luce si spense del tutto. Era tornata nera come la notte. Quasi non la vedeva nell’oscurità della casa.

Le prese una mano, prima che scivolasse sul materasso insieme all’altra, e si chinò a baciarne le dita, mentre dal petto gli risaliva un verso che non aveva mai sentito.

Sembrava un singhiozzo, ma non ne era certo.

I suoi occhi erano asciutti.

Ciryandil non aveva idea di quanto rimase seduto sul letto di fianco a lei.

Qualcuno comparve sulla porta –come una fiammella tremolante– e fuggì urlando.

Forse fu quello a riscuoterlo.

Si alzò dal letto, smosse le ceneri per cercare del fuoco e, come chiamato dai suoi movimenti, una scintilla attirò il suo sguardo. Un carbone acceso ancora ardeva sotto la coltre di ceneri.

Ciryandil infilò un ciocco di legno nel cuore ancora bruciante e poi diede fuoco al letto: fece divampare il materasso di paglia e passò, con un’ultima carezza di fuoco, al resto del mobilio infiammabile.

Ossia tutto.

Lanciò quel che restava del ciocco verso il letto e uscì dalla casa.

Era la migliore sepoltura che potesse darle.

Se quella fiamma avesse raso al suolo l’intero villaggio, non gli sarebbe importato.

Perché, si rendeva conto ora, quel gioco che lui e la Donna avevano portato avanti negli anni lo aveva privato di una cosa preziosissima.

Il suo nome.






Nota dell'autrice


Così si chiude la parte di Angmar e non me la sento di dire granché, se non che 1) gli accenni a Tar-Telperien sono riferiti a miei headcanon, 2) c'è una citazione in particolare ed è voluta, 3) zirân vuol dire "amatə" in Adûnaic.

Grazie a chi ha letto fin qui e ci vediamo la prossima settimana con l’epilogo,

Kan


   
 
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